RESPONSABILITA’
AUTOMOBILISTICA
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Le dichiarazioni rese in caso
di incidente nel modulo di constatazione amichevole (cosiddetto CID),
rappresentano una confessione in piena regola, ma costituiscono una solo una
presunzione iuris tantum nei
confronti dell’assicuratore. Con una sentenza di grande valore giuridico (Cass.
5 maggio 2006, n. 10311), in tema di litisconsorzio necessario nel campo del
procedimento civile, la Cassazione ha ripercorso, attraverso un ragionamento
assai articolato, le problematiche legate al valore probatorio del CID, nonché
alla possibilità di citare direttamente tanto l’assicurazione che l’autore del
danno, per chiedere l’indennizzo. La vicenda trae origine da un
caso accaduto ad Alghero, dove il giudice di pace, accogliendo la richiesta di
un utente danneggiato, ha condannato l’antagonista e l’assicuratore in solido
tra loro al risarcimento. Alla base della condanna, il fatto che lo stesso
utente, dopo l’incidente, aveva sottoscritto il modulo di constatazione
amichevole, confessando, per così dire, le sue colpe. L’incidente era avvenuto
durante un sorpasso: mentre un veicolo aveva già intrapreso la manovra, il conducente dell’altro, non avvedendosi
della circostanza faceva altrettanto, urtando la fiancata del primo. Tutti e
due si accordavano e sottoscrivevano il modulo amichevolmente, sicuri di
accelerare in questo modo le procedure di rimborso. Invece la storia è finita
in un primo tempo a Sassari, per l’appello al Tribunale, poi a Roma in
Cassazione. Il giudice di Alghero, valutate le percentuali di colpa,
distribuiva in eguale proporzione il quantum
da versare per i danno. A Sassari, il Tribunale
rivedeva le posizioni: mancava la prova della responsabilità; la ricostruzione
del CID, pur sottoscritta dalle parte non poteva costituire prova contro la
società di assicurazioni poiché il modulo non era stato trasmesso tempestivamente
alla compagnia; le risultanze dello stesso CID, costituendo una prova atipica,
non resistevano alla prova contraria della consulenza tecnica d’ufficio.
Insomma, i danni riscontrati non si dimostravano compatibili con la dinamica
del sinistro descritta dalle parti nel modulo di constatazione amichevole. Infine, la causa giunge a Roma
dove la Cassazione, attraverso una lunga trattazione della questione in punto
di diritto, mette a punto diverse questioni, a partire dal litisconsorzio
necessario determinato dall’applicazione dell’art. 18 della legge 24 dicembre
1969 n. 990. La norma, in deroga alla
disciplina ordinaria, prevede l’azione diretta del danneggiato contro
l’assicuratore. Ordinariamente, invece, fuori dai casi della circolazione
stradale e della navigazione dei natanti, l’azione è diretta contro all’autore
del danno il quale a sua volta, in virtù della polizza, si rivale
sull’assicuratore. Qui, la parte chiama in causa l’assicuratore e l’autore del
danno al tempo stesso. Ma il CID, sottoscritto dal medesimo
autore e dalla controparte il giorno del sinistro, vale come confessione anche
nei confronti dell’assicuratore tirato in causa quasi per i capelli (sulla leva
dell’art. 18 legge 990/1969)? Ecco qui che si profilano i
problemi: la giurisprudenza su questo punto non ha una posizione univoca. Da
una parte si sostiene che il CID è una confessione solo nei confronti della
controparte, ma non dell’assicurazione. Quindi, quando in causa viene chiamata
la compagnia, le dichiarazioni amichevolmente sottoscritte valgono come
presunzione e non come prova confessoria. Le conseguenze non sono da poco
poiché, trattandosi di una presunzione, questa è liberamente valutabile dal
giudice e, soprattutto, è superabile con una prova contraria. Altra
giurisprudenza, al contrario, non fa distinzioni e reputa la confessione del
CID una prova ostensibile tanto al convenuto che all’assicuratore. Ora, la Cassazione – sezioni
unite – con la sentenza 5 maggio 2006, n. 10311, chiarisce il punto: il modulo
CID quando è sottoscritto dai conducenti coinvolti e completo in ogni sua
parte, compresa la data, genera una presunzione
iuris tantum valevole nei confronti dell’assicuratore, e
come tale superabile con prova contraria; tale prova può emergere non soltanto
da un’altra presunzione, che faccia ritenere che il fatto non si è verificato o
si è verificato con modalità diverse da quelle dichiarate, ma anche da altre
risultanze di causa, ad esempio da una consulenza tecnica d’ufficio. * Funzionario della
Polizia di Stato e _______________________ Cassazione
Civile – Sezioni Unite SENTENZA Sentenza
5 maggio 2006 n. 10311 Svolgimento del processo
C.S.
convenne in giudizio, davanti al Giudice di pace di Alghero, S.S. e la s.p.a.
Lloyd Italico, assicuratrice per la responsabilità civile dell’auto di
quest’ultimo, e ne chiese la condanna, in solido, al risarcimento dei danni
subiti a seguito di incidente stradale, la cui responsabilità era da attribuire
al S., come dallo stesso riconosciuto con la sottoscrizione del modulo di
constatazione del sinistro (cd. CID). Si
costituì in giudizio la compagnia di assicurazione, che chiese il rigetto della
domanda, deducendo la inattendibilità di quanto risultante dal CID. S.S. rimase
contumace. Il
Giudice di pace, ritenuto il concorso di colpa del S., nella misura del 20%, e
del C., nella misura dell’80%, condannò il S. e la compagnia di assicurazione,
in solido, a pagare al C. il 20% dei danni da questi subiti, condannandolo a
pagare alla compagnia assicuratrice l’80% delle spese. La
sentenza fu appellata, in via principale, dal C., che chiese affermarsi
l’esclusiva responsabilità del S., con la conseguente condanna dello stesso e
della compagnia di assicurazione all’integrale risarcimento dei danni, e, in
via incidentale, dalla compagnia di assicurazioni, che chiese l’integrale
rigetto della domanda proposta nei suoi confronti. S.S.
rimase contumace anche nel giudizio d’appello. Il
Tribunale di Sassari, in accoglimento dell’appello incidentale, respinse la
domanda proposta dal C. nei confronti del S. e della compagnia di
assicurazione, sulla base delle seguenti considerazioni: - la
tesi del C. (secondo cui l’incidente si sarebbe verificato perchè l’autoveicolo
del S., che egli stava sorpassando, in un tratto di strada rettilineo, aveva, a
sua volta, iniziato una manovra di sorpasso del veicolo che lo precedeva,
intersecando così la traiettoria della propria auto e determinandone l’uscita
di strada) non era provata, così come non era provato il nesso di causalità tra
i danni lamentati dal C. ed il sinistro; - la
ricostruzione del sinistro, contenuta nel modulo CID, non poteva costituire
prova nei confronti della compagnia assicuratrice, perchè il detto modulo non
risultava essere stato ad essa tempestivamente trasmesso e perchè non risultava
essersi verificato uno "scontro tra veicoli", requisito richiesto dal
D.L. n. 857 del 1976, art. 5; - gli
elementi risultanti dal modulo CID - al quale poteva essere attribuita soltanto
il valore di prova atipica - apparivano in insanabile contrasto con la
documentazione fotografica acquisita agli atti, con le osservazioni svolte dal
consulente tecnico d’ufficio e con la circostanza che sull’auto del S. non
erano state riscontrate tracce di collisione; - del
tutto da condividere erano, quindi, le conclusioni cui era pervenuto il
consulente tecnico d’ufficio, secondo cui i danni riscontrati sull’autoveicolo
del C. non erano compatibili con la dinamica del sinistro descritta dalle
parti, cosicchè, se l’incidente si era effettivamente verificato, non si era
svolto, comunque, con le modalità indicate; -
pertanto, non era da ritenere sussistente la prova del fatto e del nesso di
causalità con i danni dei quali il C. aveva chiesto il risarcimento. Per la
cassazione della suddetta sentenza ha proposto ricorso C. S.. La
s.p.a. Lloyd Italico e S.S. non hanno svolto attività difensiva. La
causa, dapprima assegnata alla terza sezione civile, è stata rimessa alle
sezioni unite essendosi ravvisata una questione di massima di rilevante
importanza in relazione ai motivi addotti a sostegno del ricorso. Motivi della decisione Con il
primo motivo del ricorso si denuncia: Violazione degli artt. 112, 339, 342 cod.
proc. civ., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Si
deduce che la sentenza di primo grado, che aveva pronunciato la condanna in
solido del S. e della s.p.a Lloyd Adriatico, era stata impugnata solo da
quest’ultima, che aveva chiesto la reiezione della domanda contro di lei
proposta dal C.; nessuna impugnazione era stata invece proposta da S.S., con la
conseguenza che il giudice d’appello non avrebbe potuto rigettare la domanda,
avanzata nei confronti del predetto dal C. e già accolta, sia pure
parzialmente, dal giudice di primo grado. Con il
secondo motivo si denuncia: Violazione e falsa applicazione dell’art. 116
cod. proc. civ. e degli artt. 2054, 2697 e 2735 cod. civ., nonchè
del D.L. n. 857 del 1976, art. 5, commi 1 e 2, convertito nella L. n.
39 del 1977 in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., nn. 3 e 5. La censura
svolge le seguenti argomentazioni: - il
Tribunale ha immotivatamente disatteso le risultanze del modulo CID, che con
riferimento al S. aveva valore di confessione stragiudiziale, nel quale erano
con precisione indicati l’ora ed il luogo del fatto, i mezzi coinvolti, il
teste presente, le modalità del sinistro, la dichiarazione del S. di avere
costretto con la sua manovra il C. a "stringere a sinistra", nonchè
il punto di contatto tra i due mezzi; -
v’era la prova della collisione tra i due veicoli e la dinamica del sinistro
era stata confermata dal teste indicato nel modulo CID ed aveva trovato
riscontro nell’interrogatorio libero e in quello formale del C.; - la
prova del sinistro e delle sue modalità era stata data dal C. a mezzo di prove
documentali ed orali e tale prova non poteva essere superata dalla consulenza
basata su mere deduzioni, tra l’altro, erronee e contraddittorie; - la
prova del nesso causale tra i danni ed il sinistro era stata fornita e del
resto la sentenza del giudice di pace sul punto non era stata impugnata; - il
Tribunale ha erroneamente ritenuto che il D.L. n. 857 del 1976, art. 5
trovi applicazione soltanto nel caso di "scontro" tra i veicoli
inteso nel senso di contatto materiale tra gli stessi idoneo a cagionare danno
ad entrambi, mentre è da considerare "scontro" "qualsiasi
contatto tra i mezzi cha causalmente provochi, di per sè ovvero in conseguenza
di manovre illegittime e colpose, un sinistro"; - il
modulo CID era pienamente probante nei confronti della compagnia assicuratrice,
perchè gli elementi in esso indicati avevano trovato riscontro negli altri
elementi di prova acquisiti al processo; - la
valenza probatoria del modulo CID non poteva essere inficiata dal rilevato
ritardo con cui, secondo il Tribunale, esso era stata trasmesso alla compagnia
assicuratrice; ciò perchè: nessun termine era previsto dalla legge per l’invio
del modulo; nessuna eccezione era stata sollevata in proposito dalla compagnia
di assicurazione; il modulo era stato consegnato tempestivamente dal C. alla
propria compagnia assicuratrice; - il
Tribunale ha immotivamente ritenuto che la compagnia assicuratrice avesse
fornito la prova contraria, su di essa incombente, ai sensi del D.L. n. 857
del 1976, art. 5, comma 2. Con
riferimento ai detti motivi, la terza sezione civile di questa Corte, ha
rilevato che gli stessi pongono una questione di massima di particolare
importanza ( artt. 374 e 376 cod. proc. civ.) e, pertanto, ha rimesso
gli atti al Primo Presidente, che ha disposto la trattazione della causa da
parte di queste sezioni unite. L’ordinanza,
richiamata la giurisprudenza di questa Corte, osserva che in essa sono
rinvenibili due principi: - uno,
secondo cui il litisconsorzio previsto dalla L. n. 990 del 1969, art.
23, che impone al danneggiato che esercita l’azione diretta (art. 18) nei
confronti dell’assicuratore di chiamare in giudizio il responsabile del danno,
"soddisfa l’esigenza che sulla responsabilità dell’assicurato e
dell’assicuratore si statuisca in un unico contesto, in modo uniforme", cosicchè
l’impugnazione proposta dal solo assicuratore impedisce che sulla
responsabilità del danneggiarne, chiamato in giudizio, si formi il giudicato. -
l’altro, secondo cui "il modulo di constatazione amichevole di sinistro
stradale redatto ai sensi del D.L. 23 dicembre 1976, n. 857, convertito
con modificazioni in L. n. 39 del 1977, (quando è sottoscritto dai
conducenti coinvolti e completo in ogni sua parte, compresa la data) ha valore
probatorio di confessione esclusivamente nei riguardi del suo autore, mentre
genera soltanto una presunzione iuris tantum nei confronti dell’assicuratore,
come tale superabile con prova contraria", con la possibilità, quindi, che
la responsabilità dell’assicurato venga affermata in base alla sua confessione,
mentre l’azione diretta nei confronti dell’assicuratore venga respinta ove egli
fornisca la prova contraria. Con
riferimento al caso in esame l’ordinanza osserva che il Tribunale ha respinto
la domanda proposta nei confronti del responsabile del danno che, con la sottoscrizione
del modulo, aveva ammesso fatti per sè sfavorevoli; con ciò il Tribunale aveva
fatto applicazione del primo principio, secondo cui la decisione deve essere
unitaria, sia per l’assicurato, sia per l’assicuratore, ma aveva disatteso il
secondo principio, secondo cui la dichiarazione di fatti sfavorevoli al
responsabile del danno, contenuta nel modulo da lui sottoscritto, ha valore di
confessione stragiudiziale. Il
Tribunale osserva ancora che se il Tribunale avesse affermato la responsabilità
dell’assicurato, in base alla sua confessione, e rigettato la domanda nei
confronti dell’assicuratore, ritenendo che questi avesse offerto la prova
contraria rispetto a quanto dichiarato dall’assicurato nel modulo CID, avrebbe
rispettato il secondo principio, ma avrebbe disatteso il primo. L’ordinanza,
a questo punto, prospetta, sia pure in via dubitativa, le seguenti possibili
soluzioni: -
un’applicazione dell’art. 2733 cod. civ. in linea col primo principio,
nel senso che la confessione di uno soltanto dei litisconsorti necessari sia
bensì liberamente apprezzabile dal giudice, ma in modo conforme per tutti i
litisconsorti, come affermato da Cass., 14 gennaio 1987, n. 198; ma a ciò,
secondo l’ordinanza, sembra ostare la lettera e la ratio del D.L. n. 857 del
1976, art. 5, comma 3, che ha anche funzione dissuasiva di tentativi di
frode in danno dell’assicuratore; -
ritenersi che l’impossibilità di un apprezzamento (e di conseguenze) difforme
per il confitente e per il litisconsorte non confitente sia da riservarsi ai
soli casi di litisconsorzio sostanziale in cui sia dedotto un unico rapporto,
con la conseguente possibilità di valutare diversamente la confessione
dell’assicurato nei casi di cui alla L. 24 dicembre 1969, n. 990, art.
23: ammettendosi,
cioè, che la sua confessione (tramite il modulo di constatazione amichevole)
non abbia effetto solo per l’assicuratore che abbia offerto la prova contraria
ai sensi del D.L. n. 857 del 1976, art. 5, comma 3; ciò, però, secondo
l’ordinanza, comporterebbe lo scostamento dal primo principio, dovendo allora
riconoscersi la possibilità che lo stesso fatto sia ritenuto vero per
l’assicurato e non vero per l’assicuratore, quantomeno nei casi in cui sia il
solo assicuratore del responsabile (e non anche il solo assicurato) a dover
essere mandato indenne dalla pretesa risarcitoria del danneggiato. Sembra
a queste sezioni unite che, al fine di dare una risposta ai quesiti posti con
l’ordinanza di cui sopra - che trovano fondamento nelle questioni poste con i
motivi del ricorso - occorra partire dall’analisi della struttura dell’azione
diretta del danneggiato nei confronti dell’assicuratore, disciplinata dalla L.
n. 990 del 1969, art. 18, e dall’accertamento delle ragioni del
litisconsorzio che il successivo art. 23 impone di realizzare nei confronti del
responsabile del danno. In
particolare occorre verificare se il procedimento litisconsortile disciplinato
dai suddetti articoli tolleri che si possa giungere ad una decisione che non
sia unica per tutte le parti che vi devono necessariamente partecipare. Tale
accertamento appare necessario perché, se ben si osserva, più o meno
consapevolmente, la tesi prevalente nella giurisprudenza, che, pure
riconoscendo nella fattispecie considerata la ricorrenza di un litisconsorzio
necessario previsto dalla legge, afferma che la confessione del danneggiale
assicurato fa piena prova nel rapporto tra questi ed il danneggiato, mentre può
essere liberamente apprezzata dal giudice nel diverso rapporto tra assicurato
ed assicuratore, si fonda sulla tesi che non in tutti i casi in cui è
necessaria la partecipazione al giudizio di una pluralità di parti sussiste
anche la necessità che la sentenza sia unica per tutte, donde il diverso senso
da attribuire all’espressione litisconsorzio necessario, che nell’art. 102
c.p.c., esprime solo l’esigenza che al giudizio partecipino più soggetti,
mentre nell’art. 2733 c.c., comma 3, si riferisce non a tutti i casi di
litisconsorzio ma solo a quelli in cui la decisione deve essere uguale per
tutte le parti in causa. Ai sensi
dell’art. 1917 c.c., che disciplina l’assicurazione della responsabilità
civile, di cui l’assicurazione obbligatoria per la responsabilità derivante
dalla circolazione dei veicoli costituisce una specie, l’assicuratore è tenuto
a tenere indenne l’assicurato di quanto questi, in conseguenza del fatto
accaduto durante il tempo dell’assicurazione, deve pagare a un terzo, in
dipendenza della responsabilità dedotta nel contratto. E’
giurisprudenza costante di questa Corte che l’assicurazione della responsabilità
civile non può essere inquadrata tra i contratti a favore dei terzi giacché per
effetto della stipulazione non sorge alcun rapporto giuridico diretto ed
immediato tra il danneggiato e l’assicuratore, ma l’obbligazione
dell’assicuratore relativa al pagamento dell’indennizzo all’assicurato è
distinta ed autonoma rispetto all’obbligazione di risarcimento cui l’assicurato
è tenuto nei confronti del danneggiato, talché quest’ultimo non ha azione
diretta contro l’assicuratore (v. in tal senso Cass. n. 8382/93 e
successivamente, Cass. n. 2678/96; Cass. 4364/97; Cass. 4364/00; Cass.
10418/02; nonché Cass. 8650/96, la quale ha precisato che il principio opera
anche quando l’indennità sia stata pagata direttamente al terzo danneggiato, ai
sensi dell’art. 1917 cod. civ., comma 2). In
deroga a questa disciplina, la L. n. 990 del 1969, art. 18, dispone che
il danneggiato per sinistro causato dalla circolazione di un veicolo o di un
natante, per i quali a norma della medesima legge vi è obbligo di
assicurazione, ha azione diretta per il risarcimento del danno nei confronti
dell’assicuratore, entro i limiti delle somme per le quali è stata stipulata
l’assicurazione. Con il comma 2, la suddetta norma inoltre dispone che fino
alle somme minime per cui è obbligatoria l’assicurazione, indicate nella
tabella A allegata alla legge, l’assicuratore non può opporre al danneggiato,
che agisce direttamente nei suoi confronti, eccezioni derivanti dal contratto,
né clausole che prevedano l’eventuale contributo dell’assicurato al risarcimento
del danno, ed altresì stabilisce che l’assicuratore ha tuttavia diritto di
rivalsa verso l’assicurato nella misura in cui avrebbe avuto contrattualmente
diritto di rifiutare o ridurre la propria prestazione. Fin da
Cass. Sez. un. nn. 5218 e 5219/83 la giurisprudenza di questa Corte è costante
nel ritenere che la L. n. 990 del 1969, prevedendo l’azione diretta del
danneggiato contro l’assicuratore, ha creato - accanto al rapporto, sorto dal
fatto illecito, tra il danneggiante e l’assicurato ed al rapporto contrattuale
fra il responsabile e l’assicuratore - un terzo rapporto che, sul presupposto
del primo ed in attuazione del secondo, obbliga ex lege l’assicuratore verso il
danneggiato; in sostanza l’assicuratore non resta più estraneo al rapporto tra
il suo assicurato ed il terzo danneggiato, ma viene inserito quale parte e
protagonista attivo nel rapporto risarcitorio dipendente dall’illecito di cui
l’assicurato è responsabile, con la conseguenza che la richiesta del
danneggiato lo rende contraddittore diretto e primario per l’accertamento e la
quantificazione dell’obbligazione risarcitoria dell’assicurato e lo costituisce
debitore verso lo stesso terzo della relativa prestazione. Secondo
lo schema delineato dalla L. n. 990 del 1969, il danneggiato, allorquando,
trascorso inutilmente il termine di cui all’art. 22, agisce nei confronti
dell’assicuratore per essere risarcito del danno, non chiede che l’assicuratore
sia condannato ad adempiere in suo favore l’obbligo che il predetto ha nei
confronti dell’assicurato in base al contratto, ma fa valere un diritto suo
proprio nei confronti del predetto assicuratore. Ciò è sufficientemente provato
dal fatto che, secondo la legge, l’assicuratore non può opporre al danneggiato,
che agisce direttamente nei suoi confronti, eccezioni derivanti dal contratto,
nè clausole che prevedono l’eventuale contributo dell’assicurato al
risarcimento del danno. L’accoglimento
della domanda del danneggiato presuppone che siano accertate: -
l’esistenza di un contratto di assicurazione tra l’assicuratore convenuto e
colui che è indicato come responsabile del danno; -
l’esistenza di una danno e la responsabilità del soggetto assicurato. Tali
accertamenti, anche se non esplicitamente formulati, costituiscono oggetto
della domanda che il danneggiato propone nei confronti dell’assicuratore, la
quale ha quindi il seguente contenuto: a) si
accerti che Tizio è responsabile dei danni che Caio ha subito a seguito di
incidente stradale; b) si
accerti che Tizio è assicurato per la responsabilità civile con la società X; c) si
condanni la società X, obbligata ai sensi della L. n. 990 del 1969, art.
18, al risarcimento dei danni subiti da Caio. L’accertamento
negativo in ordine ad una sola delle indicate circostanze importa che la
domanda proposta nei confronti dell’assicuratore ai sensi della L. n. 990
del 1969, art. 18 debba essere respinta. Infatti,
in assenza di un contratto di assicurazione non sorge alcun obbligo di
indennizzo a carico dell’assicuratore convenuto e, del resto, una volta accertata
l’esistenza del rapporto assicurativo l’obbligo di indennizzo diretto da parte
dell’assicuratore non sussiste se non sussiste anche la responsabilità
dell’assicurato in ordine al fatto dannoso, o perchè questo non si è
verificato, o perchè pur essendosi verificato non è connotato dalle
caratteristiche attribuitegli, ovvero ancora perchè, pur essendo connotato da
quelle caratteristiche, non comporta alcun obbligo risarcitorio. L’art.
18 propone una situazione di questo tipo. Vi è da un lato un soggetto che
assume di essere rimasto danneggiato da un sinistro stradale, il quale agisce
in giudizio e dall’altro l’assicuratore che la legge costituisce come obbligato
al risarcimento del danno cagionato dal proprio assicurato. Si hanno pertanto
due soggetti danneggiato ed assicuratore legittimati rispettivamente ad agire e
resistere nel giudizio in forza di un rapporto sostanziale che prevede
un’obbligazione del secondo direttamente nei confronti del primo. Senonchè,
come si è visto, l’accertamento dell’esistenza del contratto di assicurazione e
quello relativo alla responsabilità dell’assicurato, i quali costituiscono
oggetto della domanda proposta dal danneggiato nei confronti dell’assicuratore,
riguardano rapporti rispetto ai quali la titolarità è del responsabile del
danno. E’,
infatti l’assicurato che ha, con la stipulazione del contratto, costituito il
rapporto assicurativo che, sebbene non perda la sua caratteristica di contratto
finalizzato a tenerlo indenne dal rischio del risarcimento dovuto a causa di una
sua responsabilità civile, rende, tuttavia, l’assicuratore direttamente
responsabile nei confronti del danneggiato estraneo al rapporto contrattuale; è
d’altra parte il danneggiarne l’autore dell’illecito che fa sorgere il diritto
al risarcimento da parte del danneggiato nei confronti dell’assicuratore. In una
situazione di questo genere la L. n. 990 del 1969, art. 23 ha previsto
che nel giudizio promosso dal danneggiato nei confronti dell’assicuratore deve
essere chiamato il responsabile del danno. Si tratta
di un litisconsorzio che è necessario non solo perchè è previsto dalla legge,
ma anche perchè l’accertamento dei due rapporti in cui è coinvolto il
responsabile del danno non costituiscono un mero presupposto per l’accoglimento
della domanda proposta dall’assicurato nei confronti dell’assicuratore, ma
costituiscono invece uno degli oggetti della domanda. Tale
accertamento non può che essere unico e uniforme per tutti e tre i soggetti
coinvolti nel processo, non potendosi nel medesimo giudizio affermare, con
riferimento alla domanda proposta dal danneggiato nei confronti
dell’assicuratore, che il rapporto assicurativo e la responsabilità
dell’assicurato esistano nel rapporto tra due delle parti e non per l’altra, e
ciò non soltanto in base al principio di non contraddizione, ma soprattutto in
base alla struttura dell’azione così come disciplinata dalla L. n. 990 del
1969, artt. 18 e 23, se si ha presente che l’obbligazione dell’assicuratore
di pagare direttamente l’indennità al danneggiato, non nasce se non esiste il
rapporto assicurativo e se non è accertata la responsabilità dell’assicurato. Nè è
sostenibile che l’univoco accertamento che il giudice compie in ordine
all’azione promossa dal danneggiato nei confronti dell’assicuratore vale solo
con riferimento al rapporto diretto che la legge istituisce tra i due. Si
consideri come nessuno abbia mai dubitato che l’accertamento della esistenza
del contratto di assicurazione e della responsabilità dell’assicurato, compiuto
nel giudizio promosso dal danneggiato nei confronti dell’assicuratore, valga
anche nel rapporto tra assicuratore e responsabile del danno. Nessuno
ha mai sostenuto, infatti, che l’assicuratore condannato a risarcire il danno,
il quale, in separato giudizio svolga l’azione di rivalsa nei confronti
dell’assicurato, assumendo di aver indennizzato il danneggiato pur avendo avuto
contrattualmente il diritto di rifiutare o ridurre la propria prestazione,
possa vedersi opporre dall’assicurato che egli non era responsabile del danno e
che il contratto di assicurazione non esisteva, quando questi fatti siano stati
accertati nel giudizio promosso dal danneggiato ai sensi dell’art. 18, al quale
abbia partecipato anche l’assicurato. Allo
stesso modo l’assicurato che faccia valere la responsabilità dell’assicuratore
perchè questi con il suo comportamento omissivo ha fatto lievitare il danno
oltre i limiti del massimale e, quindi, chiede di essere tenuto indenne
dall’assicuratore, in base al rapporto di assicurazione tra i due esistente, di
quanto abbia dovuto pagare al danneggiato, non può vedersi opporre
dell’assicuratore che il rapporto accertato nel giudizio intercorso tra il
danneggiato e l’assicuratore e la responsabilità accertata nello stesso
giudizio non esistono. Se ciò
è vero nei rapporti tra assicurato ed assicuratore, deve essere pure vero nei
rapporti tra danneggiato e assicurato, con riferimento all’accertata
responsabilità del danno. Questa responsabilità una volta accertata o negata
nel giudizio promosso dal danneggiato nei confronti dell’assicuratore, in
contraddittorio con l’assicurato, è accertata o negata anche nei rapporti tra
danneggiato e assicurato. Ma,
come si è detto prima, nel giudizio tra danneggiato ed assicuratore l’esistenza
del rapporto di assicurazione e la responsabilità dell’assicurato non possono
essere contemporaneamente affermate e negate. O esistono e la domanda va
accolta o non esistono ed allora la domanda va respinta, aspetto questo ben
colto da Cass. n. 10693/98 laddove afferma, richiamando Cass. n. 5793/82, che
la controversia si svolge in maniera unitaria tra i tre soggetti del rapporto
processuale ed abbraccia inscindibilmente sia il rapporto di danno, originato
dal fatto illecito dell’assicurato, sia il rapporto assicurativo. La
situazione non muta se il danneggiato, nel giudizio promosso contro
l’assicuratore ai sensi della L. n. 990 del 1969, art. 18, oltre a
chiedere la condanna dell’assicuratore chiede anche la condanna del
responsabile del danno; in tale caso la domanda nei confronti di quest’ultimo
si articola nei seguenti punti: a) si
accerti che Tizio è responsabile dei danni che Caio ha subito a seguito di
incidente stradale; b) si
condanni Tizio al risarcimento del danno subito da Caio. Ma la domanda sub a)
proposta dal danneggiato nei confronti del responsabile del danno è la stessa
domanda sub a) proposta dal danneggiato nei confronti dell’assicuratore,
attiene ad un medesimo fatto, impone l’accertamento delle medesime circostanze
e delle medesime conseguenze giuridiche; ciò che la differenzia dall’altra e
che alla domanda di accertamento della responsabilità si aggiunge quella di
condanna del responsabile al risarcimento del danno. Ora, se come si è sopra
chiarito, l’accertamento della responsabilità dell’assicurato, nell’azione
diretta promossa dal danneggiato nei confronti dell’assicuratore deve avvenire
in modo unitario nei rapporti di tutte e tre le parti che partecipano al
giudizio, e tale accertamento vale anche nei rapporti tra danneggiato e
responsabile, ne consegue che nell’azione promossa dal danneggiato nei
confronti del responsabile per ottenere da costui il risarcimento del danno,
tale accertamento non può differire da quello svolto in sede di azione diretta. La
suddetta ricostruzione dell’azione diretta e della sussistenza in essa di un
litisconsorzio necessario che impone oltre alla partecipazione al giudizio del
responsabile del danno anche una decisione unitaria nei confronti dei soggetti
partecipanti allo stesso, giustifica come nell’ipotesi di azione proposta dal
danneggiale nei confronti del solo responsabile del danno non sia prevista la
necessaria partecipazione al giudizio dell’assicuratore quale litisconsorte.
Invero in quest’ultima ipotesi il rapporto sostanziale dedotto in giudizio
intercorre tra le parti che formalmente vi partecipano e la situazione
accertata in quel giudizio solo indirettamente influisce sul rapporto
assicurativo, il quale potrebbe essere solo eventualmente introdotto mediante
una chiamata in garanzia, ovvero essere introdotto con altro giudizio, ovvero
ancora non essere mai evocato. Se
quanto sin qui detto è esatto ne discende: a) che
va ribadita la giurisprudenza di questa Corte, risalente alla Sez. Un. Cass.,
sez. un., 20 luglio 1983, n. 5220, secondo cui in tema di assicurazione
obbligatoria della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei
veicoli a motore o dei natanti, qualora il danneggiato, esercitando l’azione
diretta nei confronti dell’assicuratore, evochi in giudizio quest’ultimo ed il
responsabile assicurato (L. 24 dicembre 1969, n. 990, artt. 18 e 23), e,
chiedendo un risarcimento eccedente i limiti del massimale di assicurazione,
proponga, oltre alla domanda nei confronti dello assicuratore, anche domanda
contro l’assicurato, le domande medesime si trovano in rapporto di connessione
e reciproca dipendenza, trovando presupposti comuni nell’accertamento della
responsabilità risarcitoria dell’assicurato e dell’entità del danno
risarcibile, con la conseguenza che l’impugnazione della sentenza per un capo
attinente a detti presupposti comuni, da qualunque parte ed in confronto di
qualunque parte proposta, impedisce il passaggio in giudicato dell’intera
pronuncia con riguardo a tutte le parti (v. di recente: Cass. n. 15039/04; Cass. n. 10125/03; Cass. n.
5877/99; Cass. n. 255/99; Cass. n. 9919/98); b)
che, in materia di dichiarazioni rese dal responsabile del danno, va respinta
qualsiasi tesi che porti a concludere che, nel giudizio instaurato ai sensi
della L. n. 990 del 1969, art. 18, e nel caso in cui sia stata proposta
soltanto l’azione diretta e nel caso in cui sia stata proposta anche la domanda
di condanna nei confronti del responsabile del danno, in base a dette
dichiarazioni si possa pervenire ad un differenziato giudizio di
responsabilità, in ordine ai rapporti tra responsabile e danneggiato, da un
lato, e danneggiato ed assicuratore dall’altro. E’
bene che questo punto sia affrontato e chiarito, a prescindere dal fatto se la
dichiarazione del responsabile del danno sia contenuta o meno nel cosiddetto
CID, con la precisazione che quanto si parla di dichiarazioni confessorie si fa
riferimento a quelle dichiarazioni in cui siano ammessi fatti che, valutati
alla stregua delle regole in materia, possano portare alle affermazione della
responsabilità del soggetto che le ha rese, e non quindi alle dichiarazioni che
consistano in mera assunzione di responsabilità o di colpa. Questo secondo
punto deve, inoltre, essere affrontato in relazione all’ipotesi in cui la
dichiarazione, ritenuta avente valore confessorio, sia resa dal responsabile
del danno che sia anche litisconsorte necessario nel giudizio promosso dal
danneggiato contro l’assicuratore, e cioè dal proprietario del veicolo
assicurato, secondo quella che è la quasi unanime giurisprudenza di questa
Corte. Questa ipotesi si realizza prevalentemente nel caso, ricorrente nella
specie, in cui il conducente del mezzo si identifica con il proprietario del
veicolo. Sono
estranee al presente giudizio invece le questioni che attengono alla
confessione resa dal conducente del veicolo, il quale non sia anche proprietario
del mezzo. Orbene
una volta chiarito che nel giudizio promosso dal danneggiato nei confronti
dell’assicuratore il responsabile del danno, che deve essere chiamato nel
giudizio sin dall’inizio, assume la veste di litisconsorte necessario, ed una
volta affermato che la decisione deve essere uniforme per tutti e tre i
soggetti ed è, inoltre, idonea a regolare i rapporti tra gli stessi (non quindi
solo il rapporto tra danneggiato ed assicuratore, ma anche quello tra
quest’ultimo ed il responsabile del danno, in ordine alla sussistenza del
rapporto assicurativo, e tra il predetto responsabile ed il danneggiato in
ordine alla responsabilità del sinistro), appare consequenziale che dalla
va-lutazione delle dichiarazioni di colui che secondo il danneggiato è il
responsabile del danno, non possono derivare conclusioni differenziate in
ordine ai rapporti sopra individuati. La
norma attraverso la quale si realizza questo effetto è quella di cui al terzo
comma dell’art. 2733 c.c., secondo la quale in caso di litisconsorzio
necessario la confessione resa da alcuni soltanto dei litisconsorzi è
liberamente apprezzata dal giudice; questa norma costituisce una deroga a ciò
che dispone il secondo comma, secondo cui la confessione fa piena prova contro
chi l’ha fatta; infatti viene esclusa la funzione di piena prova della
confessione, la quale assume soltanto la natura di elemento che il giudice
apprezza liberamente, e ciò non solo nei confronti di chi ha reso la
dichiarazione ma anche nei confronti degli altri litisconsorzi. La norma è
applicabile alla fattispecie in esame, poichè si verte in tema di accertamento
di fatti, da effettuarsi in modo unitario, i quali, come si è in precedenza
affermato, hanno efficacia e rilevanza comuni per tutte e tre le parti che la legge
indica come litisconsorzi necessari del giudizio promosso dal danneggiato ai
sensi della L. n. 990 del 1969, art. 18. In
applicazione dei suddetti principi perde rilievo la questione sollevata nel
secondo motivo del ricorso relativa al valore confessorio o meno da attribuire
alle dichiarazioni rese della parti nel modello CID. Non hanno rilievo neppure
le questioni sollevate, sempre con il secondo motivo, con riferimento alle
affermazioni contenute nella sentenza impugnata, secondo cui il D.L. n. 857
del 1976, art. 5 non troverebbe applicazione nella specie essendo mancato
uno "scontro" tra i due veicoli e perchè il modello CID sarebbe stato
inviato con ritardo all’assicuratore. Infatti,
il Tribunale, nonostante abbia affermato che, per le suddette ragioni, il
modulo CID non potesse avere valore di "presunzione legale" nei
confronti dell’assicuratore, ha finito poi per prendere in esame la
ricostruzione dei fatti contenuta nel predetto modulo e con ampia ed
argomentata motivazione, basata su dati obiettivi e sulle osservazioni del
consulente tecnico, ha, in accordo con questi, concluso che i danni riscontrati
sull’auto del C. non erano compatibili con la dinamica del sinistro così come
descritta dalle parti e che, ammesso che il sinistro si fosse effettivamente
verificato, lo stesso era comunque avvenuto con modalità diverse da quelle
descritte. Ora se
si considera che, come da costante giurisprudenza di questa Corte di
Cassazione, il modulo CID quando è sottoscritto dai conducenti coinvolti e
completo in ogni sua parte, compresa la data, genera una presunzione iuris
tantum valevole nei confronti dell’assicuratore, e come tale superabile con
prova contraria e che tale prova può emergere non soltanto da un’altra
presunzione, che faccia ritenere che il fatto non si è verificato o si è
verificato con modalità diverse da quelle dichiarate, ma anche da altre
risultanze di causa, ad esempio da una consulenza tecnica d’ufficio, ne
consegue che la sentenza impugnata si sottrae alle censure in diritto svolte
dal ricorrente, perchè, nonostante le richiamate contrarie affermazioni, essa
ha finito per applicare di fatto correttamente la norma che si assume violata. Le
censure che, invece, si richiamano alla violazione dell’art. 360 c.p.c.,
n. 5 sono inammissibili, atteso che esse si risolvono nella pretesa di una
diversa valutazione degli elementi di prova esaminati dal Tribunale, il cui
convincimento è sostenuto da argomentazioni immuni da vizi logici e, come
rilevato nel paragrafo che precede, anche da vizi giuridici. Il ricorso
è rigettato. Nulla per le spese in assenza di svolgimento di attività difensiva
delle parti intimate.
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