Quando si parla di aderenza dell’auto sulla strada si attribuisce quasi
sempre il peso della responsabilità al pneumatico, cioè alle sue qualità di
costruzione e di forma del battistrada, tali da permettergli di essere il più
aderente possibile alla strada o meglio all’asfalto. Ma è proprio quest’ultimo,
invece, a farla molto spesso da padrone, basti il fatto che su di una strada
con la superficie completamente liscia nessun pneumatico, nemmeno il più
tecnologico ed innovativo, potrebbe garantire la massima sicurezza. Ecco perché
è importante comprendere quale sia l’interrelazione tra pneumatico ed asfalto e
conoscere bene la reciprocità che esiste fra questi. Cominciamo allora col dire
che per asfalto s’intende l’amalgama tra bitume ed inerti di dimensioni
assortite, che mescolati fra loro e compattati a caldo assumono il nome di
conglomerati bituminosi. L’aderenza dell’asfalto dipende essenzialmente da tre
fattori: la natura del minerale inerte (cioè il sasso utilizzato), la sua forma
e dimensione e dal tipo di legante (cioè di bitume) utilizzato. Diversi sono
questi tre fattori e diverso sarà il coefficiente di aderenza sia in presenza
di condizioni stradali asciutte che su manto bagnato. La natura del minerale
inerte è la parte di asfalto che più interagisce con i veicoli attraverso i
pneumatici e può essere di provenienza vulcanica come i basalti, oppure,
formata da rocce sedimentate come i calcari che però hanno il difetto di
“consumarsi” molto velocemente e rendere la strada molto liscia. La diversa
combinazione di dimensione dei piccoli sassi, invece, rende più o meno rugosa
la superficie del manto stradale e regola l’aderenza del pneumatico sul
bagnato, condizione nella quale può verificarsi il fenomeno cosiddetto “aquaplaning”,
cioè la perdita di aderenza per via di un sottilissimo velo d’acqua che si
forma tra la pavimentazione ed il battistrada dei veicoli. Naturalmente,
maggiore è questa superficie rugosa - tecnicamente denominata “macrotessitura”
- e maggiore è l’acqua che viene eliminata lateralmente, ma che dà poi origine
a quella fitta coltre nebulosa che riduce la visibilità quando ad esempio si
supera un veicolo di grosse dimensioni. Allo stesso modo, però, maggiore è
anche la superficie del pneumatico che rimane a contatto con l’asfalto,
riducendo così la possibilità di inceppare nel fenomeno di aquaplaning.
Naturalmente non tutta la pavimentazione stradale è costituita in maniera
analoga e tendenzialmente si parla di asfalto “normale” e asfalto “drenante”.
Il primo viene solitamente definito di tipo chiuso, cioè impermeabile, dalla
cui superficie sporgono le punte più grosse che vengono lentamente con sumate col passaggio dei veicoli. In questi casi,
dunque, l’acqua scorre in superficie e maggiori sono i rischi di aquaplaning.
Fra le altre cose, proprio perché impermeabile, la corposità dell’asfalto
risulta più robusta alle migliaia di sollecitazioni e consente minori
interventi di manutenzione. L’asfalto drenante, invece, possiede un amalgama
costituito da sassi di maggiori dimensioni, quindi al proprio interno si
formano dei piccoli vuoti comunicanti fra loro, dentro i quali l’acqua scorre
liberamente dopo essere stata assorbita dalla superficie. Di conseguenza,
essendo un asfalto “forato” e dunque meno robusto, è più soggetto alle
sollecitazioni e il suo rafforzamento dev’essere periodico così da richiedere
maggiori spese di manutenzione. Attualmente l’asfalto drenante è utilizzato su
almeno la metà dell’intera
rete autostradale italiana, con un trend in costante aumento anno dopo anno,
nonostante i costi più elevati (il drenante costa quasi il doppio di quello
normale). Tuttavia, questo tipo di asfalto possiede anche qualche difetto,
essendo sconsigliato nelle zone di montagna o laddove si forma molto ghiaccio.
Nel suo interno, infatti, gli spazi vuoti tendono a ghiacciarsi e ad espellere
in superficie la patina gelata. Per questo motivo occorrono sali antighiaccio
ad elevata viscosità e liquidi decongelanti da utilizzare in occasione delle
attività spargisale. Abbiamo parlato di costi di manutenzione, vale dunque la
pena spendere qualche parola anche su questo importante aspetto. Cominciamo
allora col ricordare che la frequenza della manutenzione dipende dal tipo di
strada e dal traffico che scorre sulla stessa, così come bisogna saper misurare
la potenzialità di frenata e di tenuta della strada che la pavimentazione
conferisce ai veicoli. Tutto ciò è legato soprattutto alla natura dei sassi
impiegati nell’asfalto, che possono permettere di fare previsioni sulla resa
nel tempo della pavimentazione. In Italia per effettuare questo genere di
misurazioni si usano oggi anche speciali macchinari che rilevano in maniera
alquanto precisa l’aderenza, la tessitura ed il comfort delle superfici. La
macchina rileva un valore ogni 10/15 metri e definisce i tratti meno omogenei
per aderenza, a scapito dei quali occorrerà prestare maggiore attenzione
durante i lavori di rifacimento o di sostegno del manto stradale. Una piccola curiosità:
sono tanti coloro che si chiedono come mai molte strade del Sud appaiono lisce
e danno l’impressione (più che legittima) di essere in stato avanzato di usura.
Il motivo è da ricercarsi nel fatto che le pietre impiegate (tratte da cave
locali) sono di natura calcarea e possiedono una microtessitura poco durevole.
L’ideale sarebbe utilizzare materiali inerti che provengono da altre zone
italiane diverse (soprattutto dalle regioni del Triveneto) o integrare le
pietre locali con inerti artificiali facilmente reperibili sul mercato.
Naturalmente prima di impiegare un determinato materiale e soprattutto un
conglomerato, debbono essere eseguite prove di laboratorio che consistono in
una simulazione di invecchiamento del campione per verificarne le caratteristiche
strutturali; successivamente, si effettuano test sulla messa in opera durante
l’allestimento del manto stradale. Molte aziende, però, si rifanno alla sola
prova pratica, acquisendo i test di laboratorio da precedenti campionature e
ciò spiega il perché talvolta la pavimentazione risulti mal riuscita o con
chiazze d’asfalto molto diverse fra loro. In questo senso, dunque, bisognerebbe
rendere più severe le norme che regolano la materia, anche perché i
conglomerati reagiscono in maniera diversa a seconda del tipo di clima e delle
condizioni stradali e di traffico. Soltanto così, finalmente, si potrà parlare
di una corretta aderenza dei pneumatici dei veicoli sulla strada e
conseguentemente ottenere tutti quei benefici che si coniugano ad una maggiore sicurezza
stradale e dunque a preservare la vita umana.
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