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Articoli 08/09/2006

I mezzi pubblicitari di cui all’art. 47 del d.P.R. 495/1992

L’art. 47 del regolamento di esecuzione del nuovo codice della strada, definisce e identifica i vari mezzi pubblicitari, demandando alle altre disposizioni di dettaglio le regole tecniche inerenti le dimensioni, le caratteristiche, l’ubicazione; nonché il regime autorizzatorio e gli obblighi dei titolari dell’autorizzazione amministrativa prevista per l’esposizione degli stessi. Infatti, per quanto la pubblicità stradale intesa questa come la diffusione di messaggi nell’esercizio di un’attività economica o sociale, allo scopo di promuovere la domanda di beni o servizi ovvero finalizzati a migliorare l’immagine del soggetto pubblicizzato sia di per sé libera (in quanto modello di estrinsecazione del diritto sancito dagli artt. 21 e 41 della Costituzione), la stessa può subire le limitazioni od i divieti previsti dalla legge, quando dal suo esercizio possa derivare turbativa e pericolo per la sicurezza della circolazione stradale.
Non a caso, il comma 1 dell’art. 23 del nuovo codice della strada vieta l’esercizio di qualsivoglia forma pubblicitaria che possa ingenerare confusione con la segnaletica stradale, ovvero possa renderne difficile la comprensione o ridurne la visibilità o l’efficacia, ovvero possa provocare abbagliamento ancorché per luce riflessa ovvero arrecare disturbo visivo agli utenti della strada o distrarne l’attenzione; ancora, è vietata ogni installazione finalizzata alla diffusione di messaggi pubblicitari che possa costituire ostacolo, o, comunque, impedimento alla circolazione delle persone invalide. Sulle isole di traffico delle intersezioni canalizzate è vietata la posa di qualunque installazione diversa dalla prescritta segnaletica stradale. Pur tuttavia, è autorizzabile l’abbinamento della pubblicità dei servizi essenziali per la circolazione stradale con i segnali stradali. Non da meno, quando non collocati nei punti vietati dal codice e dal relativo regolamento, tutti gli altri mezzi pubblicitari sono comunque autorizzabili dall’ente proprietario della strada, nel rispetto delle precitate norme (art. 23, comma 4, c.d.s.).
Su questo si vuol riflettere.
In buona sostanza, la diffusione della pubblicità stradale latamente considerata necessita del previo rilascio dell’autorizzazione amministrativa dell’ente proprietario della strada ovvero, da uno dei soggetti elencati al comma 1, dell’art. 53 del citato regolamento. In tal senso, restano assoggettati al regime autorizzatorio (se non concessorio, nei termini anzidetti in chiusura del paragrafo che precede) i mezzi pubblicitari comprensivi dei relativi sostegni tanto che, se le predette strutture costituiscono manufatti la cui realizzazione e posa in opera è regolamentata da specifiche norme, l’osservanza delle stesse e l’adempimento degli obblighi da queste previste, deve essere documentato prima del ritiro dell’autorizzazione di cui all’art. 23, comma 4, del codice (art. 49, comma 3, reg. c.d.s.). Derivandone anche, che l’eventuale rilascio dell’autorizzazione amministrazione
 (ricettizia) di cui si discute dà pieno titolo all’esercizio dell’attività principale (pubblicità) e a quella ad essa accessoria (edificazione del suolo).



Piuttosto, ci domandiamo adesso sino a che punto l’attuale sistema della semplificazione amministrativa, nei termini anzidetti (d.i.a. o silenzio-assenso), può essere applicato anche al caso in esame e cioè, se la pubblicità possa essere esercitata in concreto anche a seguito di presentazione di dichiarazione di inizio di attività ovvero allo spirare del tempo utile previsto dalla legge.
Anche in questo caso, l’allora Ministro dei Lavori Pubblici (ora delle Infrastrutture e dei Trasporti), nell’ambito dei poteri di dirigenza e di controllo di cui all’art. 23, comma 10 del codice ebbe ad emanare la Direttiva 17 marzo 1998, n. 1381 relativa proprio al controllo della pubblicità abusiva e alla pubblicità lungo le strade o in vista di esse. Con riferimento a quanto allora previsto dalla legge n. 241 del 1990, venne chiarito che la dichiarazione presentata ai comuni ai sensi dell’art. 8 del decreto legislativo 15 novembre 1993, n. 507 e successive modificazioni non sostituisce l’autorizzazione prevista dall’art. 23 del codice e che la collocazione di cartelli ed altri mezzi pubblicitari non può essere ricompresa tra le attività che possono essere avviate ai sensi dell’art. 19 della legge 7 agosto 1990, n. 241, senza titolo autorizzativo con una semplice denuncia di inizio attività. Vero è che alcun riferimento venne fatto all’art. 20 della legge da ultimo citata ma, evidentemente, ciò non sarebbe potuto avvenire giacché l’istituto del silenzio-assenso, non come oggi appare, non si applicava alla generalità dei casi ma, piuttosto, a quei casi individuati direttamente dal Governo con proprio regolamento.
È chiaro, che nel caso della pubblicità stradale, gli interessi in gioco sono ben diversi da quelli attinenti l’esposizione dei segnali turistici e di territorio che, in ogni caso, sono e restano comunque dei segnali stradali con un diverso e ridotto potere attraente e condizionante rispetto ai mezzi pubblicitari propriamente detti.
 Tanto è vero, che in questo caso, è stata “scomodata” anche la stessa Corte Costituzionale, che con propria Sentenza 17 luglio 2002, n. 355 ha giudicato costituzionalmente legittimo il comma 8, dell’art. 36 del d. Lgs. n. 507 del 1993 precedentemente citato, con il quale, al fine di contemperare l’esercizio dell’attività pubblicitaria effettuata mediante la installazione di cartelloni con l’esigenza di pianificazione degli impianti in ambito comunale, ha disposto che "il Comune non dà corso alle istanze per l’installazione di impianti pubblicitari, ove i relativi provvedimenti non siano già stati adottati alla data di entrata in vigore del presente decreto, né può autorizzare l’installazione di nuovi impianti fino all’approvazione del regolamento comunale e del piano generale previsti dall’art. 3".
{foto3s}In una parola, il rilascio delle autorizzazioni per l’esercizio della pubblicità avviene sulla base di quanto previsto dal regolamento comunale e secondo gli indici indicati nello strumento di pianificazione territoriale della pubblicità. Non a caso, chiarisce la Corte, la tutela degli interessi pubblici presenti nella attività pubblicitaria effettuata mediante l’installazione di cartelloni si articola dunque, nel decreto legislativo n. 507 del 1993, in un duplice livello di intervento: l’uno, di carattere generale e pianificatorio, mirante ad escludere che le autorizzazioni possano essere rilasciate dalle amministrazioni comunali in maniera casuale, arbitraria e comunque senza una chiara visione dell’assetto del territorio e delle sue caratteristiche abitative, estetiche, ambientali e di viabilità; l’altro, a contenuto particolare e concreto, in sede di provvedimento autorizzatorio, con il quale le diverse istanze dei privati vengono ponderate alla luce delle previsioni di piano e solo se sono conformi a tali previsioni possono essere soddisfatte. È quindi chiaro, che l’istituto della semplificazione amministrativa, come ampiamente discusso, pare, in questo caso inapplicabile, se non laddove l’emanazione dello strumento di pianificazione e di regolamentazione dell’esercizio della pubblicità consenta di individuare in concreto punti stradali di piano concretamente inutilizzati e dove, ancora, con il solo regolamento della pubblicità è possibile realizzare manufatti pubblicitari relativamente ai quali la discrezionalità tecnica della P.A. non ha motivo di esistere: in tal caso, è convincimento dello scrivente, che l’eventuale dichiarazione di inizio di attività troverebbe concreta efficacia. Del resto, quella stessa Corte, attenendosi peraltro alla chiara lettera della legge n. 241 del 1990 prima face, ha già affermato che il termine di trenta giorni (ora novanta), stabilito in via suppletiva e in una misura tale da sollecitare l’amministrazione a provvedere, riguarda ogni tipo di procedimento, sia ad iniziativa d’ufficio che di parte, "a prescindere dall’efficacia ampliativa o restrittiva della sfera giuridica dei destinatari dell’atto" (sentenza n. 262 del 1997).

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Nella stessa sentenza ha altresì precisato che la mancata osservanza del termine a provvedere non comporta la decadenza dal potere, ma vale a connotare in termini di illegittimità il comportamento della pubblica amministrazione, nei confronti del quale i soggetti interessati alla conclusione del procedimento possono insorgere utilizzando, per la tutela della propria situazione soggettiva, tutti i rimedi che l’ordinamento appresta in via generale in simili ipotesi (dal risarcimento del danno all’esecuzione del giudicato che abbia accertato l’inadempienza della pubblica amministrazione). Resta l’inapplicabilità degli istituti di semplificazione amministrativa citati, sempre a parere di chi scrive, anche in quei comuni e in quelle province ove in luogo dell’applicazione dell’imposta sulla pubblicità, è adottato il c.d. canone autorizzatorio (art. 52 e 62 d. Lgs. n. 446 del 1997) giacché, anche in tal caso, lo strumento di regolamentazione locale è finalizzato a sottoporre a regime autorizzatorio e assoggettamento a canone quei mezzi pubblicitari che incidono sull’arredo urbano o sull’ambiente. È chiaro, che in questo, caso la tassatività dello strumento di regolamentazione e ciò che più conta di individuazione dei mezzi pubblicitari assoggettati allo speciale regime autorizzatorio sembrerebbe, contestualmente, determinare la liberalizzazione da qualsivoglia regime giuridico di quelle iniziative pubblicitarie non regolamentate localmente. Peraltro, il comma 4 dell’art. 62 del decreto precedentemente citato (finalizzato, non a caso, al riordino della disciplina generale dei tributi locali) prevede la rimozione dei mezzi pubblicitari privi della prescritta autorizzazione o installati in difformità da essa, quasi a segnalare la residuale abusività di tutti quegli impianti pubblicitari non contemplati dal regolamento comunale o provinciale. Ciò che convinceva ieri, meno convince oggi. Tant’è, che in questo caso e cioè quando una determinata tipologia di impianto pubblicitario non rientra in quelli tassativamente indicati nel regolamento suddetto, tenuto conto della odierna e generalissima applicazione dell’art. 20 della legge n. 241 del 1990 ad ogni procedimento amministrativo non diversamente disciplinato, si ritiene che l’eventuale esercizio di forme pubblicitarie diverse da quelle indicate nel regolamento per l’applicazione del canone pubblicitario, possa iniziare dopo lo spirare del tempo utile previsto dalla legge citata. Vero è che il comma 5 dell’art. 53 del regolamento di esecuzione del nuovo codice della strada prevede che l’ufficio esecuzione del nuovo codice della strada prevede che l’ufficio competente entro i sessanta giorni successivi (alla presentazione della istanza N.d.A.), concede o nega l’autorizzazione e che, in caso di diniego, questo deve essere motivato. Senz’altro tale precetto era già in linea con il principio generale stabilito dagli artt. 2 e 3 della più volte citata legge n. 241 del 1990; ma oggi, questo termine, è termine utile a determinare il rilascio implicito della autorizzazione amministrativa per la esposizione dei mezzi pubblicitari nell’ambito delle strade e le autostrade statali, per le autostrade in concessione e per le strade regionali, fatta salva l’eventuale sospensione del procedimento nei casi previsti dal comma 4, dell’art. 2 della legge n. 241 più volte citata. Resta evidente, infatti, che sulle strade comunali o provinciali, prevalgono gli eventuali strumenti di pianificazione e regolamentazione locale e, in difetto, l’esercizio della pubblicità su queste strade è comunque vietato (art. 36, comma 8, d. Lgs. n. 507/93).

CONCLUSIONI OPERATIVE   

 
In tutta sincerità, chi scrive è dell’avviso che la semplificazione amministrativa sembra seguire la logica de “Il Gattopardo”: tutto si cambi, perché tutto resti immutato. Anzi, c’è quasi da pensare che la semplificazione del procedimento amministrativo abbia sortito l’effetto di ingenerare una sorta di anarchizzazione (mi si passi il termine infelice) della pubblica amministrazione, determinando una sorta di caos amministrativo che ben al di là delle considerazione accademiche dei vari interpreti compreso lo scrivente rischia di determinare deleteri effetti concreti. Quali gli effetti? Beh, intanto un organo di polizia stradale che voglia far bene il proprio mestiere (se ancora c’è la forza necessaria per farlo!) dovrebbe guardarsi intorno ed accorgersi che tra leggi che vietano e leggi che limitano (possiamo serenamente parlare di quello che già prevedeva il codice del ’59, non dimentichiamolo), non sono pochi i soggetti che hanno realizzato ciò che la legge ha vietato e che sono andati in barba alle prescrizioni che le regole imponevano. Ancora una volta, ci vogliamo domandare che cosa si potrebbe verificare nel momento in cui procediamo ad un controllo di polizia stradale. L’ipotesi più semplice, è senz’altro quella riconducibile a chi, legittimamente ed in possesso di un’autorizzazione amministrativa, espone uno dei diversi mezzi pubblicitari. La difficoltà, molto probabilmente, sarà all’atto della lettura di quell’autorizzazione che, nella migliore delle ipotesi, si presenterà come un mero atto dichiarativo con il quale si attesta l’avvenuto pagamento della imposta o del canone (in quanto, comunque) dovuto. Probabilmente, mancheranno gli elementi indispensabili per verificare se è di quell’impianto che si parla, piuttosto che non di un altro; se quell’impianto è luminoso o illuminato; ecc. Elementi questi, che in determinati casi, magari in un incidente stradale determinato dalla distrazione arrecata all’utente da un bel poster di provocante nudo collocato su rotatoria (anche se al momento, gli avvocati, sembrano distratti da altre cause di sinistrosità) possono richiedere un’attenzione particolare dell’organo di controllo e quindi, almeno una segnalazione all’ente proprietario della strada, sulla situazione in atto e, non da meno sull’iter procedimentale che ha dato luogo al rilascio dell’autorizzazione che, in tal senso, potrebbe essere anche illegittima, se non pertinente un impianto illecito, con tutto ciò che ne potrebbe conseguire anche sul piano penale (ad es. artt. 323 e 328 c.p.). Ma può anche accadere che per quell’impianto non sia stata rilasciata alcuna autorizzazione e che quel silenzio amministrativo, dunque, abbia chiaro ed inequivocabile significato di assenso. Non da meno, che quell’impianto sia stato installato dopo che l’ente competente è stato informato in merito, senza alcun intervento concludente di quest’ultimo. Casi da manuale, non facilmente definibili se non in modo astratto e secondo logiche interpretative tutte dimostrabili, tanta resta vaga l’espressività legislativa di questo legislatore. Ma logiche interpretative le cui interpretazioni possono anche determinare non tanto delle sanzioni amministrative pecuniarie (per quanto importanti, laddove applicate), ma il mancato esercizio di un diritto (economicamente rilevante, quale quello che deriva dall’esercizio della pubblicità) in conseguenza di un provvedimento di rimozione di quello stesso diritto, nella forma della sanzione accessoria, per una presunzione di illiceità della condotta. Logiche interpretative che potrebbero esporre direttamente l’organo di polizia stradale, piuttosto che la sua amministrazione, laddove sia stato cagionato un danno ed un grave danno ingiusto a colui che esercitava “legittimamente” (secondo interpretazione) l’attività pubblicitaria. Allora, qui le cautele non debbono essere mai poche. La mancanza del titolo autorizzatorio, in definitiva, è elemento prodromico all’accertamento delle responsabilità che, in ragione del complesso sistema di semplificazione amministrativa odierno, comporta la necessità di prendere atto dello stato dei luoghi e delle cose, di acquisire ogni documentazione utile, di trasmettere il tutto all’organo tenuto al rilascio dell’autorizzazione (giacché richiesta con istanza del privato o con sua dichiarazione) al fine di giungere ad una definitiva decisione sulla regolarità dell’esercizio della pubblicità e, solo in caso negativo, notificare gli estremi delle violazioni che si ritengono violate. Beh, forse non sono stato particolarmente utile in questa mia conclusione ma, certamente, spero di avere offerto degli spunti di riflessione su nuove ed inaspettate responsabilità che potrebbero coinvolgere la polizia stradale, quando volesse tentare, con tanto coraggio amministrativo, di continuare a fare il proprio dovere.  


© asaps.it

di Giovanni Fontana

da "il Centauro" n.105
Venerdì, 08 Settembre 2006
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