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da Cittadinolex - Il beneficio può essere concesso solo a chi dispone di mezzi di sostentamento leciti sufficienti. No al permesso di soggiorno per la prostituta

(Consiglio di Stato 4599/2006)

Chi si dedica alla prostituzione non può ottenere il permesso di soggiorno, in quanto questo può essere concesso soltanto a chi si mantiene con mezzi leciti. Il Consiglio di Stato ha così accolto il ricorso del Ministero dell’Interno contro una cittadina extracomunitaria che aveva ottenuto l’annullamento del provvedimento con il quale la questura di Milano aveva respinto la sua richiesta di permesso di soggiorno per essere stata sorpresa a svolgere l’attività di meretricio sulla pubblica via. Secondo i Supremi giudici amministrativi il ricorso è fondato in quanto il permesso di soggiorno può essere rilasciato ai cittadini extracomunitari che possiedono mezzi di sostentamento leciti e che per mantenersi svolgono l’attività lavorativa indicata nella richiesta di permesso di soggiorno. (29 agosto 2006)


Consiglio di Stato in sede giurisdizionale,Sezione Sesta, sentenza 4599/2006

 

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente

 

DECISIONE

sul ricorso in appello n. 9380/00, proposto da:

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del ministro in carica, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici domicilia per legge in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

contro

B., non costituita in giudizio;

per l’annullamento

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale della Lombardia, sede di Milano, sezione prima, 7 aprile 2000, n. 2782;

visto il ricorso in appello, con i relativi allegati;

vista l’ordinanza interlocutoria di questa Sezione 10 febbraio 2006, n. 534;

visti tutti gli atti della causa;

relatore all’udienza pubblica del 16 maggio 2006 il consigliere Carmine Volpe e udito l’avv. dello Stato P. Palmieri per l’appellante;

ritenuto e considerato quanto segue.

FATTO E DIRITTO

Il primo giudice, con la sentenza indicata in epigrafe, ha accolto il ricorso proposto dalla signora B., avente nazionalità albanese, avverso il provvedimento del questore della provincia di Milano 24 settembre 1999, n. 180, di rigetto dell’istanza di rilascio del permesso di soggiorno. La stessa, con altro provvedimento del prefetto di Milano n. 3910 in pari data, veniva espulsa dal territorio nazionale.

La signora B era stata sorpresa a svolgere attività di meretricio su pubblica via; e, quindi, attività diversa da quella per la quale aveva avanzato l’istanza. Di qui l’emanazione del provvedimento impugnato.

Il primo giudice ha affermato che l’attività di sarta, per la quale la suddetta aveva presentato l’istanza, si sarebbe potuta svolgere solo dopo la concessione del permesso di soggiorno (necessitando la relativa iscrizione all’albo). Così che l’attività diversa svolta dalla ricorrente non era rilevante penalmente e non era di per sé idonea a costituire oggetto della motivazione del diniego. La verifica di un’attività diversa da quella denunciata nell’istanza di regolarizzazione avrebbe avuto valore solo a seguito della concessione del permesso di soggiorno e ai fini di un’eventuale revoca.

La sentenza viene appellata dal Ministero dell’interno per i seguenti motivi:

1) l’esercizio dell’attività di meretricio, essendo contraria all’ordine pubblico e al buon costume, sarebbe illecita e non consentita anche se solo lo sfruttamento della prostituzione è sanzionato penalmente; oltre che incompatibile con una normale attività di lavoro dipendente;

2) il rilascio di permessi di soggiorno a persone introdotte clandestinamente sul territorio nazionale avviate alla prostituzione costituirebbe rilevante agevolazione a organizzazioni criminali internazionali che controllano lo sfruttamento della prostituzione;

3) legittimità dell’operato dell’amministrazione.

La Sezione, con ordinanza 10 febbraio 2006, n. 534, ha disposto incombenti istruttori, successivamente adempiuti dall’amministrazione.

Il ricorso in appello è fondato.

Il provvedimento impugnato, visti gli artt. 4, 5, 6 e 13 del d.lgs. 25luglio 1998, n. 286 e considerato che, ai sensi del comma 5 del citato art. 5, erano venuti a mancare i requisiti richiesti per la permanenza nel territorio dello Stato "essendo comprovata un’attività diversa dalla motivazione del titolo di soggiorno richiesto", riteneva l’impossibilità di autorizzare la suddetta a soggiornare nel territorio dello Stato.

Ai sensi dell’art. 4, comma 3, del d.lgs. n. 286/1998, "…l’Italia, in armonia con gli obblighi assunti con l’adesione a specifici accordi internazionali, consentirà l’ingresso nel proprio territorio allo straniero che dimostri di essere in possesso di idonea documentazione atta a confermare lo scopo e le condizioni del soggiorno, nonché la disponibilità di mezzi di sussistenza sufficienti per la durata del soggiorno".

Ai sensi dell’art. 5, comma 5, del d.lgs. n. 286/1998, "Il permesso di soggiorno o il suo rinnovo sono rifiutati e, se il permesso di soggiorno è stato rilasciato, esso è revocato, quando mancano o vengono a mancare i requisiti richiesti per l’ingresso e il soggiorno nel territorio dello Stato, fatto salvo quanto previsto dall’articolo 22, comma 9, e sempre che non siano sopraggiunti nuovi elementi che ne consentano il rilascio e che non si tratti di irregolarità amministrative sanabili".

Nella specie, l’indisponibilità, da parte dell’appellata, di mezzi leciti di sussistenza sufficienti per la durata del soggiorno comporta la mancanza di un requisito richiesto per il soggiorno nel territorio dello Stato e legittima di per sé l’emanazione del provvedimento impugnato in primo grado.

Il ricorso in appello, pertanto, deve essere accolto e, in riforma della sentenza impugnata, il ricorso di primo grado va respinto. Le spese del doppio grado di giudizio, sussistendo giusti motivi, possono essere compensate.

Per questi motivi

il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, sezione sesta, accoglie il ricorso in appello e, in riforma della sentenza impugnata, respinge il ricorso di primo grado.

Compensa tra le parti le spese del doppio grado di giudizio.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma il 16 maggio 2006 dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, sezione sesta, in camera di consiglio, con l’intervento dei signori:

Giorgio Giovannini presidente
Sabino Luce consigliere
Carmine Volpe consigliere, estensore
Luciano Barra Caracciolo consigliere
Rosanna De Nictolis consigliere

Presidente
f.to Giorgio Giovannini

Consigliere Segretario
f.to Carmine Volpe f.to Giovanni Ceci

Depositata in Segreteria il 20 luglio 2006

 


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Mercoledì, 30 Agosto 2006
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