“…È una vita che
cerco una macchina che mi dia quella sensazione… potente come un gorilla e
morbida come una palla antistress…”
Homer Simpson
La Francia, la cui vocazione alla sicurezza stradale cresce ogni
giorno di più, vieterà l’uso di bullbar che non siano debitamente omologati, a partire dal 25 maggio 2007.
Una regolamentazione durissima, che si manifesta come un
divieto assoluto, per la quale è annunciata la tolleranza zero.
La prima fase dell’operazione riguarderà il mercato del
nuovo e degli accessori, nel senso che nessuno di questi “paravacca” potrà
essere montato di serie su veicoli nuovi, e nessun esercizio commerciale potrà
venderli a parte (come accessori), a meno che non si tratti di componenti
omologati, corrispondenti cioè a caratteristiche di assorbimento degli urti e
di deformabilità tali da diminuire (e non aumentare) i rischi per chi venga
colpito da certi accessori durante la circolazione.
Per rendere più facile il compito delle forze di polizia,
i bullbar dovranno recare una sigla, nella quale ci saranno tutti gli estremi
dell’omologazione, che dovrà corrispondere non solo alle caratteristiche di “morbidità”
previste dal governo, ma anche al singolo modello di veicolo per il quale
l’accessorio è stato costruito.
La scritta “CE” documenterà la corrispondenza alle norme
europee già in vigore, ed entro pochi mesi dovrebbe essere stabilito anche il
criterio con il quale il provvedimento diventerà retroattivo, costringendo
tutti coloro che un bullbar già ce l’hanno, ad adeguarsi alla normativa: chi
sgarra, sembra che subirà la confisca del veicolo.
In Italia, per il momento, si resta ai disposti del codice
della strada, essendo il paravacca un dispositivo che altera le caratteristiche
costruttive del veicolo (modificandone la sagoma). L’ostacolo può essere facilmente
superato facendo superare al bull bar la revisione tecnica, esibendo al tecnico
della Motorizzazione Civile un certificato di conformità e facendosi aggiornare
la carta di circolazione ex articolo 78.
In altri casi il problema non si pone perché a prevedere
il bullbar sono direttamente le case costruttrici, che inseriscono il
dispositivo all’origine, anche se molte aziende hanno smesso di metterli in dotazione
sin dal 2002, riconoscendo la pericolosità di tali accessori. Una delle prime a
prendere tale decisione è stata la Land Rover, che accertò a suo tempo
l’interferenza tra il bull bar in acciaio ed il corretto funzionamento
dell’airbag, ma è doveroso aggiungere che anche le aziende orientali si sono
presto adeguate.
Ciò che interessa a noi, però è la sicurezza passiva, ed
in questo è necessario fare una precisazione.
I paravacca, tecnicamente definiti “paraurti tubolari
rigidi”, ed ai quali ci riferiamo in questa sede, sono nati in Australia, dove
il traffico si è dovuto misurare sin dalla sua origine con il rischio altissimo
di investimento d’animali di grossa taglia: canguri, cavalli, emu e perfino
cammelli.
Secondo una logica che solo la sociologia della moda può
spiegare, questi dispositivi sono diventati un semplice ornamento per il
veicolo, senza alcuna utilità effettiva: nessuna zona europea può essere
infatti paragonata all’Outback australiano, anche se investire un animale
(anche di grossa taglia) è tutt’altro che raro.
Anche in questo caso è opportuno fare una precisazione: i
paravacca possono costituire una valida protezione, in caso di impatto contro
un animale, ma a velocità comunque ridotta. L’origine australiana del
dispositivo, del resto ne è una conferma. Le strade dell’Outback, infatti, sono
in larga parte in terra battuta (comunque tali da non consentire velocità
elevate) e dal tramonto all’alba sono addirittura off-limits per le auto a
noleggio.
La pericolosità è data dal fatto che il 96% del territorio
australiano non è coperto da reti telefoniche radiomobile e la possibilità di
investire un animale anche a 40 orari è elevatissima. Un canguro od un cammello
(quest’ultimo prolificatosi in maniera spaventosa dal periodo delle
esplorazioni, quando interi branchi venivano rimessi in libertà al termine di
ogni singola spedizione) è praticamente invisibile fino a quando non te lo
trovi addosso: il suo colore si confonde perfettamente con quello del “bush”
circostante (letteralmente, cespuglio)
e i danni sono sempre ingenti. Investirne uno a 70 all’ora, anche con il bull bar,
comporta per forza farsi male: lo dicono le leggi della fisica e non certo noi.
In ogni caso, nelle regioni desertiche può essere
importante non trovarsi bloccati a causa dei danni causati da un canguro, ma in
Europa non esistono luoghi dove una tale condizione sia analoga.
La realtà è che il bull bar non è più associato –
nell’immaginario collettivo – ad una questione di protezione del veicolo che lo
monta, il fuoristrada: oggi è semmai un oggetto assolutamente inutile, e
oggettivamente pericoloso, montato perlopiù sui veicoli SUV, gli Sport Utility
Veichles, al solo scopo di abbellirli e renderli più aggressivi.
In molti casi si tratta infatti di tubi d’acciaio piegati
ad arte, con cromature attraenti e con forme che aumentano la cattiveria del
veicolo, un po’ come le corna di un ungulato. È insomma un oggetto maschio, sulla cui utilità noi non
abbiamo dubbi: non serve proprio a niente.
Molte forze di polizia, australiane ed americane, lo usano
come rostro, per speronare i veicoli in fuga, mentre in Italia veniva usato
soprattutto dai contrabbandieri, per sfondare i blocchi di Polizia, Carabinieri
e Finanza: le Fiamme Gialle, lo ricorderete, pagarono un inaccettabile tributo
di sangue nel cercare di contrastare l’illegalità.
La questione è invece diversa per gli usi in fuoristrada,
condizioni nelle quali il bullbar protegge la parte anteriore del veicolo da
impatti accidentali (non solo contro animali) e tutela l’integrità del
verricello, montato come noto sulla parte sottostante il cofano motore e
necessario a tirar fuori il veicolo issandolo sulla sommità di un ostacolo
quando grip e trazione non bastano più.
Un pedone che venisse urtato, anche lievemente, dal
verricello, riporterebbe lesioni gravi – perché localizzate in un solo punto – ed
anche il tamponamento provocato dal veicolo che ne fa uso provocherebbe danni
ben maggiori rispetto a quelli provocati da un impatto ben distribuito dal
paraurti: per questo motivo non bisogna saper distinguere solo tra l’utilità
vera e quella artificiosa, ma anche ai diversi tipi di bullbar.
Riconducendoci a questa filosofia, abbiamo poche speranze
di convincere gli appassionati che il loro amore per un veicolo più abbellito
può costare caro, soprattutto a pedoni, ciclisti e motociclisti: ben più forte,
purtroppo, è l’egoismo per la loro passione, con l’alibi di avere maggior
sicurezza a bordo del proprio SUV.
Suona tanto come l’adagio latino “mors tua vita mea”.
Per questo è necessario distinguere tra bull bar – e ci
riferiamo a barre paraincastro o paravacca in acciaio o comunque in materiale
rigido – e tra dispositivi di protezione frontale corrispondenti alle
caratteristiche di sicurezza imposte dall’UE e, diciamolo, dal semplice
buonsenso.
Secondo una stima del Parlamento Europeo, una diversa
tipologia di impatto imposta con sistemi di protezioni diversi, eviterebbe
2mila morti in tutto il continente. Le varie risoluzioni ed i molti emendamenti
che nel tempo hanno modificato la direttiva 70/156/CEE, sono stati tutti tesi – in un’iniziativa del maggio 2005 – a
imporre sul mercato esclusivamente sistemi di protezione frontale in grado di
diminuire lesioni e tipologia delle stesse nei confronti di pedoni e ciclisti,
appunto.
La decisione francese ha però anticipato molti degli stati
membri, che sembrano stagnare in una sorta di limbo nel quale i progressi
tecnici e le esperienze acquisite nei crash test non riescono a convincere di
quella che invece è una priorità assoluta.
Sono noti, del resto, gli effetti delle prove d’urto della
coscia contro il sistema di protezione frontale di tipo “paraurti”, di quella
della testa di un adulto contro il sistema di protezione frontale e le
specifiche della prova d’urto della testa di un bambino contro lo stesso
dispositivo.
Esistono, questo va detto, bullbar in materiale plastico –
per la precisione di materia plastica alveolare – che hanno raggiunto elevati
standard di sicurezza:
in Germania alcuni paravacca sono stati certificati dal
TUV, dimostrando così di corrispondere in pieno alle caratteristiche richieste
dall’UE, ma la realtà complessiva – senza scadere nell’integralismo – è
purtroppo ben diversa.
Oltre alle conseguenze sul corpo umano,infatti, è stato
accertato che i bull bar modificano le caratteristiche costruttive del veicolo
sul quale viene montato, “disturbando” il funzionamento di dispositivi come
l’airbag o le colonne di direzione pieghevoli, risultando fatale anche per chi
– convinto di aumentare la propria sicurezza oltre che l’estetica del veicolo –
aveva deciso di dotarsene.
Il Transport Research Laboratory (TRL), che opera da tempo
in Gran Bretagna e che è considerato nel mondo una delle strutture più
progredite nel settore, ha confermato l’esistenza di alcuni paraurti “intelligenti”,
progettati in modo da manifestare una certa flessibilità tale da proteggere i
pedoni in caso di investimento da parte di veicoli che ne sono equipaggiati.
I sistemi rigidi, però, letteralmente “infrangibili” agli
urti, devono la loro letalità alla stretta correlazione che c’è tra il
materiale che li compone, quasi del tutto indeformabile, ed il design aggressivo, che fuoriesce dalla sagoma
come un rostro e che quindi si pone come un rischio maggiore ed aggiuntivo
rispetto alle caratteristiche del sistema frontale del veicolo di base (quello
che esce dalla fabbrica).
Ma allora: bull bar sì o bullbar no?
La proposta del Parlamento Europeo sceglie la via più
logica: sì, a patto che il dispositivo sia conforme alle più elementari norme
di sicurezza e che corrisponda alle esigenze di diminuire il rischio, anziché
aumentarlo. Tra le altre cose, Bruxelles auspica che tutti i singoli stati
prevedano norme più severe anche in sede di revisione periodica, impedendo di
fatto la circolazione ai veicoli che siano dotati di bull bar killer.
A dire la verità, anche le esigenze oggettive di dotarsi
di un veicolo SUV sono praticamente inesistenti, a meno che non si abiti in
zone realmente impervie: si consideri che un 4X4, senza adeguati pneumatici,
non può affrontare nemmeno una strada innevata, figuriamoci un percorso in
fuoristrada.
È più un fatto di moda, così dilagante da far dimenticare
che per tali categorie di veicoli aumentano dimensioni, baricentro, spazi di
frenata e la struttura è estremamente più rigida, con le conseguenze
immaginabili in caso di impatti ad alta velocità.
Oltre alla Francia, che a parte il divieto di montare bull
bar ha già stabilito una forte sovrattassa ai proprietari di SUV, ricordiamo
che in Danimarca la dotazione di paravacca è assolutamente vietata (anche per i
veicoli esteri), e perfino nel paese d’origine del dispositivo, l’Australia,
entrare con un gippone in una città come Perth, Sidney o Melbourne può costare
caro.
Abbiamo già scritto in passato, in precedenti articoli
sull’argomento, quali sono le conseguenze dell’impatto di un bullbar sul corpo
umano, e siccome immaginiamo che qualcuno avrà da dire la propria legittima
opinione, ci permettiamo di ricordarlo ancora una volta.
L’impatto tra il corpo di un bambino ed un veicolo SUV
dotato di Bullbar, a 20 km/h,
produce per esempio le stesse conseguenze dell’investimento da parte di un’auto
nomale alla velocità doppia (40
km/h) o di un SUV senza bullbar a 30 orari. Gli esempi,
studiati fin dal 1995 dai professori Costanzo e De Angelis dell’Istituto di Clinica Ortopedica e Traumatologica
dell’università “La Sapienza”
di Roma, sono moltissimi, così come è ampia la letteratura che argomenta le
loro ricerche.
Negli
Stati Uniti per esempio, l’Insurance Institute for Highway Safety (IIHS) ha scoperto che nel caso di scontri laterali tra un SUV e
un’auto normale le possibilità di esiti mortali aumentano di 5 volte rispetto
ad eventi infortunistici tra veicoli normali. Nel caso di scontro frontale,
poi, l’altezza e la massa del SUV provocano la penetrazione completa
nell’abitacolo dopo aver scavalcato in velocità – esattamente come succede per
un carro armato – tutta la parte anteriore del veicolo antagonista. A noi non
sembra giusto.
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