L’art. 47 del
regolamento di esecuzione del nuovo codice della strada, definisce e identifica
i vari mezzi pubblicitari, demandando alle altre disposizioni di dettaglio le
regole tecniche inerenti le dimensioni, le caratteristiche, l’ubicazione;
nonché il regime autorizzatorio e gli obblighi dei titolari dell’autorizzazione
amministrativa prevista per l’esposizione degli stessi. Infatti, per quanto la
pubblicità stradale intesa questa come la diffusione di messaggi nell’esercizio
di un’attività economica o sociale, allo scopo di promuovere la domanda di beni
o servizi ovvero finalizzati a migliorare l’immagine del soggetto pubblicizzato
sia di per sé libera (in quanto modello di estrinsecazione del diritto sancito
dagli artt. 21 e 41 della Costituzione), la stessa può subire le limitazioni od
i divieti previsti dalla legge, quando dal suo esercizio possa derivare
turbativa e pericolo per la sicurezza della circolazione stradale. Non a caso,
il comma 1 dell’art. 23 del nuovo codice della strada vieta l’esercizio di
qualsivoglia forma pubblicitaria che possa ingenerare confusione con la
segnaletica stradale, ovvero possa renderne difficile la comprensione o ridurne
la visibilità o l’efficacia, ovvero possa provocare abbagliamento ancorché per
luce riflessa ovvero arrecare disturbo visivo agli utenti della strada o
distrarne l’attenzione; ancora, è vietata ogni installazione finalizzata alla
diffusione di messaggi pubblicitari che possa costituire ostacolo, o, comunque,
impedimento alla circolazione delle persone invalide. Sulle isole di traffico
delle intersezioni canalizzate è vietata la posa di qualunque installazione
diversa dalla prescritta segnaletica stradale. Pur tuttavia, è autorizzabile
l’abbinamento della pubblicità dei servizi essenziali per la circolazione
stradale con i segnali stradali. Non da meno, quando non collocati nei punti
vietati dal codice e dal relativo regolamento, tutti gli altri mezzi
pubblicitari sono comunque autorizzabili dall’ente proprietario della strada,
nel rispetto delle precitate norme (art. 23, comma 4, c.d.s.). Su questo si
vuol riflettere. In buona sostanza, la diffusione della pubblicità stradale
latamente considerata necessita del previo rilascio dell’autorizzazione
amministrativa dell’ente proprietario della strada ovvero, da uno dei soggetti
elencati al comma 1, dell’art. 53 del citato regolamento. In tal senso, restano
assoggettati al regime autorizzatorio (se non concessorio, nei termini anzidetti
in chiusura del paragrafo che precede) i mezzi pubblicitari comprensivi dei
relativi sostegni tanto che, se le predette strutture costituiscono manufatti
la cui realizzazione e posa in opera è regolamentata da specifiche norme,
l’osservanza delle stesse e l’adempimento degli obblighi da queste previste,
deve essere documentato prima del ritiro dell’autorizzazione di cui all’art.
23, comma 4, del codice (art. 49, comma 3, reg. c.d.s.). Derivandone anche, che
l’eventuale rilascio dell’autorizzazione amministrazione (ricettizia) di cui si discute dà pieno titolo all’esercizio
dell’attività principale (pubblicità) e a quella ad essa accessoria
(edificazione del suolo).
Piuttosto, ci domandiamo adesso sino a che punto
l’attuale sistema della semplificazione amministrativa, nei termini anzidetti
(d.i.a. o silenzio-assenso), può essere applicato anche al caso in esame e
cioè, se la pubblicità possa essere esercitata in concreto anche a seguito di
presentazione di dichiarazione di inizio di attività ovvero allo spirare del
tempo utile previsto dalla legge. Anche in questo caso, l’allora Ministro dei
Lavori Pubblici (ora delle Infrastrutture e dei Trasporti), nell’ambito dei
poteri di dirigenza e di controllo di cui all’art. 23, comma 10 del codice ebbe
ad emanare la Direttiva 17 marzo 1998, n. 1381 relativa proprio al controllo
della pubblicità abusiva e alla pubblicità lungo le strade o in vista di esse.
Con riferimento a quanto allora previsto dalla legge n. 241 del 1990, venne
chiarito che la dichiarazione presentata ai comuni ai sensi dell’art. 8 del
decreto legislativo 15 novembre 1993, n. 507 e successive modificazioni non
sostituisce l’autorizzazione prevista dall’art. 23 del codice e che la
collocazione di cartelli ed altri mezzi pubblicitari non può essere ricompresa
tra le attività che possono essere avviate ai sensi dell’art. 19 della legge 7
agosto 1990, n. 241, senza titolo autorizzativo con una semplice denuncia di
inizio attività. Vero è che alcun riferimento venne fatto all’art. 20 della
legge da ultimo citata ma, evidentemente, ciò non sarebbe potuto avvenire
giacché l’istituto del silenzio-assenso, non come oggi appare, non si applicava
alla generalità dei casi ma, piuttosto, a quei casi individuati direttamente
dal Governo con proprio regolamento. È chiaro, che nel caso della pubblicità
stradale, gli interessi in gioco sono ben diversi da quelli attinenti
l’esposizione dei segnali turistici e di territorio che, in ogni caso, sono e
restano comunque dei segnali stradali con un diverso e ridotto potere attraente
e condizionante rispetto ai mezzi pubblicitari propriamente detti. Tanto è vero, che in questo caso, è stata “scomodata” anche la
stessa Corte Costituzionale, che con propria Sentenza 17 luglio 2002, n. 355 ha
giudicato costituzionalmente legittimo il comma 8, dell’art. 36 del d. Lgs. n.
507 del 1993 precedentemente citato, con il quale, al fine di contemperare
l’esercizio dell’attività pubblicitaria effettuata mediante la installazione di
cartelloni con l’esigenza di pianificazione degli impianti in ambito comunale,
ha disposto che "il Comune non dà corso alle istanze per l’installazione
di impianti pubblicitari, ove i relativi provvedimenti non siano già stati
adottati alla data di entrata in vigore del presente decreto, né può autorizzare
l’installazione di nuovi impianti fino all’approvazione del regolamento
comunale e del piano generale previsti dall’art. 3". {foto3s}In una parola, il
rilascio delle autorizzazioni per l’esercizio della pubblicità avviene sulla
base di quanto previsto dal regolamento comunale e secondo gli indici indicati
nello strumento di pianificazione territoriale della pubblicità. Non a caso,
chiarisce la Corte, la tutela degli interessi pubblici presenti nella attività
pubblicitaria effettuata mediante l’installazione di cartelloni si articola
dunque, nel decreto legislativo n. 507 del 1993, in un duplice livello di
intervento: l’uno, di carattere generale e pianificatorio, mirante ad escludere
che le autorizzazioni possano essere rilasciate dalle amministrazioni comunali
in maniera casuale, arbitraria e comunque senza una chiara visione dell’assetto
del territorio e delle sue caratteristiche abitative, estetiche, ambientali e
di viabilità; l’altro, a contenuto particolare e concreto, in sede di
provvedimento autorizzatorio, con il quale le diverse istanze dei privati
vengono ponderate alla luce delle previsioni di piano e solo se sono conformi a
tali previsioni possono essere soddisfatte. È quindi chiaro, che l’istituto
della semplificazione amministrativa, come ampiamente discusso, pare, in questo
caso inapplicabile, se non laddove l’emanazione dello strumento di
pianificazione e di regolamentazione dell’esercizio della pubblicità consenta
di individuare in concreto punti stradali di piano concretamente inutilizzati e
dove, ancora, con il solo regolamento della pubblicità è possibile realizzare
manufatti pubblicitari relativamente ai quali la discrezionalità tecnica della
P.A. non ha motivo di esistere: in tal caso, è convincimento dello scrivente,
che l’eventuale dichiarazione di inizio di attività troverebbe concreta
efficacia. Del resto, quella stessa Corte, attenendosi peraltro alla chiara
lettera della legge n. 241 del 1990 prima face, ha già affermato che il
termine di trenta giorni (ora novanta), stabilito in via suppletiva e in una
misura tale da sollecitare l’amministrazione a provvedere, riguarda ogni tipo
di procedimento, sia ad iniziativa d’ufficio che di parte, "a prescindere
dall’efficacia ampliativa o restrittiva della sfera giuridica dei destinatari
dell’atto" (sentenza n. 262 del 1997).
Nella stessa sentenza ha altresì
precisato che la mancata osservanza del termine a provvedere non comporta la
decadenza dal potere, ma vale a connotare in termini di illegittimità il
comportamento della pubblica amministrazione, nei confronti del quale i
soggetti interessati alla conclusione del procedimento possono insorgere
utilizzando, per la tutela della propria situazione soggettiva, tutti i rimedi
che l’ordinamento appresta in via generale in simili ipotesi (dal risarcimento
del danno all’esecuzione del giudicato che abbia accertato l’inadempienza della
pubblica amministrazione). Resta l’inapplicabilità degli
istituti di semplificazione amministrativa citati, sempre a parere di chi
scrive, anche in quei comuni e in quelle province ove in luogo
dell’applicazione dell’imposta sulla pubblicità, è adottato il c.d. canone
autorizzatorio (art. 52 e 62 d. Lgs. n. 446 del 1997) giacché, anche in tal
caso, lo strumento di regolamentazione locale è finalizzato a sottoporre a
regime autorizzatorio e assoggettamento a canone quei mezzi pubblicitari che
incidono sull’arredo urbano o sull’ambiente. È chiaro, che in questo, caso la
tassatività dello strumento di regolamentazione e ciò che più conta di
individuazione dei mezzi pubblicitari assoggettati allo speciale regime
autorizzatorio sembrerebbe, contestualmente, determinare la liberalizzazione da
qualsivoglia regime giuridico di quelle iniziative pubblicitarie non
regolamentate localmente. Peraltro, il comma 4 dell’art. 62 del decreto precedentemente
citato (finalizzato, non a caso, al riordino della disciplina generale dei
tributi locali) prevede la rimozione dei mezzi pubblicitari privi della
prescritta autorizzazione o installati in difformità da essa, quasi a segnalare
la residuale abusività di tutti quegli impianti pubblicitari non contemplati
dal regolamento comunale o provinciale. Ciò che convinceva ieri, meno convince
oggi. Tant’è, che in questo caso e cioè quando una determinata tipologia di
impianto pubblicitario non rientra in quelli tassativamente indicati nel
regolamento suddetto, tenuto conto della odierna e generalissima applicazione
dell’art. 20 della legge n. 241 del 1990 ad ogni procedimento amministrativo
non diversamente disciplinato, si ritiene che l’eventuale esercizio di forme
pubblicitarie diverse da quelle indicate nel regolamento per l’applicazione del
canone pubblicitario, possa iniziare dopo lo spirare del tempo utile previsto
dalla legge citata. Vero è che il comma 5 dell’art. 53 del regolamento di
esecuzione del nuovo codice della strada prevede che l’ufficio esecuzione del nuovo codice della strada prevede che l’ufficio
competente entro i sessanta giorni successivi (alla presentazione della istanza
N.d.A.), concede o nega l’autorizzazione e che, in caso di diniego, questo deve
essere motivato. Senz’altro tale precetto era già in linea con il principio
generale stabilito dagli artt. 2 e 3 della più volte citata legge n. 241 del
1990; ma oggi, questo termine, è termine utile a determinare il rilascio
implicito della autorizzazione amministrativa per la esposizione dei mezzi
pubblicitari nell’ambito delle strade e le autostrade statali, per le
autostrade in concessione e per le strade regionali, fatta salva l’eventuale
sospensione del procedimento nei casi previsti dal comma 4, dell’art. 2 della
legge n. 241 più volte citata. Resta evidente, infatti, che sulle strade
comunali o provinciali, prevalgono gli eventuali strumenti di pianificazione e
regolamentazione locale e, in difetto, l’esercizio della pubblicità su queste strade
è comunque vietato (art. 36, comma 8, d. Lgs. n. 507/93).
CONCLUSIONI OPERATIVE
In tutta sincerità, chi scrive è dell’avviso che la
semplificazione amministrativa sembra seguire la logica de “Il Gattopardo”:
tutto si cambi, perché tutto resti immutato. Anzi, c’è quasi da pensare che la
semplificazione del procedimento amministrativo abbia sortito l’effetto di
ingenerare una sorta di anarchizzazione (mi si passi il termine infelice) della
pubblica amministrazione, determinando una sorta di caos amministrativo che ben
al di là delle considerazione accademiche dei vari interpreti compreso lo
scrivente rischia di determinare deleteri effetti concreti. Quali gli effetti?
Beh, intanto un organo di polizia stradale che voglia far bene il proprio
mestiere (se ancora c’è la forza necessaria per farlo!) dovrebbe guardarsi
intorno ed accorgersi che tra leggi che vietano e leggi che limitano (possiamo
serenamente parlare di quello che già prevedeva il codice del ’59, non
dimentichiamolo), non sono pochi i soggetti che hanno realizzato ciò che la
legge ha vietato e che sono andati in barba alle prescrizioni che le regole
imponevano. Ancora una volta, ci vogliamo domandare che cosa si potrebbe
verificare nel momento in cui procediamo ad un controllo di polizia stradale.
L’ipotesi più semplice, è senz’altro quella riconducibile a chi, legittimamente
ed in possesso di un’autorizzazione amministrativa, espone uno dei diversi
mezzi pubblicitari. La difficoltà, molto probabilmente, sarà all’atto della
lettura di quell’autorizzazione che, nella migliore delle ipotesi, si presenterà come un mero atto dichiarativo con il quale si
attesta l’avvenuto pagamento della imposta o del canone (in quanto, comunque)
dovuto. Probabilmente, mancheranno gli elementi indispensabili per verificare
se è di quell’impianto che si parla, piuttosto che non di un altro; se
quell’impianto è luminoso o illuminato; ecc. Elementi questi, che in
determinati casi, magari in un incidente stradale determinato dalla distrazione
arrecata all’utente da un bel poster di provocante nudo collocato su rotatoria
(anche se al momento, gli avvocati, sembrano distratti da altre cause di
sinistrosità) possono richiedere un’attenzione particolare dell’organo di
controllo e quindi, almeno una segnalazione all’ente proprietario della strada,
sulla situazione in atto e, non da meno sull’iter procedimentale che ha dato
luogo al rilascio dell’autorizzazione che, in tal senso, potrebbe essere anche
illegittima, se non pertinente un impianto illecito, con tutto ciò che ne potrebbe
conseguire anche sul piano penale (ad es. artt. 323 e 328 c.p.). Ma può anche
accadere che per quell’impianto non sia stata rilasciata alcuna autorizzazione
e che quel silenzio amministrativo, dunque, abbia chiaro ed inequivocabile
significato di assenso. Non da meno, che quell’impianto sia stato installato
dopo che l’ente competente è stato informato in merito, senza alcun intervento
concludente di quest’ultimo. Casi da manuale, non facilmente definibili se non
in modo astratto e secondo logiche interpretative tutte dimostrabili, tanta
resta vaga l’espressività legislativa di questo legislatore. Ma logiche
interpretative le cui interpretazioni possono anche determinare non tanto delle
sanzioni amministrative pecuniarie (per quanto importanti, laddove applicate),
ma il mancato esercizio di un diritto (economicamente rilevante, quale quello
che deriva dall’esercizio della pubblicità) in conseguenza di un provvedimento
di rimozione di quello stesso diritto, nella forma della sanzione accessoria,
per una presunzione di illiceità della condotta. Logiche interpretative che
potrebbero esporre direttamente l’organo di polizia stradale, piuttosto che la
sua amministrazione, laddove sia stato cagionato un danno ed un grave danno
ingiusto a colui che esercitava “legittimamente” (secondo interpretazione)
l’attività pubblicitaria. Allora, qui le cautele non debbono essere mai poche.
La mancanza del titolo autorizzatorio, in definitiva, è elemento prodromico
all’accertamento delle responsabilità che, in ragione del complesso sistema di
semplificazione amministrativa odierno, comporta la necessità di prendere atto
dello stato dei luoghi e delle cose, di acquisire ogni documentazione utile, di
trasmettere il tutto all’organo tenuto al rilascio dell’autorizzazione (giacché
richiesta con istanza del privato o con sua dichiarazione) al fine di giungere
ad una definitiva decisione sulla regolarità dell’esercizio della pubblicità e,
solo in caso negativo, notificare gli estremi delle violazioni che si ritengono
violate. Beh, forse non sono stato particolarmente utile in questa mia
conclusione ma, certamente, spero di avere offerto degli spunti di riflessione
su nuove ed inaspettate responsabilità che potrebbero coinvolgere la polizia
stradale, quando volesse tentare, con tanto coraggio amministrativo, di
continuare a fare il proprio dovere.
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