(ASAPS) – Condurre un veicolo
mentre si telefona è sempre pericoloso, anche se chi è al volante utilizza un
kit vivavoce, tanto che il rischio di provocare un incidente anche utilizzando
questo tipo di precauzione è quattro volte maggiore. Non è una novità, a dire
il vero, ed anzi un considerevole numero di ricerche – molte delle quali
eseguite in Gran Bretagna ed Australia – avevano già messo all’indice tali
dispositivi, molti dei quali oggi – grazie soprattutto alla diffusione della
tecnologia “Bluetooth” – fanno parte del corredo opzionale di veicoli di ogni
categoria, dall’utilitaria fino alle ammiraglie. Dunque, il kit vivavoce è solo
un palliativo? A sostegno di questa ipotesi giunge un’altra ricerca
scientifica, stavolta completata negli USA, realizzata dalla Utah University. I
risultati sono a dir poco incredibili, perché basati per la prima volta su
un’esperienza pratica e non più – come accaduto per altre precedenti indagini –
sull’analisi comportamentale a posteriori. In effetti, i ricercatori britannici
e australiani – che ne hanno avuto la possibilità grazie alla minor ipocrisia
di leggi attente sì alla privacy ma molto più alla vita – avevano selezionato
un numero considerevole di incidenti investigando sul comportamento dei
conducenti nelle fasi antecedenti e culminanti degli impatti, ascoltando le
loro versioni – certo – ma anche verificandone l’attendibilità acquisendo, per
esempio, i tabulati delle utenze radiomobili a loro intestate e la presenza di
kit “hands free” funzionanti sui loro veicoli. I ricercatori americani, invece,
hanno scelto 16 conducenti di entrambi i sessi e di varie fasce d’età tra tutte
le categorie –professionisti come
autisti della domenica – inserendoli in contesti di guida simulata, esattamente
come accade per il training dei piloti di jet. Alcuni di loro hanno guidato il
simulatore conversando al telefono con vivavoce, mentre altri non sono stati
distolti. Ebbene, i ricercatori hanno
rilevato a carico degli 8 "telefonandi" una sorta di divisione del
cervello in due: parliamo di una evidente dissociazione, che seppur indotta e
seppur eseguita su persone che avevano contezza di ciò che stava loro
accadendo, ha evidenziato un rischio di provocare o incorrere incidenti 4 volte
superiore rispetto al normale.
Un simulatore di guida statunitense (dalla rete)
Perché? Semplice: è risultato che
i conducenti al telefono, pur disponendo di una potenzialmente
sufficiente manovrabilità del veicolo (data dall’applicazione delle mani
sul volante), praticamente non si accorgevano di frenate improvvise davanti a
loro o di eseguire manovre in teoria pericolosissime, come sorpassi o
variazioni di corsia non segnalati. Un ultimo particolare: la
simulazione prevedeva un contesto autostradale ed i ricercatori suppongono che
se il livello dell’esperimento venisse spostato in chiave cittadina, dove i
rischi da imprevisto sono certamente più numerosi, le conseguenze sul
comportamento sarebbero state ancor più disastrose. C’è poi da considerare che
all’effetto “telefonino” sulla guida, c’è un’altra insidia della quale si tiene
ancora poco conto: la diffusione dei navigatori satellitari. {foto3c}
Navigatore satellitare in auto: come non voltarsi a guardarlo?
Aldilà della inconfutabile utilità
di disporre di una cartografia così precisa e così interattiva con la guida –
che consente ad esempio di raggiungere un indirizzo con la precisione del
numero civico – in città lontane rispetto alla propria e comunque sconosciute
all’utente, si pone il problema della sua gestione. Infatti, e questo vale per i
dispositivi integrati nella dotazione dell’auto come per quelli in vendita come
accessorio, non possono essere utilizzati senza mani, e comunque (versioni
parlanti comprese) è ovvio che chiunque lo usi è portato a guardarlo con
frequenza, spostando l’attenzione dalla direttrice di marcia vera a quella
virtuale del piccolo monitor appiccicato al parabrezza. Per non parlare poi del fatto che
proprio lì, in mezzo al cristallo anteriore, l’intera visuale, soprattutto in
fase di curva, ne risulta compromessa. La ricerca della Utah University
sarà presto pubblicata sulle maggiori riviste scientifiche. (ASAPS)
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