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L’aumento degli incidenti dei motociclisti sta spingendo l’Europa e i
singoli stati a inutili politiche repressive. Si cercano vie d’uscita da questa
situazione e noi di Dueruote lanciamo le nostre proposte, per aprire il
dialogo.
Il problema è tanto grave quanto semplice da descrivere. L’Europa, che
per il primo decennio del 2000 si è imposta l’obiettivo di ridurre la mortalità
stradale del 50%, sta registrando con disappunto e preoccupazione il costante
aumento degli incidenti dei motociclisti. Nel rapporto di medio termine, si legge infatti che se la percentuale
di motociclisti morti, sul totale dei deceduti in incidente, fino al ’96 era
stata stabile al 9,5%, nel 2003 è salita al 14%. E il numero dei motociclisti
deceduti, sempre fra il 2000 e il 2003, è aumentato del 5,6%. Al contrario, la
globalità degli altri utilizzatori della strada, ha visto decrescere la
mortalità del 12% nello stesso periodo. La situazione di maggiore allarme,
conclude il rapporto, si registra in Italia (1° paese citato), Belgio, Svezia e
Regno Unito. Da noi, a tenere desta l’attenzione sul problema ci pensa l’ASAPS
(Associazione Sostenitori e Amici della Polizia Stradale – www.asaps.it), che
ogni martedì rende disponibili le statistiche degli incidenti del week end, non
mancando di sottolineare come il 50% dei morti per ogni fine settimana
primaverile, sia costituito da motociclisti; con punte di oltre il 60% nei fine
settimana di maggio.
Il risvolto è che, sia a livello nazionale che comunitario, si stanno
pensando nuove politiche, mirate a ridurre l’incidentalità dei motociclisti.
Politiche spesso inutilmente repressive, ma non sapendo cosa fare –perché
nessuno sa da che parte prendere questo problema- si può solo scegliere la
repressione, che ha l’effetto di rendere sempre meno appetibile l’uso delle due
ruote. Così, riducendo il numero delle moto circolanti, automaticamente si
ridurrà il numero degli incidenti.
L’esempio è la terza direttiva patenti, di cui abbiamo parlato molto
sia su queste pagine che su Motonline.com. Non è una regolamentazione che
aumenterà la sicurezza, ma una serie di ostacoli, con ore di autoscuola
obbligatorie nel passaggio fra i vari gradi di patente A, mano a mano che si
cresce. Cosa che paradossalmente incentiverà l’accesso diretto a 26 anni. Con
tanti saluti a tutti gli studi sulla sicurezza, che raccomandano la crescita
graduale di cilindrata, piuttosto che l’accesso diretto, anche a un’età
avanzata.
Ecco perché, al di là della nostra sicurezza –che deve interessarci!-,
il problema degli incidenti dei motociclisti in aumento è particolarmente
grave: ci rimettiamo noi, in tutti i sensi.
Le cause
Una prima cosa da dire è che le statistiche vanno correlate con
l’aumentato numero degli utilizzatori delle due ruote e con l’incremento del
chilometraggio medio. Anche facendo questa operazione però, e l’ASAPS l’ha
fatta, i numeri sono contro di noi. Allora restano tre criticità sulle quali
intervenire: lo stato delle strade, la segnaletica carente e il comportamento
dei motociclisti.
Le strade
In un rapporto di qualche anno fa, l’ANAS indicava che con una
manutenzione ottimale delle strade e l’adozione di guard rail a norma, la
mortalità stradale si sarebbe ridotta del 13%. Ovviamente servivano soldi, 2650
milioni di euro, allora. Alzi la mano chi pensa che sia stato fatto qualcosa. E visto che l’ente che gestisce le strade nazionali cita i guard rail,
come non ricordare che da noi c’è un problema normativo che ci impedisce di
comprare protezioni per motociclisti già in uso all’estero e di usarle senza
formalità? Perché la nostra normativa nazionale è più severa di quella europea, e
il riconoscimento delle omologazioni di guard rail effettuate da altre paesi,
in Italia non è possibile. Così Francia, Germania, Svezia e tanti altri paesi,
da anni ormai hanno protezioni plastiche per le barriere, che impediscono ai
motociclisti di affettarsi con le lame. Da noi però non possono essere usate,
senza superare preventivamente l’omologazione italiana. Che costa soldi e tempo.
Così, alcune amministrazioni per ora adottano sperimentalmente queste
protezioni, sollecitando il Ministero delle Infrastrutture a intervenire quanto
prima per sanare il problema.
La segnaletica
Solo pochi mesi fa il presidente dell’ACI, all’apertura del Salone
della Sicurezza Stradale, ha detto che l’Italia ha una segnaletica da terzo
mondo. Un argomento che abbiamo affrontato anche con Michele La Fortezza, il 1°
dirigente della Polizia di Stato, che abbiamo intervistato il mese scorso per
il servizio sui Velox. «Molto spesso la
segnaletica viene utilizzata per tamponare situazioni puntuali e locali, senza
inquadrarla in un progetto generale sviluppato in relazione all’utilizzo e alle
caratteristiche della strada. E se la competenza è frammentata fra vari enti,
non c’è un coordinamento affinché le prescrizioni siano coerenti. Così basta
fare una strada statale o provinciale a lunga percorrenza, per rendersi conto
che rispettare tutta la segnaletica diventa problematico». Per il comandante dei vigili Urbani di Milano, Emiliano Bezzon, il
problema è nel Codice della Strada, che stenta ad adeguarsi. «Tutta la parte
tecnica del Codice fa fatica ad adeguarsi. Così sorgono i problemi. Ad esempio,
adesso abbiamo lo scoglio delle zone a traffico limitato per inquinamento, che
non sappiamo come indicare, perché abbiamo a disposizione solo segnali
standard. La soluzione è nei pannelli integrativi, quelli quadrati o
rettangolari bianchi che stanno sotto il cartello. Solo che ormai, per
l’esigenza di trasferire su questi le prescrizioni, stanno diventando sempre
più lunghi e difficili da leggere. E potendo usare solo un blocco di segnali
statici, spesso si è costretti a impiantare una selva di cartelli».
I motociclisti
«Il motociclista è
un utente debole –dice La Fortezza- che
ha una spalmatura degli incidenti su tutta la settimana; con punte alte
all’interno dei centri abitati, dove le insidie sono molto maggiori. Basta uno
sportello aperto per far cadere un motociclista. Ci sono, è vero, quelli che
vanno in montagna a tirare ed a farsi male, ma soprattutto vanno considerati
coloro che tutti i giorni utilizzano la moto come sistema di trasporto
alternativo, gli scooteristi». Questo discorso degli scooteristi lo ha affrontato anche Bezzon, dei
Vigili Urbani di Milano. «Sono aumentati i
motociclisti, ma non è migliorata la capacità di guidare. C’è molta gente che è
passata dalle 4 alle 2 ruote, ma non ha la capacità tecnica né le
caratteristiche: hanno inesperienza sulle 2 ruote e tempi di reazione diversi.
Chi non ha mai avuto la patente A, ha dei limiti evidenti. Certo, mi rendo
conto che è difficile andare a imporre la patente moto a chi da tanti anni
guida la macchina». «E bisognerebbe
lavorare anche sugli equipaggiamenti, perché si vedono in giro caschetti da
quattro soldi e ciabatte infradito. Manca la consapevolezza della pericolosità». Un fatto, questo dell’abbigliamento, sul quale il comandante del GIT
dei Vigili Urbani di Roma, Carlo Buttarelli, è andato addirittura oltre,
chiedendosi se sarebbe il caso di imporre normativamente l’uso di un minimo di
abbigliamento specifico; visto che d’estate le statistiche dei feriti
registrano un peggioramento, proprio per l’abitudine di andare in scooter senza
abiti protettivi. Ma alla fine, chiediamo a La Fortezza, cosa ci imputate voi della
Stradale? «Probabilmente
spesso il motociclista non si rende conto che con le proprie manovre
spericolate, come i cambiamenti repentini di corsia, il sorpasso sfiorando il
veicolo, il rientro molto repentino da una manovra di sorpasso, il sorpassare a
destra, soprattutto sui raccordi o sulle autostrade, può essere motivo di
disordine o di reazioni inconsulte nella guida da parte di qualcuno che non si
aspetta l’arrivo del mezzo a due ruote. E troppo spesso il fatto che aprite
troppo la manetta». Sorride La Fortezza, come a farci
capire che comprende la nostra passionaccia. Ma cosa possiamo fare per cambiare
lo stato delle cose? «Il problema è che
le strade sono rimaste le stesse di trenta anni fa. Sono aumentate come
estensione solo del 2%, mentre i veicoli ormai sono 44 milioni (nel 2004).
L’elemento più duttile al momento è proprio l’uomo, che si deve adattare
all’ambiente. Se la strada è stata costruita nel 1920, quando le velocità
massime erano di 100 Km/h, non si può pretendere che la stessa strada possa
sopportare veicoli che vanno a 250. Ci sono punti dove anche andare a 80 Km/h è
pericoloso. Se si ha voglia di correre, è meglio andare in circuito».
La nostra analisi
Sulle strade e sulla segnaletica non possiamo certo intervenire
direttamente. Possiamo invece capire e affrontare meglio il comportamento dei
motociclisti. Dal nostro punto di vista, i punti critici sono tre: i nuovi
scooteristi che non sono in grado di guidare e si sentono invulnerabili. Poi ci
sono gli esaltati, che nei week end scambiano le strade di montagna per piste,
mettendo a rischio la loro e l’altrui incolumità. Infine ci sono i ragazzi
giovani, per i quali bisognerà riuscire a mettere su, prima o poi, dei corsi
seri di educazione stradale e di guida sicura.
Le nostre
proposte
Servono corsi
Deve crearsi una sinergia fra costruttori e sponsor istituzionali, per
offrire gratuitamente corsi di guida sicura a tutti gli acquirenti di un nuovo
veicolo a due ruote. Vi sembra un’utopia? In Spagna i costruttori di moto lo
stanno già facendo, con guidatori che hanno la patente B1 da meno di tre anni.
Da un’iniziativa di questo genere, anche le case motociclistiche potrebbero
trarre un grande vantaggio d’immagine, e non solo.
Integrare gli scooteristi
Scooteristi e motociclisti non si parlano. Spesso gli scooteristi
avrebbero voglia di usare in maniera diversa il loro veicolo. Magari per del
turismo. Si dovrebbero allora creare delle occasioni di aggregazione fra
motociclisti e scooteristi, con raduni che siano occasioni turistico-culturali
pensate appositamente per un target trasversale. Manifestazioni che dovrebbero
favorire il dialogo e l’integrazione culturale.
Favorire l’uso della pista
La Federazione Motociclistica Francese ha varato il programma “Porte aperte dei circuiti”, che prevede
undici appuntamenti in autodromi diversi, riservati a normali utenti della
strada che vogliano girare in pista. Il costo d’ingresso massimo è fissato in
15 euro. Qualcosa di simile succede anche in Italia, a opera principalmente
delle case di pneumatici, ma bisognerebbe che un ente nazionale –la FMI?-
varasse un programma di eventi calendarizzati; in modo da permettere agli
appassionati di programmare le uscite in pista. Parallelamente si potrebbero
chiedere maggiori controlli sulle strade abitualmente usate come piste nel week
end.
I DATI
A margine del nostro incontro, il Dott. Michele La Fortezza, della
Polizia di Stato, ci ha raccontato di avere in corso uno studio sulle utenze
deboli della strada. Così è venuto spontaneo, chiedergli un estratto del suo
lavoro, ancora in corso d’opera. Lo studio prende in considerazione i dati dell’incidentalità
registrati da tutte le forze dell’ordine nei primi sei mesi dell’anno. I dueruotisti morti sono 393, con le moto che contribuiscono per un 24,4%
al totale delle vittime (26,3% al numero di incidenti). C’è però un dato
positivo: nel 2005 le vittime erano state 444. Un primo segnalo di calo! La localizzazione dei sinistri si conferma prevalentemente in città e,
nel caso di coinvolgimento di moto, i decessi si verificano per il 39,1% sulle
strade urbane, per il 24,5% su quelle extraurbane e per il 7,4% in autostrada. Il fine settimana si conferma come il momento più pericoloso, tanto
che il 45% dei motociclisti morti, sono deceduti per incidenti avvenuti il
sabato o la domenica. In compenso, rispetto al 2005, anche questa percentuale è
scesa (era il 51,3%). Infine gli orari: il 32% degli incidenti mortali si è verificato fra
le 12 e le 18.
L’opinione della
FMI
Francesca Marozza è la persona che per conto della Federmoto si occupa
di sicurezza stradale. «Stiamo cercando
quali dati sono credibili, perché ogni ente spesso tira fuori numeri diversi,
frutto di elaborazioni e interpretazioni differenti. Siamo convinti che il
problema vada affrontato tutti insieme e per questo, a settembre, promuoveremo
un primo incontro, al quale inviteremo tutte le parti che hanno voce in merito
alla sicurezza stradale. L’obiettivo è arrivare a ragionare su dati univoci,
magari anche lanciare nuove e diverse raccolte di dati sugli incidenti e sulle
loro cause. Il tutto per mettere a punto una strategia univoca e condivisa».
Il guard rail è una delle protezioni adottate sperimentalmente sulle nostre
strade. Per saperne di più, andate su Motonline.com cercando con il motore di
ricerca le protezioni messe sulla via “Campagnanese”, il guard rail “Custom” a
Roma, oppure le protezioni che la provincia di Perugia ha messo sulla via
“Apecchiese”.
Dossier Sicurezza I: cosa si fa all’estero
Dossier sicurezza II: cosa si fa nel nostro paese
Dossier sicurezza III: la situazione di Milano
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