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Da www.vigilaresullastrada.it - Il codice della strada si applica anche sulle aree di proprietà privata quando queste sono destinate alla libera circolazione dei pedoni, dei veicoli e degli animali

(Giudice di Pace, Prato, sentenza n. 983 del 23 giugno 2006)

L’amministrazione di Prato, rappresentata in giudizio dal Dott. Silvano Votta, ottiene un risultato positivo nel non facile agone in materia di ambito di applicazione del codice della strada. La difesa del Comune di Prato si basa sul concetto di area privata aperta alla circolazione dei pedoni, dei veicoli e degli animali portata avanti nel tempo dalla giurisprudenza di legittimità con un indirizzo direi ormai granitico, sviluppatosi proprio per contrastare le ondivaghe decisioni di merito che ancora oggi, con il giudice di pace, non sempre riescono ad inquadrare la questione, spesso fuorviati dal concetto civilistico di proprietà.
Le argomentazioni dell’amministrazione che rappresento sono quelle ormai più volte ripetute dallo scrivente su questo servizio e che affondano le proprie origini nell’introduzione del primo manuale che ho avuto modo di pubblicare per Maggioli ed a queste mi riporto nella speranza di fornire un utile strumento per gli abbonati, unitamente alla sentenza che si propone in originale.
Per stessa definizione dell’articolo 2 del codice della strada, l’area di proprietà privata aperta alla circolazione dei veicoli, delle persone e degli animali senza limitazione alcuna da parte del proprietario è soggetta alle disposizioni del Codice della strada. Il Codice delle assicurazioni private, che ho appena commentato sul sito in riferimento al Titolo X che riguarda l’assicurazione RCA, ha previsto l’emanazione di linee guida che andranno a individuare con maggiore certezza il concetto di area aperta alla circolazione, quando già il regolamento della abrogata legge n. 990/69 contiene un principio generale simile a quello del citato articolo 2 del codice della strada e meglio delineato da un costante indirizzo della giurisprudenza di legittimità, non sempre in linea con quella si merito, spesso restia ad accettare la dicotomia tra il concetto di proprietà privata e l’ambito di applicazione delle norme che regolano la circolazione stradale. Quindi, non è necessario alcun atto della p.a. per operare in dette aree, laddove siano individuate con sufficiente certezza secondo i canoni succitati. Ancora una volta le riporto il mio pensiero, tratto dall’introduzione del volume edito alla fine del 2001 da Maggioli in materia di patente di guida.
Giova poi ricordare che le norme del Codice della strada si applicano sulle strade, come definite dall’articolo 2, vale a dire come aree aperte al pubblico passaggio, destinate alla circolazione delle persone, degli animali e dei veicoli, prescindendo cioè dal concetto di proprietà. L’articolo 1 della legge 990/69 introdusse l’istituto dell’assicurazione obbligatoria per i veicoli in circolazione su aree di uso pubblico o aree a queste equiparate, precisando questa definizione all’articolo 2 comma 2 del suo regolamento d’esecuzione dove si argomentava che " … sono equiparate alle strade di uso pubblico tutte le aree, di proprietà pubblica o privata, aperte alla circolazione del pubblico." La giurisprudenza è stata sempre improntata a questa definizione, affermando che, ai fini dell’applicazione delle sanzioni inerenti all’inosservanza delle norme che regolano la circolazione, si deve far riferimento non tanto al concetto di proprietà della strada, ma alla sua destinazione. Si può aggiungere che per destinazione si intende quella che il soggetto, con un atto di volontà, implicito od esplicito, ha inteso dare all’area di sua proprietà; nulla osta alla definizione di area privata se su questa si svolge di fatto un passaggio abusivo di un numero elevato di veicoli e persone, ancorché si evinca facilmente la destinazione dell’area. Un’area (concetto più generale rispetto a quello di strada) privata, aperta alla libera circolazione di un numero indeterminato ed indiscriminato di persone, viene equiparata ad un area pubblica; è altresì vero che quando la circolazione all’interno di tali aree è consentita a particolari categorie di persone, individuate ed autorizzate dal proprietario, non si può parlare di area pubblica : si pensi ad un piazzale di uno stabilimento, al quale possono accedere solo gli operai e le persone impegnate nell’attività o in funzione dell’attività che in questo viene svolta. Caso ancora diverso è quello dell’esercizio che mette a disposizione il parcheggio esclusivamente ai clienti; tale volontà deve essere esplicita e facilmente percepibile da parte di chi intenda accedere all’area, che, in tale ipotesi, si deve intendere privata. In tutti i casi la pubblicità o meno dell’area deve essere palese e deducibile o dalle caratteristiche del luogo o da opportune strutture atte a limitarne l’accesso (cancelli, transenne, cartelli, iscrizioni sulla sede stradale etc.); si tratta comunque di una valutazione da farsi a seconda del caso specifico e si dovrà far riferimento, come parametro di giudizio, alle facoltà dell’uomo medio che tenga una condotta diligente. Per essere più chiari, il fatto che una rampa di accesso ad un garage condominiale sotterraneo sia di fatto accessibile, perché non chiusa da alcuna barriera fisica e mancante di una cartellazione di divieto di accesso a persone non autorizzate, non implica per questo che l’area sia soggetta a uso pubblico, poiché è evidente che si tratta di un luogo il cui utilizzo è riservato ad una ristretta categoria di persone (uti singuli); nessuna persona, dotata del comune discernimento, parcheggerebbe la propria auto all’interno di un luogo così come descritto. La stessa giurisprudenza espressa dalla cassazione penale riconosce, ad esempio, natura di carattere privato alle piazzole di distribuzione di carburante, anche se su di esse si svolge il passaggio di utenti della strada in numero elevato, in quanto si configura un transito uti singuli e non uti cives. E’ tuttavia da rilevare che la stessa Sezione, in una sentenza precedente ed isolata, aveva affermato, al contrario, che le aree destinate alla distribuzione dei carburanti, ancorché private, sono soggette ad uso pubblico, poiché, chiunque intenda usufruire dei servizi che su di esse vengono offerti (anche diversi dall’erogazione del carburante), vi si può liberamente immettere. A detta dello scrivente, l’interpretazione che più si attaglia alla distinzione de quo, è quella che si evince dalla sentenza del Trib. Civ. di Milano sez IV del 10 marzo 1986, secondo la quale un’area di uso privato può considerarsi di uso pubblico se aperta al transito di veicoli, pedoni, animali senza alcuna limitazione in ordine al numero o al fine per cui sia consentito l’ingresso. Ne consegue che non può ritenersi di uso pubblico, quell’area privata, anche se in diretta comunicazione con aree pubbliche, cui possa accedersi solo in funzione dell’attività o dei servizi che in essa vengono svolti. Si deve quindi far riferimento alla limitazione soggettiva che esclude la circolazione indiscriminata della generalità dei veicoli. In più di un’occasione la Suprema Corte ha infatti richiamato il concetto di "circolazione di un numero indeterminato ed indiscriminato di persone", quale criterio atto a determinare l’uso pubblico di un’area. Si ricorda, ad esempio, che anche nelle strade private aperte al pubblico le autorizzazioni per il passo carrabile sono rilasciate dal comune (art. 120 del regolamento).

Consulta la sentenza del Giudice di Pace di Prato n. 983/06 (formato pdf) 


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Martedì, 22 Agosto 2006
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