Il tema della gravità degli indizi di colpevolezza
da porre a base dell’adozione di una misura coercitiva, privativa della libertà
personale, è indubbiamente materia affascinante e stimolante. 2. In secondo luogo,
deriva, quindi, la necessità che la forma di conferma della chiamata in reità
appaia di natura specifica, cioè sia corredata dai cd. "riscontri
individualizzanti", cioè elementi tutt’altro che generici, in
quanto “pertinenti agli aspetti obiettivi del reato e non anche alla sua
attribuzione soggettiva all’indagato, ai fini dell’adozione della misura
cautelare”. (Cfr. Cass. pen. Sez. V,
11 Aprile 2002, n. 21342, Bruno, Massima redazionale, 2005). 3.In terzo luogo, significativa
importanza viene attribuita dall’ordinanza in commento alla struttura della
chiamata in reità, soprattutto in relazione alla circostanza che essa proviene
da propalante ritenuto credibile, per avere in altre occasioni fornito dati che
sarebbero risultati veridici. (Nota di Carlo
Alberto Zaina) ____________________________ (1)
Comma aggiunto dall’art. 11, L. 1 marzo 2001, n. 63. L’art. 26 della stessa
legge ha così disposto: «Art. 26. 1. Nei processi penali in corso alla data di
entrata in vigore della presente legge si applicano le disposizioni degli
articoli precedenti salvo quanto stabilito nei commi da 2 a 5.
SEZIONI
UNITE PENALI SENTENZA
30 maggio 2006-31 ottobre 2006, n. 36267 (Presidente
Gemelli – Relatore Milo) FATTO 1. Il
Tribunale di Lecce, decidendo in sede di riesame ex articolo 309 c.p.p., con
ordinanza 13 agosto 2005, annullava la misura della custodia cautelate in
carcere adottata, il precedente 21 luglio, dal Gip dello stesso Tribunale a
carico di L.S., indagato per concorso nel duplice omicidio di C. e F. T.,
commesso il 18 maggio 2000 (capo J), nella rapina in danno di N. S. e della
Banca …… di B., commessa il 28 aprile 2000 (capi Al, BI, CI, DI), nella rapina
in danno della gioielleria di M.A., commessa il 21 giugno 2000 (capi HI, 11,
JI), nella rapina in danno di Z.V. e della gioielleria di P. P. commessa il 28
aprile 2000 (capi El, FI, G 1), nella rapina in danno di C.T. commessa 1, 11
settembre 2000 (capi KI, LI). Il
giudice del riesame dava atto che il quadro indiziario a carico dell’indagato
era costituito essenzialmente dalla chiamata in correità operata dal
collaboratore di giustizia V.D.E., esponente di spicco dell’associazione
criminale denominata "sacra corona unite”, il quale, dopo avere riferito
in ordine all’organigramma di tale sodalizio di stampo mafioso e alla variegata
attività criminosa allo stesso riferibile, aveva confessato di aver preso parte
direttamente ai delitti summenzionati, nei quali aveva concorso anche lo S.,
attribuendo al medesimo, con specifico riferimento al delitto di omicidio, il
ruolo di avere fornito indicazioni sui movimenti delle due vittime e di avere
così consentito la realizzazione del piano delittuoso (agguato teso sulla
strada …….). Riteneva che tali propolazioni, in quanto dettagliate, coerenti e
logiche, erano intrinsecamente attendibili ed avevano trovato riscontri
esterni, con riferimento alle modalità oggettive di esecuzione degli illeciti,
negli accertamenti espletati dalla polizia giudiziaria e nelle dichiarazioni di
alcuni testimoni. Escludeva, invece, l’esistenza di riscontri
individualizzanti, idonei cioè a confermare l’attendibilità del dichiarante in
ordine al concorso dello S. negli illeciti. Precisava, quanto al duplice omicidio,
che altri due collaboratori tali R. e P., avevano riferito de relato sulla
vicenda, ma nessun cenno avevano fatto circa il coinvolgimento nella stessa
dello S., né dall’esame dei tabulati relativi alle utenze telefoniche mobili
intestate all’indagato e a suo fratello G. erano state rilevate chiamate nella
fascia oraria del giorno in cui era stato consumato il duplice omicidio (per
informare - secondo la versione del collaborante – gli esecutori del delitto
sui movimenti delle due vittime), con l’effetto che la chiamata in correità
rimaneva isolata, priva del necessario riscontro individualizzante e, quindi,
non idonea ad integrare la gravità indizi aria richiesta per legittimare
l’adozione della misura cautelare; quanto alle rapine “N.-Banca …….” e “Z.-P.”,
la situazione non era diversa, considerato che il collaborante L., concorrente
in tali illeciti insieme al D.E. e a tali O. e T., pur dichiarato si in grado
di riconoscere la quinta persona che vi aveva partecipato, della quale aveva
presente i tratti somatici, aveva risposto negativamente alla ricognizione
fotografica dello S.; quanto alle rapine in danno del M. e del C., nessun
collaborante aveva indicato lo S. come concorrente, sicché il suo inserimento
tra gli autori di questi ultimi illeciti era stato frutto di una svista. 2. Ha
proposto ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica di Lecce, con
riferimento alle sole imputazioni di omicidio e di rapine commesse il 28 aprile
2000, e ha dedotto: a)
mancanza di motivazione in ordine all’apprezzamento e alla valutazione di
alcuni dati di fatto che riscontrerebbero la chiamata in correità: turni di
servizio di D.M. E. (madre dello S.), ausiliaria presso l’ospedale di C., ove
C. T. si sottoponeva ad una terapia riabilitativa e da dove effettivamente il
giorno 18 maggio 2000, poco prima di rimanere vittima del mortale agguato, era
uscito dopo avere partecipato all’ultima seduta fisioterapica; ingiustificata
assenza dello S. dal posto di lavoro presso il ca1zaturificio “F.” di C. nei
giorni 28 aprile e 18 maggio 2000, date di consumazione rispettivamente delle
rapine e del duplice omicidio; accertamenti positivi in relazione
all’intestazione a nome della D.M. di una autovettura “Renault Clio”, che,
secondo il collaborante, sarebbe stata utilizzata dallo S. per raggiungere la
zona dell’ospedale e controllare i movimenti del T.; b)
violazione di legge quanto alla valutazione dei cosiddetti riscontri esterni,
ai quali andava attribuita la sola funzione di conferma dell’ attendibilità
intrinseca del chiamante in correità, non essendo richiesta la loro diretta
riferibilità al thema probandum, né tanto meno la consistenza di autonoma prova
di colpevolezza. 3. La
difesa dell’indagato ha depositato memoria, con la quale ha chiesto
l’inammissibilità del ricorso e, in subordine, il rigetto, evidenziando che, a
seguito della legge 63/2001, la chiamata in correità deve essere, anche ai fini
cautelari, corroborata da riscontri esterni di carattere necessariamente
individualizzante. 4. La
prima Sezione penale di questa Corte, con ordinanza 21 dicembre 2005, rilevato
il contrasto giurisprudenziale in ordine alla interpretazione dell’articolo 273
c.p.p., così come novellato dall’articolo 11 della legge 63/2001, ha rimesso la
decisione del ricorso a queste Sezioni Unite. Il primo
presidente ha assegnato il ricorso alle Sezioni Unite fissando per la
trattazione l’odierna udienza in camera di consiglio. DIRITTO 1. La
questione portata all’attenzione delle Sezioni Unite può essere casi
sintetizzata: «se a fini della gravità indiziaria richiesta dall’articolo 273,
commi 1 e 1bis c.p.p. la chiamata in correità ritenuta intrinsecamente
attendibile debba essere confermata da riscontri individualizzanti». Il
problema, in sostanza, è di stabilire il grado di conferma che la chiamata in
correità o in reità deve ricevere per giustificare l’adozione della misura
cautelare cosiddetti riscontri esterni, se cioè questi debbano riguardare
soltanto il fatto nella sua oggettività o anche la riferibilità soggettiva di
esso. 2. Il
tema, sia pure in un diverso contesto normativo, venne affrontato e risolto
dalle Sezioni Unite, con la sentenza 21 aprile 1995 (ric. Costantino), a
superamento di un contrasto insorto nella giurisprudenza della Sc in ordine ai
criteri di valutazione della chiamata in correità, quale grave indizio di
colpevolezza ai fini cautelati. Tale
pronuncia, inquadrata la questione nel più generale problema della operatività
o meno, in sede cautelare, delle regole generali in tema di valutazione della
prova (articolo 192 c.p.p., in particolare commi 3 e 4), ne esclude, sulla base
di una interpretazione eminentemente letterale, l’applicabilità e individua
nell’articolo 273 c.p.p. la norma di riferimento esclusiva per la valutazione
della chiamata di correo ai fini dell’adozione della misura cautelare, con
l’effetto che “la rilevanza della chiamata in correità o in reità...deve essere
apprezzata alla stregua dell’articolo 273, che impone la sussistenza dei gravi
indizi di colpevolezza” . Riassuntivamente,
la sentenza “Costantino” afferma il principio che le dichiarazioni accusatorie
del coindagato o dell’indagato di reato connesso o interprobatoriamente
collegato, in quanto fonte di dubbia affidabilità per la provenienza da
soggetto non del tutto disinteressato, devono essere comunque sottoposte -anche
in ambito cautelare – ad un vaglio critico particolarmente rigoroso, nel senso
che alla verifica dell’ attendibilità intrinseca (per precisione, coerenza,
spontaneità, disinteresse) deve fare seguito quella dell’attendibilità estrinseca,
mediante l’individuazione degli opportuni riscontri, che, per costituire la
risposta necessaria alla peculiarità della fonte, non necessariamente devono
riguardare - a differenza di quanto accade nel giudizio di cognizione- in modo
specifico la posizione soggettiva del chiamato. Nel presupposto della
inoperatività, nel procedimento incidentale cautelare, della regola di
valutazione probatoria stabilita dall’articolo 192 commi 3 e 4 c.p.p. e della
sola applicabilità – invece - dell’articolo 273 c.p.p., la sentenza esclude il
necessario carattere “individualizzante” dei riscontri esterni alle
propalazioni accusatorie del chiamante, ritenendo sufficiente la conferma delle
sole “modalità obiettive del fatto descritte dal chiamante” e distinguendo così
la valenza di una chiamata idonea a legittimare l’adozione di un provvedimento
cautelare da quella idonea a fondare l’affermazione di colpevolezza. 3. Tale
tesi, avallata anche dal Giudice delle leggi con ordinanza 314/96, che dichiarò
la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale degli
articolo 192 comma 3 e 273 c.p.p. così come interpretati dal massimo Consesso
di questa Sc, non pose termine alle tensioni applicative nella prassi
giurisprudenziale sia di merito che di legittimità e suscitò non poche riserve
da parte della dottrina che, fuoriuscendo dagli schemi di un astratto
dogmatismo, propendeva, in larga maggioranza, per la tendenziale applicabilità
delle disposizioni del libro III del codice di rito (sulle prove) all’intero
arco del procedimento, a condizione di una previa verifica circa l’inesistenza
di profili incompatibili tra le linee generali espresse dagli articolo 187 e
ss. c.p.p. e la disciplina specifica di volta in volta in gioco. 4. Il
quadro normativo di riferimento dettato dall’articolo 273 comma 1 c.p.p. in
tema di “gravi indizi di colpevolezza”, quale condizione generale di
applicabilità di una misura cautelare personale. è stato, però,
significativamente modificato dall’articolo 11 della legge 63/2001 sul giusto
processo, attuativa della riforma dell’articolo 111 della Costituzione, che ha
inserito nell’articolo 273 c.p.p. il comma 1bis che testualmente recita: «Nella
valutazione dei gravi indizi di colpevolezza si applicano le disposizioni degli
articolo 192, commi 3 e 4, 195, comma 7, 203 e 271, comma 1». Peraltro,
pur dopo la novella legislativa, i contrasti nella giurisprudenza di
legittimità - in ordine alla necessità o meno di riscontri individualizzanti
alla chiamata di correo nella sfera cautelare - non sono mancati e si sono
delineati tre indirizzi. 4a-
Secondo un primo orientamento, la chiamata in correità, anche dopo l’innesto
del comma 1bis nell’articolo 273 c.p.p., non necessita, nella fase cautelare,
di riscontri individualizzanti, ma semplicemente di riscontri esterni che
confermino l’ attendibilità del chiamante; diversamente opinando, si ha un
automatico allineamento delle nozioni di indizio grave e di prova e, quindi,
una equiparazione probatoria dei due dati, che, invece, devono rimanere
ontologicamente distinti, essendo il primo funzionale a dimostrare la
fondatezza - allo stato degli atti- dell’accusa provvisoria e dovendo il
secondo, che si forma a dibattimento, essere posto a supporto del definitivo
giudizio di colpevolezza. La novella legislativa non ha avuto altro effetto se
non quello di superare le affermazioni giurisprudenziali di inapplicabilità
delle disposizioni del codice di rito in tema di prove alla fase delle indagini
preliminari e alla valutazione dei gravi indizi di colpevolezza ai fini cautelari
e non impone “certamente che i riscontri debbano avere il carattere necessario
del riferimento specifico alla posizione del soggetto chiamato”, essendo
sufficiente che il contenuto e la portata delle dichiarazioni rese dai soggetti
di cui all’articolo 210 c.p.p. siano valutati “unitamente agli altri elementi
di prova che ne confermano l’attendibilità”, il che significa che i parametri
di valutazione sono ispirati alla cosiddetta “libertà del riscontro” (cfr.
Cassazione, Sezione prima, 27 febbraio 2001, Bidognetti; Sezione quinta, 18
aprile 2002, Battaglia; Sezione prima, 24/4/2003, Esposito; Sezione quinta
21/1/2003, Fonnigli; Sezione quinta 11/5/2004, Zini). 4b-
Secondo altro indirizzo, la chiamata di correo, per integrare i gravi indizi di
colpevolezza di cui all’articolo 273 comma 1 c.p.p., oltre che essere connotata
da intrinseca credibili necessita di riscontri esterni parzialmente
individualizzanti, che consentono cioè di collocare la condotta del chiamato
nello specifico fatto oggetto dell’imputazione provvisoriamente elevata; il
comma 1bis dell’articolo 273 c.p.p., por orientato in apparenza ad una
omologazione tra riscontri richiesti per l’adozione della misura cautelare
personale e quelli richiesti per il giudizio di colpevolezza, “in realtà non
perde di vista il concetto del riscontro definito nell’ambito puramente
indiziario in cui esso assume valore designante”, con l’effetto che al medesimo
deve richiedersi una mera “vocazione individualizzante”, la quale, peraltro,
può atteggiarsi in maniera più o meno elastica in rapporto al grado di
attendibilità intrinseca del dichiarante e del suo narrato, nonché alla
maggiore o minore precisione delle propalazioni (cfr. Cassazione, Sezione
sesta, 217/01, Tramonte; 2/10/2001, Calabretta; 7/10/2001 Pollari; Sezione
seconda 26/6/2002, Berretta; Sezione feriale 21/8/2002, Musitano; Sezione
sesta, 4/6/2003, Grasso; Sezione prima 31/3/2003, Ribisi; Sezione quarta
14/1/2004, Vatinno; Sezione sesta, 7/10/2004, Fanara; 17/2/2005, Raia; Sezione
quarta, 28/10/2005, De Pieri; Sezione seconda, 16/1/2005, Di Salvo, Sarcina,
Tatò, Castellano; Sezione quinta, 24/9/2004, Mignacca). 4c- Un
terzo orientamento sostiene che l’esplicito richiamo fatto dall’articolo 273
comma 1bis “alla regola forte di valutazione probatoria stabilita dall’articolo
192 commi 3 e 4” comporta che i riscontri estrinseci alla chiamata in correità
devono essere compatibili con la stessa, si da consentire “un collegamento
diretto ed univoco, sul piano logico-storico, con i fatti per cui si procede
mediante connotati individualizzanti”; solo la individualizzazione del
riscontro _’è in grado di fondare la persuasività probatoria della chiamata in
correità e la razionalità della decisione cautelare che è destinata a reggere
la forza d’urto del contraddittorio dibattimentale” (cfr. Cassazione, Sezione
prima 14/11/2001, Caliò; 7/2/2002, Schiamone; Sezione feriale, 28/8/2002,
Desogus; Sezione sesta, 20/6/2001, Caterino; 3/12/2004, Pm Sapia; Sezione prima
21/11/2005, Cavalcanti; Sezione quarta 2/12/2005, Baldassi; Sezione prima
13/1212005, Pm Sinesi; 4/5/2005, Lo Cricchio). 5- La
Corte condivide quest’ultimo orientamento, con le puntualizzazioni di cui al
seguito. Il
giusto processo cautelare è l’epilogo di un cammino che, attraverso varie tappe
segnate da interventi del legislatore, di questa Sc e del Giudice delle leggi,
ha visto progressivamente sfumare le tradizionali differenze evidenziate tra
decisione cautelare e giudizio di merito, con riferimento alla valutazione
degli elementi conoscitivi posti a disposizione del giudice, e ricercare una
tendenziale omologazione dei corrispondenti parametri-guida. Già con
la legge 332/95, si accentuava, in linea con i precetti costituzionali di cui
agli articolo 13 e 27, il carattere eccezionale dei provvedimenti limitativi
della libertà personale disposti prima della condanna e si imponeva al giudice
una maggiore incisività argomentativa ne1 giustificare la misura, facendogli
obbligo di indicare gli elementi di fatto da cui sono desunti gli indizi, i
motivi per i quali essi assumono rilevanza, quelli per i quali si rivelano
inconsistenti gli elementi forniti dalla difesa (articolo 292 comma 2 lettere
c) e cbis) c.p.p.), nonché di valutare negativamente l’esistenza di condizioni
legittimanti il proscioglimento ex articolo 273 comma 2 c.p.p. (cause di
giustificazione, di non punibilità, di estinzione del reato o del1a pena) o la
possibilità di ottenere con la eventuale sentenza di condanna il beneficio
della sospensione condizionale della pena (articolo 275 comma 2bis c.p.p.). La Corte
costituzionale, con la sentenza 71/1996, sottolineava che “il decreto che
dispone il giudizio non potrà ritenersi in alcun modo assorbente rispetto alla
valutazione dei gravi indizi di colpevolezza che sostengono l’adozione e il
mantenimento delle misure cautelari personali, sicché precluderne l’esame nelle
impugnazioni de libertate equivale ad introdurre ne1 sistema un limite che si
appalesa irragionevolmente discriminatorio e al tempo stesso gravemente lesivo
del diritto di difesa, per di più proiettato nella specie verso la salvaguardia
di un bene di primario risalto qual è quello della libertà personale”. Tali
principi. che esaltano la natura contenutistica della valutazione de libertate.
trovano più chiara esplicitazione nella sentenza 131/96 della stessa Consulta,
che, in continuità con quella 432/95 affermava che «...le valutazioni compiute
dal giudice in relazione all’adozione di una misura cautelare personale
comportano un pregiudizio sul merito dell’accusa: tali valutazioni, infatti,
secondo le norme vigenti, devono indurre il giudice a ritenere resistenza di
una ragionevole e consistente probabilità di colpevolezza e quindi di condanna
dell’imputato e addirittura di condanna ad una pena superiore a quella che
consente la concessione della sospensione condizionale della pena . .»; ed
ancora, il giudizio prognostico è tanto lontano.. .”da una sommaria delibazione
e tanto prossimo ad un giudizio di colpevolezza, sia pure presuntivo, poiché
condotto allo stato degli atti e non su prove ma su indizi”. Né va
sottaciuto, sia pure con riferimento al diverso fenomeno della inutilizzabilità
di prove illegittimamente acquisite (articolo 191 c.p.p.), l’indirizzo
ermeneutico e rigorosamente garantista di questa Sc, che, ben prima
dell’intervento del legislatore del 2001, aveva statuito che deve trovare
applicazione anche nel procedimento cautelare la sanzione della
inutilizzabilità degli esiti delle intercettazioni, se eseguite fuori dei casi
consentiti dalla legge o senza l’osservanza delle prescrizioni stabilite dagli
articolo 267 e 268 commi 1 e 3 c.p.p., considerata la diretta incidenza
sull’elemento dimostrativo, indiziario o probatorio, comunque acquisito in
maniera illegale (cfr. Cassazione Sezioni Unite 27/3/1996, Monteleone;
20/11/1996, Glicora). Particolare
interesse, poi, riveste la sentenza 30/10/2002 (ric. Vottari) delle Sezioni
Unite che, nell’affrontare - dopo la riforma del 2001 - il rapporto
intercorrente tra decreto di rinvio a giudizio e riesame della misura cautelare
personale, sottolineava che la decisione cautelare deve essere ispirata ad «un
approfondito ed incisivo apprezzamento probabilistico di segno positivo in
ordine alla colpevolezza, ancorché condotto allo stato degli atti e basato non
su prove ma su indizi, tale da superare la tradizionale divaricazione tra le
sommarie delibazioni di tipo indiziario, rilevanti in sede di cautele, e il
giudizio sul merito dell’accusa, riservato alla sede dibattimentale». I
principi che, in una prospettiva rigorosamente aderente al dettato costituzionale,
sono alla base dell’intervento legislativo del 1995 e delle citate decisioni si
armonizzano e si saldano compiutamente con la ratio sottesa alla legge 63/2001,
la quale è essenzialmente diretta ad assicurare, nel superamento di incertezze
interpretative legittimate dal tenore letterale della pregressa normativa, una
tendenziale anticipazione alla fase delle indagini, terreno elettivo - nella
più parte dei casi - delle decisioni de libertate, delle regole in tema di
valutazione e di utilizzazione della prova, proprie del giudizio di cognizione,
anche per quanto concerne l’apprezzamento dei gravi indizi di colpevolezza
idonei a legittimare, ex articolo 273 c.p.p., le misure cautelari personali. Nella
fase delle indagini preliminari, invero, convivono due distinte categorie di
attività, quella diretta alla ricerca e alla raccolta delle conoscenze
necessarie per verificare la fondatezza della notitia criminis e quella che
sfocia in provvedimenti che comprimono diritti di rilievo costituzionale, qual
è quello della libertà. Nell’ambito
di quest’ultima attività, renne restando la netta distinzione tra gli indizi
cautelari e la prova ai fini del giudizio e, quindi, la diversità di
prospettiva in cui gli uni e l’altra si muovono, v’è una chiara “spinta
all’omologazione” dei parametri di valutazione e di utilizzabilità del
materiale conoscitivo oggetto delle decisioni del giudice della cautela e di
quello del merito. 6.
L’attuale modello normativo (articolo 273 comma 1 c.p.p.) richiede, come
condizione generale di applicabilità di una misura cautelare personale, la
sussistenza di “gravi indizi di colpevolezza” a carico della persona
destinataria del provvedimento, con ciò segnando una netta presa di distanza
dalla disciplina dettata dall’articolo 252 c.p.p. 1930, che richiedeva
“sufficienti indizi di colpevolezza” (prima della modifica con legge 330/88). La
pregnante valutazione prevista circa l’elevata valenza indiziante degli
elementi a carico dell’ accusato, che devono trovare la loro sintesi in un giudizio
probabilistico di segno positivo in ordine alla colpevolezza, mira ad offrire
maggiori garanzie per la libertà personale e a sottolineare l’eccezionalità
delle misure restrittive della medesima. L’articolo
292 c.p.p., come modificato dalla legge 332/95 delineando per l’ordinanza
cautelare uno schema di motivazione assimilabile a quello prescritto per la
sentenza di merito dall’articolo 546 lettera c) c.p.p., impone, infatti, al
giudice della libertà sia di giustificare l’esito positivo della valutazione
compiuta sugli elementi a carico, sia di esporre le ragioni per le quali
ritiene non rilevanti i dati conoscitivi forniti dalla difesa e comunque a
favore dell’accusato (lettera c) e cbis) del comma 2), adempimenti questi che
esaltano l’aspetto contenutistico del giudizio al quale è chiamato il giudice
della cautela. Certo,
non deve essere disconosciuta la differenza tra il giudizio preordinato alla
pronuncia di condanna, che presuppone l’acquisizione della certezza processuale
in ordine alla colpevolezza dell’imputato e la delibazione funzionale
all’esercizio del potere cautelare, che implica un giudizio prognostico in
termini di ragionevole e alta probabilità di colpevolezza. Diverso
è senz’altro nei due accertamenti il grado dì conferma dell’ipotesi accusatoria. In
quello posto a base della decisione definitiva sulla regiudicanda, la
conclusione è sorretta da un quadro probatorio completo e non suscettibile di
ulteriori aggiornamenti o variazioni, con l’effetto che ogni margine
d’incertezza resta superato. Nell’accertamento
incidentale de libertate, invece, il convincimento giudiziale è esposto al
flusso continuo di conoscenze potenzialmente idonee a smentirlo, a prescindere
dalla scansione in fasi e gradi del processo “principale”. In quest’ultimo
caso, la conclusione inferenziale della relativa delibazione è assunta sulla
base di dati conoscitivi ancora suscettibili di accrescersi ed evolversi con
l’apporto di ulteriori informazioni che stimolano la continua verifica della
capacità dell’ipotesi accusatoria di resistere a interpretazioni alternative.
Di tanto la decisione cautelare, nel momento in cui viene adottata, non può non
tenere conto, nell’apprezzare la forza induttiva del materiale indiziario, sino
a quello stesso momento acquisito, rispetto al fatto-reato considerato e al suo
collegamento, secondo il criterio sostanziale di elevata probabilità di
colpevolezza, con chi ne appare l’autore. Il
quadro di gravità indiziaria ai fini cautelari, concetto differente da quello
enunciato nell’articolo 192 comma 2 c.p.p., che allude alla cosiddetta prova
logica o critica, ha, sotto il profilo gnoseologico, una propria autonomia, non
rappresenta altro che l’insieme degli elementi conoscitivi, sia di natura
rappresentativa che logica, la cui valenza è strumentale alla decisione de
liberiate, rimane delimitato dai confini di questa e non si proietta
necessariamente nel diverso e futuro contesto dibattimentale relativo al
definitivo giudizio di merito. In sostanza, la qualifica di gravità che deve
caratterizzare gli indizi di colpevolezza attiene al quantum di “prova” idoneo
ad integrare la condizione minima per l’esercizio, sulla base di un giudizio
prognostico di responsabilità, del potere cautelare, non può che riferirsi al
grado di conferma, allo stato degli atti, dell’ipotesi accusatoria, e ciò a
prescindere dagli effetti, non ancora apprezzabili, eventualmente connessi alla
dinamica della prova nella successiva evoluzione processuale. 7.
Problema diverso è quello delle regole da seguire, in sede di apprezzamento
della gravità indiziaria ex articolo 273 c.p.p., per la valutazione dei dati
conoscitivi e, in particolare, della chiamata di correo. L’intentio
legis della novella del 2001, nella prospettiva di selezionare con maggiore
rigore i casi legittimanti l’esercizio del potere coercitivo, è esplicita e
chiara, mira a superare il compromesso interpretativo cui era pervenuta la
sentenza “Costantino” delle Sezioni Unite, giustificato in qualche maniera
dalla formulazione delle disposizioni di cui ai commi 3 e 4 dell’articolo 192
c.p.p. e dal mancato richiamo - a quell’epoca- delle stesse nella norma di cui
all’articolo 273 c.p.p., e ridisegna a livello ordinamentale i confini del
libero convincimento del giudice cautelare nel valutare, ai fini dell’adozione
del provvedimento restrittivo della libertà, la chiamata di correo quale grave
indizio di colpevolezza, nel senso che tale elemento conoscitivo, oltre che
essere apprezzato nella sua attendibilità intrinseca, deve essere supportato da
riscontri esterni individualizzanti in grado di dimostrarne la compatibilità
col thema decidendum proprio della pronuncia de libertate e di giustificare,
quindi, la razionalità della medesima. D’altra parte, l’esigenza della
corroboration che inerisca non solo alle modalità oggettive del fatto descritto
dal chiamante ma che sia anche soggettivamente indirizzata è imprescindibile
nell’ambito di una valutazione che è strumentale all’adozione di un
provvedimento, quale quel1o restrittivo della libertà, dagli effetti
rigorosamente ad personam. Il
tenore dell’articolo 273 c.p.p., nel testo vigente, non configura un autonomo
criterio valutativo da contrapporre a quello indicato nell’articolo 192, commi
3 e 4, c.p.p. e i contrari e restrittivi orientamenti giurisprudenziali sul
punto, se plausibili in base alla lettera della vecchia formulazione
dell’articolo 273, non lo sono attualmente, avendo trovato risposta dirimente
proprio nella intervenuta modifica, che non legittima più alcun dubbio
sull’applicabilità, anche ai fini cautelari, della suindicata regola di
valutazione della chiamata di correo, che deve essere sorretta da riscontri
individualizzanti perché la prognosi di colpevolezza non può che essere
subiettivizzata, non essendo consentite inferenze totalizzanti. Il
“momento cautelare”, per sintonizzarsi con i principi costituzionali della
inviolabilità della libertà personale (articolo 13 Costituzione) e della
presunzione di non colpevolezza sino a sentenza definitiva (articolo 27 comma 2
Costituzione), necessita di tali meccanismi di garanzia, i soli idonei ad
offrire una base razionale alla prognosi di colpevolezza ante iudicatum. Considerato
che il comma 1bis dell’articolo 273 c.p.p. pone un espresso limite legale alla
valutazione dei “gravi indizi” e, con specifico riferimento alla chiamata di
correo, postula che soltanto la individualizzazione del riscontro attribuisce
capacità dimostrativa e persuasività probatoria alla medesima chiamata, va
contrastata la tesi sostenuta dal primo degli indirizzi ermeneutici innanzi
citati, perché la stessa insiste sostanzialmente nell’ attribuire alla norma in
esame una funzione di contenimento degli effetti connessi all’applicazione
della detta regola e finisce col devitalizzare la portata innovativa della
riforma del 2001, che ha avuto proprio l’intento di superare quelle posizioni
giurisprudenziali tralaticiamente stabilizzate sugli approdi della sentenza
“Costantino” delle Sezioni Unite. Non può
condividersi neppure la posizione interpretativa, per così dire intermedia,
secondo cui la chiamata di correo necessiterebbe di riscontri solo
“parzialmente individualizzanti”, espressione questa equivoca e inabile a fare
chiarezza. Anche tale indirizzo muove dalla fuorviante premessa della
distinzione tra prova e indizio cautelare fondata sulla differente capacità
dimostrativa e continua a contrapporre la portata dell’articolo 273 comma 1bis
a quella dell’articolo 192, senza peraltro chiarire quali sarebbero i dati
normativi che legittimerebbero, ai fini cautelari, l’attenuazione del riscontro
esterno alla detta chiamata, posto che difetta una qualunque indicazione in
tale senso nella prima disposizione. Né può
essere sottaciuto, infine, che il novellato articolo 273 c.p.p. richiama anche
le disposizioni di cui agli articolo 195 comma 7, 203 e 271 comma 1 c.p.p., le
quali, in verità, attengono, più che alle regole valutative della prova
cautelare, al fenomeno dell’inutilizzabilità del materiale investigativo
acquisito in violazione di specifici divieti stabiliti dalla legge. Si accentua
casi il tendenziale accostamento dei criteri di valutazione e di utilizzabilità
probatoria nelle varie fasi del procedimento, e da esso scaturiscono ferree
regole di esclusione del valore indiziario, ai fini cautelari, di determinati
dati, quali la deposizione de relato, senza previa indicazione della fonte, la
testimonianza indiretta di un agente o ufficiale di Pg, che tace il nome
dell’informatore, le intercettazioni inutilizzabili. 8. Alla
luce di tutte le argomentazioni innanzi svolte e in applicazione del disposto
di cui all’articolo 173 comma 3 norme di attuazione c.p.p., va affermato il
seguente principio: ai fini dell’adozione di misure cautelari persona/i, le
dichiarazioni rese dal coindagato o coimputato del medesimo reato o da persona
indagata o imputata in un procedimento connesso o collegato possono costituire
grave indizio di colpevolezza, ex articolo 273 comma 1-1bis c.p.p., soltanto
se, oltre ad essere intrinsecamente attendibili, siano sorrette da riscontri
esterni individualizzanti. sì da assumere idoneità dimostrativa in relazione
all’attribuzione del fatto-reato al soggetto destinatario della misura, firmo
restando che la relativa valutazione. avvenendo nel contesto incidentale del
procedimento “de libertate” e, quindi, allo stato degli atti, cioè sulla base
di materiale conoscitivo ancora “in itinere “, deve essere orientata ad
acquisire non la certezza, ma la elevata probabilità di colpevolezza del
chiamato. 9.
Procedendo, quindi, alla concreta verifica di legittimità della pronuncia del
Tribunale del riesame, osserva la Corte che la medesima, pur dando
correttamente atto che la chiamata di correo, anche per le finalità di cui
all’articolo 273 c.p.p., deve essere sorretta da riscontri esterni
individualizzanti, evidenzia tuttavia, come rilevato dal Pm ricorrente, una
assoluta mancanza di motivazione in ordine alla valenza da attribuire ad una
serie di circostanze di fatto aventi -almeno in apparenza- tale connotazione
individualizzante e puntualmente indicate nell’ordinanza impositiva della
misura, ma ignorate in sede di riesame. Ed
invero, l’ordinanza impugnata, dopo avere ritenuto le dichiarazioni del
collaborante V.D. intrinsecamente attendibili e riscontrate da elementi esterni
in ordine alle modalità oggettive dei fatti denunciati, esclude la sussistenza
di riscontri idonei a collegare tali fatti all’indagato; a questa conclusione
l’ordinanza perviene considerando che altri collaboranti (Rizzo, Pantaleo,
Laneve) nulla avevano riferito sulla partecipazione del predetto agli illeciti
e, con riferimento specifico al duplice omicidio, che il controllo dei tabulati
telefonici non aveva evidenziato alcuna chiamata, nell’imminenza dell’azione
delittuosa, dall’utenza mobile in dotazione dell’indagato, il cui ruolo sarebbe
stato quello di informare gli esecutori materiali del delitto sui movimenti
delle vittime. Il
giudice del riesame omette, però, di portare la propria attenzione sulla
valenza indiziante di alcuni dati, che sembrano avere una indubbia connotazione
individualizzante e che, pur privi di m’autonoma forza probatoria, appaiono
confermare ab extrinseco l’attendibilità del chiamante in correità anche in
relazione al coinvolgimento dello Spennato nei fatti-reato di cui si discute:
a) costui avrebbe fornito informazioni al Di Emidio sui movimenti della
vittima, Torna Cosimo, che seguiva un ciclo di fisioterapia presso l’ospedale
di Casarano, dove lavorava come infermiera ausiliaria la madre dello Spennato,
persona in grado di attingere e passare notizie sulla presenza del predetto
Torna e di suo figlio in ospedale in determinati giorni e a determinate ore; b)
il giorno del duplice omicidio, lo Spennato si sarebbe portato nei pressi del
nosocomio a bordo di una “Renault Clio”, autovettura effettivamente nella
disponibilità della madre e, dopo avere visto Torna Cosimo e il figlio Fabrizio
uscire dal detto luogo, avrebbe avvertito telefonicamente gli autori materiali
del delitto, che erano appostati nella zona dell’agguato; c) lo Spennato si era
assentato dal posto di lavoro (calzaturificio “F” di Casarano) senza alcuna
giustificazione sia il giorno del duplice omicidio (18/5/2000) che quello in
cui vennero consumate le rapine in danno di Negro, Banca del Salento, Zecca e
Piccinni (28/4/2000). Questi
elementi vanno apprezzati e valutati nell’ambito del complessivo quadro
indiziario acquisito agli atti. È il
caso di puntualizzare che l’elemento di riscontro individualizzante deve
confermare non necessariamente in via diretta la condotta illecita ascritta
all’accusato, ma le dichiarazioni del propalante e quindi la loro attendibilità,
nella parte di riferimento. Né va sottaciuto che, ai fini cautelari, il dato
esterno di riscontro, pur dovendo attingere la persona del chiamato, può essere
meno consistente di quello richiesto per il giudizio di merito, proprio perché,
come si è precisato innanzi, diversa è la prospettiva in cui si muovono le due
decisioni e diversi sono gli obiettivi rispettivamente perseguiti. L’ordinanza
impugnata, nella parte attinta dai motivi di ricorso, va pertanto annullata con
rinvio per nuovo esame al Tribunale di Lecce, che, in coerenza col principio di
diritto innanzi precisato, dovrà, in piena libertà di giudizio ma con
motivazione completa ed immune da vizi logici, riconsiderare la vicenda
cautelare di Luigi Spennato. È il
caso di precisare che la soluzione adottata in ordine alla posizione di D.E.,
madre dello Spennato, anch’ella indagata per concorso nell’omicidio dei due T.
sentenza 13 dicembre 2005 della prima Sezione penale di questa Corte), non può
spiegare alcuna influenza sul caso in esame, avuto riguardo alle ragioni di
natura strettamente personale poste a base dell’annullamento della misura
custodiate emessa nei confronti della predetta. Venerdì, 10 Novembre 2006
|