Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha
pronunciato la seguente DECISIONE sul
ricorso in appello n. 11931 del 2001 proposto dalla Prefettura di Milano, in
persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso
dall’Avvocatura Generale dello Stato ed elettivamente domiciliato presso la
stessa in Roma via dei Portoghesi n. 12; contro della
sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale della Lombardia, Milano,
Sezione I n.5641/2001 in data 29 agosto 2001, resa tra le parti; visto
il ricorso con i relativi allegati; visti
gli atti tutti della causa; alla
pubblica udienza del 16 maggio 2006, relatore il Consigliere Domenico Cafini,
udito l’Avv. dello Stato Paola Palmieri; ritenuto
e considerato in fatto e in diritto quanto segue: FATTO
E DIRITTO 1.Con
il ricorso di primo grado il sig. A chiedeva l’annullamento, con tutti gli atti
comunque connessi, del decreto del Prefetto di Milano in data 20.10.1998 -
emesso sulla base di apposite informative della Stazione dei Carabinieri di
Limbiate con cui si segnalava che il predetto era indagato per alcuni reati e
che era persona capace di abusare delle armi in suo possesso - decreto con il
quale gli veniva vietato di detenere armi, munizioni ed esplosivi. A
sostegno del gravame, l’interessato deduceva censure di eccesso di potere per
travisamento dei fatti e falsità di presupposti, nonché per difetto di
motivazione. Nel
giudizio si costituiva l’Amministrazione intimata che si opponeva
all’accoglimento dell’impugnativa, concludendo per il suo rigetto. 1.1.
Il TAR adito accoglieva il ricorso, avendo ritenuto fondata la censura con la
quale era stata prospettata l’illegittimità dell’operato dell’autorità
prefettizia, in quanto non avrebbe valutato autonomamente i fatti posti a base
delle informative anzidette e si sarebbe basata su dati formali di per sè
inidonei a far ritenere il ricorrente capace di abusare delle armi. 1.2.
Avverso tale sentenza è proposto l’odierno appello, con il quale la Prefettura
ricorrente critica l’impugnata pronuncia, deducendo, con ampio richiamo a
precedenti giurisprudenziali in ordine alla questione in esame, l’erroneità
della stessa per avere ritenuto inadeguata la motivazione posta alla base del
provvedimento impugnato in prime cure, provvedimento che, al contrario, sarebbe
sufficientemente motivato sulla base dei richiami e delle considerazioni svolte
nelle sue premesse. L’appellato
non si è costituito. 1.3.
Alla udienza pubblica udienza del 16 maggio 2006 la causa è stata assunta in
decisione. 2.
Il ricorso è fondato. 2.1.
Al riguardo ritiene il Collegio di richiamare, in via preliminare, il
prevalente, condivisibile orientamento giurisprudenziale (cfr., ex plurimis,
Cons. St, Sez.IV, 8.5.2003, n.2424, 30.7.2002 , n.4073; 29.11.2000, n.6347), in
base al quale, in materia di rilascio (o di revoca) del porto d’armi [1],
l’Autorità di P.S, poiché deve perseguire la finalità di prevenire la
commissione di reati e/o fatti lesivi dell’ordine pubblico, ha un’ampia
discrezionalità nel valutare l’affidabilità del soggetto di fare buon uso delle
armi (e quindi anche nel valutare le circostanze che consiglino l’adozione di
provvedimenti di sospensione o di revoca di licenze di porto d’armi già
rilasciate), per cui il provvedimento di rilascio del porto d’armi e
l’autorizzazione a goderne in prosieguo richiedono che l’istante sia una
persona "esente da mende e al disopra di ogni sospetto e/o indizio
negativo e nei confronti della quale esista la completa sicurezza circa il
corretto uso delle armi, in modo da scongiurare dubbi e perplessità sotto il
profilo dell’ordine pubblico e della tranquilla convivenza della
collettività". E
ciò anche perché il rapporto giuridico che scaturisce dal rilascio di detta
autorizzazione di polizia resta pur sempre subordinato, in tutto il suo
svolgimento, alla coincidenza con l’interesse pubblico, rimesso appunto alla
valutazione discrezionale della P.A., il cui giudizio non può essere sindacato
se non sotto il profilo del rispetto dei canoni di ragionevolezza e della
coerenza. Secondo
la richiamata giurisprudenza, peraltro, la revoca dell’autorizzazione del porto
d’armi può essere sufficientemente sorretta anche da valutazioni della capacità
di abuso [2] fondate su considerazioni probabilistiche e su circostanze di
fatto assistite da meri elementi di fumus, in quanto nella materia de qua
l’espansione della sfera di libertà dell’individuo è, appunto, destinata a
recedere di fronte al bene della sicurezza collettiva (in tal senso, cfr. dec.
n.2424/2003 cit). 2.2.
Premesso quanto sopra, la Sezione deve osservare che i fatti, ai quali la
Prefettura si è richiamata nella specie per revocare la licenza di porto d’armi
precedentemente rilasciata al titolare, sono certamente sufficienti a
comprovare la scarsa affidabilità del medesimo nella custodia delle numerose
armi da lui denunziate poi sequestrate (cinque fucili, due carabine e una
pistola) e rende, pertanto, giustificato il provvedimento di revoca in
questione per essere venute meno nella specie le condizioni obiettive di
sicurezza, cui nell’interesse pubblico è subordinata la titolarità di ogni
licenza di polizia in materia di armi. Tale
provvedimento, peraltro, risulta basato oltre che sulle apposite segnalazioni
del Comando Stazione dei Carabinieri di Limbiate che proponevano l’adozione del
divieto di detenere armi, in considerazione di un sussistente ed attuale
pericolo di abuso delle armi da parte dell’interessato, sulla specifica
considerazione dell’autorità prefettizia che il medesimo doveva "
ritenersi capace di abusare delle armi, munizioni ed esplosivi detenuti",
oltre che sulla "opportunità", ritenuta dalla stessa autorità in
ragione della gravità dei fatti addebitati al A, di adottare le misure
cautelari del caso al fine di sottrarre alla disponibilità del suddetto le
armi, le munizioni ed esplosivi di cui era detentore. Nessun
vizio logico e nessun difetto di motivazione, dunque, possono essere ravvisati nell’operato
della Autorità procedente, dal momento che il provvedimento di revoca,
contrariamente a quanto ritenuto dai primi giudici, risulta adeguatamente
giustificato con riguardo all’inaffidabilità manifestata dal ricorrente nella
custodia delle armi, oltreché sufficientemente motivato, non soltanto in
relazione alle menzionate segnalazioni dei Carabinieri, ma anche alla stregua
delle specifiche, seppur sintetiche, autonome valutazioni della stessa autorità
prefettizia avanti menzionate. Del
resto, in materia di autorizzazioni di polizia, l’ambito valutativo di cui
dispone l’Amministrazione è particolarmente esteso e incontra il solo limite
dell’arbitrio, sicchè la motivazione del provvedimento negativo non richiede
una particolare estensione dell’apparato giustificativo ed il successivo vaglio
giurisdizionale deve limitarsi ad un esame circa la sussistenza dei presupposti
idonei a far ritenere che le valutazioni effettuate non siano irrazionali o
manifestamente incoerenti (in tal senso cfr. Cons. St. Sez. IV n.2424/2003
cit.), ipotesi questa che, per quanto sopra rilevato, nella fattispecie appunto
non sussiste. Il
ricorso in appello deve essere, pertanto, accolto e, per l’effetto, la sentenza
in esame deve essere annullata, con conseguente rigetto del ricorso di primo
grado. Non
vi è luogo a pronunciarsi sulle spese non essendosi costituita in giudizio
l’appellato. P.
Q. M. Il
Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, accoglie il ricorso
in appello indicato in epigrafe e, per l’effetto, annulla la sentenza
impugnata. Nulla
per le spese. Ordina
che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa. Così
deciso in Roma, il 16 maggio 2006 dal Consiglio di Stato, in sede
giurisdizionale - Sez.VI - nella Camera di Consiglio, con l’intervento dei
Signori: Giorgio
GIOVANNINI Presidente Presidente Consigliere
Segretario Depositata
in Segreteria il 20 luglio 2006 |
|
|
© asaps.it |