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Articoli 18/09/2006

Incidente per macchia d’olio sull’asfalto: il Comune non paga i danni

Se sbandi su una macchia d’olio incontrata a tradimento sull’asfalto, non andare a bussar cassa al Comune, almeno, non lo fare se abiti a Monza. Sì, perché lì, il giudice di pace, ha deciso, con sentenza datata 3 maggio 2006, che non è responsabile l’ente quando non sia provato almeno il suo inadempimento circa la creazione o la segnalazione del pericolo. Si tratta di una decisione importante, non fosse altro perché riapre una annosa discussione sui termini della responsabilità civile della pubblica amministrazione in materia di danno automobilistico.
Il caso di Monza riguarda una signora, proprietaria di una moto, alla cui guida il marito era rovinato al suolo causa, appunto, l’inavvertita presenza di una chiazza d’olio sulla carreggiata. Così davanti al giudice si sono presentati entrambi: la signora per i danni alla moto, il coniuge per le lesioni riportate. La tesi in giudizio appariva scontata, per un caso, per così dire, da manuale. La macchia d’olio è un pericolo per la circolazione, hanno sostenuto i ricorrenti, rappresenta un’insidia per chi malauguratamente ci scivola sopra e spetta al proprietario della strada – in questo caso il Comune - l’onere di rimuovere questa insidia o quanto meno segnalarla.
Ecco che davanti al giudice si riapre la vecchia questione del titolo del risarcimento. Infatti, nel tempo, si sono definiti due diversi orientamenti dei giudici sul tema della responsabilità civile della pubblica amministrazione: per alcuni la responsabilità deriva dalla cattiva vigilanza sui beni di proprietà (le strade, appunto) per cui si configurerebbe una classica "responsabilità per i danni cagionati dalle cose in custodia" con la conseguente applicabilità dell’art. 2051 del codice civile; con il ricorso a tale norma non è d’accordo però la giurisprudenza prevalente, secondo la quale, invece, l’amministrazione pagherebbe solo quando non abbia osservato il generale principio del neminem laedere (non danneggiare gli altri), con la conseguente applicabilità dell’art. 2043 dello stesso codice. Il ricorso all’una invece che all’altra norma comporta notevoli conseguenze sul piano pratico. Applicandosi l’art. 2051, la pubblica amministrazione si troverebbe a pagare, tutte le volte che obbiettivamente si rilevi un difetto di manutenzione, salvo che provi che il danno è frutto di un caso fortuito. Qui, il danneggiato non deve provare l’esistenza di una "insidia", così come non ha l’onere di provare la condotta commissiva (es. l’ente ha aperto un cantiere stradale senza segnalarlo) od omissiva (non ha ripristinato un cartello) del custode, essendo sufficiente che provi l’evento danno ed il nesso di causalità con la cosa (Cass. 22 aprile 1998, n. 4070; Cass. 20 novembre 1998; n. 11749; Cass. 21 maggio 1996, n.
 4673). Nel nostro caso, dunque, basta che provi l’esistenza della macchia d’olio e l’avvenuto danno procurato dalla rovinosa caduta. Applicandosi l’art. 2043, invece è l’utente che deve portare la prova del danno subito, della sussistenza di un pericolo, ma anche dell’esistenza di un "insidia" o di un "trabocchetto" in cui è caduto nonostante la propria attenzione e diligenza. Ecco il punto: l’insidia, ovvero il pericolo improvviso ed inaspettato; il trabocchetto, cioè il pericolo nascosto.



Ora, il giudice di Monza ha preferito imboccare la prima delle due strade: quella che conduce ad esaminare la responsabilità dell’amministrazione in quanto custode dei beni pubblici di sua proprietà o pertinenza, ai sensi dell’art. 2051 del codice civile. Messa così, per i coniugi poteva sembrare cosa fatta: la macchia c’era, come aveva potuto constatare anche la polizia locale intervenuta; il danno alla moto era evidente; la caduta era avvenuta sotto gli occhi di testimoni. Più di così! Invece, la questione è ben più complicata, almeno da quando la Cassazione (Sent. 19 luglio 2005, n. 15224) ha ricordato che un altro fattore è determinante, quando si parla di responsabilità dell’amministrazione per cattiva manutenzione o vigilanza sulla cosa in custodia: quello dell’estensione dei beni. Sostenere cioè, che la pubblica amministrazione - nell’esercizio dell’obbligo di custodia dei propri beni - debba conoscere e vigilare, palmo, palmo, le proprie strade per colmare buche e raddrizzare cartelli, ripulire macchie sull’asfalto, anche nei posti più ameni, rappresenta una pretesa eccessiva.
Per questo la Cassazione rifiuta l’idea che una norma come quella dell’art. 2051 (risarcimento del danno cagionato da cosa in custodia) possa applicarsi anche a quei beni che, seppure demaniali, per vasta estensione e soprattutto per la fruibilità e l’uso indiscriminato da parte dei cittadini utenti non sono effettivamente controllabili (Cass. 27 dicembre 1995, n. 13114; Corte Cost. 10 maggio 1999, n.156). Così, in qualche caso il risarcimento è stato riconosciuto, ma solo quando l’utente ha dimostrato di essere rimasto vittima di un pericolo non apprezzabile attraverso le normali cautele di chi circola. Volendone trarre un criterio generale, il comune, la provincia, l’Anas, non devono tradire quel ragionevole affidamento che chi guida fa sull’apparente regolarità della strada: di qui l’obbligo di eliminare per tempo o almeno segnalare tutte quelle anomalie che si rivelerebbero una brutta sorpresa per chi guida (Sent.
Pret. Eboli 11.12.1989 - sent. Pret. Eboli 23.4.90). E non basta, poiché l’utente danneggiato deve per parte sua dimostrare aver circolato ad occhi aperti, evitando le più evidenti irregolarità del percorso. Può chiedere di essere risarcito, dunque, chi ha trovato l’asfalto particolarmente sdrucciolevole ed ha sbandato nonostante il rispetto dei limiti di velocità; chi ha incontrato profonde buche non segnalate, magari dopo una curva o passando dalla salita al pendio (Cass. sent. 16.5.1989); chi è rimasto vittima del cedimento del manto bituminoso stradale; chi ha slittato su un lastrone di ghiaccio presente da settimane e settimane e non rimosso dai cantonieri della strada (sent. Pretore Macerata 28.5.1992). Non ogni pericolo, quindi, può essere considerato insidia: questa si configura solo dalla combinazione dell’elemento obiettivo della non visibilità con quello soggettivo della non prevedibilità. E’ stata risarcita una signora che camminando sul vialetto del cimitero comunale di Milano è inciampata in un tombino appena sporgente (Sent. Corte app. Milano 28.10.1980).
Emblematico, per capire il concetto di trabocchetto, un vecchio caso oggetto di decisione da parte dei giudici di Brescia (Sent. Corte app. Brescia 11.5.1971): cade copiosa la neve nella zona montuosa, le strade sono strette e tortuose, arriva uno spazzaneve con una benna addirittura più larga della carreggiata stessa. Raschiando il fondo stradale la benna crea una larga pista imbiancata. L’impressione è che la strada si sia allargata, ma in realtà la neve nei fossi laterali è stata spianata dando la visione di un’unica larga carreggiata virtuale. La prima auto che arriva allargando la curva si trova con le ruote nel fosso e rotola: l’autista è caduto nel trabocchetto creato dallo spazzaneve. Credeva di viaggiare sull’asfalto ed invece sotto c’era il fosso occultato dal leggero strato di neve depositato dal mezzo di soccorso. Del resto, come ricorda ora il giudice di pace di Monza, se si ragiona in termini di responsabilità per la custodia, non ogni insidia
Incidenti per macchia d’olio può essere attribuita alla colpa dell’ente. La macchia d’olio potrebbe essere colata da un veicolo appena transitato, né risulta che la sua presenza fosse stata fatta notare agli organi di vigilanza.

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Certo, nel caso in cui i cantonieri o la polizia locale fossero stati portati a conoscenza dell’anomalia, sarebbe stato colpevole non provvedere. Ma dal momento che la rete di strade comunali è lunga, che l’estensione del patrimonio è enorme e le concrete possibilità di monitorarle, centimetro per centimetro, sono pari ad un’idea ipervirtuale, non si può muovere alcun rilievo al comune. Pur ammettendo la applicabilità della norma di cui all’art. 2051 cod. civ., il giudice distinguerà, caso per caso tenendo conto, come ha indicato la Suprema Corte nelle sentenze n.12219/03 e 11446/03, dell’ estensione della rete stradale, delle dotazioni, dei sistemi di assistenza che la connotano, degli strumenti che il progresso tecnologico appresta e che, in larga misura, condizionano anche le aspettative della generalità degli utenti, oltre che … distinguere le situazioni di pericolo immanentemente connesse alla struttura ed alle pertinenze della strada”. Dovrà tener conto se uso generalizzato e dell’estensione della strada siano tali da incidere sulla responsabilità del custode”. Dovrà rilevare le insidie provocate dagli stessi utenti, ovvero da una repentina e non specificamente prevedibile alterazione dello stato della cosa, che pongano a repentaglio l’incolumità degli utenti e l’integrità del loro patrimonio, per le quali “…dovrà configurarsi il caso fortuito tutte le volte che l’evento dannoso presenti i caratteri dell’imprevedibilità e della inevitabilità". In concreto, dunque, nel caso dei coniugi di Monza, la macchia d’olio sul manto stradale, complice dello scivolone non può che essere stata lasciata da un veicolo che precedeva la moto e nulla poteva fare la pubblica amministrazione pur mettendo in campo tutte le risorse per vigilare. Non prendetevela col custode se scivolate sulla proverbiale buccia di banana: un pizzico di sfortuna può capitare ma non per questo il Comune deve pagare.

*Funzionario della Polizia di Stato
  

© asaps.it

di Ugo Terracciano

da "il Centauro" n.105
Lunedì, 18 Settembre 2006
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