La risposta la lasciamo a voi. O meglio: ce la risparmiamo, evitiamo di dare una risposta
scontata ad una domanda retorica che avremmo preferito non porci. Del resto, si dice che tutto il mondo è paese, ed è
proprio vero: in America, anzi “Lamerica” dei primi anni del ‘900, il
proibizionismo nacque, visse e morì all’età di 14 anni. Da noi, se di proibizionismo si può parlare, la sua
nascita e la sua morte si sono succedute nel breve volgere di qualche giorno.
Di vita non si può tecnicamente parlare, perché di fatto la Finanziaria non è
ancora entrata in vigore e nessuno, tra i preoccupati gestori che avevano
lamentato difficoltà e imbarazzi a chiedere una carta d’identità ai clienti più
imberbi (ai quali avrebbero somministrato sostanze definite dai puritani
“veleno” o nella migliore delle ipotesi – peraltro scientifica –“psicoattive”),
si è poi trovato in tale difficoltoso contesto. America, dicevamo: in quel paese, puritano all’eccesso per
tanti versi, la carta d’identità serve per ordinare un drink – è vero – “ma poi
i ragazzini si ubriacano ai party nei college”, leggiamo un po’ ovunque in pagine
vergate da atterriti tutori della libertà, del politicamente corretto e perfino
della pedagogia più evoluta. Se è per questo, si ubriacano anche da noi, in Italia,
dove ai sedicenni è consentito acquistare sostanze psicoattive come l’alcol,
“veleno” secondo molti, nettare simbolo della nostra cultura secondo altri. Dove, non ci dimentichiamo di essere poliziotti, la
maggioranza degli adolescenti ha occasione di fare uso di sostanze
stupefacenti. E in fondo, anche se i tempi americani sono un po’ diversi,
la storia mostra varie similitudini: spinta politica al proibizionismo, legge
che la istituisce (18° emendamento del 16 gennaio 1919), contrabbando e nascita
del gangsterismo, colpo di spugna del governo federale e poi brindisi
collettivo finalmente fuori dagli speak-easy – i locali clandestini – all’alba
del 5 dicembre 1933, quando con l’emendamento numero 21 Washington tornò sui
propri passi. Da allora, la retromarcia dei federali del campidoglio
americano rappresenta il cavallo di battaglia degli antiproibizionisti: il
senso mistico di quella sconfitta integralista, viene propinato in
continuazione per dare addosso a tutto ciò che è intrapreso per difendere certi
elementari diritti del cittadino (quello alla salute, per esempio), soprattutto
se minore. Non vogliamo generalizzare, parlando di
antiproibizionisti, perché faremmo politica, e ognuno per una volta tenga per
sé le proprie idee. Spinello sì-spinello no, modica quantità-uso personale,
droghe leggere-droghe pesanti: non è questa la sede che ci interessa. Noi vorremmo una giusta misura, una soluzione equa. Senza rinnegare nulla di quella che è la nostra cultura,
anche religiosa: insomma, lo dice anche il prete che “…l’acqua unita al vino
sia il segno della nostra unione…”, e la vigna rigogliosa è un’icona della
cristianità non solo perché nella dieta mediterranea ci deve essere la frutta,
e quindi l’uva, nel dessert. L’articolo 90 della finanziaria ci sembrava ben fatto, ci
sembrava avere in sé la formula giusta o se volete la giusta soluzione per non
rinnegare niente di ciò che siamo ma per fare un passo avanti: “ragazzi, se
avete meno di 18 anni non potete
comprare birra, vino e Whisky, perché a riempirvi il naso di quella roba poi vi
fate male”. Avremmo forse visto, con l’articolo O semplicemente queste cose le vediamo già? Noi che sulla
strada ci siamo, e che questi rioni di periferia, questi centri storici
cittadini o questi piccoli paesi di provincia li conosciamo bene, sappiamo che
sarebbe cambiato poco. Ragazzini di 14 anni ubriachi, ci sono già, e sappiamo
che in ogni bar chiunque anche sotto la soglia dei 16 anni, può comprare quello
che vuole. Sigarette, birra, vino. Sarebbe stato solo un modo di cominciare, di far vedere
che una legge c’è e che non soggiace sempre all’interesse di una lobby del
vino, di quella della birra. Sarebbe stato semplicemente il migliore dei modi di far
compiere un piccolo salto nella scala evolutiva della società, se volete una
correzione della mentalità collettiva. Certo, da solo non sarebbe servito a niente: ci saremmo
aspettati, se fosse passato, una maggior educazione nelle scuole, dove qualcuno
avrebbe dovuto spiegare ai ragazzi – seguendo in questo caso le leggi della
pedagogia – che bere e fumare fa male, che fegato e polmoni si riducono a
brandelli, anche a sorseggiare un pregiato vino ed anche a fumare solo 5
sigarette al giorno. Un processo formativo, insomma, facendo bene attenzione a
non rendere romanticamente proibito il gusto di una ciucca adolescenziale, ma
solo spiegando cos’è la cirrosi epatica, l’etilismo cronico o gli effetti sulla
guida di qualche bicchiere di buon vino: la morte. Invece no: poche ore dopo la pubblicazione di un testo
saggio, ecco il primo colpo d’ariete, nemmeno trasversale, ma sferrato
dall’interno, che sa tanto di marcia indietro ingranata alla prima telefonata
preoccupata da parte di chi, col vino e la birra, ci fa soldi senza scrupoli. Il fatto è che certi ragazzini non sono stupidi: ingenui,
semmai, poco inclini alla disciplina forse (come tutti i cuccioli). I ragazzini, in questi giorni, si sono sentiti tirare in
ballo ed avranno pur sentito parlare di questa proposta. Avranno certamente
sentito di quel cuoco raffinato che ha reclamato il diritto di far conoscere
alla propria figlia di un anno – che praticamente in fasce aveva infilato le dita
in un pregiatissimo Sassicaia servito a tavola ciucciandosele subito dopo – il
gusto di mangiare e bere con illuminata sapienza, o avranno sentito dire da
altri di effetti benefici dell’alcol sull’organismo umano. Avranno sentito che un ammaliante divieto stava per essere
aggiunto ad altri, ma che alla fine non è passato, e che quindi – non
trattandosi di una cosa da proibire – non fa male. Secondo voi cosa avranno capito? Che è il caso di fare un corso da sommelier a 16 anni,
così possono abbinare bottiglia e formaggio in una serata a tema con gli amici? Ma fateci il piacere e pensate ai danni che fate. |
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