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da Aziendalex - Porto d’armi revocabile per motivi di sicurezza

Licenza: deve essere concessa solo a persone affidabili
(Consiglio di Stato 4604/2006)


E’ legittimo revocare il porto d’armi se vengono meno le garanzie sul loro corretto uso. Il Consiglio di Stato ha così accolto il ricorso della Prefettura di Milano contro il titolare di un porto d’armi al quale era stata revocata la licenza per evitare che facesse un uso improprio delle armi in suo possesso. Secondo i Supremi giudici amministrativi il ricorso è fondato in quanto la prefettura può legittimamente revocare il porto d’armi, in funzione cautelare e preventiva, quando il titolare non è più affidabile e sussiste la probabilità che possa utilizzare le armi a danno della tranquillità e della sicurezza pubblica. (19 agosto 2006)

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente

DECISIONE

sul ricorso in appello n. 11931 del 2001 proposto dalla Prefettura di Milano, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato ed elettivamente domiciliato presso la stessa in Roma via dei Portoghesi n. 12;

contro
A, non costituito;
per l’annullamento

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale della Lombardia, Milano, Sezione I n.5641/2001 in data 29 agosto 2001, resa tra le parti;

visto il ricorso con i relativi allegati;

visti gli atti tutti della causa;

alla pubblica udienza del 16 maggio 2006, relatore il Consigliere Domenico Cafini, udito l’Avv. dello Stato Paola Palmieri;

ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:

FATTO E DIRITTO

1.Con il ricorso di primo grado il sig. A chiedeva l’annullamento, con tutti gli atti comunque connessi, del decreto del Prefetto di Milano in data 20.10.1998 - emesso sulla base di apposite informative della Stazione dei Carabinieri di Limbiate con cui si segnalava che il predetto era indagato per alcuni reati e che era persona capace di abusare delle armi in suo possesso - decreto con il quale gli veniva vietato di detenere armi, munizioni ed esplosivi.

A sostegno del gravame, l’interessato deduceva censure di eccesso di potere per travisamento dei fatti e falsità di presupposti, nonché per difetto di motivazione.

Nel giudizio si costituiva l’Amministrazione intimata che si opponeva all’accoglimento dell’impugnativa, concludendo per il suo rigetto.

1.1. Il TAR adito accoglieva il ricorso, avendo ritenuto fondata la censura con la quale era stata prospettata l’illegittimità dell’operato dell’autorità prefettizia, in quanto non avrebbe valutato autonomamente i fatti posti a base delle informative anzidette e si sarebbe basata su dati formali di per sè inidonei a far ritenere il ricorrente capace di abusare delle armi.

1.2. Avverso tale sentenza è proposto l’odierno appello, con il quale la Prefettura ricorrente critica l’impugnata pronuncia, deducendo, con ampio richiamo a precedenti giurisprudenziali in ordine alla questione in esame, l’erroneità della stessa per avere ritenuto inadeguata la motivazione posta alla base del provvedimento impugnato in prime cure, provvedimento che, al contrario, sarebbe sufficientemente motivato sulla base dei richiami e delle considerazioni svolte nelle sue premesse.

L’appellato non si è costituito.

1.3. Alla udienza pubblica udienza del 16 maggio 2006 la causa è stata assunta in decisione.

2. Il ricorso è fondato.

2.1. Al riguardo ritiene il Collegio di richiamare, in via preliminare, il prevalente, condivisibile orientamento giurisprudenziale (cfr., ex plurimis, Cons. St, Sez.IV, 8.5.2003, n.2424, 30.7.2002 , n.4073; 29.11.2000, n.6347), in base al quale, in materia di rilascio (o di revoca) del porto d’armi [1], l’Autorità di P.S, poiché deve perseguire la finalità di prevenire la commissione di reati e/o fatti lesivi dell’ordine pubblico, ha un’ampia discrezionalità nel valutare l’affidabilità del soggetto di fare buon uso delle armi (e quindi anche nel valutare le circostanze che consiglino l’adozione di provvedimenti di sospensione o di revoca di licenze di porto d’armi già rilasciate), per cui il provvedimento di rilascio del porto d’armi e l’autorizzazione a goderne in prosieguo richiedono che l’istante sia una persona "esente da mende e al disopra di ogni sospetto e/o indizio negativo e nei confronti della quale esista la completa sicurezza circa il corretto uso delle armi, in modo da scongiurare dubbi e perplessità sotto il profilo dell’ordine pubblico e della tranquilla convivenza della collettività".

E ciò anche perché il rapporto giuridico che scaturisce dal rilascio di detta autorizzazione di polizia resta pur sempre subordinato, in tutto il suo svolgimento, alla coincidenza con l’interesse pubblico, rimesso appunto alla valutazione discrezionale della P.A., il cui giudizio non può essere sindacato se non sotto il profilo del rispetto dei canoni di ragionevolezza e della coerenza.

Secondo la richiamata giurisprudenza, peraltro, la revoca dell’autorizzazione del porto d’armi può essere sufficientemente sorretta anche da valutazioni della capacità di abuso [2] fondate su considerazioni probabilistiche e su circostanze di fatto assistite da meri elementi di fumus, in quanto nella materia de qua l’espansione della sfera di libertà dell’individuo è, appunto, destinata a recedere di fronte al bene della sicurezza collettiva (in tal senso, cfr. dec. n.2424/2003 cit).

2.2. Premesso quanto sopra, la Sezione deve osservare che i fatti, ai quali la Prefettura si è richiamata nella specie per revocare la licenza di porto d’armi precedentemente rilasciata al titolare, sono certamente sufficienti a comprovare la scarsa affidabilità del medesimo nella custodia delle numerose armi da lui denunziate poi sequestrate (cinque fucili, due carabine e una pistola) e rende, pertanto, giustificato il provvedimento di revoca in questione per essere venute meno nella specie le condizioni obiettive di sicurezza, cui nell’interesse pubblico è subordinata la titolarità di ogni licenza di polizia in materia di armi.

Tale provvedimento, peraltro, risulta basato oltre che sulle apposite segnalazioni del Comando Stazione dei Carabinieri di Limbiate che proponevano l’adozione del divieto di detenere armi, in considerazione di un sussistente ed attuale pericolo di abuso delle armi da parte dell’interessato, sulla specifica considerazione dell’autorità prefettizia che il medesimo doveva " ritenersi capace di abusare delle armi, munizioni ed esplosivi detenuti", oltre che sulla "opportunità", ritenuta dalla stessa autorità in ragione della gravità dei fatti addebitati al A, di adottare le misure cautelari del caso al fine di sottrarre alla disponibilità del suddetto le armi, le munizioni ed esplosivi di cui era detentore.

Nessun vizio logico e nessun difetto di motivazione, dunque, possono essere ravvisati nell’operato della Autorità procedente, dal momento che il provvedimento di revoca, contrariamente a quanto ritenuto dai primi giudici, risulta adeguatamente giustificato con riguardo all’inaffidabilità manifestata dal ricorrente nella custodia delle armi, oltreché sufficientemente motivato, non soltanto in relazione alle menzionate segnalazioni dei Carabinieri, ma anche alla stregua delle specifiche, seppur sintetiche, autonome valutazioni della stessa autorità prefettizia avanti menzionate.

Del resto, in materia di autorizzazioni di polizia, l’ambito valutativo di cui dispone l’Amministrazione è particolarmente esteso e incontra il solo limite dell’arbitrio, sicchè la motivazione del provvedimento negativo non richiede una particolare estensione dell’apparato giustificativo ed il successivo vaglio giurisdizionale deve limitarsi ad un esame circa la sussistenza dei presupposti idonei a far ritenere che le valutazioni effettuate non siano irrazionali o manifestamente incoerenti (in tal senso cfr. Cons. St. Sez. IV n.2424/2003 cit.), ipotesi questa che, per quanto sopra rilevato, nella fattispecie appunto non sussiste.

Il ricorso in appello deve essere, pertanto, accolto e, per l’effetto, la sentenza in esame deve essere annullata, con conseguente rigetto del ricorso di primo grado.

Non vi è luogo a pronunciarsi sulle spese non essendosi costituita in giudizio l’appellato.

P. Q. M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, accoglie il ricorso in appello indicato in epigrafe e, per l’effetto, annulla la sentenza impugnata.

Nulla per le spese.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, il 16 maggio 2006 dal Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale - Sez.VI - nella Camera di Consiglio, con l’intervento dei Signori:

Giorgio GIOVANNINI Presidente
Sabino LUCE Consigliere
Carmine VOLPE Consigliere
Luciano BARRA CARACCIOLO Consigliere
Domenico CAFINI Consigliere Est.

Presidente
f.to Giorgio Giovannini

Consigliere Segretario
f.to Domenico Cafini f.to Giovanni Ceci

Depositata in Segreteria il 20 luglio 2006



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Venerdì, 01 Settembre 2006
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