“Tali
requisiti, che lo straniero deve dimostrare di possedere non soltanto al
momento dell’ingresso in Italia e del rilascio del permesso di soggiorno, ma
anche nel corso del suo soggiorno, restano pur sempre soggetti a verifica da
parte dell’Autorità competente, con la conseguenza che, venendo meno uno di
essi, deve ritenersi certamente legittima la revoca del permesso già rilasciato
ovvero il diniego di rinnovo, ai sensi dell’art. 5 comma 5, del D.Lgs.
25.7.1998, n. 286” Questa
la decisione del Consiglio di Stato, sezione VI, n. 6018/06, depositata il 10
ottobre 2006, con la quale ha rigettato l’appello proposto da un cittadino
straniero, confermando la sentenza di primo grado, il quale riteneva viziato da
eccesso di potere, nonché erronea valutazione dei fatti, il rigetto da parte
della Pubblica Amministrazione del permesso di soggiorno per motivi di
pericolosità sociale. Il
cittadino straniero deduceva l’erronea motivazione secondo cui si sarebbe
ricavato il giudizio di rilevanza della pericolosità sociale dello stesso, e
cioè con la semplice valutazione di precedenti carichi giudiziari – peraltro
non lievi – e non invece in base ad un “esame concreto dell’intera personalità
del soggetto, nell’ottica di una valutazione pro-futuro”. L’alto
consesso, premettendo che la valutazione della pericolosità sociale (cioè della
capacità e della propensione a delinquere) fa parte di un’attività
discrezionale della Pubblica Amministrazione, soggetta al solo sindacato di
vizi di illogicità, carenza di presupposti o manifesta congruità, ha ritenuto
corretto l’operato dell’Autorità competente, che ha effettuato un giudizio
prognostico sulla base di elementi fattuali (precedenti penali) sufficienti a
generare l’allarme sociale e dunque il giudizio di pericolosità. La
decisione del giudice amministrativo in premessa discosta da una serie di altre
pronunce riguardo alla sussistenza in capo all’Autorità competente di un potere
discrezionale di valutazione della pericolosità sociale, che, invece,
propendono per l’attività vincolata (TAR Toscana I 6/6/2005 n. 2710; TAR
Piemonte II 14/5/2005 n. 1678; TAR Trieste 19/6/2004 n. 347; TAR Parma 7/4/2005
n. 207; TAR Bologna I 6/9/2005 n. 1514, 24/5/2005 n. 753 e 20/4/2005 n. 632). Sulla
stessa scia la Corte di Cassazione, che con la sentenza, la n.
12721 del 30 agosto 2002, ha precisato i limiti concreti alla
"discrezionalità" dell’autorità amministrativa, nel valutare
pericoloso il cittadino straniero, si devono basare sul rispetto dei seguenti
criteri: a) della necessità di un accertamento oggettivo e non meramente
soggettivo degli elementi che giustificano sospetti e presunzioni; b) del
requisito dell’attualità della pericolosità; c) della necessità di esaminare
globalmente l’intera personalità del soggetto, quale risulta da tutte le
manifestazioni sociali della sua vita." Per
altri indirizzi, conformemente alla decisione in argomento, (C.d.S. 2852/2006;
TAR Catanzaro I 15/2/2005 n. 166, TAR Toscana I 4/5/2005 n. 1478; Cass. 473/94)
la pericolosità sociale è la conseguenza di un giudizio prognostico,
discrezionale, nel quale possono essere utilizzati un’ampia serie di elementi
(indizi, precedenti condanne, segnalazioni, tenore di vita e frequentazioni di
pregiudicati) rivelatori della pericolosità sociale, cioè della capacità e
della propensione a delinquere. (Altalex,
13 ottobre 2006. Nota di Gesuele
Bellini) Consiglio di Stato Sezione VI Decisione 10 ottobre 2006, n. 6018 REPUBBLICA
ITALIANA IN
NOME DEL POPOLO ITALIANO N. 6018/06 Il
Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha
pronunciato la seguente DECISIONE sul
ricorso in appello n. 3770 del 2005 proposto da A. A., rappresentato e difeso
dall’avv. Sandro De Martin ed elettivamente domiciliato presso lo studio
dell’avv. Benito P. Panariti, in Roma, via Celimontana n.38; contro il
Ministero dell’Interno, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso
dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui Uffici è per legge
domiciliato in Roma, via dei Portoghesi n.12; per
l’annullamento, previa
sospensione dell’esecuzione, della sentenza del Tribunale Amministrativo
Regionale del Veneto n.2637/2004 in data 10 agosto 2004, resa inter partes; visto
l’atto di costituzione in giudizio dell’Amministrazione appellata; visti
gli atti tutti della causa; alla
pubblica udienza del 13 giugno 2006, relatore il Consigliere Domenico Cafini,
uditi l’avvocato Panariti, per il ricorrente, e l’avvocato dello Stato
Giannuzzi, per il Ministero appellato; ritenuto
e considerato in fatto e in diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1.
Con ricorso prodotto innanzi al TAR per il Veneto A. A., cittadino straniero,
impugnava il provvedimento del Questore di Venezia in data 7.10.2003
concernente il rigetto - per ritenuta pericolosità sociale - della domanda
volta al rinnovo del suo permesso di soggiorno, deducendo i seguenti motivi di
diritto: a)
eccesso di potere per travisamento ed erronea valutazione del fatto, in quanto
non sarebbero mancati nella specie gli estremi per considerare il ricorrente
socialmente pericoloso; b)
violazione di legge, in particolare, dell’art 13, comma 2, lett. c) del D. Lgs.
286/1998, richiamante l’art. 1 L. n. 1423/1956 e successive modificazioni, e
dell’art 1 della legge 1423/1956, in relazione all’art. 3 L n. 241/1990. Nel
giudizio non si costituiva l’Amministrazione intimata. 1.1.
Con la sentenza in epigrafe specificata, il TAR adito respingeva il ricorso,
ritenendo infondati i motivi come sopra formulati, dopo avere evidenziato che,
nel caso in esame, la pericolosità sociale del ricorrente era desumibile da una
serie di vicende e, precisamente, da una condanna per ricettazione del 2001 e
da due deferimenti all’Autorità giudiziaria risalenti al 2002, episodi questi
che, complessivamente considerati, al di là degli accertamenti svolti in sede
penale, potevano “ragionevolmente sorreggere il giudizio di pericolosità sociale”
e, quindi, la mancanza del requisito di una condotta corretta, la quale -
unitamente all’attività lavorativa e al possesso di un alloggio - deve essere
considerata tra i requisiti essenziali per ottenere e mantenere il permesso di
soggiorno. Tali requisiti - che lo straniero deve dimostrare di possedere non
soltanto al momento dell’ingresso in Italia e del rilascio del permesso di
soggiorno, ma anche nel corso del suo soggiorno – restano pur sempre, secondo i
primi giudici, soggetti a verifica da parte dell’Autorità competente, con la
conseguenza che, venendo meno uno di essi, deve doveva ritenersi certamente
legittima la revoca del permesso già rilasciato ovvero il diniego di rinnovo,
ai sensi dell’art. 5 comma 5, del D. Lgs. 25.7.1998, n. 286. 1.2.
Avverso tale sentenza è proposto l’odierno appello, affidato dall’interessato
ai seguenti motivi, sostanzialmente analoghi a quelli già dedotti nel giudizio
di prime cure: a)
eccesso di potere per carenza di motivazione ed ingiustizia manifesta; in
quanto, il Giudice di primo grado, in particolare, non avrebbe desunto
dall’esame concreto dell’intera personalità del soggetto la sua pericolosità
sociale nell’ottica di una valutazione “pro futuro”; le norme applicate nella
parte in cui fanno derivare automaticamente il rigetto dell’istanza di
regolarizzazione del lavoratore extra comunitario dalla presentazione nei suoi
confronti di una denuncia per i previsti reati, peraltro, sarebbero illegittime
costituzionalmente in riferimento all’art.3 Cost.; b)
violazione di legge: in particolare, dell’art 13, comma 2, lett. c) D Lgs. n.
286/1998 richiamante l’art.1 L. n.1423/1956 e successive modificazioni, e
dell’art 1 legge 1423/1956 in relazione all’art. 3 L n. 241/1990, non avendo
indicato il provvedimento impugnato in prime cure i presupposti di fatto e le
ragioni giuridiche alla base delle decisioni dell’Amministrazione in relazione
alla risultanze dell’istruttoria. Nell’attuale
fase di giudizio si è costituito il Ministero appellato che si è opposto
all’accoglimento del ricorso. Alla
Camera di consiglio del 31 maggio 2005 l’istanza cautelare è stata respinta. 1.3.
La causa, infine, è passata in decisione alla pubblica udienza del 13 giugno
2006. DIRITTO 1. Con la sentenza ora oggetto di
esame, il TAR per il Veneto ha respinto il ricorso proposto dall’appellante
avverso il provvedimento della Questura di Venezia che, con decreto in data
7.10.2003, aveva rifiutato al medesimo il rinnovo del permesso di soggiorno. Il Giudice di primo grado ha motivato la propria decisione
in relazione alla presunta pericolosità sociale del sig. A. A., a carico del
quale figuravano vari precedenti penali per i reati di minaccia e resistenza a
pubblico ufficiale, oltre che una sentenza di condanna (n.3/2001), emessa dal
Tribunale di Treviso ai sensi dell’art. 444 c.p.p., ad un anno di reclusione
per il reato di ricettazione. Tuttavia, sostiene il ricorrente nel presente appello -
nel quale si riproducono sostanzialmente le doglianze dedotte nel giudizio di
primo grado - non può ritenersi che tali carichi giudiziari costituiscano un
serio elemento da cui desumere la sua pericolosità sociale, dovendosi tener
conto anche del fatto che egli avrebbe sempre svolto in Italia attività
lavorativa, sin dal momento dell’ingresso nel territorio italiano, e sarebbe
anche in possesso di un alloggio in forza di apposito contratto di locazione. 2.
L’appello, in tal senso proposto, non è fondato. 2.1. Ed invero, la motivazione del
diniego di permesso di soggiorno, emergente dal provvedimento impugnato,
ritenuto legittimo dal TAR, è ampia ed articolata: essa fa riferimento ai
diversi precedenti penali, non certo lievi, dell’appellante, al fine di
evidenziare che la sua condotta antigiuridica era sintomo di pericolosità
sociale, e all’incapacità, da parte del medesimo, a svolgere una attività
lavorativa continua, avendo l’interessato trascorso lunghi periodi in stato di
disoccupazione (per complessivi 24 mesi nel periodo compreso tra il 26.2.1999 e
il 31.1.2003). La
documentazione esibita a dimostrazione dello stato di non disoccupazione,
peraltro, appare in gran parte irrilevante, perché successiva alla data di
adozione del provvedimento impugnato in prime cure, che reca la data del 7
ottobre 2003; il libretto di lavoro attesta poi che i rapporti lavorativi
dell’interessato sono stati discontinui, come rilevato appunto nell’atto
originariamente impugnato. In considerazione, quindi, della
precarietà delle fonti di reddito, conseguente a quanto avanti accennato e
dimostrata nel tempo, della condanna subita sopra specificata nonché delle
menzionate denunce penali a carico, deve ritenersi che effettivamente non
sussistevano nella specie le condizioni per il rinnovo del permesso di
soggiorno, come riconosciuto appunto dall’Autorità di Polizia nell’ambito del
giudizio discrezionale di sua competenza, poi ritenuto dal Giudice di primo
grado immune dai vizi di legittimità dedotti con il ricorso originario. 2.2. D’altra parte, occorre rilevare che l’art. 4, comma
3, del D. Lgs. n. 286/1998 non consente l’ingresso agli stranieri che siano una
minaccia per l’ordine pubblico e la sicurezza pubblica ed una sentenza di
condanna nonché più procedimenti penali pendenti, conseguenti ad appositi
deferimenti alla competente Autorità giudiziaria, ben possono essere
considerati legittimi sintomi di pericolosità sociale del soggetto in essi
contemplato. Va
soggiunto poi che l’art. 5, comma 5, della legge 6.3.1998 n. 40 non permette il
rilascio del permesso di soggiorno a coloro che non hanno i requisiti per
l’ingresso e per il soggiorno, mentre l’art, 6 del D.P.C.M. in data 16.10. 1998
non consente che il permesso di soggiorno sia rilasciato ai cittadini
extracomunitari, pur presenti nel territorio dello Stato, per i quali
l’ingresso ed il soggiorno non sarebbe consentito; fra le condizioni che
legittimano l’ingresso la principale è, oltre al possesso di idonea
documentazione atta a confermare lo scopo e le condizioni del soggiorno, l’aver
disponibilità di mezzi sufficienti per la durata del soggiorno ed anche per il
ritorno nel Paese di provenienza. L’avere riportato una sentenza di condanna,
in ogni caso, è causa ostativa autonoma rispetto all’assenza di pericolosità
sociale ed al possesso dei mezzi di sussistenza, anche emessa ai sensi
dell’art. 444 c.c.p.. Comunque,
il giudizio (discrezionale) in termini di pericolosità sociale non può che
essere, per sua natura, espresso in termini di probabilità, così prescindendosi
dagli accertamenti eventualmente svolti in sede penale. Quindi, come
evidenziato dai primi giudici, detto giudizio di pericolosità ha contenuto
meramente prognostico e non implica l’esistenza un accertamento definitivo già
intervenuto in sede penale, o meglio, ne può prescindere, sicché quando
sussistano elementi fattuali sufficienti a generare allarme sociale il giudizio
di pericolosità è giustificato, dovendo ritenersi anche che si tratta comunque
di attività discrezionale della P.A., sindacabile soltanto nelle ipotesi di
illogicità, di carenza di presupposti o di manifesta incongruità. 2.3.
In conclusione - poiché requisiti essenziali per poter ottenere il permesso di
soggiorno (oppure il suo rinnovo, in entrambi i casi essendo identica la ratio
della normativa in esame) sono, come accennato, un alloggio, un’attività
lavorativa ed una condotta di vita corretta e tale da far prognosticamente
escludere ogni possibile pericolosità sociale: elementi tutti che devono
perdurantemente sussistere e sono sempre rivalutabili da parte dell’Autorità
competente e tali che, ove vengano meno, possono giustificare la revoca del
permesso ovvero il diniego di rinnovo del medesimo (art. 4, art. 5, comma 5, ed
art. 13, comma 2, d.lgs. 25 luglio 1998 n. 286) - si devono, disattendere le
riproposte doglianze prospettate dall’appellante, avendo i primi giudici
valutato in modo corretto tutte le risultanze processuali inerenti alla
ritenuta pericolosità sociale del ricorrente in rapporto alle circostanze sopra
richiamate. 3.
Da ultimo, in relazione alla eccepita illegittimità costituzionale in relazione
all’art. 3 Cost., ritiene la Sezione che nessuna incostituzionalità sia
ravvisabile in una normativa che consente al Legislatore di prevedere il
divieto d’ingresso o di soggiorno in Italia per soggetti resisi responsabili di
reati gravi e forieri di allarme sociale, come quelli considerati nella
fattispecie. Si
tratta, invero, di comportamenti che denotano una incapacità di adattarsi alle
normali regole della civile comune convivenza e giustamente il Legislatore,
nell’ambito della sua ampia discrezionalità, può assumere un atteggiamento di
comprensibile severità in rapporto alla possibilità di consentire l’ingresso
nel territorio dello Stato a soggetti che manifestino tali deprecabili
comportamenti. Pertanto,
nessun ingresso possono avere i rilievi di illegittimità costituzionale della
normativa in questione in riferimento all’art.3 Cost., come sopra prospettati. 4.
Alla stregua delle considerazioni che precedono, il ricorso in esame deve
essere, dunque, respinto. Sussistono,
peraltro, giusti motivi per disporre, tra le parti in causa, la compensazione
integrale delle spese giudiziali. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta,
definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo rigetta e, per
l’effetto, conferma la sentenza di primo grado. Compensa le spese. Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità
amministrativa. Così
deciso in Roma, il 13 giugno 2006, dal Consiglio di Stato, in sede
giurisdizionale - Sez.VI - nella Camera di Consiglio, con l’intervento dei
Signori: Claudio
Varrone Presidente Carmine
Volpe Consigliere Luciano
Barra Caracciolo Consigliere Giuseppe
Minicone Consigliere Domenico
Cafini Consigliere est. Presidente Consigliere Segretario DEPOSITATA
IN SEGRETERIA il..................10/10/2006................... (Art.
55, L.27/4/1982, n.186) Il
Direttore della Sezione f.to
Maria Rita Oliva In
Sede Giurisdizionale (Sezione Sesta) Addì...................................copia
conforme alla presente è stata trasmessa Il
Direttore della Segreteria |
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