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Editoriali 10/09/2000

La strana e tragica storia di Bita l’albanese e Alessandro bimbo italiano!

Quando un incidente stradale diventa un caso nazionale Analisi del fenomeno omissione di soccorso

Editoriale "Il Centauro" - Settembre 2000
La strana e tragica storia di Bita l’albanese e Alessandro bimbo italiano!
Quando un incidente stradale diventa un caso nazionale Analisi del fenomeno omissione di soccorso
di Giordano Biserni e Lorenzo Borselli


Nessuno può seriamente pensare di abolire per decreto gli incidenti stradali, ma la preoccupante espansione del fenomeno deve farci riflettere e auspicare che finalmente, già dal 2001, molte misure vengano adottate ad iniziare dalle modifiche del C.d.S.; alla legge sul riordino delle discoteche, all’educazione stradale nelle scuole, al ripianamento dell’organico della Polstrada.

Oggi è infuocato il dibattito sui temi importanti e drammatici come la droga, che vede divisi proibizionisti e antiproibizionisti, anche se il prevalere di una fazione sull’altra non sradicherà sicuramente il problema, sulla prostituzione, fra fautori delle case chiuse e contrari (dovremo definirli casinisti e anticasinisti?), ma anche in questo caso il fenomeno continuerà a vivere, potrà solo essere circoscritto, controllato. Il crimine esiste ed esisterà perché è una scorciatoia verso la conquista di un momentaneo benessere per pochi a scapito di altri (tanti).

Il dramma degli incidenti stradali deve trovare a sua volta più convinte forme di contenimento anche perché ha peraltro il limite di non portare benefici o benessere a nessuno.

Però perché le cronache si occupino in maniera approfondita di questo aspetto, alimentando un dibattito forte col grande coinvolgimento dell’opinione pubblica, servono ingredienti particolari, come nel caso che raccontiamo, che vede coinvolto un extracomunitario albanese, Bita Panajot, che si dà alla fuga dopo aver ucciso a Roma un ragazzo italiano, Alessandro, di nove anni che girava tranquillo in bicicletta. Episodio gravissimo, dai contorni sconcertanti ma molto frequente e in molti altri casi passato inosservato.


IL FATTO
Il 22 agosto 1999 è una domenica come tutte le altre per la famiglia Conti. Papà e mamma di una famiglia italiana, un piccolo di 9 anni che nel giorno di festa scorrazza nelle stradine del quartiere romano di Torre Angela. Ma il destino è in agguato. Una Bmw di grossa cilindrata sbuca come un missile, sgommando, e travolge Alessandro insieme a un amichetto. Lo stridio delle gomme copre le urla dei passanti e dei genitori, il rombo del motore dell’auto in fuga sconvolge la scena dell’incidente. Inutili i soccorsi: il cuore di Alessandro, poche ore dopo, si ferma per sempre. La vicenda scuote una nazione intera: per un incidente stradale si mobilitano le unità investigative che serrano una morsa attorno all’investitore. Quattro giorni più tardi le manette dei carabinieri si stringono ai polsi del pirata. Si chiama Bita Panajot, 25 anni, immigrato albanese. Resta in carcere fino al 9 maggio 2000, dopo che in settembre era stato condannato a 5 anni di reclusione e dopo che in appello la pena era stata ridotta a 2 anni e sospesa con la condizionale. Domenica 3 dicembre 2000 Panajot viene sottoposto a controllo da una volante mentre era alla guida di un’alfa 33 e accompagnato in questura per accertamenti, al termine dei quali gli viene revocato il permesso di soggiorno, ottenuto illegalmente con un matrimonio contratto il 30 luglio 2000 con una donna italiana che con ogni probabilità Bita ha visto una volta sola, il giorno del “sì”, davanti ad un sindaco qualunque. Bita, come quasi tutti gli albanesi che controlliamo alla guida di un veicolo, esibisce una patente nazionale albanese e un permesso di guida internazionale, che la Prefettura di Roma decide di ritirare perché l’albanese utilizzava l’auto per “accompagnare le prostitute al lavoro”, segno questo che con ogni probabilità le autorità inquirenti procederanno nei suoi confronti anche a livello penale. A seguito di una perquisizione poi, eseguita nel domicilio dell’albanese da parte della Polizia di Stato, viene rinvenuta una terza patente, anch’essa albanese, e anch’essa probabilmente falsa. Sequestrata immediatamente, sarà sottoposta ai rilievi del gabinetto regionale della Scientifica e all’esame dell’Interpol. Come in gran parte dei casi il verdetto sarà: “contraffatta”. Che il “povero Bita” sia un esperto della contraffazione, è un fatto già assodato, visto che anche i Carabinieri del comando di Caserta, in novembre, gli hanno sequestrato una Volkswagen Passat con telaio contraffatto e un’altra patente internazionale, anch’essa falsa. Certo, il “povero Bita” è balzato agli onori della cronaca per un omicidio colposo con tanto di omissione di soccorso e latitanza, e il suo perpetrare reati, così comune per tanti extracomunitari (senza voler con questo etichettare gli uomini ad una terminologia così abusata), diviene un’aggravante insopportabile per quella giuria in questo caso così intransigente, costituita dal popolo italiano.


RIFLESSIONI
Ma dove sono gli abusi e le prevaricazioni a carico di un uomo che, introdottosi illegalmente in Italia con un finto matrimonio per ottenere un permesso di soggiorno, dopo aver ucciso un bambino e fuggito, dopo essere stato catturato e condannato si fa beffe dell’Italia intera manipolando auto riciclate, documenti contraffatti e favorendo la prostituzione? E’ un effetto della campagna elettorale? Doveva servire la morte di Alessandro per scoprire che non ci sono solo gli scafisti, ma che in realtà ci sono anche uomini che arrivano in Italia per delinquere, per sfruttare e uccidere, senza riferirsi a quello che resta comunque, tra tutte le sue aggravanti, un omicidio colposo? Alcuni degli albanesi a cui la Polizia ha tolto la patente, perché falsa, hanno confidato che in Albania è la polizia stessa, per intascare le somme necessarie al rilascio dei documenti, a rilasciare in alcuni casi patenti e carte di circolazione nazionali e internazionali false (per non parlare delle carte verdi) allo scopo di intascarne i proventi. In altri casi poi alcuni comprano le patenti taroccate in Italia, appena sbarcati, allo scopo di presentarsi poi presso gli uffici della Motorizzazione e ottenere la conversione. A questo punto il gioco è fatto: da una patente albanese comprata tutto sommato a poco prezzo si ricava un documento italiano originale e, a quel punto, non revocabile certo per falsità. Si capisce che il giro di miliardi diventa importante. Eppure il giochino non sembra tanto noto a tutti, e tutt’oggi vediamo tante facce sconvolte a sentire queste cose. Il fatto è che molti albanesi, come molti italiani e utenti della strada in generale, per carità, non sanno nemmeno che cosa sia il Codice della Strada, che diventa una delle tante leggi da violare, in barba a chi invece le rispetta. A volte una botta e poi via, altre volte ci scappa il morto. Alessandro voleva solo farsi un giro in bicicletta, mentre Bita, che di Alessandro se ne frega perché di atti di dolore non ne ha mostrati, continua a delinquere fregandosene di tutto e di tutti, forse solo un po’ infastidito dai riflettori che su di lui si accendono sempre, mentre per la totalità degli altri delinquenti nemmeno una riga sul giornale. Bisogna anche dire però che in genere ciò che è successo a Bita, alludendo in questo all’itero giudiziario che lo ha visto protagonista, è diverso da ciò che succede se per esempio, ad investire un bambino e scappare, fosse stato un italiano in regola. In genere la magistratura condanna questo tipo di imputati, se vengono riconosciuti colpevoli, a 8 mesi. In alcuni casi ad un anno, “ma solo se il giudice è severo”, come ha fatto prontamente notare l’avvocato Cosimo Basso, legale del Panajot. Cosa possiamo rispondere a questa affermazione? Che non ce ne frega niente, e che Bita meritava ben altra condanna. E non perché è un albanese, alla fine clandestino, pregiudicato, in grado di cambiare una patente al giorno, ma perché ha ucciso Alessandro ed è fuggito. Non si è costituito, ma è stato catturato. Non ha cambiato la sua condotta nella società, ma ha cercato (invano) di cambiare il suo aspetto fisico per non essere preso,  continuando ad essere elemento pericoloso per tutti.


I CONTROLLI
La strada ci insegna purtroppo che non esiste una categoria predefinita di persone a cui possiamo attribuire reati inerenti la circolazione stradale. Sappiamo però che alcune sembrano maggiormente presenti nelle esperienze operative degli operatori di polizia: chi sono? Ovvio che una persona che entra in Italia con una patente falsa lo fa per circolare liberamente su strada, confidando nel fatto che pochi sapranno riconoscere la contraffazione e soprattutto che se la caverà a buon mercato. Statisticamente improbabile, anche nel caso in cui venga fermato, potrà sperare nell’“imperizia” dell’accertatore (anche se sarebbe più proprio definirla ignoranza, vista la totale mancanza di fotocopie comparative leggibili circolanti nei posti di polizia o lo scarso aggiornamento professionale, lasciando tutto alla buona volontà dei singoli). Nel malaugurato caso in cui venga comunque scoperto potrà comunque contare sulle depenalizzazioni ormai in vigore previste per l’articolo 116 del Codice della Strada e dell’italica lungaggine delle vie giudiziarie, finendo poi con il patteggiare o col fornire giustificazioni ritenute alla fine valide dal giudice.


LE OMISSIONI DI SOCCORSO IN NUMERI
Quando avviene un incidente stradale, in Italia (ma riteniamo di poter dire in ogni paese civile), il comportamento delle parti è regolato dall’art. 189 del Codice della Strada, il quale recita testualmente: “L’utente della strada, in caso di incidente comunque ricollegabile al suo comportamento, ha l’obbligo di fermarsi e prestare l’assistenza occorrente a coloro che, eventualmente, abbiano subito danno alla persona [...]. Non esiste un dato certo, in Italia, di quanti siano gli utenti della strada che scappano. Certo, l’episodio che ha visto soggetto attivo del reato Bita Panajot è stato sicuramente “falsato” in sede di indagine e di giudizio dall’onda emotiva popolare che l’evento ha causato, ma è anche vero che una persona che uccide, scappa, modifica il suo aspetto per non farsi riconoscere, quando viene catturata merita (e questo lo diciamo senza essere investiti a nostra volta dall’onda emotiva) il massimo della punizione. Al punto che pur essendo un reato di carattere colposo, la successiva condotta del reo lo ha trasformato, di fatto, al giudizio del popolo, in un vero e proprio delitto doloso e come tale la gente vorrebbe fosse punito. Senza farci prendere dalla rabbia abbiamo cercato, frugato, scandagliato negli archivi, e alla fine abbiamo scoperto che l’Istat è riuscita a fare statistica attorno a questo atteggiamento illecito solo grazie ai dati della Polizia Stradale, mentre sfuggono completamente i parametri relativi agli accertamenti ed alle contestazioni dell’art. 189 del Codice della Strada (che ha ovviamente i suoi riferimenti nell’art. 593 del Codice Penale quando vi sia la concomitanza di lesioni o morte) effettuati dalle Polizie Municipali e dall’Arma dei Carabinieri. Il dato è comunque raccapricciante, ed è “spia” di un humus omertoso molto più vasto di quanto si creda in realtà. La sola Polizia Stradale, nel corso del 1999, ha contestato ben 2493 violazioni all’articolo 189, relative alla fuga dello scenario del sinistro di una delle parti. 1766 di queste violazioni sono riferibili a conducenti di autovetture, 396 a conducenti di autocarri, 23 di autobus, 18 di motociclisti e 56 di ciclomotori. Se si applica un’aliquota simile, in forma ipotetica, alla Polizia Municipale ed ai Carabinieri, che operano spesso in terreno urbano o comunque su reti ordinarie, ove la Stradale si vede sempre meno,  si può ragionevolmente affermare che in Italia si verificano in media 10mila fughe a seguito di sinistro, comportamento questo che in molti casi può divenire omissione di soccorso. Diciamo 10mila perché altre fonti non in analisi in questo contesto confermano il sempre crescente impegno della Polizia Municipale, mentre un’aliquota uguale di altri 10mila casi è stata assegnata ai fatti non accertati dagli organi preposti o da responsabili mai rintracciati.


ANALISI DEL FENOMENO “FUGA”
Servirebbe forse l’impegno di un collegio di psichiatri, psicologi, sociologi e criminologi per analizzare compiutamente un fenomeno criminale come l’omissione di soccorso alla quale non fa seguito l’autodenuncia del responsabile alle autorità. Da poliziotti, quali siamo, possiamo ipotizzare, senza andare per una volta a scandagliare la vita dei colpevoli. Non trattiamo di serial killer, ma di persone che conseguono una patente di guida e che, una volta consumata l’omissione di soccorso, perdono a nostro avviso tutti i requisiti psicofisici, e anche morali, per mantenerla. In molti casi assistiamo a delle crisi di coscienza del reo, il quale dopo aver cagionato lesioni o morte alla guida di un veicolo, si presentano spontaneamente. Potremmo definire tutto sommato “comprensibile” questo tipo di atteggiamento, ma facciamo bene attenzione a non farci sempre ingannare. In  molti casi infatti avviene l’autodenuncia solo dopo aver conferito con un avvocato o dopo aver smaltito gli effetti di una sbronza, di uno spinello, di una tirata di coca o di un acido. Può capitare però (purtroppo non è possibile disporre di statistiche precise all’atto della stesura di questa riflessione, visto che i dati Istat non prendono in esame le varie ipotesi dell’art. 189 del Codice della Strada) che il pirata della strada non voglia farsi beccare per altri motivi: abbiamo assistito a padri irati davanti alla carcassa distrutta della propria auto “impropriamente” presa in prestito da aitanti figli emuli di Schumacher, a improbabili e goffi tentativi di autodifesa al “farla franca” da parte di conducenti in possesso di assicurazioni false o di auto rubate (spesso proprio in sede di giudizio). Genericamente le ragioni sono riconducibili a tre tipi di comportamento:
1) paura dell’accaduto e terrore di aver cagionato lesioni o morte;
2) fuga in quanto autore di un disegno criminoso (criminali in viaggio, trafficanti di droga o armi o, come spesso accade, utilizzatori di assicurazioni false) che verrebbe scoperto a causa di “questo imprevisto”;
2) rifiuto di accettare di essere sottoposto a ritiro di patente e palese intenzione di sottrarsi alle proprie responsabilità.

A questi casi si devono aggiungere quelli, sempre più numerosi, di extracomunitari irregolari che temono l’espulsione, o regolarizzati che temono la revoca del permesso di soggiorno.

Comunque vada, qualunque sia la ragione, Alessandro è morto in mezzo ad una strada in una domenica di agosto, falciato da un  uomo che non si è fermato a guardare, nel timore di essere giudicato e di poter essere espulso, senza sapere forse che in Italia non ti espellono mai. Pensare di debellare un fenomeno come questo, viste le proporzioni che ha assunto, è forse utopistico. Ma a questo punto riteniamo innanzitutto un’attività di monitoraggio estesa a tutti, per verificarne l’effettiva consistenza. E poi intensificare (sic!) i controlli su strada, cercando di contrastare il più possibile il traffico di documenti falsi, di assicurazioni contraffatte (i cui utilizzatori davanti a un episodio di tale gravità fuggono). Farebbe bene, il legislatore, a prendere bene in considerazione che i più deboli sono spesso gli unici a pagare gli errori di chi, a volte, scappa pure: in Italia, nel 1999 sono morti, in seguito a incidenti stradali, 836 pedoni, mentre 16.386 sono rimasti feriti; 398 è il numero dei ciclisti deceduti, mentre 9.745 è il numero di quelli feriti. Nel panorama dei 48cc invece la conta delle vittime presenta 657 nomi, mentre i feriti sono stati 54.748, numero in perfetta proporzione con i 468 motociclisti uccisi e con 17.122 feriti. L’analisi statistica tocca perfino i motociclisti con il passeggero che fanno aumentare il bollettino della strage a 597 morti e 22.722 feriti. Queste sono le cosiddette "utenze deboli", per le quali è più facile trovarsi in circostanze omissive (a qualsiasi titolo). Più genericamente, le definiremmo “utenze morte”, anche perché i “Bita” sono tanti!


di Giordano Biserni e Lorenzo Borselli

Editoriale "Il Centauro" - Settembre 2000
Domenica, 10 Settembre 2000
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