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Corte di Cassazione 06/09/2006

da Altalex - Notifica per posta: consegna a persona che si dichiara addetta ed accertamento

Cassazione , sez. V civile, sentenza 01.06.2006 n° 13063

In ipotesi di notificazione a mezzo del servizio postale, qualora, per l’impossibilità di effettuare la consegna del piego personalmente al destinatario, lo stesso, ex art. 7 comma 2, della legge n. 890 del 1982, sia stato consegnato, nel luogo indicato sulla busta che contiene l’atto e nel rispetto dell’ordine stabilito da detta nonna, a persona dichiaratasi addetta “al servizio dei destinatario”, l’agente postale non è tenuto ad accertare la corrispondenza al vero della dichiarazione, essendo sufficiente che essa concordi con la situazione apparente, consistente nella presenza del consegnatario nei luoghi indicati dalla norma, gravando sul destinatario l’onere di provare l’inesistenza della qualità dichiarata dal consegnatario.

Lo ha ribadito la Corte di Cassazione, con la sentenza 1° giugno 2006 n. 13063, respingendo il ricorso con cui si chiedeva l’annullamento dell’avviso di liquidazione dell’imposta sul presupposto che colui che ricevette la notifica dell’avviso non era effettivamente il custode o il portiere come invece si qualificava.

(Altalex, 4 settembre 2006)


 

Corte di cassazione
Sezione V
Sentenza 1° giugno 2006 n. 13063
 
 
 

(Presidente Favara; Relatore D’Alonzo)

Svolgimento del processo

Con ricorso notificato al Ministero delle Finanze il 22 giugno 2001 (depositato il 5 luglio 2001), XYXYXYX e (nella qualità di «uniche eredi della XXXXX »

- premesso che: il 20 maggio 1986 l’Ufficio del Registro di Salerno aveva notificato avviso di liquidazione dell’imposta e di irrogazione delle affereni sanzioni concernenti l’atto registrato il 7 dicembre 1982 con il quale la madre (deceduta il 20 marzo 1985) aveva acquistato «un appezzamento di terreno compreso di fabbricato sito in Napoli alla contrada Palmentiello»; avverso detto atto esse avevano proposto ticorso alla Commissione Tributaria di Primo Grado eccependo «l’illegittimità dell’avviso di liquidazione per la mancata conoscenza del prodromico avviso di accertamento, mai notificato o notificato a persona non abilitata alla ricezione, che nulla aveva riferito circa la sua consegna»; a seguito dell’esibizione «nel corso del giudizio», da parte dell’Ufficio, della «ricevuta di ritorno della notifica dell’accertamento» («da cui risultava che l’atto era stato ricevuto da un certo “XXXX ” o “YYY”, qualificatosi “portiere”») esse avevano «fornito la prova dell’inesistenza del portiere nel fabbricato condominiale esibendo l’originale della dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà del XXX amministratore del fabbricato e la copia autentica del libro paga e matricola per portieri, relativo al fabbricato di Via Cimarosa n. 180», dalla quale «documentazione» risultava che «il fabbricato era sprovvisto di portiere dal 14 marzo 1981» -, «con vittoria si spese, competenze ed onorari del presente giudizio e di quelli precedenti», in forza di un unico motivo chiedevano di cassare «con o senza rinvio» la sentenza n. 116/29/00 depositata il 17 maggio 2000 dalla Commissione Tributaria Regionale della Campania la quale aveva respinto il gravame da esse proposto contro la decisione (345/05/94) della Commissione Tributaria di Primo Grado di Salerno che aveva disatteso il ricorso da loro avanzato contro il predetto avviso in quanto «il soggetto che ebbe a ricevere a suo tempo l’avviso di accertamento sarebbe lo stesso che fino al febbraio 94 avrebbe ricevuto “... quasi tutti gli avvisi notificati dall’Ufficio del Registro”» ad esse contribuenti.

Nel cortroricorso notificato il 13 settembre 2001 (depositato il 27 settembre 2001), il Ministero intimato instava per il rigetto dell’avversa impugnazione.

Motivi della decisione

1. Con la sentenza gravata la Commissione Tributaria Regionale ha respinto l’appello delle contribuenti testualmente osservando:

«Le appellanti chiedono l’annullamento dell’avviso di liquidazione dell’imposta emesso nei confronti della loro dante causa sig. XXXXX sul presupposto che colui che ricevette la notifica dell’avviso non era effettivamente il custode o il portiere come invece si qualificava.

Dall’esame degli atti risulta che sia le notifiche degli avvisi inviati sia dall’Ufficio che dalla Commissione Tributaria furono ricevuti dallo stesso soggetto sia quando erano dirette alla sig. XXXXX sia agli attuali appellanti.

Dette comunicazioni ed avvisi hanno raggiunto i destinatari tanto è vero che vi è stata la costituzione degli appellanti in primo grado e successivamente.

Quindi come afferma la Commissione Tributaria di Primo Grado anche se non di diritto, ma di fatto il soggetto che ha ricevuto gli atti svolgeva mansioni di custode o portiere ed era stato di fatto autorizzato a ricevere gli atti che consegnava ai destinatari e ciò si è svolto nell’arco di tempo di un decennio».

2. Con l’unico motivo di ricorso le sorelle

– lamentano «violazione e falsa applicazione degli artt. 139 c.p.c. e 7 legge 20 novembre 1982 n. 890» nonché «omessa-insufficiente motivazione» adducendo che

– il giudice a quo ha desunto la «pretestuosità» della loro tesi e la «esistenza» di un «incarico specifico al XXXXX sulla base di un rapporto di fiducia» nella considerazione che «anche i successivi avvisi di convocazione alle udienze di discussione del 13 novembre 1993 e del 16 aprile 1994 erano state ricevute dalla stessa persona che si sottoscriveva “YYYYY custode”» e che all’udienza del 13 novembre 1993 era comparso il loro difensore ma non ha «argomentato al contrario la mancata presenza (di esse) ricorrenti o di un loro delegato all’udienza del 16 aprile 1994»;

– «è evidente il contrasto tra la prova fornita dall’Ufficio... e quanto risulta dalla motivazione della sentenza di I grado, cioè la diversa qualifica del (...) una volta considerato “portiere” e una volta “custode”», considerato che «il custode non è una delle persone che il codice prevede quale destinatario per la notifica degli atti»;

– non «si può condividere la tesi... secondo la quale il “XXXXX -custode” può essere definito un “portiere di fatto”» trattandosi di «circostanza non rilevante nel... codice»;

– «nella realtà... il XXXXX non ha mai abitato nel condominio ...né vi ha svolto mai la funzione di portiere o custode, neanche di fatto, né è legato ad alcun rapporto di lavoro continuativo o quantomeno incaricato di ricevere la posta» per cui «non può intendersi persona idonea a ricevere gli atti per il combinato disposto dell’art. 139 c.p.c. e dell’art. 7 della legge 890/82».

Secondo le ricorrenti, quindi, «l’occasionale ricezione degli atti da parte del XXXX non può ingenerare la certezza che l’avviso di accertamento sia stato portato a conoscenza della YYYYY, non valendo argomentazione di presunzione contraria».

3. il ricorso deve essere respinto perché, come evidenziato dal P.M. nelle proprie requisitorie scritte - debitamente notificate il 5 gennaio 2006 alle ricorrenti le quali nulla hanno replicato in dissenso -, manifestamente infondato.

A. Prima di procedere all’esame del gravane è opportuno ricordare che

– il vizio di «violazione e falsa applicazione di norme di diritto» (art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c.) consiste (Cass., I, 11 agosto 2004 n. 15499) nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa (di qui la funzione di assicurare l’uniforme interpretazione della legge assegnata a questa Corte dall’art. 65 R.D. 30 gennaio 1941 n. 12) mentre l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione: il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi (violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta) è segnato, in modo evidente, dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa;

– detto vizio, giusta il disposto di cui all’art. 366, primo comma, n. 4, c.p.c. deve essere, a pena d’inammissibilità (Cass., II, 12 febbraio 2004 n. 2707; id., II, 26 gennaio 2004 n. 1317), dedotto mediante la specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, non risultando altrimenti consentito a questa Corte di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione;

– il vizio di omessa od insufficiente motivazione, denunciabile con il ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c., invece, sussiste soltanto quando nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza sia riscontrabile una obiettiva deficienza del criterio logico che lo ha condotto alla formazione del proprio convincimento, mentre il vizio di contraddittoria motivazione presuppone che le ragioni poste a fondamento della decisione risultino sostanzialmente contrastanti in guisa da elidersi a vicenda e da non consentire l’individuazione della ratio decidendi, e cioè l’identificazione del procedimento logico giuridico posto a base della decisione adottata (Cass., lav., 12 agosto 2004 n. 15693; id., lav., 9 agosto 2004 n. 15355) questi vizi motivazionali, però, non possono consistere nella difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal giudice del merito rispetto a quello preteso dalla parte perché spetta solo a detto giudice individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova, salvo i casi (non ricorrenti nella specie) tassativamente previsti dalla legge in cui è assegnato alla prova un valore legale.

B. La mera lettura del ricorso per cassazione evidenzia che le sorelle YYYYY non indicano quali siano le affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata da esse motivatamente ritenute in contrasto con gli «artt. 139 c.p.c. e 7 legge 20 novembre 1982 n. 890» che assumono violati e/o falsamente applicati: il vizio denunziato di «violazione e falsa applicazione» di dette norme, pertanto, deve ritenersi insussistente.

C. La complessiva censura oggetto del ricorso per cassazione, invece, si sostanzia, propriamente, nell’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta, che, come detto, è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in questa sede, solo sotto l’aspetto del vizio di motivazione, parimenti dedotto, qui in appresso esaminato.

C.1. La considerazione, da parte del giudice tributario di appello, della «mancata presenza (di esse) ricorrenti o di un loro delegato all’udienza del 16 aprile 1994» - sulla quale, a giudizio delle contribuenti, quel giudice non avrebbe «argomentato al contrario» -, invero, deve ritenersi inequivocamente contenuta per implicito nella complessiva valutazione compiuta dallo stesso giudice allorché questi - dopo avere evidenziato emergere «dall’esame degli atti... che sia le modifiche degli avvisi inviati sia dall’ufficio che dalla Commissione Tributaria furono ricevuti dallo stesso soggetto sia quando erano dirette alla sig. XXXXX sia agli attuali appellati» - ha esposto che «dette comunicazioni ed avvisi hanno raggiunto i destinatari tanto è vero che vi è stata la costituzione degli appellanti in primo grado e successivamente».

La «mancata presenza» in questione (concernente un’unica udienza), peraltro, costituisce, nel complesso delle circostanze valutate all’uopo dal giudice del merito, un fatto del tutto equivoco e, quindi, non significativo nel senso desiderato dalle riorrenti, potendo essere stata determinata da una qualsiasi causa (anche per impedimento e/o per volontaria scelta del “delegato”) diversa dalla mancata consegna del relativo avviso di trattazione: il profilo di censura, pertanto, si palesa del tutto irrilevante non apparendo idoneo a determinare una decisione diversa da quella impugnata.

C.2. Il preteso «contrasto tra la prova fornita dall’Ufficio... e quanto risulta dalla motivazione della sentenza di I grado, cioè la diversa qualifica del XXXXX una volta considerato “portiere” e una volta “custode”» non si rinviene nella sentenza impugnata la quale, esponendo che «il soggetto che ha ricevuto gli atti svolgeva mansioni di custode o portiere ed era stato di fatto autorizzato a ricevere gli atti che consegnava ai destinatari e ciò si è svolto nell’arco di tempo di un decennio», si fonda non sulle “mansioni” (“custode o portiere”) del soggette ricevente ma sul convincimento che lo stesso (a prescindere dalle mansioni svolte) «era stato difatto autorizzato a ricevere gli atti che consegnava ai destinatari»: nell’ambito complessivo del giudizio della Commissione Tributaria Regionale, quindi, le mansioni effettive non assumono nessun rilievo avendo quel giudice fondato la sua decisione sulla autorizzazione di fatto, di ricevere e di consegnare gli atti ai destinatari, data da costoro allo stesso, desunta dal ritenuto provato svolgimento di siffatti compiti «nell’arco di tempo di un decennio».

C.3. l’accertamento dell’esistenza di una autorizzazione di fatto a ricevere ed a consegnare qli atti ai destinatari, intuitivamente, toglie rilevanza all’osservazione delle ricorrenti secondo cui «il custode non è una delle persone che il codice prevede quale destinatario per la notifica degli atti».

In ordine a tal punto, va solo ricordato che le sezioni unite di questa Corte (sentenze n. 20473 del 24 ottobre 2005 e n. 22044 del 23 novembre 2004) hanno affermato il principio per il quale, in ipotesi di notificazione a mezzo del servizio postale, qualora, per l’impossibilità di effettuare la consegna del piego personalmente al destinatario, lo stesso, ex art. 7 comma 2, della legge n. 890 del 1982, sia stato consegnato, nel luogo indicato sulla busta che contiene l’atto e nel rispetto dell’ordine stabilito da detta nonna, a persona dichiaratasi addetta “al servizio dei destinatario”, l’agente postale non è tenuto ad accertare la corrispondenza al vero della dichiarazione, essendo sufficiente che essa concordi con la situazione apparente, consistente nella presenza del consegnatario nei luoghi indicati dalla norma, gravando sul destinatario l’onere di provare l’inesistenza della qualità dichiarata dal consegnatario: mutatis mutandis, va confermata la ritualità della notifica effettuata mediante consegna dell’atto a persona “autorizzata” dal destinatario dell’atto e affermato l’onere del destinatario stesso di provare l’inesistenza dell’autorizzazione dichiarata dal ricevente.

C.4. L’asserzione delle ricorrenti per la quale «il S. non ha mai abitato nel condominio... né vi ha svolto mai la funzione di portiere o custode, neanche di fatto, né è legato ad alcun rapporto di lavoro continuativo o quantomeno incaricato di ricevere la posta», infine, costituisce mera negazione del contrario accertamento fattuale compiuto dal giudice del merito, ed è priva di qualsiasi rilevanza perché si riduce all’opinione personale, peraltro interessata, della parte, e non evidenzia nessuno degli illustrati Vizi nello specifico accertamento, nel caso, del positivo conferimento al “S.” dell’incarico di ricevere la posta.

4. Le spese di questo giudizio di legittimità vanno integralmente compensate tra le parti ai sensi dell’art. 92, secondo comma, c.p.c.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma il 7 febbraio 2006.

DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 1° giugno 2006.

 


© asaps.it
Mercoledì, 06 Settembre 2006
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