Ciò a cui ci
troviamo di fronte è di fatto una moderna versione di tragedia consumata per
amore, di cui letteratura e filmografia sono piene. Il nucleo narrativo su cui
si costruisce la trama è molto semplice e piuttosto prevedibile: io ti amo, tu
mi rifiuti, io mi uccido. Mi uccido, sì, ma non mi allontano in punta di piedi
dal palcoscenico, troppo comodo, per chi rimane. La mia morte deve avere un
senso, deve servire la funzione strumentale di legare chi rimane, in questo
caso chi rifiuta, all’evento tragico, deve in qualche modo tracciare un nesso
di causalità tra il rifiuto e la morte, nella convinzione che chi rimane possa
trascorrere il resto della propria vita col marchio della colpa impresso
nell’anima. Ed è per questo che il suicidio deve essere plateale, perché deve
scatenare un’esplosione emotiva, deve servire da fuoco che rende incandescente
il ferro prima di portarlo a contatto con la pelle. E, a differenza
della ormai superata lettera, l’SMS, inviato rigorosamente in diretta come i
vari reality show prescrivono tassativamente ormai da anni, permette di far
partecipare all’evento tragico chi rimane, lo costringe ad accompagnare per
mano il suicida nel suo ultimo viaggio, disarmandolo di ogni possibilità di
scelta, di recupero, di negoziazione. Ma se ognuno può
disporre della propria vita nei modi che ritiene più opportuni, le cose si
complicano nel momento in cui a rimetterci la vita è una madre di famiglia che
con buone probabilità teneva ancora ben lontano il pensiero della morte. La
propria liberà finisce nel momento in cui si invade la libertà dell’altro, ed a
questa madre di famiglia è stata sottratta la libertà di continuare a vivere. Ci auguriamo che il
giudice distrettuale riveda la propria posizione, che tratti l’aspirante
suicida da ragazzina sedicenne quale in realtà è e non la aiuti a portare a
termine il suo folle gesto, e che dia anche a lei la possibilità di trascorrere
il resto della propria vita col marchio della colpa impressa nell’anima. Troppo comodo
andarsene.
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Psicologo, Assistente della Polizia di Stato |