Italiani,
"brava gente"? A leggere il resoconto su una rissa
che ieri l’altro, per futili motivi di traffico, ha provocato
quasi la morte di un automobilista si direbbe di no. Anche a
guardare le statistiche sugli incidenti causati ogni anno dalla
circolazione stradale verrebbe da dubitarne. Tanti i sinistri:
oltre tremilioni e seicentomila, nel 2004. Troppi, soprattutto,
quelli che hanno prodotto alle persone lesioni più o
meno permanenti: oltre settecentomila. Drammaticamente alto
il numero dei morti: oltre seimila secondo i dati dell’Istat
(che per di più sottostima quelli reali). Cifre che,
pur in miglioramento negli ultimi due anni, rimangono eccessivamente
elevate e che, ove rapportate al numero dei chilometri percorsi
dal parco automobilistico nazionale, pongono il nostro Paese
non certo ai primi posti al mondo quanto a sicurezza sulle strade.
Le istituzioni responsabili per la circolazione possono avere
precise responsabilità: ritardi nei piani di investimento
per migliorare la viabilità, scarsa attenzione ai punti
più critici del territorio, inefficienze ed incapacità
di coordinamento tra i diversi enti preposti. Però, non
tutto può essere attribuito al "governo ladro".
Anzi, attribuirgli anche responsabilità non tutte sue
- come ad esempio quelle di una nevicata che paralizza il traffico
sulla autostrada Salerno-Reggio Calabria - di fatto può
indebolire l’iniziativa politica tesa ad incalzare le istituzioni
affinché esse provvedano a fare ciò che in effetti
compete loro. Perché, a ben vedere, gli italiani, come
del resto altri popoli, non sono tutti brava gente. E non ci
sono solo le risse tra automobilisti e gli eccessivi sinistri
a confermarlo. A questo fine, illuminanti appaiono le statistiche
relative agli incidenti provocati da guidatori non identificati,
cioè da coloro che vengono bollati - significativamente
- come pirati della strada. Nel loro caso non ve ne sono solo
troppi, ma - e questo è il punto più importante
- essi sono per di più in terrib ile aumento. Nel 1992
non arrivavano a mille, oggi - occorre indicarlo con contabile
precisione - sono pari a 11.062, oltre dieci volte di più.
Nell’ultimo decennio il loro numero complessivo ha abbondantemente
superato i cinquantamila. Si tenga conto che essi, di norma,
hanno determinato danni gravi alle vittime, con costi crescenti
a carico del Fondo di garanzia, cioè degli utenti. Anche
se si sottrae la tara delle truffe connesse - altro capitolo
che fa risaltare più la fantasia che la coscienza dei
singoli guidatori - la sostanza rimane immutata. Perché
i sinistri provocati da pirati della strada registrano siffatto
aumento? Molti i fattori che spingono i guidatori alla fuga:
forse prevale fra tutti la paura delle conseguenti responsabilità.
Ma ciò non chiarisce ancora le cause dell’impressionante
incremento del numero degli incidenti. Siamo di fronte ad un
fenomeno che richiede, allora, una più approfondita riflessione
sui valori condivisi collettivamente. È fondato il pericolo
che tale abnorme crescita possa essere il sintomo rivelatore
di una malattia più insidiosa? Indica forse che è
in atto un decadimento dei valori legati alla pietà,
alla giustizia, al rispetto della vita propria e degli altri?
Si accompagna ad un parallelo impoverimento culturale se non
anche morale? E ancora, più in generale: quali le responsabilità
delle classi dirigenti, soprattutto politiche, nell’indicare,
e percorrere, un sentiero coerente con l’affermazione di tali
valori? Indubbiamente, non è facile dare risposte nette
e in ogni caso esse porterebbero ad allargare il discorso collegandolo,
almeno idealmente, alla importanza della battaglia per il rispetto
della vita che su un altro fronte si sta combattendo a proposito
della fecondazione artificiale. Per fortuna, almeno nel caso
dei sinistri da automezzi non identificati c’è una condivisa
chiarezza valutativa. L’espressione che li definisce non abbisogna
di essere sorretta da alcuna razionalizzazione. Sono pirati:
dell’Italia d i oggi, non della Malesia di ieri.