In ipotesi di notificazione a mezzo del servizio
postale, qualora, per l’impossibilità di effettuare la consegna del piego
personalmente al destinatario, lo stesso, ex art. 7 comma 2, della legge n. 890
del 1982, sia stato consegnato, nel luogo indicato sulla busta che contiene
l’atto e nel rispetto dell’ordine stabilito da detta nonna, a persona dichiaratasi
addetta “al servizio dei destinatario”, l’agente postale non è tenuto ad
accertare la corrispondenza al vero della dichiarazione, essendo sufficiente
che essa concordi con la situazione apparente, consistente nella presenza del
consegnatario nei luoghi indicati dalla norma, gravando sul destinatario
l’onere di provare l’inesistenza della qualità dichiarata dal consegnatario.
Lo ha ribadito la Corte di Cassazione, con la
sentenza 1° giugno 2006 n. 13063, respingendo il ricorso con cui si chiedeva
l’annullamento dell’avviso di liquidazione dell’imposta sul presupposto che
colui che ricevette la notifica dell’avviso non era effettivamente il custode o
il portiere come invece si qualificava.
(Altalex, 4 settembre 2006)
Corte di
cassazione Sezione V Sentenza 1°
giugno 2006 n. 13063 (Presidente Favara; Relatore D’Alonzo)
Svolgimento
del processo
Con ricorso notificato al Ministero delle Finanze
il 22 giugno 2001 (depositato il 5 luglio 2001), XYXYXYX e (nella qualità di
«uniche eredi della XXXXX »
- premesso che: il 20 maggio 1986 l’Ufficio del
Registro di Salerno aveva notificato avviso di liquidazione dell’imposta e di
irrogazione delle affereni sanzioni concernenti l’atto registrato il 7 dicembre
1982 con il quale la madre (deceduta il 20 marzo 1985) aveva acquistato «un
appezzamento di terreno compreso di fabbricato sito in Napoli alla contrada
Palmentiello»; avverso detto atto esse avevano proposto ticorso alla
Commissione Tributaria di Primo Grado eccependo «l’illegittimità dell’avviso di
liquidazione per la mancata conoscenza del prodromico avviso di accertamento,
mai notificato o notificato a persona non abilitata alla ricezione, che nulla
aveva riferito circa la sua consegna»; a seguito dell’esibizione «nel corso del
giudizio», da parte dell’Ufficio, della «ricevuta di ritorno della notifica
dell’accertamento» («da cui risultava che l’atto era stato ricevuto da un certo
“XXXX ” o “YYY”, qualificatosi “portiere”») esse avevano «fornito la prova
dell’inesistenza del portiere nel fabbricato condominiale esibendo l’originale
della dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà del XXX amministratore
del fabbricato e la copia autentica del libro paga e matricola per portieri,
relativo al fabbricato di Via Cimarosa n. 180», dalla quale «documentazione»
risultava che «il fabbricato era sprovvisto di portiere dal 14 marzo 1981» -,
«con vittoria si spese, competenze ed onorari del presente giudizio e di quelli
precedenti», in forza di un unico motivo chiedevano di cassare «con o senza
rinvio» la sentenza n. 116/29/00 depositata il 17 maggio 2000 dalla Commissione
Tributaria Regionale della Campania la quale aveva respinto il gravame da esse
proposto contro la decisione (345/05/94) della Commissione Tributaria di Primo
Grado di Salerno che aveva disatteso il ricorso da loro avanzato contro il
predetto avviso in quanto «il soggetto che ebbe a ricevere a suo tempo l’avviso
di accertamento sarebbe lo stesso che fino al febbraio 94 avrebbe ricevuto “...
quasi tutti gli avvisi notificati dall’Ufficio del Registro”» ad esse
contribuenti.
Nel cortroricorso notificato il 13 settembre 2001 (depositato il 27 settembre
2001), il Ministero intimato instava per il rigetto dell’avversa impugnazione.
Motivi
della decisione
1. Con la
sentenza gravata la Commissione Tributaria Regionale ha respinto l’appello
delle contribuenti testualmente osservando:
«Le appellanti chiedono l’annullamento dell’avviso di liquidazione dell’imposta
emesso nei confronti della loro dante causa sig. XXXXX sul presupposto che
colui che ricevette la notifica dell’avviso non era effettivamente il custode o
il portiere come invece si qualificava.
Dall’esame degli atti risulta che sia le notifiche degli avvisi inviati sia
dall’Ufficio che dalla Commissione Tributaria furono ricevuti dallo stesso
soggetto sia quando erano dirette alla sig. XXXXX sia agli attuali appellanti.
Dette comunicazioni ed avvisi hanno raggiunto i destinatari tanto è vero che vi
è stata la costituzione degli appellanti in primo grado e successivamente.
Quindi come afferma la Commissione Tributaria di Primo Grado anche se non di
diritto, ma di fatto il soggetto che ha ricevuto gli atti svolgeva mansioni di
custode o portiere ed era stato di fatto autorizzato a ricevere gli atti che
consegnava ai destinatari e ciò si è svolto nell’arco di tempo di un decennio».
2.
Con l’unico motivo di ricorso le sorelle
– lamentano «violazione e falsa applicazione degli artt. 139 c.p.c. e 7 legge
20 novembre 1982 n. 890» nonché «omessa-insufficiente motivazione» adducendo
che
– il giudice a quo ha desunto la «pretestuosità» della loro tesi e la
«esistenza» di un «incarico specifico al XXXXX sulla base di un rapporto di
fiducia» nella considerazione che «anche i successivi avvisi di convocazione
alle udienze di discussione del 13 novembre 1993 e del 16 aprile 1994 erano
state ricevute dalla stessa persona che si sottoscriveva “YYYYY custode”» e che
all’udienza del 13 novembre 1993 era comparso il loro difensore ma non ha
«argomentato al contrario la mancata presenza (di esse) ricorrenti o di un loro
delegato all’udienza del 16 aprile 1994»;
– «è evidente il contrasto tra la prova fornita dall’Ufficio... e quanto
risulta dalla motivazione della sentenza di I grado, cioè la diversa qualifica
del (...) una volta considerato “portiere” e una volta “custode”», considerato
che «il custode non è una delle persone che il codice prevede quale
destinatario per la notifica degli atti»;
– non «si può condividere la tesi... secondo la quale il “XXXXX -custode” può
essere definito un “portiere di fatto”» trattandosi di «circostanza non
rilevante nel... codice»;
– «nella realtà... il XXXXX non ha mai abitato nel condominio ...né vi ha
svolto mai la funzione di portiere o custode, neanche di fatto, né è legato ad
alcun rapporto di lavoro continuativo o quantomeno incaricato di ricevere la
posta» per cui «non può intendersi persona idonea a ricevere gli atti per il
combinato disposto dell’art. 139 c.p.c. e dell’art. 7 della legge 890/82».
Secondo le ricorrenti, quindi, «l’occasionale ricezione degli atti da parte del
XXXX non può ingenerare la certezza che l’avviso di accertamento sia stato
portato a conoscenza della YYYYY, non valendo argomentazione di presunzione
contraria».
3.
il ricorso deve essere respinto perché, come evidenziato dal P.M. nelle proprie
requisitorie scritte - debitamente notificate il 5 gennaio 2006 alle ricorrenti
le quali nulla hanno replicato in dissenso -, manifestamente infondato.
A.
Prima di procedere all’esame del gravane è opportuno ricordare che
– il vizio di «violazione e falsa applicazione di norme di diritto» (art. 360,
primo comma, n. 3 c.p.c.) consiste (Cass., I, 11 agosto 2004 n. 15499) nella
deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato,
della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica
necessariamente un problema interpretativo della stessa (di qui la funzione di
assicurare l’uniforme interpretazione della legge assegnata a questa Corte
dall’art. 65 R.D. 30 gennaio 1941 n. 12) mentre l’allegazione di un’erronea
ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è
esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica
valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di
legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione: il discrimine tra l’una
e l’altra ipotesi (violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea
ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione
della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della
fattispecie concreta) è segnato, in modo evidente, dal fatto che solo
quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata
valutazione delle risultanze di causa;
– detto vizio, giusta il disposto di cui all’art. 366, primo comma, n. 4,
c.p.c. deve essere, a pena d’inammissibilità (Cass., II, 12 febbraio 2004 n.
2707; id., II, 26 gennaio 2004 n. 1317), dedotto mediante la specifica
indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che
motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della
fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza
di legittimità o dalla prevalente dottrina, non risultando altrimenti
consentito a questa Corte di adempiere al proprio compito istituzionale di
verificare il fondamento della denunziata violazione;
– il vizio di omessa od insufficiente motivazione, denunciabile con il ricorso
per cassazione ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c., invece, sussiste soltanto
quando nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza sia
riscontrabile una obiettiva deficienza del criterio logico che lo ha condotto
alla formazione del proprio convincimento, mentre il vizio di contraddittoria
motivazione presuppone che le ragioni poste a fondamento della decisione
risultino sostanzialmente contrastanti in guisa da elidersi a vicenda e da non
consentire l’individuazione della ratio decidendi, e cioè l’identificazione del
procedimento logico giuridico posto a base della decisione adottata (Cass., lav.,
12 agosto 2004 n. 15693; id., lav., 9 agosto 2004 n. 15355) questi vizi
motivazionali, però, non possono consistere nella difformità dell’apprezzamento
dei fatti e delle prove dato dal giudice del merito rispetto a quello preteso
dalla parte perché spetta solo a detto giudice individuare le fonti del proprio
convincimento, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la
concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a
dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di
prova, salvo i casi (non ricorrenti nella specie) tassativamente previsti dalla
legge in cui è assegnato alla prova un valore legale.
B.
La mera lettura del ricorso per cassazione evidenzia che le sorelle YYYYY non
indicano quali siano le affermazioni in diritto contenute nella sentenza
gravata da esse motivatamente ritenute in contrasto con gli «artt. 139 c.p.c. e
7 legge 20 novembre 1982 n. 890» che assumono violati e/o falsamente applicati:
il vizio denunziato di «violazione e falsa applicazione» di dette norme,
pertanto, deve ritenersi insussistente.
C.
La complessiva censura oggetto del ricorso per cassazione, invece, si
sostanzia, propriamente, nell’allegazione di un’erronea ricognizione della
fattispecie concreta, che, come detto, è esterna all’esatta interpretazione
della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito,
la cui censura è possibile, in questa sede, solo sotto l’aspetto del vizio di
motivazione, parimenti dedotto, qui in appresso esaminato.
C.1.
La considerazione, da parte del giudice tributario di appello, della «mancata
presenza (di esse) ricorrenti o di un loro delegato all’udienza del 16 aprile
1994» - sulla quale, a giudizio delle contribuenti, quel giudice non avrebbe
«argomentato al contrario» -, invero, deve ritenersi inequivocamente contenuta
per implicito nella complessiva valutazione compiuta dallo stesso giudice
allorché questi - dopo avere evidenziato emergere «dall’esame degli atti... che
sia le modifiche degli avvisi inviati sia dall’ufficio che dalla Commissione
Tributaria furono ricevuti dallo stesso soggetto sia quando erano dirette alla
sig. XXXXX sia agli attuali appellati» - ha esposto che «dette comunicazioni ed
avvisi hanno raggiunto i destinatari tanto è vero che vi è stata la
costituzione degli appellanti in primo grado e successivamente».
La «mancata presenza» in questione (concernente un’unica udienza), peraltro,
costituisce, nel complesso delle circostanze valutate all’uopo dal giudice del
merito, un fatto del tutto equivoco e, quindi, non significativo nel senso
desiderato dalle riorrenti, potendo essere stata determinata da una qualsiasi
causa (anche per impedimento e/o per volontaria scelta del “delegato”) diversa
dalla mancata consegna del relativo avviso di trattazione: il profilo di
censura, pertanto, si palesa del tutto irrilevante non apparendo idoneo a
determinare una decisione diversa da quella impugnata.
C.2.
Il preteso «contrasto tra la prova fornita dall’Ufficio... e quanto risulta
dalla motivazione della sentenza di I grado, cioè la diversa qualifica del
XXXXX una volta considerato “portiere” e una volta “custode”» non si rinviene
nella sentenza impugnata la quale, esponendo che «il soggetto che ha ricevuto
gli atti svolgeva mansioni di custode o portiere ed era stato di fatto
autorizzato a ricevere gli atti che consegnava ai destinatari e ciò si è svolto
nell’arco di tempo di un decennio», si fonda non sulle “mansioni” (“custode o
portiere”) del soggette ricevente ma sul convincimento che lo stesso (a
prescindere dalle mansioni svolte) «era stato difatto autorizzato a ricevere
gli atti che consegnava ai destinatari»: nell’ambito complessivo del giudizio
della Commissione Tributaria Regionale, quindi, le mansioni effettive non
assumono nessun rilievo avendo quel giudice fondato la sua decisione sulla
autorizzazione di fatto, di ricevere e di consegnare gli atti ai destinatari,
data da costoro allo stesso, desunta dal ritenuto provato svolgimento di
siffatti compiti «nell’arco di tempo di un decennio».
C.3.
l’accertamento dell’esistenza di una autorizzazione di fatto a ricevere ed a
consegnare qli atti ai destinatari, intuitivamente, toglie rilevanza
all’osservazione delle ricorrenti secondo cui «il custode non è una delle
persone che il codice prevede quale destinatario per la notifica degli atti».
In ordine a tal punto, va solo ricordato che le sezioni unite di questa Corte
(sentenze n. 20473 del 24 ottobre 2005 e n. 22044 del 23 novembre 2004) hanno
affermato il principio per il quale, in ipotesi di notificazione a mezzo del
servizio postale, qualora, per l’impossibilità di effettuare la consegna del
piego personalmente al destinatario, lo stesso, ex art. 7 comma 2, della legge
n. 890 del 1982, sia stato consegnato, nel luogo indicato sulla busta che
contiene l’atto e nel rispetto dell’ordine stabilito da detta nonna, a persona
dichiaratasi addetta “al servizio dei destinatario”, l’agente postale non è
tenuto ad accertare la corrispondenza al vero della dichiarazione, essendo
sufficiente che essa concordi con la situazione apparente, consistente nella
presenza del consegnatario nei luoghi indicati dalla norma, gravando sul
destinatario l’onere di provare l’inesistenza della qualità dichiarata dal
consegnatario: mutatis mutandis, va confermata la ritualità della notifica
effettuata mediante consegna dell’atto a persona “autorizzata” dal destinatario
dell’atto e affermato l’onere del destinatario stesso di provare l’inesistenza
dell’autorizzazione dichiarata dal ricevente.
C.4.
L’asserzione delle ricorrenti per la quale «il S. non ha mai abitato nel
condominio... né vi ha svolto mai la funzione di portiere o custode, neanche di
fatto, né è legato ad alcun rapporto di lavoro continuativo o quantomeno
incaricato di ricevere la posta», infine, costituisce mera negazione del
contrario accertamento fattuale compiuto dal giudice del merito, ed è priva di
qualsiasi rilevanza perché si riduce all’opinione personale, peraltro
interessata, della parte, e non evidenzia nessuno degli illustrati Vizi nello
specifico accertamento, nel caso, del positivo conferimento al “S.”
dell’incarico di ricevere la posta.
4.
Le spese di questo giudizio di legittimità vanno integralmente compensate tra
le parti ai sensi dell’art. 92, secondo comma, c.p.c.
P.Q.M.
La Corte
rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma il 7 febbraio 2006.
DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 1° giugno 2006.
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