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Articoli 27/10/2006

Il contromano killer non è una novità
Qualche proposta e l’archivio degli episodi 2006

Tantissimi da far paura


foto UPI


Il contromano non è un argomento sul quale siamo proprio ignoranti. La nostra inchiesta, uscita nel 2004 e ripresa puntualmente da moltissimi organi di stampa, è considerata oggi uno degli studi sul fenomeno più avanzati in Italia. Lo diciamo senza modestia, ma ci smontiamo subito: ci sembra che alla fine il fenomeno lo studiamo solo noi. Andiamo però con ordine. L’episodio, dell’agosto scorso sulla Torino-Aosta, è il più classico della fattispecie, caratterizzato cioè da un veicolo lanciato in velocità sulla carreggiata sbagliata. Possiamo tentare di capire in quali condizioni è maturato, e perché nessuno sia riuscito a scongiurarlo. L’impatto è avvenuto in carreggiata sud, quella cioè che da Aosta conduce verso Torino, nel cuore della notte (01.30 circa), all’altezza di Lessolo. Si tratta di una località compresa tra i caselli di Quincinetto ed Ivrea, nel tratto della A5 gestito dalla società Ativa, e vigilato dalla sottosezione Polizia Stradale di Torino. L’autostrada, di notte, è praticamente deserta, e si presenta con un tracciato molto lineare, immaginando di percorrerla da Torino verso il Monte Bianco, giusto fino al km 40 circa, dopodichè – per alcuni chilometri – diviene una vera e propria gincana, con limiti di velocità – nella galleria di Quassolo – di 80 km/h: passato Quincinetto, l’arteria torna armonica e scorrevole fino ad oltre Verres, quando inizia la salita del Montjovet e l’autostrada sale verso Saint Vincent. Questo insieme di particolari, anche se viziati da inesattezze, è da ritenersi sufficiente per l’analisi oggettiva dell’episodio.

Il Fatto

F.C., 33 anni milanese, è al volante della sua Ibiza, su cui viaggia anche il suo cane. La sua auto è lanciata in velocità – forse nemmeno eccessiva – sulla carreggiata sbagliata: va a nord percorrendo quella sud. È possibile che l’uomo fosse sotto l’effetto di sostanze psicoattive – alcol – o stupefacenti: di sicuro non era in sé, altrimenti non avrebbe percorso tutta quella strada contromano. La stampa riferisce che abbia percorso 40 chilometri, ma il dato dovrà essere verificato. L’impatto è avvenuto più o meno al 40esimo chilometro da Torino, e forse i reporter possono aver equivocato. Secondo altre voci, invece, l’Ibiza sarebbe entrata in autostrada dal casello di Santhià (Vercelli), che dista 13 chilometri dall’interconnessione con la A5, proprio a due passi da Ivrea. I tabulati di 113 e 112, presi d’assalto dagli automobilisti terrorizzati che incrociavano il folle, aiuteranno gli investigatori ad accertare il particolare. Si badi bene: non è un particolare da poco, perché 15 chilometri o 40, un itinerario rispetto all’altro, cambiano totalmente le cose. Comunque dove l’autostrada diventa curvilinea, dove cioè chi gli andava incontro non l’ha visto arrivare, l’Ibiza è divenuta il proiettile di un cecchino, finito sulla Zafira di una famiglia cinese. 3 morti, una ferita grave. Il 33enne ed il suo cane ne escono vivi. Le immagini del TG2 hanno mostrato alcune immagini della sciagura, ed una sequenza si è soffermata sul contachilometri della Ibiza, fermo a 120 orari. Non è una prova che la velocità fosse quella, ma il tracciato non avrebbe consentito molto di più, e inoltre una persona in stato di ebrietà o comunque fuori di sé non avrebbe potuto mantenere velocità molto più alte. Perché queste tragedie si ripetono? Perché non si riesce ad intervenire con maggiore prontezza? Siamo, lo abbiamo detto più volte, in una border-line. La “soluzione”. La proposta dell’Asaps. Di sicuro dovremmo poter disporre di radio infotraffic in chiave locale, magari con sedi presso le sale radio di società concessionarie o dei COA (che in Piemonte purtroppo non esiste), in grado di informare subito, in tempo reale, del pericolo. Non dimentichiamo poi, che molti strumenti sono già disponibili, ma semplicemente non sfruttati: pensiamo ai grandissimi tabelloni per messaggio variabile, sui quali campeggiano tante belle scritte educative, spesso sostituite da notizie di code o incidenti, ma che raramente vengono impiegati per informare attivamente l’utenza. Negli Stati Uniti e in Canada, i tabelloni vengono invece usati anche per questo scopo, tanto che i cosiddetti “Amber-Alerts” sono una consuetudine. Una curiosità: il nome di questi allarmi, “Amber” appunto, deriva dal tristissimo caso di Amber Hagerman, una bambina che alla fine del secolo scorso fu rapita e poi fu trovata uccisa. Si calcola che solo negli USA, gli alerts autostradali abbiano consentito il ritrovamento di circa 200 minori scomparsi. Questo significa che il sistema funziona. Se durante il viaggio vedessimo sui tabelloni luci accese e la notizia che qualcuno ci sta venendo incontro, potremmo scegliere di accostare in corsia di emergenza e fermarci fino a cessato allarme. Il progetto potrebbe essere integrato da uno studio mirato, che individui i punti neri di questo fenomeno, quelli cioè nei quali venga dimostrata una particolare recidiva. Il problema è che da un punto di vista statistico, abbiamo pochissimi elementi sui quali lavorare: genericamente, in Italia, i contromano non vengono contabilizzati per ambiente, ma solo per circostanze, come per esempio incidenti ad incroci. In questo computo, nel 2004 (ultimi dati disponibili Istat) si sono verificati complessivamente 6.733 incidenti dovuti al contromano, di cui 1.809 in strade extraurbane e 4.924 su strade urbane; nel 2003 i sinistri complessivi erano stati 6.957, di cui 1.879 su strade extraurbane e 5.078 su strade urbane. Attenzione: non si tratta di un impegno da poco, ma chiunque lavori in autostrada o sulla grande viabilità, sa benissimo che il contromano si ripete con frequenza giornaliera. È semplicemente la gravità delle sue conseguenze a portarlo sui titoli di testa di un tiggì o sulla cronaca nera dei giornali. Dobbiamo pensare che alla viabilità extraurbana come ad un immenso corridoio, nel quale dobbiamo pensare a sentieri di evacuazione e ad uscite di emergenza, esattamente come nei locali pubblici, dove tali percorsi sono accuratamente indicati e segnalati. Lo abbiamo già fatto nei tunnel, dopo le tragedie del Bianco, del Gottardo o del Frejus: dunque non stiamo proponendo fantascienza. Una volta avvertiti del pericolo, gli utenti rallenterebbero e non dovrebbero far altro che trovarsi un posto sicuro. Uno di questi potrebbe essere semplicemente la sosta, anche in corsia di sorpasso, ma in prossimità di un luogo preventivamente individuato al quale si arrivi dopo un preventivo rallentamento, anche questo indotto o con personale tecnico o di polizia, o indotto tramite segnaletica variabile. La morfologia frastagliata del nostro territorio, in questo ci aiuta, e certi luoghi potrebbero essere scelti nelle variazioni altimetriche o in concomitanza di curve autostradali importanti, le quali avrebbero comunque fatto rallentare il traffico e chi gli va incontro. Dove il tracciato sia invece assolutamente rettilineo, ovviamente, sarebbe la segnaletica variabile a dover incidere sull’andamento del traffico. In tutti i casi, dopo l’Amber Alert, si deve creare una zona fredda (bianca), dove l’utente comprende che di lì a poco dovrà rallentare, una zona tiepida (gialla), dove la velocità sarà progressivamente rallentata, ed una zona calda (rossa), dove arriverà al semaforo e dove scenderà dall’auto per mettersi al riparo. Si tratta di un impegno ciclopico, ce ne rendiamo conto, ma l’eradicazione del fenomeno è fuori discussione: nessuno può impedire fisicamente, a priori, ad un ubriaco di mettersi alla guida o ad un folle di mettere in atto il proposito suicida. La creazione di queste aree – che dovrebbero essere predisposte a cadenze chilometriche regolari – tornerebbe poi comunque utile in caso di incidente o di coda, con minori rischi per il personale tecnico o di polizia, e di conseguenza per l’utente in generale, cosicché ogni coda sarebbe segnalata con grande efficacia e solo i folli, ma alla follia non v’è rimedio, non alzerebbero il piede dal gas.

Ma altre soluzioni?

Continuiamo a pensare ai dissuasori sugli svincoli, a spire annegate nell’asfalto che azionino segnali luminosi e sonori, vere e proprie barriere in area di servizio, che si attivano al passaggio di un veicolo contromano. Ai classici rimedi, che però nessuno applica. Pensiamo insomma ad un investimento, che assottigli il margine di rischio: d’altra parte, è impossibile pretendere che una pattuglia possa coprire decine di chilometri e scongiurare la minaccia (ce ne vorrebbero molte di più, ma non arrivano…). Una volta che la miccia è accesa, e lo sappiamo in tempo reale grazie ai telefonini, bisogna solo mettersi al riparo.

10884

* Sovrintendente della Polizia Stradale Consigliere Nazionale Asaps    


© asaps.it

Di Lorenzo Borselli
da "il Centauro" n.106
Torino
Venerdì, 27 Ottobre 2006
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