Giurisprudenza di legittimità CORTE DI CASSAZIONE CIVILE Sezione I, 28 agosto 2006, n.
18617
SANZIONI AMMINISTRATIVE -
SOSPENSIONE DELLA PATENTE PER GUIDA IN STATO DI EBBREZZA
In caso di condotta
contemplata dall’art. 186 del codice della strada, consistente nella guida di
autoveicolo in stato di ebbrezza, che costituisce fatto penalmente rilevante,
può conseguire, ai sensi della stessa disposizione normativa, la sospensione
della patente di guida, a titolo di sanzione amministrativa accessoria in seguito
all’accertamento del reato, e la stessa sospensione della patente ai sensi,
però, dell’art. 223 di detto codice, nel qual caso, tuttavia, la misura, di
carattere preventivo ed irrogabile dal Prefetto, ha natura cautelare e trova
giustificazione nella necessità di impedire che, nell’immediato, prima ancora
che sia accertata la responsabilità penale, il conducente del veicolo, nei cui
confronti sussistano fondati elementi di un’evidente responsabilità in ordine
ad eventi lesivi dell’incolumità altrui, continui a tenere una condotta che può
arrecare pericolo ad altri soggetti. Pertanto, risulta diversa la natura della
sanzione nell’uno e nell’altro caso, così come differente si prospetta la
finalità perseguita dal legislatore con la previsione di una sanzione adottata
dal Prefetto in via cautelare. Ai fini dell’irrogazione della sanzione disposta
ai sensi dell’art. 223 del codice della strada, pur non essendo necessario che
l’accertamento dello stato di ebbrezza sia risultato a seguito della
rilevazione effettuata tramite etilometro, tuttavia, quando questa operazione
sia stata eseguita, il giudice, investito della relativa opposizione, non può
prescindere dall’inerente riscontro e, in virtù del principio del libero
convincimento, disattenderlo.
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Svolgimento
del processo
Con
ricorso in data 15 maggio 2001, R. N. proponeva opposizione avverso
l’ordinanza con la quale il Prefetto di Salerno aveva disposto la sospensione
della patente di guida per un mese, esponendo che agenti della Polizia stradale
di Salerno gli avevano contestato la violazione dell’art. 186, comma 2, del
codice della strada, con ritiro immediato della patente di guida; che tra la
prima e la seconda misurazione con l’etilometro era stato registrato un sensibile
divario (1,2711.14); che tale rilevante differenza induceva a ritenere che il funzionamento
dell’apparecchio fosse difettoso; che non erano state inserite a verbale le sue
dichiarazioni circa la insussistenza di un effettivo stato di ebbrezza; che
tutto l’accertamento preventivo si era svolto con violazione delle garanzie della
difesa, essendosi egli reso disponibile a sottoporsi a visita medica; che in
data 16 aprile 2001, il Prefetto di Salerno aveva disposto la sospensione della
patente per un mese. L’adito
Giudice di pace di Agropoli, con sentenza in data 13 ottobre 2001, accoglieva l’opposizione
proposta da R. N.. I1 Giudice, in forza del principio del libero
convincimento, riteneva che il risultato dell’accertamento dello stato di ebbrezza
effettuato a mezzo etilometro, anche se le due misurazioni rilevate a distanza
di cinque minuti fossero state concordanti, poteva essere disatteso, in quanto
lo stato di ebbrezza alcolica del conducente del veicolo non era stato dimostrato
anche attraverso dati sintomatici o dal comportamento di guida o dalla
incapacità di soffiare nell’apparecchio rilevatore. In presenza quindi del solo
dato desunto dall’accertamento strumentale e dal fatto che il conducente emanava
alito alcolico, doveva escludersi la prova del contestato stato di ebbrezza
alcolica. Inoltre, osservava il Giudice di pace, la sanzione amministrativa
della sospensione della patente postula l’accertamento del reato di guida in
stato di ebbrezza, con sentenza di condanna, tanto più che l’art. 2 18 codice
della strada esclude chiaramente la possibilità di applicazione della sanzione
accessoria che non sia ricollegata all’affermazione della colpevolezza del
trasgressore. Ed ancora, il Giudice riteneva che, per il mancato inserimento delle
dichiarazioni del trasgressore, fosse stato violato il suo diritto di difesa. Infine,
il Giudice riteneva che la rilevante e anomala differenza di rilevazione della
concentrazione alcolemica riferita a due controlli ravvicinati, rendeva dubbio
il regolare funzionamento dell’apparecchio utilizzato, senza che la conoscenza
diretta del trasgressore potesse integrare essa una prova completa e sufficiente. Per la
tassazione di questa sentenza ricorre il Prefetto di Salerno sulla base di due
motivi; non ha svolto attività difensiva l’intimato.
Motivi della decisione
Con il
primo motivo di ricorso, la ricorrente Amministrazione deduce violazione e
falsa applicazione dell’art. 186, comma 2, del codice della strada. Contrariamente
a quanto sostenuto dal giudice del merito, osserva 1’Avvocatura dello Stato, la
sospensione della patente va adottata con esclusivo riferimento all’ipotesi in
cui il soggetto sia positivo al test dell’etilometro, giacché il presupposto
del provvedimento interdittivo del Prefetto deve essere identificato nella mera
rilevazione dell’evento lesivo in quanto tale, a prescindere dalla rilevanza
che esso è destinato ad
avere sul piano del procedimento penale. In sostanza, l’autorità amministrativa
può conoscere autonomamente dell’illecito e applicare la relativa sanzione. Con il
secondo motivo, la ricorrente deduce il vizio di omessa motivazione circa un
punto decisivo della controversia, sotto diversi profili. In primo luogo, in quanto
il giudice del merito ha ritenuto non probanti le risultanze dell’etilometro, laddove
tale test. sia pure in forma succinta, appare supportato da valide ragioni, espresse
sulla base di una valutazione tecnica contenuta nel rapporto di Polizia. Ed è sufficiente ad integrare la
motivazione del provvedimento sanzionatorio, che in esso si faccia riferimento
al rapporto e alla contestazione dell’infrazione, giacché il richiamo a tali
atti importa che, implicitamente, l’autorità procedente ha ritenuto sussistenti
i fatti in esso esposti. Sotto
altro profilo, l’amministrazione rileva che il giudice dell’opposizione, in
presenza di un illecito non depenalizzato, non poteva surrettiziamente valutare
il fatto per giungere alla revoca del solo provvedimento amministrativo di sospensione
della patente. trattandosi di misura cautelare efficace fino a quando sul
merito dell’imputazione non si pronunci il giudice penale. La sospensione della
patente, infatti, ha natura di sanzione amministrativa accessoria e non di pena
accessoria, come erroneamente ritenuto dalla sentenza impugnata, sicché deve
essere necessariamente disposta anche nel caso di definizione del procedimento
penale. Sotto
un ulteriore profilo, il Prefetto rileva che erroneamente il giudice ha ritenuto
che l’indagine strumentale e il fatto che il trasgressore emanava alito alcolico
erano privi, da soli, di rilevanza probatoria, in quanto ai fini della prova della
sussistenza dello stato di ebbrezza non è necessario che l’accertamento strumentale
trovi conferma anche in dati sintomatici, giacché l’art. 186 codice della
strada e 379 del relativo regolamento di esecuzione richiedono soltanto che l’accertamento
tecnico venga effettuato con le modalità prescritte e che la concentrazione
alcolemica, superiore al limite massimo consentito, risulti da almeno due
determinazioni concordanti eseguite ad intervalli. Infine,
l’amministrazione ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui
viene posto in dubbio il funzionamento dell’apparecchio misuratore, in quanto
la giurisprudenza di legittimità ha sul punto ripetutamente affermato che
l’efficacia probatoria degli strumenti rilevatori dura fin quando non risulti accertato,
nel caso concreto, il difetto di costruzione e sulla base di circostanze allegate
e debitamente provate da parte dell’opponente. Il
ricorso, i cui due motivi possono essere esaminati congiuntamente, è fondato. Questa
Corte ha già avuto modo di affermare che "La condotta contemplata
dall’art. 186 del codice della strada. consistente nella guida di autoveicolo
in stato di ebbrezza. costituisce un fatto penalmente rilevante, cui consegue,
quale sanzione amministrativa accessoria, la sospensione della patente di
guida. Pertanto,
esula dall’ambito del procedimento disciplinato dalla legge n. 689 del 1981, e
dei relativi poteri del giudice di pace, l’annullamento del verbale di accertamento
concernente tale condotta, redatto a fini penali, così come l’accertamento
della esistenza del reato ipotizzato nel verbale stesso, essendo, invece,
limitata la competenza del predetto giudice alla verifica della legittimità della
sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida, e,
quindi, all’accertamento della sussistenza del fatto contestato solo nei limiti
in cui tale accertamento sia funzionale alla valutazione della sussistenza dei presupposti
per l’applicazione della sanzione amministrativa. Peraltro, a tale scopo,
l’opposizione dell’interessato non può essere rivolta nei confronti del verbale
di accertamento, che, al di fuori dell’ambito delle sanzioni amministrative
pecuniarie - in relazione
alle quali è idoneo ad
assumere valore di titolo esecutivo ed è perciò direttamente impugnabile ex
art. 204 del codice della strada -, costituisce un mero atto interno
nel procedimento di irrogazione di una sanzione amministrativa, e che, quanto
alla contestazione del reato di guida in stato di ebbrezza, non potrebbe,
attraverso la impugnazione innanzi al giudice di pace, essere privato della sua
rilevanza. Ne consegue la inammissibilità della opposizione proposta avverso il
verbale di accertamento del reato di cui all’art. 186 del codice della strada.
implicante l’adozione della predetta sanzione amministrativa accessoria,
opposizione proponibile invece, solo nei confronti del provvedimento
prefettizio che abbia comminato tale sanzione" (Cass., 30 maggio 2005, n.
11369; nel senso della inammissibilità dell’opposizione ex art. 22 della legge
n. 689 del 1981 avverso il verbale di accertamento della violazione dell’art. 186,
comma 2, del codice della strada, v. anche Cass., 7 giugno 2005, n. 11797; Cass.,
9 maggio 2005, n. 9557). Con
riferimento al rapporto tra i rimedi proponibili nel caso di violazioni del
codice della strada integranti illecito penale al quale accede una sanzione amministrativa
accessoria, questa Corte ha anche chiarito che "In tema di sanzioni
amministrative per violazione delle norme del codice della strada, l’obbligo di
contestazione immediata della violazione, imposto dagli artt. 200 di detto
codice e dall’art. 385 del relativo regolamento - disposizioni contenute nella
sezione prima del capo primo del titolo sesto dei predetti codice e regolamento,
espressamente riferite alle sanzioni pecuniarie conseguenti ad illeciti
amministrativi - non è applicabile alle violazioni che integrino gli estremi di un reato,
alle quali accede una sanzione amministrativa non pecuniaria (nella specie,
guida in stato di ebbrezza, con conseguente provvedimento prefettizio di sospensione
della patente di guida ex artt. 186 e 223, terzo comma, c.d.s.), la cui maggiore
gravità, alla quale corrisponde generalmente anche una maggiore complessità ed
una minore immediatezza nell’attività di accertamento, ha suggerito di non
porre a carico degli organi deputati alla contestazione un onere analogo a
quello previsto in caso di infrazioni rilevanti solo sul piano amministrativo e
sanzionate solo pecuniariamente. Né tale scelta legislativa presta il fianco a
dubbi di illegittimità costituzionale, avuto riguardo alla obiettiva diversità
delle infrazioni di cui si tratta e tenuto conto che il diritto di difesa del
preteso trasgressore è pienamente tutelato dalla necessità della contestazione della
infrazione. ancorché non necessariamente immediata, e dalla possibilità dello
stesso di esperire contro il provvedimento sanzionatorio i rimedi giurisdizionali
previsti dalla legge" (Cass., 30 maggio 2005, n. 11367). Per
quanto riguarda, in particolare, il provvedimento di sospensione della patente
di guida ex art. 223 del codice della strada, si è chiarito che lo stesso ha natura
cautelare e trova giustificazione nella necessità di impedire nell’immediato,
prima ancora che sia accertata la responsabilità penale, che il conducente del
veicolo, nei cui confronti sussistono fondati elementi di un’evidente
responsabilità in ordine ad eventi lesivi dell’incolumità altrui, continui una
condotta che può arrecare pericolo ad altri. E proprio in relazione alla
funzione cautelare del provvedimento prefettizio di sospensione della patente di
guida è sorto
contrasto nella giurisprudenza di questa Corte circa la necessità che detto
provvedimento debba essere adottato in tempi compatibili e coerenti con la
funzione stessa. ovvero se possa essere adottato senza limitazioni di tempo (v.
in proposito, l’ordinanza 20 ottobre 2005, n. 20328, con la quale la questione e
stata rimessa al Primo Presidente per la eventuale assegnazione alle Sezioni Unite;
questione che, peraltro, non rileva nel presente giudizio, non avendo la tempestività
della adozione del provvedimento prefettizio formato oggetto di opposizione nel
giudizio di merito e non essendo quindi la relativa problematica stata
affrontata dalla sentenza impugnata). E
proprio in considerazione della finalità cautelare del provvedimento di sospensione
o di revoca della patente ex art. 223 codice della strada, questa Corte, dopo
aver rilevato che la citata disposizione, nel prevedere che il Prefetto possa
adottare la sospensione provvisoria della patente di guida, richiede, ai fini della
emissione di tale provvedimento, la sussistenza di "fondati elementi di
una evidente responsabilità", ha affermato che in sede di opposizione si
impone la valutazione in ordine alla presenza, nel caso di specie, di detti
presupposti, cui il giudice del merito non può sottrarsi, limitando il proprio
esame alla regolarità formale della misura adottata (Cass., 6 settembre 2004,
n. 17972). In
considerazione della previsione normativa ora richiamata, si è inoltre chiarito che il controllo
sul provvedimento di sospensione non può essere contenuto nella verifica circa
la presenza del fumus, ma richiede la concreta ed oggettiva sussistenza delle
condizioni richieste dalla legge sulla base delle risultanze processuali
(Cass., 23 ottobre 2003, n. 15906; Cass., n. 17972 del 2004, cit.). Del
resto, si è osservato,
il provvedimento provvisorio, proprio perché necessariamente preventivo
rispetto all’applicazione della sanzione accessoria della sospensione della
patente da parte del giudice penale o dello stesso Prefetto (in caso di
estinzione o di improcedibilità del reato connesso alla violazione del codice
della strada), conserva una sua autonomia sul piano della finalità in quanto
volto a tutelare con immediatezza la incolumità e l’ordine pubblico, impedendo
al conducente che si è reso responsabile di alcuni reati inerenti alla circolazione di
continuare nella guida, ritenuta potenzialmente pericolosa. Si giustifica,
conseguentemente. in tal modo la necessità di una altrettanta autonoma valutazione
sulla presenza dei richiamati presupposti. Ciò
premesso, e rilevato che il giudizio di merito ha correttamente avuto ad oggetto
il provvedimento con il quale il prefetto ha disposto la sospensione della patente
nei confronti dell’intimato e non il verbale di accertamento della infrazione,
ritiene il Collegio che il Giudice del merito abbia errato nel sostenere che
l’adozione della sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente
di guida postula l’accertamento, con sentenza definitiva di condanna, del reato
di guida in stato di ebbrezza. Al contrario, come si è visto, altro è la sanzione accessoria che il
giudice penale, all’esito del relativo giudizio, può comminare al soggetto
responsabile del reato di cui all’art. 186 codice della strada, altro è il provvedimento, con finalità
cautelai, che il prefetto può adottare allorquando venga commesso un reato per
il quale è prevista la
sanzione accessoria amministrativa della sospensione o della revoca della
patente di guida. Diversa è la natura della sanzione nell’uno e nell’altro caso,
diversa la finalità perseguita dal legislatore con la previsione di una
sanzione adottata dal Prefetto in via cautelare. Ma il
Giudice del merito è altresì incorso in un errore di diritto nella valutazione delle prove,
sotto due profili. In primo luogo, in quanto ha ritenuto di poter superare, ai
fini dell’accertamento della sussistenza della infrazione, i risultati delle
misurazioni effettuate con l’etilometro. Se è vero, infatti, che l’accertamento
dello stato di ebbrezza non richiede necessariamente che tale stato risulti
dalla misurazione attraverso etilometro, è altrettanto vero che, allorquando tale
rilevazione avvenga, il giudice non può prescindere da tali accertamenti e, in virtù
del principio del libero convincimento, disattenderli. E ciò tanto più deve essere
affermato in una fattispecie, quale quella in esame, in cui, secondo quanto emerge
dalla sentenza impugnata, alle risultanze dell’etilometro si accompagnava anche
un dato sintomatico, e precisamente l’alito vinoso dell’opponente. Sotto
altro profilo, il giudice ha omesso di considerare che, ai sensi dell’art. 379,
comma 1, del d.P.R.
16 dicembre 1992, n. 495, "l’accertamento dello stato di ebbrezza ai sensi
dell’art. 186, comma 4, del codice, si effettua mediante l’analisi dell’aria
alveolare espirata: qualora, in base al valore della concentrazione di alcol
nell’aria alveolare espirata, la concentrazione alcolemica corrisponda
o superi 0,8 grammi per litro (g/l), il soggetto viene ritenuto in stato di
ebbrezza" (valore, questo, successivamente ridotto a 0,5 gll ad opera
dell’art. 5 del decreto legge 27 giugno 2003, n. 151, convertito, con
modificazioni, dalla legge 1 agosto 2003, n. 214, il quale ha sostituito l’art.
186, precisando altresì che l’accertamento di un valore pari a quello prima
indicato comporta che il conducente deve ritenersi in stato di ebbrezza agli
effetti dell’applicazione delle sanzioni di cui al comma 2). Va peraltro
ricordato che, già prima delle modificazioni introdotte dal decreto-legge n.
151 del 2003, l’art. 186, nel testo applicabile ratione temporis, conteneva, al comma 5, una disposizione analoga, nel
senso che l’accertamento di un tasso alcolemico pari a quello stabilito dal regolamento
comportava che il conducente doveva ritenersi in stato di ebbrezza ai fini
dell’applicazione delle sanzioni di cui al comma 2 del medesimo articolo. Il
medesimo art. 379 del regolamento di esecuzione, al comma 2, dispone poi che “la
concentrazione di cui al comma 1 dovrà risultare da almeno due determinazioni
concordanti effettuate ad un intervallo di tempo di cinque minuti”. Orbene,
il giudice del merito ha anche errato nell’apprezzare la portata dei risultati
delle misurazioni effettuate a mezzo etilometro, giacché i risultati in relazione
ai quali è stata
elevata la contestazione di guida in stato di ebbrezza ed è stata disposta la sospensione
della patente di guida da parte del Prefetto recavano valori che. pur essendo
tra loro diversi, si attestavano comunque su una soglia significativamente
eccedente quella che, ai sensi dell’art. 379 del regolamento di esecuzione del
codice della strada, integra lo stato di ebbrezza ai fini ivi considerati. Lo
stesso giudice del merito dà infatti atto che nelle due misurazioni,
regolarmente effettuate a cinque minuti di distanza l’una dall’altra, è stata rilevata una concentrazione
di 1,27 e di 1,14 g7l, e cioè valori ampiamente al di sopra della soglia che,
legalmente, integra lo stato di ebbrezza. Il ricorso
della Prefettura di Salerno deve dunque essere accolto e la sentenza impugnata
deve essere cassata. Peraltro, non essendo necessari ulteriori accertamenti di
fatto, emergendo dagli accertamenti strumentali la sussistenza dello stato di
ebbrezza e non essendo stati dedotti nel giudizio di opposizione, per quanto
emerge dalla sentenza impugnata, profili ulteriori rispetto a quelli apprezzati
erroneamente dal giudice di pace di Agropoli, in violazione delle norme sulla
valutazione delle prove, la causa può essere decisa nel merito con il rigetto
dell’opposizione proposta da R. N. Non vi è luogo a provvedere sulle spese del
giudizio di primo grado, in considerazione della mancata costituzione della
Prefettura di Salerno in quel giudizio per il tramite dell’Avvocatura dello Stato,
mentre l’intimato, in applicazione del principio della soccombenza, deve essere
condannato al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, come determinate
in dispositivo.
Per
questi motivi
La
Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito,
rigetta l’opposizione; condanna l’intimato al pagamento delle spese del giudizio
di legittimità, liquidate in euro 1.000,00 per onorari, oltre spese prenotate a
debito.
Così
deciso addì 26 gennaio 2006
Deposita
in Cancelleria il 28 agosto 2006
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