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Consiglio di Stato 26/09/2006

Il Consiglio di Stato investe la Consulta della decisione: a chi compete giudicare sul fermo amministrativo tributario (ganasce fiscali)?

(Consiglio di Stato, sez. VI, 18 luglio 2006, n. 4581)
Diversi e contrastanti i pareri espressi sul tema da distinti organi giurisdizionali

(Asaps) Non si esauriscono i diversi pareri circa la competenza a giudicare avverso il ricorso al fermo amministrativo tributario (cosiddetto ganasce fiscali).
Per la Sesta sezione del Consiglio di Stato, la competenza sembrerebbe del giudice amministrativo e non del giudice ordinario, diversamente da quanto opinato dalle sezioni IV e V dello stesso consesso ed anche da alcune recenti pronunce della Corte di cassazione.“Sembra al Collegio che in tema di fermo, non dettando il d.P.R. n. 602/1973 specifiche disposizioni in tema di giurisdizione, la questione vada risolta secondo l’ordinario criterio di riparto diritti soggettivi–interessi legittimi.
Giova considerare che, di fronte a provvedimenti amministrativi autoritativi, il giudice naturale è quello amministrativo (art. 103, Cost.), a meno che non vi siano norme derogatorie espresse. Ed, invero, al giudice ordinario non è attribuito, di regola, il potere di conoscere in via immediata e diretta della legittimità dei provvedimenti amministrativi, salvo il potere di disapplicarli (artt. 4 e 5, legge 20 marzo1865 n. 2248, all. E). Nel caso specifico, nessuna norma del d.P.R. n. 602/1973 indica quale giudice debba occuparsi del fermo amministrativo. Ne consegue, nel silenzio del legislatore, che la giurisdizione sembra da attribuire al giudice amministrativo”.

Per questa ragione, i giudici di Palazzo Spada hanno sollevato questione di legittimità costituzionale, in relazione agli artt. 3,16, 41 e 42, Cost., degli articoli 49, 57, 86, d.P.R. n. 602/1973, e degli articoli 2 e 19, d.lgs. n. 546/1992, se interpretati, secondo il diritto vivente quale risulta dalla giurisprudenza, nel senso di attribuire al giudice ordinario la giurisdizione sulle controversie in materia di fermo tributario di veicoli, perché non attribuiscono alla giurisdizione del giudice ordinario un sindacato pieno sul provvedimento, anziché essere interpretati nel senso di attribuire la giurisdizione al giudice amministrativo.(Asaps)

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REPUBBLICA ITALIANA 
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente


DECISIONE

sul ricorso in appello n. 5839/2003, proposto dalla:

- SESIT Puglia S.p.a., in persona del legale rappresentante in carica rappresentata e difesa dall’avv. Antonio Damascelli e domiciliata per legge presso l’avv. Del Pozzo Vincenzo in via L. Arbib Pascucci n. 66, Roma;

c o n t r o

- l’Azienda agraria BADESSA, di Nicola Enrico DIDONNA & C., in persona del legale rappresentante in carica, non costituita in giudizio;

per l’annullamento e/o la riforma

della sentenza semplificata del T.a.r. Puglia, Bari, sezione I, n. 1764/2003, resa inter partes e concernente il fermo giudiziario di autoveicolo per inadempimento fiscale.

Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;

Vista la memoria illustrativa dell’appellante;

Visti gli atti tutti della causa;

Relatore, alla pubblica udienza del 31 gennaio 2006 ed ancora, per il riesame, alla camera di consiglio del 4 luglio 2006, il Consigliere Aldo SCOLA;

Nessuno è presente per le parti; 

Ritenuto e considerato in fatto ed in diritto quanto segue:

FATTO

La società attuale appellante impugnava il provvedimento di fermo amministrativo del veicolo FIAT Palio Weekend tg. BNO93AK (di proprietà dell’azienda ricorrente in prime cure), disposto per iniziativa della SESIT il 3 marzo 2003, mediante iscrizione nel P.R.A. di BARI (ed atti connessi), deducendo censure di:

1) violazione dell’art. 86, comma 4, d.P.R. n. 602/1973; carenza ed eccesso di potere per ingiustizia manifesta, malgoverno e sviamento; incostituzionalità del cit. art. 86 (modif. d.lgs. n. 193/2001) per contrasto con gli artt. 24 e 76, Cost., in assenza del regolamento di cui al ripetuto art. 86, comma 4;

2) violazione dell’art. 7, legge n. 212/2000, e dell’art. 3, legge n. 241/1990, per difetto di motivazione; eccesso di potere per malgoverno e sviamento per omessa indicazione del temine per ricorrere e del giudice competente;

3) violazione dell’art. 62, d.P.R. n. 602/1973, rifer. art. 514, c.p.c., ed art. 2759, c.c., trattandosi di veicolo aziendale impignorabile, in quanto destinato ad attività lavorativa;

4) violazione dell’art. 3, comma 4, d.m. n. 503/1998, no essendosi rispetto il termine di 5 giorni dalla sua adozione per comunicarlo a chi di dovere.

La società intimata si costituiva in giudizio ed eccepiva il difetto di giurisdizione amministrativa e l’infondatezza del ricorso, che peraltro veniva accolto dai primi giudici con sentenza poi impugnata dall’attuale appellante per l’errata qualificazione del fermo di autovettura come provvedimento amministrativo; l’erroneità dell’impugnata pronuncia, che avrebbe dovuto invece declinare la giurisdizione; infine, per l’ingiusta condanna alle spese processuali subìta in primo grado.  

All’esito della pubblica udienza di discussione la vertenza passava in decisione, dopo che l’appellante aveva depositato una memoria difensiva richiamante, in particolare, uno specifico precedente recentissimo di questo Consiglio di Stato (cfr. Sezione V, dec. n. 4689/2005). 

DIRITTO

1. Osserva il Collegio che la questione della giurisdizione in relazione al fermo di veicoli (c.d. ganasce fiscali) previsto dall’art. 86, d.P.R. n. 603 del 1973 ha formato oggetto di contrastanti pronunce da parte dei T.a.r. ed è stata di recente oggetto di esame da parte della IV e della V sezione del Consiglio di Stato, che hanno ritenuto non sussistere la giurisdizione di questo Consesso.

Anche la Corte di cassazione, con pronuncia resa in sede di regolamento di giurisdizione e pubblicata dopo la prima camera di consiglio relativa al presente giudizio, ha ritenuto sussistere la giurisdizione del giudice ordinario (Cass. civ., sez. un., 31 gennaio 2006 n. 2053).

Questo collegio dovrebbe, pertanto, adeguarsi a tale orientamento, e, per l’effetto, declinare la propria giurisdizione ed annullare senza rinvio la sentenza impugnata.

Ritiene, tuttavia, il collegio che il diritto vivente, desumibile dalle citate pronunce, dia luogo a seri dubbi di legittimità costituzionale, che appaiono non manifestamente infondati.

2. La controversia investe il fermo di un veicolo disposto da una concessionaria della riscossione di entrate tributarie, a norma dell’art. 86, d.P.R. 29 settembre 1973 n. 602, nel testo introdotto dal d.lgs. 27 aprile 2001 n. 193.

Giova ricordare che l’istituto del fermo era stato inserito dall’art. 5, d.l. 31 dicembre 1996 n. 669, nel testo del d.P.R. n. 602/1973, con l’art. 91-bis, d.P.R. medesimo, per i veicoli a motore ed alcune categorie di autoscafi, attribuendosene la competenza a disporlo alla Direzione regionale delle imposte sui redditi, allorché il concessionario avesse dimostrato l’impossibilità di eseguire il pignoramento per mancato reperimento del bene.

Con la riforma del d.P.R. n. 602/1973, disposta dal d.lgs. 26 febbraio 1999 n. 46, il fermo veniva spostato nell’art. 86, ed esteso alla generalità dei beni mobili registrati, ma conservava l’originaria connotazione di strumento inteso alla conservazione del bene per la soddisfazione del credito tributario, affidato alla determinazione dell’ufficio finanziario regionale, allorché l’esecuzione forzata non fosse stata possibile, per mancato reperimento del bene.

Sempre con la novella del 1999 il fermo veniva inserito, sistematicamente, negli atti della riscossione (titolo II) e, specificamente, nel capo III, espressamente intitolato “Disposizioni particolari in materia di espropriazione di beni mobili registrati”, in immediata successione al capo intitolato “Espropriazione forzata” (capo II), nella cui sezione I sono contenute le disposizioni generali in tema di riscossione coattiva, fra cui quelle dettate dall’art. 50 (termine per l’inizio dell’esecuzione).

La disciplina introdotta nel 1999 (con l’attribuire la competenza a disporre il fermo alla Direzione regionale delle entrate ed il condizionarne l’esperimento al mancato reperimento del bene da pignorare) lasciava l’iniziativa del fermo all’amministrazione titolare del diritto di credito, ed al concessionario la sua esecuzione, mediante l’iscrizione nel pubblico registro, dopo di che il concessionario non era esonerato dal perseguire il bene attraverso la procedura di pignoramento, con le conseguenti responsabilità.

Ciò rallentava in maniera sensibile il procedimento di riscossione coattiva, accentuando l’aleatorietà del recupero.

Con il d.lgs. 27 aprile 2001 n. 193 è stata prevista l’attribuzione diretta, al concessionario, della potestà di disporre la misura conservativa, con il solo limite del decorso del termine stabilito dall’art. 50, comma 1, d.P.R. n. 602/1973 (vale a dire il termine per l’inizio del procedimento esecutivo) e salve, in ogni caso, le dilazioni o le sospensioni di pagamento accordate.

Tale novella si inserisce nel quadro delle misure di semplificazione ed accelerazione delle procedure, che il legislatore nazionale ha, nella più recente produzione normativa, delegato al Governo, in questa come in altre materie.

Il testo dell’art. 86, d.P.R. n. 602/1973, nel testo introdotto nel 2001, demanda ad un futuro regolamento la disciplina attuativa: «con decreto del Ministro delle finanze, di concerto con i Ministri dell’interno e dei lavori pubblici, sono stabiliti le modalità, i termini e le procedure per l’attuazione di quanto previsto nel presente articolo», recita l’art. 86, comma 4.

E’ sorta questione se, nelle more dell’emanazione di tale regolamento, che ancora non è stato varato, fosse o meno applicabile il regolamento esistente (d.m. 7 settembre 1998 n. 503), emanato in attuazione della disciplina precedente che, come visto, attribuiva all’amministrazione finanziaria, e non direttamente al concessionario, il potere di disporre il fermo.

La questione aveva avuto contrastanti interpretazioni in giurisprudenza, ma la tesi prevalente era stata quella dell’inapplicabilità della nuova disciplina, non essendo ad essa adattabile il regolamento esistente.

L’amministrazione finanziaria che, con circolari dell’Agenzia delle entrate aveva ritenuto applicabile il regolamento del 1998 anche nel vigore della nuova disciplina (circolare 24 novembre 1999 n. 221 e risoluzione 1° marzo 2002 n. 64), si era adeguata interlocutoriamente al prevalente orientamento giurisprudenziale e, con risoluzione 22 luglio 2004 n. 92, aveva invitato i concessionari della riscossione ad astenersi temporaneamente dal disporre fermi.

Infine, è intervenuto l’art. 3, comma 41, d.l. 30 settembre 2005 n. 203, conv. nella legge 2 dicembre 2005 n. 248, che detta una norma di interpretazione autentica dell’art. 86, d.P.R. n. 602/1973, e stabilisce che le disposizioni del citato art. 86 si interpretano nel senso che, fino all’emanazione del decreto previsto dal comma 4 dello stesso articolo, il fermo può essere eseguito dal concessionario sui veicoli a motore, nel rispetto delle disposizioni relative al d.m. 7 settembre 1998 n. 503 del Ministro delle finanze.

L’Agenzia delle entrate ha adottato la risoluzione 9 gennaio 2006 n. 2/E, con cui viene revocata la precedente risoluzione n. 92/2004, e si consente ai concessionari della riscossione di procedere in via diretta al fermo, a condizione che l’iscrizione di fermo «sia preceduta da un preavviso, contenente ulteriore invito a pagare le somme dovute, esclusivamente presso gli sportelli della competente azienda concessionaria, entro i successivi venti giorni, decorsi i quali, il preavviso stesso assumerà il valore di comunicazione di iscrizione di fermo».

3. Occorre anzitutto riportare, sinteticamente, gli argomenti addotti dalla V sezione del Consiglio di Stato (V, 13 settembre 2005 n. 4689), seguita dalla IV sezione con decisioni in forma semplificata (deliberate all’udienza del 13 gennaio 2006 ed in corso di pubblicazione), per negare la giurisdizione del giudice amministrativo.

4. Secondo la V sezione la disciplina del fermo recata dall’art. 86, d.P.R. n. 602/1973 non attribuirebbe al concessionario poteri di natura amministrativo-tributaria, propri dell’amministrazione, bensì si muoverebbe nella logica (propria del diritto comune) dell’attribuzione (al creditore) di strumenti idonei a ricercare e conservare i cespiti del patrimonio del debitore idonei a garantire, in sede esecutiva, la soddisfazione del credito, sia pure con le peculiarità connesse al titolo per il quale si procede alla riscossione coattiva.

Pertanto, sempre secondo la V sezione, sia prima, sia successivamente alla riforma del 2001, il fermo dei beni mobili registrati assolverebbe ad una funzione di conservazione del cespite patrimoniale del debitore, in vista dell’espropriazione forzata protesa alla realizzazione del credito tributario, per molti versi assimilabile (con le peculiarità dovute alla natura del bene) all’iscrizione ipotecaria sui beni immobili prevista dall’art. 77 dello stesso decreto.

Dalla collocazione sistematica e dal testo della norma che lo prevede (nella formulazione attuale ed in quelle precedenti) si evincerebbe che lo strumento, pur non ponendosi ancora nella fase della esecuzione, o degli atti esecutivi, costituisce un mezzo cautelativo ed anticipatorio degli effetti espropriativi dell’esecuzione, che sottrae il bene innanzitutto all’uso al quale è destinato (e da cui potrebbero derivare conseguenze dirette sulla idoneità a soddisfare, con l’esecuzione, la realizzazione coattiva, totale o parziale, del credito) ed alla circolazione giuridica in danno del creditore. 

In tale contesto l’enunciato secondo cui, trascorso il termine previsto dal primo comma dell’art. 50 (sessanta giorni dalla notificazione della cartella di pagamento) il concessionario “può” disporre il fermo amministrativo del bene mobile registrato, conferirebbe, al soggetto responsabile della riscossione, non già un singolare potere autoritativo e discrezionale in vista degli interessi pubblici specifici affidati alla cura dell’amministrazione concedente, bensì una potestà che si colloca (concettualmente) nel quadro dei diritti potestativi del creditore (quale è quello di promuovere atti conservativi sul patrimonio del debitore in vista della esecuzione forzata) che trovano nel diritto comune la naturale collocazione e nel giudice ordinario quello naturale, in quanto la soggezione del debitore all’esercizio della potestà ha la sua fonte nel debito certo, liquido ed esigibile, che vincola il debitore alla sua estinzione (con i mezzi ordinari o con l’esecuzione forzata), e nel rapporto obbligatorio la sua intrinseca giustificazione.

La controversia relativa al fermo, sia nella fase della sua esecuzione che in quella della sua disposizione, della quale viene dato avviso al debitore, non riguarderebbe né il tributo per il quale si procede alla riscossione, né la materia del pubblico servizio anche nella più lata accezione assunta dal testo dell’art. 33, d.lgs. 31 marzo 1998 n. 80 (come sostituito dalla l. n. 205/2000 e prima dell’intervento demolitore della Corte costituzionale), ma si muoverebbe su di un binario del tutto differente, che ha nel giudice ordinario l’autorità giurisdizionale deputata a conoscere delle relative controversie (nel limite in cui le stesse non siano sottratte alla cognizione di alcun giudice) come specificato dall’art. 57, d.P.R. n. 602/1973 (che non ammette le opposizioni di cui all’art. 615, c.p.c., fatta eccezione per quelle relative alla pignorabilità dei beni).

Sempre nella logica di siffatta impostazione privatistica, è stato anche osservato (T.a.r. Campania, Napoli, sezione I, 16 settembre 2004 n. 12025) che l’esecuzione del fermo, affidata ora direttamente al concessionario, non costituisce altro che l’espressione dello jus eligendi (diritto di scelta) ordinariamente riconosciuto, nelle procedure esecutive, al creditore procedente tra i diversi mezzi di aggressione del patrimonio dell’esecutato o tra diversi beni passibili di esecuzione forzata; si tratta, dunque, di una facoltà di diritto comune destinata ad incidere nella sfera giuridica del debitore (che non vi si può sottrarre, se non con l’estinzione del debito), accostabili alle potestà amministrative, soltanto per il tratto comune della soggezione di chi è destinato a subirle, senza che, per questo, il potere esercitato esca dalla sfera delle relazioni intersoggettive per essere ricondotto ai rapporti governati dal diritto pubblico, la cui tutela appartiene alla cognizione del giudice amministrativo. 

La sezione V conclude pertanto nel senso che il fermo sarebbe atto funzionale alla esecuzione, che (pure con le connotazioni particolari derivanti dalla natura del rapporto obbligatorio, in forza del quale il debitore è tenuto al pagamento, e della legislazione speciale che lo prevede, accordando poteri extra ordinem al creditore ed allo stesso incaricato della riscossione) dovrebbe comunque essere inquadrato (per di più, nella sistemazione più corretta derivante dalla riforma del 2001, che ha opportunamente individuato nello stesso responsabile della riscossione il soggetto abilitato a disporlo) fra gli strumenti di conservazione dei cespiti patrimoniali sui quali può essere soddisfatto coattivamente il credito, che l’ordinamento ordinariamente appresta alla generalità dei creditori (in base alla scelta politica, di carattere generale e di diritto comune, di una tutela più incisiva degli interessi dei creditori, nel rapporto intersoggettivo debito-credito), così come prodromica all’esecuzione è la notificazione della cartella esattoriale che assolve, nel procedimento di riscossione, alla medesima funzione della notificazione del precetto di pagamento di diritto comune.

In tale quadro, la cognizione delle controversie ad esso relative si sottrarrebbe alla giurisdizione del giudice amministrativo, sia a quella costitutiva di legittimità (non essendovi provvedimento amministrativo lesivo di interessi legittimi del titolare del bene assoggettato) sia a quella esclusiva, eccezionalmente demandata a tale giudice.

Una certa propensione a ricondurre l’istituto nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, chiarissima in talune pronunce di primo grado del giudice amministrativo (T.a.r. Abruzzo, Pescara, 19 luglio 2004 n. 704; T.a.r. Puglia, Bari, sezione I, 6 maggio 2004 n. 2065, 16 aprile 2003 n. 1764, 8 aprile 2003 n. 1812, 3 aprile 2003 n. 1567; T.a.r. Puglia, Lecce, sezione I, 7 luglio 2004 n. 4880) e percepibile anche nell’ordinanza cautelare della sezione IV del Consiglio di Stato 13 luglio 2004 n. 3259 (che, invero, non contiene una motivazione espressa sul punto della giurisdizione) sarebbe, secondo la V sezione, ormai risolta, in radice, in senso contrario, dal ridimensionamento delle attribuzioni del giudice amministrativo, conseguente alla sentenza della Corte costituzionale 6 luglio 2004 n. 204, che ha significativamente modificato il testo dell’art. 33, d.lgs. 31 marzo 1998 n. 80 (come sostituito dalla l. n. 205/2000), dichiarandone, tra l’altro, illegittimo il primo comma, nella parte in cui prevede che sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo «tutte le controversie in materia di pubblici servizi, ivi compresi quelli» anziché «le controversie in materia di pubblici servizi relative a concessioni di pubblici servizi, escluse quelle concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi, ovvero relative a provvedimenti adottati dalla pubblica amministrazione o dal gestore di un pubblico servizio in un procedimento amministrativo disciplinato dalla legge 7 agosto 1990 n. 241, ovvero ancora relative all’affidamento di un pubblico servizio, ed alla vigilanza e controllo nei confronti del gestore».

Nel senso della giurisdizione del giudice ordinario si ricordano anche T.a.r. Emilia-Romagna, 25 novembre 2003 n. 2516; T.a.r. Calabria, 20 giugno 2003 n. 2110; T.a.r. Lombardia, 5 maggio 2003 n. 1140; T.a.r. Veneto, 30 gennaio 2003 n. 886), e la giurisprudenza di merito del giudice ordinario (Trib. Novara, 9 maggio 2003; Trib. Torino, 7 luglio 2004).

5. Ritiene tuttavia la sezione che vi siano fondati argomenti per affermare:

a) che il fermo di cui all’art. 86, d.P.R. n. 602/1973, sia un provvedimento amministrativo;

b) che su tale provvedimento vi sia la giurisdizione del giudice amministrativo, e non quella del giudice tributario, né quella del giudice ordinario.

6. In relazione alla prima affermazione, in sintesi, sembra corretto ricostruire il fermo come provvedimento amministrativo di autotutela conservativa del patrimonio del debitore tributario e non come strumento di autotutela civilistica in un ordinario rapporto di credito–debito.

Proprio la disamina del quadro normativo di riferimento induce il Collegio a tale conclusione.

7. Giova anzitutto osservare che il d.P.R. n. 602/1973, nel suo titolo II, disciplina la «riscossione coattiva» e, nel capo II di tale titolo, la «espropriazione forzata».

Tale collocazione sistematica, unitamente ad argomenti di carattere storico e sistematico, evidenzia che l’espropriazione forzata esattoriale ha connotati profondamente diversi dall’espropriazione forzata disciplinata nel codice di procedura civile: i due istituti, identici solo nel nome, sono diversi nella natura giuridica: il primo è un procedimento amministrativo, il secondo è un processo giurisdizionale.

Ed, invero, il c.d. patto commissorio, che consente al creditore di soddisfarsi in via di autotutela sul patrimonio del debitore, e dunque con una espropriazione forzata privatistica, è dall’ordinamento vietato per la generalità dei creditori (art. 2744, cod. civ.), in quanto la soddisfazione del credito in via di espropriazione forzata è affidata ad un vero e proprio processo, sotto il controllo di un giudice, il c.d. processo di esecuzione (libro III, cod. proc. civ.).

In questo l’ordinamento italiano ha seguito, sin dal codice civile del 1865, l’ordinamento francese che, con la l. 2 giugno 1841 n. 245 (codice di procedura civile), nel prevedere il processo esecutivo condotto da un giudice, vietò qualsiasi forma di esecuzione mediante autotutela privatistica ed, implicitamente, anche il c.d. patto commissorio.

Ma al divieto generalizzato di autotutela esecutiva si sottrae a tutt’oggi, almeno in parte, lo Stato per i crediti tributari: il d.P.R. n. 602/1973 disciplina l’espropriazione forzata nell’ambito della riscossione, sancendo che all’esecuzione esattoriale si applica il cod. proc. civ. solo se non derogato e nei limiti della compatibilità: si tratta, pertanto, di un procedimento amministrativo, con limitati momenti di processualizzazione.

Da una disamina del d.P.R. n. 602/1973 si evince che l’espropriazione forzata a soddisfacimento dei crediti tributari è connotata da molteplici profili di autotutela pubblica esecutiva, che sono il residuo di antichi privilegi del creditore, conservati solo allo Stato in ragione delle peculiarità del credito tributario.

In sintesi, l’espropriazione forzata di cui al d.P.R. n. 602/1973 è condotta dallo stesso concessionario della riscossione e dall’ufficiale della riscossione e l’intervento del giudice è molto più limitato e ristretto rispetto al processo di esecuzione delineato dal cod. proc. civ.

Precisamente:

- l’art. 49, d.P.R. n. 602/1973 avverte che all’espropriazione forzata si applica il cod. proc. civ. solo se non derogato e solo nei limiti della compatibilità;

- l’art. 49, comma 3, aggiunge che le funzioni spettanti all’ufficiale giudiziario nel processo di esecuzione, sono attribuite all’ufficiale della riscossione;

- la vendita dei beni pignorati è fatta a cura del concessionario della riscossione, senza necessità di autorizzazione del giudice (art. 52) ed il procedimento di vendita si svolge in maniera diversa rispetto a quanto prevede il cod. proc. civ..

- è fortemente limitata l’ammissibilità dei rimedi processualcivilistici dell’opposizione all’esecuzione e dell’opposizione agli atti esecutivi, di cui agli artt. 615 e 617, cod. proc. civ. (art. 57, d.P.R. n. 602/1973);

- è eccezionale la possibilità che il giudice sospenda l’esecuzione esattoriale (art. 60).

Da tale quadro si evince che l’espropriazione forzata del d.P.R. n. 602/1973 ha connotati peculiari, che l’avvicinano ai procedimenti amministrativi ablatori e dunque a strumenti di autotutela pubblicistica, più che al processo di esecuzione forzata.

Ed è in tale quadro che va collocato il fermo di cui all’art. 86, d.P.R. n. 602/1973, che è strumento di autotutela nell’ambito del procedimento amministrativo di riscossione coattiva e non rimedio cautelare nell’ambito del processo di esecuzione forzata.

8. Si deve, in secondo luogo, considerare che il giudizio civile non conosce, nell’ambito del processo di esecuzione forzata, strumenti di autotutela conservativa rimessi all’iniziativa unilaterale del creditore, il quale è invece sempre tenuto a rivolgersi al giudice per assicurarsi la conservazione dei beni del debitore a garanzia delle proprie ragioni di credito.

Viceversa, il d.P.R. n. 602/1973 ha attribuito, prima all’amministrazione tributaria e poi direttamente al concessionario della riscossione, un potere di autotutela conservativa a garanzia della riscossione del credito tributario, costituito dal fermo dei beni mobili registrati (in primis, veicoli a motore e autoscafi).

Invero, si tratta di strumento che sortisce l’effetto di impedire la circolazione del bene e di rendere inopponibili al creditore tributario gli atti di disposizione del bene (art. 5, d.m. 7 settembre 1998 n. 503).

Si tratta, dunque, di una misura che sortisce effetti analoghi ad un sequestro conservativo, con la peculiarità che viene disposta senza l’intervento di alcun giudice, ma in virtù di un atto dello stesso concessionario.

Si verifica, pertanto, una limitazione delle facoltà di godimento e di disposizione inerenti al diritto di proprietà, in virtù di un atto autoritativo unilaterale e, quindi, secondo una vicenda assimilabile ai provvedimenti amministrativi ablatori e, segnatamente, alle requisizioni.

9. Prima della novella del 2001 il fermo veniva chiesto dal concessionario della riscossione e disposto con un atto dell’amministrazione finanziaria, che veniva espressamente qualificato dal legislatore come «provvedimento», di cui il concessionario curava l’iscrizione nei pubblici registri (art. 4, d.m. n. 503/1998).

Anche la versione novellata dell’art. 86, d.P.R. n. 602/1973, nonostante attribuisca direttamente al concessionario della riscossione il potere di disporre il fermo, continua a parlare di un «provvedimento»di fermo, stabilendo che il fermo si esegue mediante iscrizione nei registri mobiliari «del provvedimento che lo dispone» (art. 86, comma 2).

Emerge dunque un dato letterale in equivoco, poiché l’espressione «provvedimento» è tipicamente impiegata, nel linguaggio normativo, per indicare gli atti autoritativi della pubblica amministrazione.

10.  Al dato letterale si aggiungono poi considerazioni sistematiche.

Mentre la generalità dei creditori non dispone di strumenti di autotutela esecutiva e conservativa, invece con l’art. 86, d.P.R. n. 602/1973 si attribuisce al creditore un potere particolarmente incisivo quanto alla sfera del debitore, che si giustifica solo in funzione del rilevante interesse pubblico connesso alla riscossione del credito tributario.

Non vi è pertanto un paritetico rapporto di credito–debito, riconducibile allo schema diritto soggettivo–giudice ordinario, ma un potere autoritativo unilaterale strumentale al soddisfacimento di un interesse pubblico, riconducibile allo schema interesse legittimo– giudice amministrativo.

11. Prima della novella del 2001, il potere di disporre il fermo era attribuito all’autorità amministrativa: l’attribuzione, ora, al concessionario della riscossione, risponde ad esigenze di celerità, ma non muta la natura dello strumento, che rimane un provvedimento autoritativo, attribuito al concessionario secondo lo schema dell’esercizio privato di pubbliche funzioni.

12. Va anche considerato che, mentre prima del 2001 il fermo era condizionato al mancato reperimento del bene da pignorare, nel testo vigente dell’art. 86 il fermo può essere disposto a prescindere dall’esito infruttuoso del pignoramento.

Ciò implica che il fermo può essere disposto con la sola condizione che sia inutilmente decorso il termine di sessanta giorni dalla notificazione della cartella di pagamento, ma è del tutto svincolato dall’inizio del procedimento di esecuzione forzata, inizio che, secondo la regola generale divisata dall’art. 491, c.p.c., è segnato dal pignoramento.

Sicché, mentre prima della novella del 2001 il fermo presupponeva, quanto meno, un tentativo di avvio del procedimento esecutivo (con ricerca dei beni da pignorare ed esito infruttuoso del pignoramento), nel testo vigente il fermo è svincolato dall’avvio del processo esecutivo, il che è indizio del suo carattere di misura di autotutela conservativa del patrimonio del debitore. 

13. Si deve, ancora, osservare che il comma 3 dell’art. 86 dispone che chiunque circola con veicoli, autoscafi o aeromobili sottoposti al fermo è soggetto alla sanzione prevista dall’art. 214, comma 8, d.lgs. 30 aprile 1992 n. 285.

Si tratta della sanzione amministrativa pecuniaria e di quella della confisca del veicolo, previste dal codice della strada in caso di circolazione di veicolo sottoposto a fermo amministrativo.

Dunque, sotto il profilo sanzionatorio, la violazione del fermo di cui all’art. 86 in commento viene normativamente equiparata alla violazione del fermo amministrativo.

Ora, sarebbe ben strano, se il fermo di cui all’art. 86 in commento fosse una misura di autotutela civilistica, che alla sua violazione non conseguissero sanzioni civili, bensì sanzioni amministrative.

14. Ancora, se si trattasse di atto di autotutela civilistica, l’adempimento da parte del debitore dovrebbe di per sé essere sufficiente a far venire meno gli effetti del fermo: la prova del pagamento dovrebbe consentire la cancellazione della iscrizione del fermo nei registri mobiliari. Invece, l’art. 6, d.m. n. 503/1998, stabilisce la inidoneità della sola prova del pagamento a consentire la cancellazione del fermo. Occorre, invece, che il concessionario comunichi l’avvenuto pagamento alla Direzione regionale delle entrate, che nei successivi venti giorni emette un provvedimento di revoca del fermo inviandolo al contribuente (nel nuovo assetto, compete al concessionario disporre la revoca del fermo). Solo dopo il provvedimento di revoca è possibile, per il debitore, conseguire la cancellazione della iscrizione del fermo, recandosi al p.r.a. ed esibendo il provvedimento di revoca.

Tale assetto denota che il fermo non è un atto materiale, ma un provvedimento amministrativo, che produce i suoi effetti finché non viene meno in virtù di un atto di revoca, tipico atto provvedimentale di ritiro, ed interviene quando mutino le circostanze di fatto o per sopravvenuti motivi di pubblico interesse ovvero nel caso di nuova valutazione dell’interesse pubblico originario (art. 21-quinquies, legge 7 agosto 1990 n. 241).

15. Più in generale, va osservato che il d.m. n. 503/1998 ha procedimentalizzato il fermo, inserendolo in un vero e proprio procedimento amministrativo (avviso di avvio del procedimento, adozione del provvedimento di fermo, revoca del provvedimento), sicché riesce difficile accogliere la prospettazione secondo cui il fermo rientra nel novero delle attività materiali di autotutela del creditore in un rapporto paritario di credito–debito.

In più, come si evince dall’ultima norma di interpretazione autentica dell’art. 86, d.P.R. n. 602/1973, e dalla conseguente risoluzione dell’Agenzia delle entrate n. 9/2006, è ora demandato ai concessionari della riscossione di adottare e revocare il provvedimento di fermo, utilizzando il procedimento di cui al d.m. n. 503/1998.

Sicché, i concessionari della riscossione, lungi dal potersi limitare a chiedere al p.r.a. la iscrizione e la cancellazione dell’iscrizione del fermo, devono seguire un vero e proprio procedimento amministrativo, con un tipico esercizio privato di poteri pubblicistici.

16. In conclusione, sembra corretto ritenere che il fermo di cui all’art. 86, d.P.R. n. 602/1973, sia un provvedimento amministrativo di autotutela, in funzione dell’interesse pubblico sotteso alla soddisfazione del credito tributario, attribuito al concessionario della riscossione che, per tale profilo, è esercente privato di una pubblica funzione. 

Si tratta di un provvedimento riconducibile allo schema degli atti ablatori; in quanto provvedimento amministrativo, discrezionale nell’an e nel quid, deve essere congruamente motivato, sia in rapporto alla sussistenza di un interesse pubblico, prevalente sull’interesse privato alla libera disponibilità del bene, sia in relazione alla proporzione tra l’entità del credito tributario da riscuotere ed il sacrificio che viene imposto al privato con la temporanea sottrazione dell’uso e della disponibilità giuridica del bene, secondo canoni di proporzionalità e di adeguatezza.

17. Una volta ricostruito il fermo di cui all’art. 86, citato, in termini di provvedimento amministrativo, occorre stabilire se la giurisdizione sulle relative controversie spetti al giudice amministrativo, ovvero a quello ordinario, ovvero a quello tributario.

18. Sembra anzitutto da escludere che sul fermo di cui all’art. 86, d.P.R. n. 602/1973, vi sia giurisdizione del giudice tributario.

Invero, l’art. 2, d.lgs. 31 dicembre 1992 n. 546, che indica l’ambito della giurisdizione delle Commissioni tributarie, esclude da questa le controversie riguardanti gli atti della esecuzione forzata tributaria successivi alla notificazione della cartella di pagamento ed, ove previsto, dell’avviso di cui all’art. 50, d.P.R. n. 602/1973, per le quali continuano ad applicarsi le disposizioni del medesimo d.P.R..

Inoltre, il successivo art. 19 del medesimo d.lgs. elenca una serie di atti tipici e nominati, che possono essere impugnati davanti alle Commissioni tributarie, e tra questi non è compreso il fermo tributario di beni mobili registrati.

19. Escluso il giudice tributario, rimane l’alternativa tra giudice ordinario e giudice amministrativo.

Sembra al Collegio che in tema di fermo, non dettando il d.P.R. n. 602/1973 specifiche disposizioni in tema di giurisdizione, la questione vada risolta secondo l’ordinario criterio di riparto diritti soggettivi– interessi legittimi.

Giova considerare che, di fronte a provvedimenti amministrativi autoritativi, il giudice naturale è quello amministrativo (art. 103, Cost.), a meno che non vi siano norme derogatorie espresse.

Ed, invero, al giudice ordinario non è attribuito, di regola, il potere di conoscere in via immediata e diretta della legittimità dei provvedimenti amministrativi, salvo il potere di disapplicarli (artt. 4 e 5, legge 20 marzo1865 n. 2248, all. E).

Nel caso specifico, nessuna norma del d.P.R. n. 602/1973 indica quale giudice debba occuparsi del fermo amministrativo.

Ne consegue, nel silenzio del legislatore, che la giurisdizione sembra da attribuire al giudice amministrativo.

L’opposta soluzione, che vuole competente il giudice ordinario, si tradurrebbe nel conferimento allo stesso di un potere di annullamento non contemplato da un’espressa attribuzione legislativa.

Giova ricordare che nel diverso caso del fermo amministrativo di veicoli, previsto dal codice della strada (art. 214, d.lgs. n. 285/1992), vi è una norma espressa che attribuisce il potere di cognizione e di annullamento al giudice ordinario (con il giudizio di opposizione alle sanzioni amministrative di cui alla legge n. 689/1981).

Ed una norma espressa è necessaria, perché si tratta di deroga al sistema generale, che vuole il giudice amministrativo, e non quello ordinario, competente a conoscere dell’impugnazione dei provvedimenti della pubblica amministrazione.

Sicché, mentre per il fermo previsto dal codice della strada vi è una norma espressa che attribuisce giurisdizione al giudice ordinario ed indica il rito da seguire, attribuendo espressamente al giudice civile il potere di annullamento di un atto amministrativo (rito della legge n. 689/1981), per il fermo di beni mobili registrati di cui al d.P.R. n. 602/1973 il legislatore tace in ordine alla giurisdizione.

Non si può ad esso estendere la disciplina di cui all’art. 214, codice della strada, perché si tratta di disciplina derogatoria dell’ordinario riparto di giurisdizione e, come tale, non applicabile analogicamente.

Sembra invece corretto trarre, dal silenzio del legislatore, la conseguenza che si applica la regola generale in tema di riparto di giurisdizione.

20. Una volta ricostruito il fermo di cui all’art. 86 (citato) in termini di provvedimento amministrativo, ad avviso del collegio, se le norme contenute negli artt. 49, 57, 86, d.P.R. n. 602/1973, nonché quelle contenute negli articoli 2 e 19, d.lgs. n. 546/1992, vengono interpretate, secondo il diritto vivente quale risulta dalla giurisprudenza, nel senso di attribuire la relativa giurisdizione al giudice ordinario, le stesse appaiono sospette di palese illegittimità costituzionale.

Ed, invero, tali norme non attribuiscono, come già esposto, al giudice ordinario un potere di sindacato pieno sull’atto amministrativo, esteso al potere di annullamento dell’atto.

Sicché il giudice ordinario non ha il potere di sindacare la motivazione del provvedimento e, specificamente, la proporzione tra l’entità della misura ed il credito garantito.

Se, invece, tali norme venissero interpretate nel senso della giurisdizione del giudice amministrativo (ovvero del giudice tributario), vi sarebbe maggiore tutela per il destinatario del fermo, avendo il giudice amministrativo (e quello tributario) il potere di sospendere ed annullare il provvedimento, previo sindacato sul corretto esercizio del potere, sulla adeguatezza della motivazione e, precipuamente, sulla proporzione tra misura del fermo ed entità del credito.

Le norme citate, dunque, se intese nel senso di attribuire al giudice ordinario la giurisdizione sul fermo, senza contestualmente attribuirgli una giurisdizione piena sul provvedimento, appaiono in contrasto con i seguenti articoli della Costituzione:

- 3, per irragionevole disparità di trattamento tra soggetti destinatari di provvedimenti amministrativi, in danno dei soggetti destinatari dei provvedimenti di fermo, che non possono fruire di una piena tutela di annullamento;

- 16, per limitazione, mediante i provvedimenti di fermo, della libertà di circolazione dei cittadini, limitazione che non trova adeguata tutela mediante un sindacato giurisdizionale pieno sui provvedimenti medesimi;

Martedì, 26 Settembre 2006
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