Giurisprudenza di legittimità Falsità in atti – In
atti pubblici – Verbali di accertamento di violazione al codice della strada –
Alterazione di dati archiviati in computer senza manipolare il corrispondente
supporto cartaceo – Reato di cui agli artt. 476 e 491 bis c.p. -
Configurabilità. Integra il reato di
cui agli artt. 476, comma primo e 491 bis c.p. (falso materiale in atto pubblico)la
condotta del pubblico ufficiale che, in qualità di addetto al servizio di
inserimento dati nel sistema di verbalizzazione informatica, alteri documenti
informatici pubblici relativi alla predisposizione di verbali di accertamento
di violazione delle norme del codice della strada; né, a tal fine, la
circostanza che il sistema informatico coesista con quello cartaceo di
supporto, in quanto l’art. 491 bis c.p. – che sanziona sia la falsità
concernente direttamente i dati o le informazioni dotati, già in sé, di
rilevanza probatoria sia quella relativa a programmi specificamente ad
elaborarli – riguarda tanto l’ipotesi in cui il sistema informatico sia
sopportato da riscontro cartaceo quanto quella in cui il sistema informatico
sia del tutto sostitutivo di quello cartaceo. Svolgimento
del processo. – D. M.
L., agente della Polizia municipale del comune di Udine, era chiamato a
rispondere, innanzi al tribunale di quella stessa città, del reato di cui agli
artt. 476, comma 1, 490, 491 bis c.p.. In particolare, gli si contestava di
avere – nella sua qualità di addetto al servizio di inserimento dati nel
sistema di verbalizzazione informatica – distrutto ovvero soppresso e,
comunque, occultato documenti informatici pubblici relativi alla predisposizione
di quindici verbali di accertamento di violazione delle norme del codice della
strada. Più precisamente, era accusato di aver cancellato i documenti
informatici relativi a detti atti – destinati alla stampa ed alla conseguente
notifica agli interessati – provvedendo a sovrapporvi dati diversi, relativi ad
altri verbali di accertamento, con l’effetto di rendere impossibile, in dieci
casi, l’emissione di nuovi avvisi di accertamento e di rendere necessaria, per
i rimanenti cinque, l’emissione di provvedimenti sostitutivi. Con sentenza del 17 maggio 2000,
il tribunale, pronunciando con le forme del rito abbreviato, dichiarava il D.
M. colpevole del reato ascrittogli e, con la concessione delle attenuanti
generiche e con la diminuente di rito, lo condannava alla pena –
condizionalmente sospesa – di mesi dieci di reclusione, oltre consequenziali
statuizioni. Lo condannava, altresì, al risarcimento del danno in favore del
Comune di Udine, costituitosi parte civile, liquidandolo nella somma di lire
dieci milioni. Pronunciando sul gravame proposto
dal difensore dell’imputato, la Corte d’appello di Trieste, con la sentenza
indicata in epigrafe, confermava l’impugnata pronuncia, con ulteriori
consequenziali statuizioni. Avverso l’anzidetta pronuncia, lo
stesso difensore ha proposto ricorso per cassazione, affidandolo alle ragioni
di censura indicate in parte motiva. Svolgimento
del processo. – Con
il primo motivo d’impugnazione, parte ricorrente denuncia violazione dell’art.
606 per manifesta illogicità di motivazione ed erronea applicazione della legge
penale. Lamenta, in particolare, che la Corte distrettuale abbia confermato il
giudiziose di penale responsabilità dell’imputato, nonostante il compendio
probatorio in atti non fosse idoneo e sufficiente. Sostine, in proposto,
l’insussistenza del ritenuto falso in atto pubblico, posto che i verbali, che
avevano sostituito i precedenti, non recavano falsità; né esisteva soppressione
di atto pubblico, posto che il supporto cartaceo si trovava, regolarmente,
custodito nell’archivio del Comando. Nessuna manomissione od
alterazione della sequenza dei dati nel sistema informatico sarebbe stata, del
resto, possibile sia per l’immediata rilevabilità sia perché esisteva pur
sempre copia degli atti – asseritamene mancanti nell’elaboratore elettronico –
presso l’archivio cartaceo. Contesta l’assunto dei giudici di marito, secondo
cui sarebbe stata necessaria una particolare procedura per forzare il sistema,
e cioè per la modifica dei dati ivi
inseriti, attraverso successive operazioni richieste dal relativo programma,
non potendo, invece, escludersi la possibilità di un errore accidentale tale da
comportare la non voluta cancellazione di quanto inserito in computer con il
conseguente inserimento dei verbali che
andavano a coprire i precedenti erroneamente cancellati. Né avrebbe potuto
escludersi che altri colleghi, profittando dell’accensione del computer (che,
come di consueto, aveva luogo ad inizio giornata mediante l’utilizzo di parola
chiave), avesse effettuato, in assenza di esso istante, le operazioni
contestate. Ad ogni buon conto, parte
ricorrente sostiene l’insussistenza del reato di cui all’art. 491 bis c.p., sul
riflesso che la relativa configurazione dovrebbe essere limitata ai soli casi
in cui il sistema informatico sia sostitutivo del supporto cartaceo, senza
possibilità di estensione all’ipotesi in cui quel sistema coesista con quello
cartaceo. La presenza della documentazione cartacea, costituente atto pubblico
a tutti gli effetti, porta, infatti, a considerare il sistema informatico quale
mero strumento di video scrittura, privo della benché minima valenza di atto
pubblico. Se così è. Esso istante avrebbe
potuto essere chiamato a rispondere del solo reato di cui all’art. 485 c.p.
ovvero del reato di frode informatico ai sensi e per gli effetti della L. n.
547/1993 con applicazione, quindi, di una pena di gran lunga inferiore. 2. – La censura è infondata, a
parte i pur vistosi profili di inammissibilità che la connotano, specie nella
parte in cui appare intesa a porre in discussione, in questa sede, la
sussistenza del fatto materiale o, quantomeno, la sua riconducibilità allo
stesso ricorrente. Ed infatti, con insindacabile apprezzamento di merito, tale
in quanto correttamente ed esaurientemente motivato, la Corte distrettuale –
nel rispondere ad identiche questioni di fatto sollevate in sede in gravame –
ha efficacemente indicato le ragione per le quali era da escludere qualsivoglia
accidentalità nel trattamento dei dati informatici o la mera eventualità che
altri, all’infuori del D., avesse potuto accedere al computer per porre in
essere, a sua insaputa, l’interferenza manipolatoria. Piuttosto, merita di essere
considerato il profilo giuridico afferente alla riconducibilità della
fattispecie al paradigma normativo dell’art. 491 bis c.p., relativo ai c.d.
documenti informatici. La tesi difensiva, riproposta in questa sede, si fonda
sull’assunto che l’alterazione dei dati archiviati in computer, senza
corrispondente manipolazione del supporto cartaceo, sarebbe inidonea alla configurazione
del falso materiale in contestazione, posto che la fattispecie delittuosa,
emergente dal combinato disposto degli artt. 476 e 491 bis, si attaglierebbe
soltanto ai casi in cui il sistema informatico sia privo di riscontro cartaceo,
e dunque sostitutivo dello stesso, e non già alle ipotesi in cui
all’archiviazione informatica farebbe riscontro la conservazione degli atti
originali. Il rilievo difensivo non è
condivisibile in chiave squisitamente teorico, a parte le smentite che ha
trovato in punto di fatto. Cominciando da queste ultime, va detto che la Corte
distrettuale ha, innanzitutto, rilevato che, almeno per una decina di casi, non
erano stati rinvenuti i supporti cartacei, di guisa che, almeno relativamente
ad essi, la costruzione difensiva era avulsa dalla realtà fattuale. In secondo
luogo, ha escluso che gli atti cartacei di supporto, ovverosia i preavvisi di
contravvenzione, avessero autonoma valenza di atto pubblico, posto che
l’elemento cartaceo serviva solo come base informativa da inserire nel sistema.
Soltanto dopo la memorizzazione del dato e l’assegnazione ad esso di un numero
progressivo, era possibile attribuire al preavviso un progetto di valenza
probatoria, che sarebbe stata, però, definitivamente acquisita solo con la
successiva stampa dei verbali di contravvenzione, completi di tutte le
informazioni necessarie. Tale rilievo, riguardante la
dinamica di acquisizione dell’efficacia probatoria dell’atto, non infirma
certamente la valenza giuridica della costruzione ritenuta in sentenza, posto
che la seconda parte dell’art. 491 bis c.p. prevede due articolazioni
dell’unitaria nozione di documento informatico, precisando che per documento
informatico si intende qualunque supporto informatico contenente dati o
informazioni aventi efficacia probatoria (prima configurazione) o programmi
specificamente destinati ad elaborarli (seconda configurazione). La fattispecie oggetto di giudizio
era riconducibile proprio a tale seconda ipotesi, posto che l’alterazione
riguarda una programmazione di dati propedeutica alla formazione di un atto
dotato di piena valenza probatoria. Per quanto concerne, pi, il
profilo teorico della configurazione giuridica, in rapporto alla presenza o
meno del supporto cartaceo, questa Suprema Corte ha già avuto modo di precisare
che l’archivio informatico di una pubblica amministrazione deve essere
considerato alla stregua di un registro (costituito da materiale non cartaceo)
tenuto da un soggetto pubblico, con la conseguenza che la condotta del pubblico
ufficiale che, nell’esercizio delle sue funzioni e facendo uso dei supporti
tecnici di pertinenza della P.A., confezioni un falso atto informatico
destinato a rimanere nella memoria dell’elaboratore, integra una falsità in
atto pubblico, a secondo dei casi, materiale o ideologica (artt. 476 e 479
c.p.), ininfluente peraltro restando la circostanza che non sia stato stampato
alcun documento cartaceo (cfr. Cass., sez. V, 18 giugno 2001, n. 32812, RV
219945; cfr., pure, id., sez. V, 27 gennaio 2005, n. 11930, RV 231706). Alla stregua di quanto precede,
può allora affermarsi il principio di diritto secondo cui la previsione
dell’art. 491 bis c.p. riguarda tanto l’ipotesi in cui il sistema informatico
sia supportato da riscontro cartaceo quanto quella in cui sia del tutto
sostitutivo dello stesso, ricomprendendo, in entrambi i casi, le due distinte
articolazioni della fattispecie penale: l’ipotesi che la falsità riguardi
direttamente i dati o le informazioni dotati, già in sé, di rilevanza
probatoria e l’ipotesi che riguardi, invece, contesti programmatici
specificamente destinati ad elaborare dati ed informazioni, come prescritto
dall’ultima parte della stessa norma sostanziale. 2. – Per quanto precede, il
ricorso deve essere rigettato, con le consequenziali statuizioni espresse in
dispositivo. (Omissis). [RIV-07.08.06P746] |
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