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Corte di Cassazione 02/10/2006

da Altalex - Emittente radiofonica o televisiva: pubblicità e licenza di pubblica sicurezza

Cassazione, sez. I civile, sentenza 26 agosto 2006 n° 18619

Quando il titolare di un’emittente radiofonica o televisiva è tenuto a munirsi della licenza di pubblica sicurezza, richiesta dal testo unico per l’apertura di agenzie di affari?
Con la sentenza n. 18619 del 28 agosto 2006 la Cassazione precisa che l’obbligo scatta non quando il titolare dell’emittente si limiti a diffondere messaggi pubblicitari su richiesta di soggetti che all’emittente direttamente si rivolgono, ma unicamente quando si presti a fungere da intermediario tra l’offerente del bene o del servizio ed i singoli ascoltatori o spettatori interessati.
Tale ipotesi si verifica, oltre che nel caso delle aste televisive – oggi espressamente vietate dall’art. 18, quinto comma, d.lgs. 31 marzo 1998, n. 114 –, anche in quello in cui agli ascoltatori o presentatori venga proposto di prendere direttamente contatto con gli uffici dell’emittente al fine di concludere contratti di acquisto dei beni o servizi reclamizzati.


 SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE I CIVILE

Sentenza del 28 agosto 2006, n. 18619

(Presidente G. Cappuccio, Relatore V. Napoleoni)

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ordinanza-ingiunzione del 22 ottobre 1998 il Prefetto della Provincia di Terni ingiungeva alla Sig.ra L. L. - nella sua qualità di presidente e legale rappresentante della Società cooperativa a respon­sabilità limitata GRS., gestore dell’omonima emittente radiofonica - il pagamento della somma di lire 1.000.000, a titolo di sanzione per la violazione dell’art. 115 del r.d. 18 giugno 1931, n. 773 (Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza), in re­lazione all’art. 205 del r.d. 6 maggio 1940, n. 635 (Re­golamento per l’esecuzione del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza) — violazione sanzionata dall’art. 17-bis, primo comma, t.u.l.p.s. — per avere esercitato una agenzia di affari finalizzata alla vendita diretta di spazi pubblicitari, da mandare in onda sulla predetta emittente radiofonica, senza la prescritta licenza di pubblica sicurezza.

Avverso l’ordinanza-ingiunzione la L. proponeva opposizione al Tribunale di Terni, lamentando l’errata applicazione dei citati artt. 115 t.u.l.p.s. e 205 reg. t.u.l.p.s., posto che, alla luce di tali disposizioni, per agenzie di affari debbono intendersi unica­mente quelle imprese che si offrono come intermediarie nell’assunzione o nella trattazione di affari altrui: ipotesi, questa, non ravvisabile nella specie, giacché la Società cooperativa GRS. si limitava a concludere contratti con i soggetti che ad essa direttamente si rivolgevano per la radiodiffusione di messaggi pubblicitari, senza svolgere alcuna attività di intermediazione nella trattazione di affari altrui.

L’opposizione veniva rigettata dal Tribunale con sentenza del 12 febbraio 2001. In adesione ad un orientamento già espresso dalle Sezioni penali di questa Cor­te, il Tribunale riteneva che l’informazione pubblicita­ria — avendo lo scopo, remunerato, di stimolare il com­mercio, col porre in relazione l’acquirente del bene o del servizio con il venditore - integri quell’intermediazione che latamente è prevista dalla norma in discussione. Ai fini dell’insorgenza dell’obbligo di munirsi di licenza, da essa stabilito, sarebbero sufficienti un’organizzazione, un’offerta di servizi ed il contatto con il pubblico: rimanendo eccet­tuato soltanto il caso — non ricorrente nell’ipotesi di specie — in cui l’attività in questione sia svolta su richiesta di appositi uffici pubblicitari, trattandosi allora di attività esecutiva di altra (in tesi) debita­mente autorizzata.

Per la cassazione della sentenza propone ricorso la L. sulla base di un unico motivo.

L’intimato Ufficio territoriale del Governo di Ter­ni non ha svolto attività difensiva.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. — Con l’unico motivo la ricorrente denuncia vio­lazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 205 t.u.l.p.s. - recte: dell’art. 115 t.u.l.p.s. e dell’art. 205 reg. t.u.l.p.s. — in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., censurando che la sentenza impugnata, nel respingere l’opposizione col richiamo ad un risalen­te indirizzo giurisprudenziale — da ritenere peraltro minoritario - abbia omesso di considerare l’espressa de­finizione del concetto di «agenzia di affari» che, ai fini dell’applicazione dell’art. 115 t.u.l.p.s., è of­ferta dall’art. 205 del regolamento: definizione a fron­te della quale sotto la predetta denominazione «si com­prendono le imprese, comunque organizzate, che si offro­no come intermediarie nell’assunzione o trattazione di affari altrui, prestando la propria opera a chiunque ne faccia richiesta».

La nozione di «agenzia di affari» — ancorché non coincidente con quella di cui all’art. 1742 cod. civ., e di essa più ampia - troverebbe comunque il suo tratto qualificante nello svolgimento di un’attività di inter­mediazione per la trattazione di affari altrui: attività riscontrabile, bensì, in rapporto alle agenzie di pub­blicità, che svolgono una funzione di intermediazione fra i committenti (inserzionisti) e l’emittente radiote­levisiva che diffonde i messaggi pubblicitari, ma non quando — come nell’ipotesi in esame — l’emittente rac­colga direttamente le commissioni, limitandosi a rende­re, a pagamento, un servizio consistente nella diffusio­ne di un messaggio pubblicitario rivolto alla generalità indistinta degli ascoltatori della radio o degli spettatori della televisione.

2. — Il ricorso è fondato.

Ancorché, infatti, la soluzione interpretativa posta a base dell’ordinanza-ingiunzione opposta risponda ad un indirizzo accolto, in tempi non recenti, dalle Se­zioni penali di questa Corte con riguardo alla pubblici­tà a mezzo stampa (e segnatamente ai giornali murali a copie plurime: cfr. Cass. pen., 6 dicembre 1963, Mariti, citata nella sentenza impugnata) , convergenti argomenti di ordine letterale, teleologico e sistematico inducono a ritenere maggiormente corretta l’opposta soluzione, a fronte della quale l’attività consistente nella mera diffusione, verso corrispettivo, di messaggi promozionali di prodotti o servizi, con qualunque strumento attua­ta (stampa, radio, televisione, mezzi telematici, ecc.), da parte di soggetto che acquisisce direttamente le com­missioni dagli inserzionisti interessati, esula dalla sfera applicativa dell’art. 115 t.u.l.p.s.

Quest’ultima disposizione - originariamente assi­stita dal presidio penalistico di cui all’abrogato art. 665 cod. pen., ed attualmente da quello sanzionatorio amministrativo di cui all’art. li-bis, primo comma, t.u.l.p.s. (aggiunto dall’art. 3 del d.lgs. 13 luglio 1994, n. 480) — stabilisce, invero, che «non possono aprirsi o condursi agenzie di affari, quali che siano l’oggetto e la durata, anche sotto forma di agenzie di vendita, di esposizioni, mostre o fiere campionarie e simili, senza licenza del questore».

La nozione di «agenzia di affari» - dai contorni, di per sé, scarsamente definiti — viene chiarita dall’art. 205 reg. t.u.l.p.s., il quale prevede che «sotto la denominazione di "agenzie pubbliche o uffici pubblici di affari"», usata nell’art. 115 t.u.l.p.s., «si comprendono le imprese, comunque organizzate, che si offrono come intermediarie nell’assunzione o trattazione di affari altrui, prestando la propria opera a chiunque ne faccia richiesta». Soggiunge, altresì, la norma che «ricadono sotto il disposto del citato articolo i commissionari, i mandatari, i piazzisti, i sensali, i ri­cercatori di merci, di clienti o di affari per esercizi o agenzie autorizzati; le agenzie per abbonamenti ai giornali; le agenzie teatrali; le agenzie di viaggi, di pubblici incanti; gli uffici di pubblicità e simili».

Alla stregua di tale definizione, se per un verso è evidente come la nozione di «agenzia di affari», di cui all’ art. 115 t.u.l.p.s., non coincida con quella del contratto di agenzia, di cui all’art. 1742 cod. civ., che ha un contenuto specifico e più limitato (Cass. pen., 29 dicembre 1988, n. 12899; Cass. pen., 16 marzo 1973, n. 2189); resta fermo, però, che condicio sine qua non affinché scatti l’obbligo della licenza è che venga creata un’organizzazione, anche solo elementare, fina­lizzata allo svolgimento, in modo continuativo e profes­sionale (Cass. pen., 10 luglio 1979, n. 6416), nonché a scopo di lucro, di un’attività intermediaria per la trattazione di affari altrui (tra le altre, Cass. pen., 22 maggio 1992, n. 6201; Cass. pen., 8 febbraio 1977, n. 2289).

In base, peraltro, al comune significato dell’espressione, compie un’attività di intermediazione per la trattazione di affari altrui chi pone in essere, o comunque agevola, trattative finalizzate alla conclu­sione di detti affari (Cass. pen., 29 dicembre 1988, n. 12899), ponendo direttamente o indirettamente in contat­to fra loro due o più soggetti determinati. Non così chi si limita a lanciare, verso remunerazione, messaggi pro­mozionali in incertam personam, indirizzati, cioè, ad una collettività ampia ed indeterminata di potenziali fruitori, i quali, se lo riterranno, si procacceranno poi i prodotti o i servizi reclamizzati attraverso gli ordinari canali: rendendo, in tal modo, un mero servizio di supporto all’iniziativa economica del committente.

La conclusione è corroborata dalla disamina delle fattispecie che, con elencazione a carattere esemplifi­cativo, il secondo comma dell’art. 205 reg. t.u.l.p.s. dichiara ricomprese nella nozione in esame. Alla luce, infatti, di un criterio ermeneutico di corrente adozio­ne, allorquando il legislatore fa seguire alla enuncia­zione di un concetto generale (nel caso che interessa, quello di «imprese ... che si offrono come intermediarie nell’assunzione o trattazione di affari altrui») un elenco di ipotesi specifiche ad esso riconducibili, la valenza del genus va ricostruita — in rapporto ai suoi possibili margini di indeterminatezza — sulla scorta delle caratteristiche proprie delle singole species.

Ciò posto, è palese come tutte le figure elencate dal citato art. 205, secondo comma, reg. t.u.l.p.s. -fatta eccezione per l’ultima — si caratterizzino in modo assolutamente inequivoco per il fatto che l’attività sottoposta a licenza è finalizzata a porre in collega­mento soggetti determinati. Se ciò è di immediata evi­denza per «i commissionari, i mandatari, i piazzisti, i sensali, i ricercatori di merci, di clienti o di affari per esercizi od agenzie autorizzati»; la conclusione non può essere diversa per le «agenzie per abbonamenti ai giornali», le quali intermediano fra l’abbonato e l’editore del giornale; né per le «agenzie teatrali», che egualmente intermediano fra attori ed impresari; né, ancora, per le «agenzie di viaggi», che si interpongono fra il viaggiatore, da un lato, e le compagnie di viag­gi, i vettori o gli albergatori, dall’altro; né, infine, per le «agenzie di pubblici incanti», che intermediano fra il soggetto che intende porre in vendita determinati beni e coloro che, partecipando ad un’asta, sono inte­ressati ad acquistarli.

Residua la fattispecie, che più da vicino evoca la tematica oggi in esame, degli «uffici di pubblicità». Ha, al riguardo, la valenza astrattamente propria dell’enunciazione di genere e l’esigenza di omogeneità con tutte le altre ipotesi di specie convergono nel sug­gerire una lettura restrittiva della formula, a fronte della quale gli uffici cui la norma intende fare riferi­mento sono quelli che raccolgono contratti pubblicitari, intermediando fra gli inserzionisti e l’editore del giornale (o il titolare dell’emittente radiofonica o te­levisiva) , e non già le strutture organizzate che si li­mitano alla diffusione dei messaggi.

Sul piano dell’interpretazione teleologica, poi -premesso che le disposizioni limitative della libertà di iniziativa economica debbono essere interpretate in sen­so tendenzialmente restrittivo — va rilevato come la ra­tio dell’assoggettamento ad autorizzazione di polizia dell’apertura di «agenzie di affari» si radichi in esi­genze di tutela dell’ordine pubblico e di prevenzione dei reati, connesse ai pericoli insiti nell’esercizio incontrollato dell’attività di intermediazione intesa nei sensi dianzi indicati, la quale può prestarsi a frodi in danno del singolo contraente o di entrambi, ovvero rappresentare strumento di realizzazione di altri illeciti (quale, ad esempio, la ricettazione) . La mera dif­fusione di messaggi pubblicitari pone, per converso, esigenze di tutela di diverso ordine, cui presiedono, in particolare, le disposizioni del d.lgs. 25 gennaio 1992, n. 74 sulla repressione della pubblicità ingannevole, affidata all’autorità garante della concorrenza e del mercato.

In tale prospettiva, il titolare di un’emittente radiofonica o televisiva può considerarsi tenuto a munirsi di licenza, ai sensi dell’art. 115 t.u.l.p.s., so­lo quando si presti a fungere effettivamente da interme­diario tra l’offerente del bene o del servizio e i sin­goli spettatori interessati. E così, oltre che nel caso delle aste televisive, nelle quali gli spettatori vengo­no invitati ad effettuare offerte al rialzo per l’acquisto della merce esposta col mezzo televisivo (Cass. pen., 8 ottobre 1985, n. 2298) - aste oggi peral­tro espressamente vietate dall’art. 18, comma 5, del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 114 - anche in quello in cui agli spettatori dell’emittente televisiva o agli ascol­tatori di quella radiofonica venga proposto di prendere direttamente contatto con gli uffici dell’emittente al fine di concludere contratti di acquisto dei beni o ser­vizi reclamizzati.

Al riguardo, va peraltro osservato che il legisla­tore , con l’ art. 18, comma 6, del d.lgs. n. 114 del 1998, ha ritenuto di dover stabilire in modo espresso l’obbligo di munirsi della licenza di cui ali’art. 115 t.u.l.p.s. nei confronti di chi effettua «vendite tramite televisione per conto terzi»: fornendo, così, un ulteriore argomento di ordine sistematico a supporto della conclusione dianzi esposta.

Si aggiunga, ancora, che adottando la conclusione contraria non si potrebbe escludere - come invece si assume nella sentenza impugnata - che l’emittente che dif­fonde messaggi pubblicitari sia tenuta a munirsi di li­cenza anche nel caso in cui le commissioni degli inser­zionisti vengano raccolte, ab externo, da una agenzia di pubblicità, sul rilievo che, in tal caso, l’attività dell’emittente sarebbe meramente «esecutiva» di un’attività autorizzata. E ciò in quanto l’obbligo di munirsi di un’autorizzazione di polizia, ove questa sia richiesta in ragione delle caratteristiche oggettive dell’attività che si intende svolgere, non viene meno per il fatto che tale attività sia esercitata su richie­sta di altro soggetto munito a sua volta di autorizza­zione (quando tra i contraenti vi sia una «catena» di intermediari, ciascuno deve essere invero munito di au­torizzazione) . Onde nell’ipotesi considerata dovrebbe pervenirsi alla conclusione, poco plausibile, della ne­cessità di una doppia autorizzazione, tanto in capo all’agenzia pubblicitaria che all’emittente che diffonde i messaggi.

3. — In accoglimento del ricorso, la sentenza impu­gnata va pertanto cassata.

Non essendo necessari nuovi accertamenti — risultando la vicenda pacifica nei suoi elementi fattuali — questa Corte può pronunciare nel merito, accogliendo l’opposizione proposta dalla L. avverso l’ordinanza-ingiunzione, con conseguente annullamento della stessa.

L’esistenza, in ambito penale, di un pregresso in­dirizzo giurisprudenziale favorevole alla tesi dell’Amministrazione e la novità, per converso, della questione in sede civile fanno apparire equa l’integrale compensazione tra le parti delle spese di giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e, de­cidendo nel merito, accoglie l’opposizione proposta da L. L. avverso l’ordinanza-ingiunzione del Prefetto della Provincia di Terni del 22 ottobre 1998, annullando il provvedimento opposto. Compensa integral­mente fra le parti le spese processuali.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 2 marzo 2006.

Il Consigliere estensore.
II Presidente.


© asaps.it
Lunedì, 02 Ottobre 2006
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