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Articoli 26/09/2006

Il punto della situazione nel panorama europeo

La Francia vieta quelli in acciaio: dal 2007 solo quelli che rispetteranno la rigorosa omologazione potranno essere ancora utilizzati

 

“…È una vita che cerco una macchina che mi dia quella sensazione… potente come un gorilla e morbida come una palla antistress…”

Homer Simpson


La Francia, la cui vocazione alla sicurezza stradale cresce ogni giorno di più, vieterà l’uso di bullbar che non siano debitamente omologati,  a partire dal 25 maggio 2007.

Una regolamentazione durissima, che si manifesta come un divieto assoluto, per la quale è annunciata la tolleranza zero.

La prima fase dell’operazione riguarderà il mercato del nuovo e degli accessori, nel senso che nessuno di questi “paravacca” potrà essere montato di serie su veicoli nuovi, e nessun esercizio commerciale potrà venderli a parte (come accessori), a meno che non si tratti di componenti omologati, corrispondenti cioè a caratteristiche di assorbimento degli urti e di deformabilità tali da diminuire (e non aumentare) i rischi per chi venga colpito da certi accessori durante la circolazione.

Per rendere più facile il compito delle forze di polizia, i bullbar dovranno recare una sigla, nella quale ci saranno tutti gli estremi dell’omologazione, che dovrà corrispondere non solo alle caratteristiche di “morbidità” previste dal governo, ma anche al singolo modello di veicolo per il quale l’accessorio è stato costruito.

La scritta “CE” documenterà la corrispondenza alle norme europee già in vigore, ed entro pochi mesi dovrebbe essere stabilito anche il criterio con il quale il provvedimento diventerà retroattivo, costringendo tutti coloro che un bullbar già ce l’hanno, ad adeguarsi alla normativa: chi sgarra, sembra che subirà la confisca del veicolo.

In Italia, per il momento, si resta ai disposti del codice della strada, essendo il paravacca un dispositivo che altera le caratteristiche costruttive del veicolo (modificandone la sagoma). L’ostacolo può essere facilmente superato facendo superare al bull bar la revisione tecnica, esibendo al tecnico della Motorizzazione Civile un certificato di conformità e facendosi aggiornare la carta di circolazione ex articolo 78.

In altri casi il problema non si pone perché a prevedere il bullbar sono direttamente le case costruttrici, che inseriscono il dispositivo all’origine, anche se molte aziende hanno smesso di metterli in dotazione sin dal 2002, riconoscendo la pericolosità di tali accessori. Una delle prime a prendere tale decisione è stata la Land Rover, che accertò a suo tempo l’interferenza tra il bull bar in acciaio ed il corretto funzionamento dell’airbag, ma è doveroso aggiungere che anche le aziende orientali si sono presto adeguate.

Ciò che interessa a noi, però è la sicurezza passiva, ed in questo è necessario fare una precisazione.

I paravacca, tecnicamente definiti “paraurti tubolari rigidi”, ed ai quali ci riferiamo in questa sede, sono nati in Australia, dove il traffico si è dovuto misurare sin dalla sua origine con il rischio altissimo di investimento d’animali di grossa taglia: canguri, cavalli, emu e perfino cammelli.

Secondo una logica che solo la sociologia della moda può spiegare, questi dispositivi sono diventati un semplice ornamento per il veicolo, senza alcuna utilità effettiva: nessuna zona europea può essere infatti paragonata all’Outback australiano, anche se investire un animale (anche di grossa taglia) è tutt’altro che raro.

Anche in questo caso è opportuno fare una precisazione: i paravacca possono costituire una valida protezione, in caso di impatto contro un animale, ma a velocità comunque ridotta. L’origine australiana del dispositivo, del resto ne è una conferma. Le strade dell’Outback, infatti, sono in larga parte in terra battuta (comunque tali da non consentire velocità elevate) e dal tramonto all’alba sono addirittura off-limits per le auto a noleggio.

La pericolosità è data dal fatto che il 96% del territorio australiano non è coperto da reti telefoniche radiomobile e la possibilità di investire un animale anche a 40 orari è elevatissima. Un canguro od un cammello (quest’ultimo prolificatosi in maniera spaventosa dal periodo delle esplorazioni, quando interi branchi venivano rimessi in libertà al termine di ogni singola spedizione) è praticamente invisibile fino a quando non te lo trovi addosso: il suo colore si confonde perfettamente con quello del “bush” circostante (letteralmente, cespuglio) e i danni sono sempre ingenti. Investirne uno a 70 all’ora, anche con il bull bar, comporta per forza farsi male: lo dicono le leggi della fisica e non certo noi.

In ogni caso, nelle regioni desertiche può essere importante non trovarsi bloccati a causa dei danni causati da un canguro, ma in Europa non esistono luoghi dove una tale condizione sia analoga.

La realtà è che il bull bar non è più associato – nell’immaginario collettivo – ad una questione di protezione del veicolo che lo monta, il fuoristrada: oggi è semmai un oggetto assolutamente inutile, e oggettivamente pericoloso, montato perlopiù sui veicoli SUV, gli Sport Utility Veichles, al solo scopo di abbellirli e renderli più aggressivi.

In molti casi si tratta infatti di tubi d’acciaio piegati ad arte, con cromature attraenti e con forme che aumentano la cattiveria del veicolo, un po’ come le corna di un ungulato. È insomma un oggetto maschio, sulla cui utilità noi non abbiamo dubbi: non serve proprio a niente.

Molte forze di polizia, australiane ed americane, lo usano come rostro, per speronare i veicoli in fuga, mentre in Italia veniva usato soprattutto dai contrabbandieri, per sfondare i blocchi di Polizia, Carabinieri e Finanza: le Fiamme Gialle, lo ricorderete, pagarono un inaccettabile tributo di sangue nel cercare di contrastare l’illegalità.

La questione è invece diversa per gli usi in fuoristrada, condizioni nelle quali il bullbar protegge la parte anteriore del veicolo da impatti accidentali (non solo contro animali) e tutela l’integrità del verricello, montato come noto sulla parte sottostante il cofano motore e necessario a tirar fuori il veicolo issandolo sulla sommità di un ostacolo quando grip e trazione non bastano più.

Un pedone che venisse urtato, anche lievemente, dal verricello, riporterebbe lesioni gravi – perché localizzate in un solo punto – ed anche il tamponamento provocato dal veicolo che ne fa uso provocherebbe danni ben maggiori rispetto a quelli provocati da un impatto ben distribuito dal paraurti: per questo motivo non bisogna saper distinguere solo tra l’utilità vera e quella artificiosa, ma anche ai diversi tipi di bullbar.

Riconducendoci a questa filosofia, abbiamo poche speranze di convincere gli appassionati che il loro amore per un veicolo più abbellito può costare caro, soprattutto a pedoni, ciclisti e motociclisti: ben più forte, purtroppo, è l’egoismo per la loro passione, con l’alibi di avere maggior sicurezza a bordo del proprio SUV.

Suona tanto come l’adagio latino “mors tua vita mea”.

Per questo è necessario distinguere tra bull bar – e ci riferiamo a barre paraincastro o paravacca in acciaio o comunque in materiale rigido – e tra dispositivi di protezione frontale corrispondenti alle caratteristiche di sicurezza imposte dall’UE e, diciamolo, dal semplice buonsenso.

Secondo una stima del Parlamento Europeo, una diversa tipologia di impatto imposta con sistemi di protezioni diversi, eviterebbe 2mila morti in tutto il continente. Le varie risoluzioni ed i molti emendamenti che nel tempo hanno modificato la direttiva 70/156/CEE, sono stati tutti tesi – in un’iniziativa del maggio 2005 – a imporre sul mercato esclusivamente sistemi di protezione frontale in grado di diminuire lesioni e tipologia delle stesse nei confronti di pedoni e ciclisti, appunto.

La decisione francese ha però anticipato molti degli stati membri, che sembrano stagnare in una sorta di limbo nel quale i progressi tecnici e le esperienze acquisite nei crash test non riescono a convincere di quella che invece è una priorità assoluta.

Sono noti, del resto, gli effetti delle prove d’urto della coscia contro il sistema di protezione frontale di tipo “paraurti”, di quella della testa di un adulto contro il sistema di protezione frontale e le specifiche della prova d’urto della testa di un bambino contro lo stesso dispositivo.

Esistono, questo va detto, bullbar in materiale plastico – per la precisione di materia plastica alveolare – che hanno raggiunto elevati standard di sicurezza:

in Germania alcuni paravacca sono stati certificati dal TUV, dimostrando così di corrispondere in pieno alle caratteristiche richieste dall’UE, ma la realtà complessiva – senza scadere nell’integralismo – è purtroppo ben diversa.

Oltre alle conseguenze sul corpo umano,infatti, è stato accertato che i bull bar modificano le caratteristiche costruttive del veicolo sul quale viene montato, “disturbando” il funzionamento di dispositivi come l’airbag o le colonne di direzione pieghevoli, risultando fatale anche per chi – convinto di aumentare la propria sicurezza oltre che l’estetica del veicolo – aveva deciso di dotarsene.

Il Transport Research Laboratory (TRL), che opera da tempo in Gran Bretagna e che è considerato nel mondo una delle strutture più progredite nel settore, ha confermato l’esistenza di alcuni paraurti “intelligenti”, progettati in modo da manifestare una certa flessibilità tale da proteggere i pedoni in caso di investimento da parte di veicoli che ne sono equipaggiati.

I sistemi rigidi, però, letteralmente “infrangibili” agli urti, devono la loro letalità alla stretta correlazione che c’è tra il materiale che li compone, quasi del tutto indeformabile, ed il design aggressivo, che fuoriesce dalla sagoma come un rostro e che quindi si pone come un rischio maggiore ed aggiuntivo rispetto alle caratteristiche del sistema frontale del veicolo di base (quello che esce dalla fabbrica).

Ma allora: bull bar sì o bullbar no?

La proposta del Parlamento Europeo sceglie la via più logica: sì, a patto che il dispositivo sia conforme alle più elementari norme di sicurezza e che corrisponda alle esigenze di diminuire il rischio, anziché aumentarlo. Tra le altre cose, Bruxelles auspica che tutti i singoli stati prevedano norme più severe anche in sede di revisione periodica, impedendo di fatto la circolazione ai veicoli che siano dotati di bull bar killer.

A dire la verità, anche le esigenze oggettive di dotarsi di un veicolo SUV sono praticamente inesistenti, a meno che non si abiti in zone realmente impervie: si consideri che un 4X4, senza adeguati pneumatici, non può affrontare nemmeno una strada innevata, figuriamoci un percorso in fuoristrada.

È più un fatto di moda, così dilagante da far dimenticare che per tali categorie di veicoli aumentano dimensioni, baricentro, spazi di frenata e la struttura è estremamente più rigida, con le conseguenze immaginabili in caso di impatti ad alta velocità.

Oltre alla Francia, che a parte il divieto di montare bull bar ha già stabilito una forte sovrattassa ai proprietari di SUV, ricordiamo che in Danimarca la dotazione di paravacca è assolutamente vietata (anche per i veicoli esteri), e perfino nel paese d’origine del dispositivo, l’Australia, entrare con un gippone in una città come Perth, Sidney o Melbourne può costare caro.

Abbiamo già scritto in passato, in precedenti articoli sull’argomento, quali sono le conseguenze dell’impatto di un bullbar sul corpo umano, e siccome immaginiamo che qualcuno avrà da dire la propria legittima opinione, ci permettiamo di ricordarlo ancora una volta.

L’impatto tra il corpo di un bambino ed un veicolo SUV dotato di Bullbar, a 20 km/h, produce per esempio le stesse conseguenze dell’investimento da parte di un’auto nomale alla velocità doppia (40 km/h) o di un SUV senza bullbar a 30 orari. Gli esempi, studiati fin dal 1995 dai professori Costanzo e De Angelis dell’Istituto di Clinica Ortopedica e Traumatologica dell’università “La Sapienza” di Roma, sono moltissimi, così come è ampia la letteratura che argomenta le loro ricerche.

Negli Stati Uniti per esempio, l’Insurance Institute for Highway Safety (IIHS) ha scoperto  che nel caso di scontri laterali tra un SUV e un’auto normale le possibilità di esiti mortali aumentano di 5 volte rispetto ad eventi infortunistici tra veicoli normali. Nel caso di scontro frontale, poi, l’altezza e la massa del SUV provocano la penetrazione completa nell’abitacolo dopo aver scavalcato in velocità – esattamente come succede per un carro armato – tutta la parte anteriore del veicolo antagonista. A noi non sembra giusto.


© asaps.it

di Lorenzo Borselli

Inchiesta Bull bar
Martedì, 26 Settembre 2006
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