L’amministrazione
di Prato, rappresentata in giudizio dal Dott. Silvano Votta, ottiene un
risultato positivo nel non facile agone in materia di ambito di applicazione
del codice della strada. La difesa del Comune di Prato si basa sul concetto di
area privata aperta alla circolazione dei pedoni, dei veicoli e degli animali
portata avanti nel tempo dalla giurisprudenza di legittimità con un indirizzo
direi ormai granitico, sviluppatosi proprio per contrastare le ondivaghe
decisioni di merito che ancora oggi, con il giudice di pace, non sempre
riescono ad inquadrare la questione, spesso fuorviati dal concetto civilistico
di proprietà.
Le argomentazioni dell’amministrazione che rappresento sono quelle ormai più
volte ripetute dallo scrivente su questo servizio e che affondano le proprie
origini nell’introduzione del primo manuale che ho avuto modo di pubblicare per
Maggioli ed a queste mi riporto nella speranza di fornire un utile strumento
per gli abbonati, unitamente alla sentenza che si propone in originale.
Per stessa definizione dell’articolo 2 del codice della strada, l’area di
proprietà privata aperta alla circolazione dei veicoli, delle persone e degli
animali senza limitazione alcuna da parte del proprietario è soggetta alle
disposizioni del Codice della strada. Il Codice delle assicurazioni private,
che ho appena commentato sul sito in riferimento al Titolo X che riguarda
l’assicurazione RCA, ha previsto l’emanazione di linee guida che andranno a
individuare con maggiore certezza il concetto di area aperta alla circolazione,
quando già il regolamento della abrogata legge n. 990/69 contiene un principio
generale simile a quello del citato articolo 2 del codice della strada e meglio
delineato da un costante indirizzo della giurisprudenza di legittimità, non
sempre in linea con quella si merito, spesso restia ad accettare la dicotomia
tra il concetto di proprietà privata e l’ambito di applicazione delle norme che
regolano la circolazione stradale. Quindi, non è necessario alcun atto della
p.a. per operare in dette aree, laddove siano individuate con sufficiente
certezza secondo i canoni succitati. Ancora una volta le riporto il mio
pensiero, tratto dall’introduzione del volume edito alla fine del 2001 da
Maggioli in materia di patente di guida.
Giova poi ricordare che le norme del Codice della strada si applicano sulle
strade, come definite dall’articolo 2, vale a dire come aree aperte al pubblico
passaggio, destinate alla circolazione delle persone, degli animali e dei
veicoli, prescindendo cioè dal concetto di proprietà. L’articolo 1 della legge
990/69 introdusse l’istituto dell’assicurazione obbligatoria per i veicoli in
circolazione su aree di uso pubblico o aree a queste equiparate, precisando
questa definizione all’articolo 2 comma 2 del suo regolamento d’esecuzione dove
si argomentava che " … sono equiparate alle strade di uso pubblico tutte
le aree, di proprietà pubblica o privata, aperte alla circolazione del
pubblico." La giurisprudenza è stata sempre improntata a questa
definizione, affermando che, ai fini dell’applicazione delle sanzioni inerenti
all’inosservanza delle norme che regolano la circolazione, si deve far
riferimento non tanto al concetto di proprietà della strada, ma alla sua
destinazione. Si può aggiungere che per destinazione si intende quella che il
soggetto, con un atto di volontà, implicito od esplicito, ha inteso dare
all’area di sua proprietà; nulla osta alla definizione di area privata se su
questa si svolge di fatto un passaggio abusivo di un numero elevato di veicoli
e persone, ancorché si evinca facilmente la destinazione dell’area. Un’area
(concetto più generale rispetto a quello di strada) privata, aperta alla libera
circolazione di un numero indeterminato ed indiscriminato di persone, viene
equiparata ad un area pubblica; è altresì vero che quando la circolazione
all’interno di tali aree è consentita a particolari categorie di persone,
individuate ed autorizzate dal proprietario, non si può parlare di area
pubblica : si pensi ad un piazzale di uno stabilimento, al quale possono
accedere solo gli operai e le persone impegnate nell’attività o in funzione
dell’attività che in questo viene svolta. Caso ancora diverso è quello
dell’esercizio che mette a disposizione il parcheggio esclusivamente ai
clienti; tale volontà deve essere esplicita e facilmente percepibile da parte
di chi intenda accedere all’area, che, in tale ipotesi, si deve intendere
privata. In tutti i casi la pubblicità o meno dell’area deve essere palese e
deducibile o dalle caratteristiche del luogo o da opportune strutture atte a
limitarne l’accesso (cancelli, transenne, cartelli, iscrizioni sulla sede
stradale etc.); si tratta comunque di una valutazione da farsi a seconda del
caso specifico e si dovrà far riferimento, come parametro di giudizio, alle
facoltà dell’uomo medio che tenga una condotta diligente. Per essere più
chiari, il fatto che una rampa di accesso ad un garage condominiale sotterraneo
sia di fatto accessibile, perché non chiusa da alcuna barriera fisica e
mancante di una cartellazione di divieto di accesso a persone non autorizzate,
non implica per questo che l’area sia soggetta a uso pubblico, poiché è
evidente che si tratta di un luogo il cui utilizzo è riservato ad una ristretta
categoria di persone (uti singuli); nessuna persona, dotata del comune
discernimento, parcheggerebbe la propria auto all’interno di un luogo così come
descritto. La stessa giurisprudenza espressa dalla cassazione penale riconosce,
ad esempio, natura di carattere privato alle piazzole di distribuzione di
carburante, anche se su di esse si svolge il passaggio di utenti della strada
in numero elevato, in quanto si configura un transito uti singuli e non uti
cives. E’ tuttavia da rilevare che la stessa Sezione, in una sentenza
precedente ed isolata, aveva affermato, al contrario, che le aree destinate
alla distribuzione dei carburanti, ancorché private, sono soggette ad uso
pubblico, poiché, chiunque intenda usufruire dei servizi che su di esse vengono
offerti (anche diversi dall’erogazione del carburante), vi si può liberamente
immettere. A detta dello scrivente, l’interpretazione che più si attaglia alla
distinzione de quo, è quella che si evince dalla sentenza del Trib. Civ. di
Milano sez IV del 10 marzo 1986, secondo la quale un’area di uso privato può
considerarsi di uso pubblico se aperta al transito di veicoli, pedoni, animali
senza alcuna limitazione in ordine al numero o al fine per cui sia consentito
l’ingresso. Ne consegue che non può ritenersi di uso pubblico, quell’area
privata, anche se in diretta comunicazione con aree pubbliche, cui possa
accedersi solo in funzione dell’attività o dei servizi che in essa vengono
svolti. Si deve quindi far riferimento alla limitazione soggettiva che esclude
la circolazione indiscriminata della generalità dei veicoli. In più di
un’occasione la Suprema Corte ha infatti richiamato il concetto di
"circolazione di un numero indeterminato ed indiscriminato di
persone", quale criterio atto a determinare l’uso pubblico di un’area. Si
ricorda, ad esempio, che anche nelle strade private aperte al pubblico le
autorizzazioni per il passo carrabile sono rilasciate dal comune (art. 120 del
regolamento).
Consulta la sentenza del Giudice di Pace di Prato n.
983/06 (formato pdf)
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