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Corte di Cassazione 05/12/2006

Insidia stradale e responsabilità del comune per cose in custodia ex art.2051

Tribunale Foggia, sez. II civile, sentenza 17 agosto 2006

Nell’ipotesi di lesioni riportate dall’utente di una strada urbana, per il Tribunale di Foggia, il danneggiato deve essere risarcito, in quanto nei confronti del Comune trova applicazione, la presunzione di responsabilità per danni cagionati da cose in custodia, a meno che risulti oggettivamente impossibile l’esercizio di un adeguato controllo da parte dell’ente proprietario.
Ne consegue la necessità per il danneggiato di dimostrare soltanto l’esistenza del nesso di causalità tra la cosa in custodia ed il danno arrecato, spettando all’Ente l’onere di provare il fortuito, ossia l’esistenza di fatti straordinari ed imprevedibili in grado di interrompere il nesso causale che lega l’evento lesivo alla cosa.
Si tratta di una responsabilità che si ricollega evidentemente all’obbligo di provvedere alla manutenzione delle strade pubbliche, per evitare pericoli e salvaguardare la sicurezza degli utenti.
La decisione in commento si inserisce in quella che è stata, almeno nel passato, una controversa questione: se la responsabilità della Pubblica Amministrazione, per i danni provocati da buche presenti sulle strade potesse essere invocata soltanto in forza dell’art. 2043 C.C. o fosse proponibile la responsabilità per le cose in custodia ex art. 2051 C.C.
La revisione ed evoluzione giurisprudenziale di questi ultimi anni, orientata per il configurarsi, in determinate situazioni, della responsabilità ex art. 2051 C.C, impone oggi una attenta valutazione della singola fattispecie ed un scelta di non secondaria importanza della “effettiva” causa pretendi.
Basti pensare a quella che rappresenta la differenza più evidente e significativa: il diverso regime dell’onere della prova.
Come la giurisprudenza di legittimità ha avuto modo di chiarire: “l’azione di responsabilità per custodia ex art. 2051 c.c. presuppone sul piano eziologico e probatorio accertamenti diversi, e coinvolge distinti temi di indagine rispetto all’azione di responsabilità per danni a norma dell’art. 2043 c.c., trattandosi di accertare, in quest’ultimo caso, se sia stato attuato un comportamento commissivo od omissivo dal quale è derivato un pregiudizio a terzi, e dovendosi prescindere invece, nel caso di responsabilità per danni da cosa in custodia, dal profilo del comportamento del custode, che è elemento estraneo alla struttura della fattispecie normativa di cui all’art. 2051 c.c., nella quale il fondamento della responsabilità è costituito dal rischio, che grava sul custode, per i danni prodotti dalla cosa che non dipendano dal caso fortuito” (Cass. Sez.
III, sent. n. 12329 del 06-07-2004).
Tornando alla vicenda decisa dal Tribunale, e sintetizzandone i fatti, a seguito di una caduta causata da una buca presente su un marciapiedi sconnesso e con mattonelle divelte, è stato convenuto in giudizio il Comune per sentirlo condannare, in quanto responsabile delle lesioni personali riportate, al risarcimento del danno patito, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali.
Nell’atto di costituzione il Comune ha chiesto il rigetto della domanda per l’insussistenza di una situazione di pericolo integrante gli estremi della “insidia stradale”.
Inoltre, la richiesta è stata contestata nell’an come nel quantum debeatur per “l’eccessività della pretesa risarcitoria”.
L’interesse della sentenza in commento, a giudizio dello scrivente, risiede in larga parte nel ripetuto richiamo ai diversi principi fissati (nel tempo) dalla giurisprudenza di legittimità, ai quali (ultimi) in sostanza il giudice dichiara di volersi adeguare.
Peraltro, il giudice del Tribunale ha ritenuto necessario illustrare preliminarmente l’excursus giurisprudenziale di legittimità che, come si è fatto cenno, nel tempo ha fatto registrare una modificazione di orientamento.
Prima di passare ai motivi della decisione ha voluto “dar atto del revirement giurisprudenziale che ha interessato la vexata quaestio dell’applicabilità, alla pubblica amministrazione, della presunzione di responsabilità prevista dall’art. 2051 c. c. per quelle categorie di beni – come le strade pubbliche - che sono oggetto di utilizzo generale e diretto da parte di terzi”.
Nel ripercorrere l’evoluzione degli orientamenti interpretativi, fa osservare come in una fase iniziale, i giudici di legittimità abbiano escluso radicalmente l’applicabilità dell’art. 2051 c. c., indicando il referente normativo della responsabilità nella norma generale di cui all’art. 2043 c.c..
La colpa trovava fondamento sulla “elaborazione del concetto di “insidia” o “trabocchetto” determinante un “pericolo occulto” per il carattere oggettivo della non visibilità e soggettivo della non prevedibilità (Cass. 2244/69; 5539/97; 2850/98; 1571/04)”.
La situazione di pericolo occulto, cioè non visibile e non prevedibile, che da luogo al cosiddetto trabocchetto o insidia stradale, individua un “indice tassativo ed ineludibile della responsabilità della pubblica amministrazione (Cass. 10654-04; 11250-02; 2850-98)”.
Tuttavia, viene fatto osservare, l’accertamento della responsabilità risarcitoria ex art. 2043 c.c., comporta che sia l’utente danneggiato a dover provare l’esistenza dell’insidia non visibile e non prevedibile.
Precisa lo stesso tribunale di Foggia che “solo a partire dagli anni ’80 si è aperta una breccia nell’orientamento tradizionale, che ha portato la Suprema Corte ad affermare l’applicabilità dell’art. 2051 c.c. anche nei confronti della p.a. , seppure limitatamente ai beni demaniali o patrimoniali di non notevole estensione e non suscettibili di generalizzata e diretta utilizzazione da parte della collettività (Cass. 5567-84), quali, ad esempio, la villa comunale (Cass. 58-82), la rete fognaria (Cass. 2319-85), le pertinenze della stazione ferroviaria, il trefolo e la fune di guardia di una linea elettrica di proprietà dell’Enel (Cass. 265-96)”.
Aggiunge, che in tempi più recenti, i giudici di legittimità sono stati indotti ad un nuovo esame della questione sull’impulso dalla pronuncia della Corte costituzionale n. 156 del 1999, la quale, ha ritenuto come non violi il dettato costituzionale l’interpretazione dell’art. 2051 c.c. che ne esclude l’applicabilità alla p.a. “allorché sul bene di sua proprietà non sia possibile – per la notevole estensione di esso e le modalità d’uso, diretto e generale da parte di terzi – un continuo, efficace controllo, idoneo ad impedire l’insorgenza di cause di pericolo per gli utenti”.
A seguito della pronuncia della Consulta, “che ha fatto riemergere differenze ormai sopite”, la notevole estensione del bene e l’uso generale e diretto sono stati considerati “meri indici” dell’impossibilità di un concreto esercizio del potere di controllo sul bene, “da riscontrarsi attraverso un’indagine svolta caso per caso”.
In particolare, chiarisce il Tribunale, “il contrasto si è polarizzato tra l’interpretazione favorevole ad escludere la presunzione di responsabilità ex art. 2051 c.c. per quei beni demaniali (come le strade pubbliche) oggetto di utilizzazione generale e diretta da parte della collettività (v. Cass. 2410-05) e la diversa interpretazione orientata nel senso di evitare quello che è stato definito un automatismo interpretativo (Cass. 19653 e 6515 del 2004)”.
Si tratta di un indirizzo interpretativo che si è persino svincolato dai suddetti “indici”, di fonte giurisprudenziale, della notevole estensione del bene e dell’uso generale della cosa da parte di terzi.
Per tale ultimo orientamento, “seguito dalla terza sezione civile della Cassazione, con le sentenze n. 3651 del 20-02-06 e 5445 del 14-03-06” , al quale il giudice della decisione commentata aderisce: “presupposti applicativi della fattispecie di responsabilità descritta dall’art. 2051 c.c. sono la custodia e la derivazione del danno dalla cosa”.
Ora, tenuto conto che la norma introduce una “responsabilità presunta” a carico del soggetto che si trovi in una determinata relazione di fatto con la cosa, avendone il potere di “effettiva disponibilità e controllo”, “l’onere probatorio gravante sul danneggiato si esaurisce nella prova dei descritti presupposti, incombendo sul presunto responsabile l’onere di dimostrare – diversamente dal paradigma generale di responsabilità di cui all’art. 2043 c. c. - l’assenza di colpa e, quindi, che il danno si è verificato in modo non prevedibile né superabile con l’adeguata diligenza, cioè con lo sforzo diligente dovuto in relazione alle circostanze del caso concreto”.
Nel caso di specie (l’attrice era caduta in una “buca” presente nella sconnessa pavimentazione del marciapiedi), è stata ritenuta sussistente la derivazione causale della caduta dalla esistenza della “buca” e la responsabilità del Comune per l’evento dannoso occorso all’attrice, “non avendo l’amministrazione comunale fornito la prova (liberatoria) di aver adottato tutte le misure idonee ad evitarlo”.
Per il Tribunale, il Comune “non ha tenuto il comportamento diligente richiesto in relazione alle condizioni del bene posto sotto la sua custodia ed all’uso dello stesso (si tratta di una strada del centro cittadino, come tale molto frequentata), avendo omesso di verificare se la strada versasse in condizioni tali da non recare nocumento agli utenti ed altresì di effettuare i necessari lavori di manutenzione, ciò in ottemperanza all’obbligo previsto dall’ art. 5 r.d. 15 novembre 1923, n. 2506, e, più in generale, dall’art. 2051 c.c. (Cass. 723-88)”.
La responsabilità dell’ente comunale per il danno sofferto dall’attrice in conseguenza del sinistro, viene fondata anche sull’ulteriore rilievo “che la violazione di una specifica norma di condotta costituisce prova sufficiente della colpa della p.a. (cfr. cit. sent. 3651-06)”.
Con riguardo al risarcimento del danno è stato risarcito il danno biologico, per la lesione dell’integrità fisica subita, il danno biologico temporaneo e il danno morale.
La liquidazione è avvenuta tenendo conto delle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio che ha accertato “una invalidità temporanea totale della durata di 45 giorni, una parziale al 70% di 30 giorni ed una parziale al 50% di ulteriori 20 giorni, nonché postumi permanenti in misura compresa tra il 2 e il 3%”.
Nella liquidazione del danno biologico si è fatto riferimento al criterio equitativo di cui all’art. 1226 c. c., applicato “tenendo conto di tutte le circostanze del caso concreto e, specificamente, della gravità delle lesioni, dei postumi permanenti, dell’età, dell’attività svolta, delle condizioni sociali e familiari del danneggiato (tra le molte, Cass. 19057 e 8827 del 2003)”.
Ritenendo, superato il criterio del triplo della pensione sociale, è stato “assunto a parametro di calcolo quello del punto flessibile indicato dalle tabelle milanesi del 2005, in base al quale viene differenziato il valore del punto in relazione alla gravità della menomazione permanente ed all’età del danneggiato secondo un criterio - rispettivamente - progressivo e regressivo”.
Anche per il calcolo del danno biologico temporaneo, è stato applicato il criterio del punto flessibile indicato dalle cosiddette “tabelle milanesi”.
Con riguardo al danno morale, il Tribunale di Foggia ha seguito l’orientamento secondo cui il danno morale è risarcibile anche nell’ipotesi in cui, in sede civile, la colpa dell’autore del fatto risulti da una presunzione di colpa.
In particolare, la sua risarcibilità è stata basata sul principio fissato dalla Cassazione secondo cui alla risarcibilità del danno non patrimoniale non osta il mancato positivo accertamento della colpa dell’autore del danno se essa debba ritenersi sussistente in base ad una presunzione di legge e se, ricorrendo la colpa, il fatto sarebbe qualificabile come reato.
(Cass. civ. Sez. III, 12-05-2003, n. 7283 - Cass. civ. Sez. III, 26-02-2004, n. 3871).
La somma finale, considerata comprensiva della rivalutazione monetaria, è stata devalutata all’epoca del fatto e l’importo così ottenuto rivalutato, in base agli indici ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati, fino alla data della decisione, “in considerazione della natura di debito di valore della obbligazione risarcitoria”.
Sul valore della somma rivalutata sono stati riconosciuti “gli interessi per ritardato pagamento maturati anno per anno, restando escluso che possano computarsi dalla data dell’illecito sull’intera somma rivalutata definitivamente (in tal senso, C. Sez. Un. 1712-95; conf. 2217-98; 11502-97; 339-96)”.
Dalla data della sentenza al saldo sono stati riconosciuti ulteriori interessi, al saggio legale.

Le spese di lite sono state integralmente compensate tra le parti, ad esclusione di quelle liquidate ai consulenti tecnici d’ufficio, che sono state poste a carico del Comune.
Per completezza di informazione sulla responsabilità per danni da strade in custodia, la terza sezione della cassazione si è ancora pronunciata nel luglio scorso (Cass.
Sez. III, sent. n. 15383 del 06-07-2006) fornendo le seguenti testuali precisazioni:

1. La presunzione di responsabilità per danni da cosa in custodia, di cui all’art. 2051 cod. civ., non si applica agli enti pubblici per danni subiti dagli utenti di beni demaniali ogni qual volta sul bene demaniale, per le sue caratteristiche, non risulti possibile - all’esito di un accertamento da svolgersi da parte del giudice di merito in relazione al caso concreto - esercitare la custodia, intesa quale potere di fatto sulla stessa”.

2. L’estensione del bene demaniale e l’utilizzazione generale e diretta delle stesso da parte di terzi, sotto tale profilo assumono, soltanto la funzione di circostanze sintomatiche dell’impossibilità della custodia. Alla stregua di tale principio, con particolare riguardo al demanio stradale, la ricorrenza della custodia dev’essere esaminata non soltanto con riguardo all’estensione della strada, ma anche alle sue caratteristiche, alla posizione, alle dotazioni, ai sistemi di assistenza che li connotano, agli strumenti che il progresso tecnologico appresta, in quanto tali caratteristiche assumono rilievo condizionante anche delle aspettative degli utenti”.

3. Alla stregua di tale criterio, mentre in relazione alle autostrade (di cui già all’art. 2 del d.P.R. n. 393 del 1959, ed ora all’art. 2 del d.lgs. n. 285 del 1992), attesa la loro natura destinata alla percorrenza veloce in condizioni di sicurezza, si deve concludere per la configurabilità del rapporto custodiale, in relazione alle strade riconducibili al demanio comunale non è possibile una simile, generalizzata, conclusione, in quanto l’applicazione dei detti criteri non la consente, ma comporta valutazioni ulteriormente specifiche”.

4. Per le strade comunali - salvo il vaglio in concreto del giudice di merito - circostanza eventualmente sintomatica della possibilità della custodia è che la strada, dal cui difetto di manutenzione è stato causato il danno, si trovi nel perimetro urbano delimitato dallo stesso comune. (Cassa con rinvio, Trib. Ancona, 13 Giugno 2002)”.

(Altalex, Nota di Giuseppe Mommo)


 
Tribunale di Foggia

Sezione II Civile

Sentenza 17 agosto 2006

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE DI FOGGIA

SECONDA SEZIONE CIVILE


La dott. Carmela Romano, in funzione di Giudice Unico di primo grado,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa iscritta al n. 1792 del Ruolo Generale degli Affari Contenziosi dell’anno 1997

TRA

XXX, elettivamente domiciliata presso lo studio dell’ Avv. XXX, che la rappresenta e difende, giusta procura a margine dell’atto di citazione

attrice

E

XXX, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avv. XXX, che lo rappresenta e difende, giusta procura a margine della comparsa di costituzione e risposta

convenuto

CONCLUSIONI: all’udienza del 25 gennaio 2006, i procuratori delle parti hanno concluso come da relativo verbale.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato il 31-10-97, XXXX ha convenuto in giudizio il COMUNE di XXXX per sentirlo dichiarare responsabile dell’evento dannoso occorsole in data 18-11-96 e, per l’effetto, condannare al risarcimento del danno patito, quantificato in £. 47.823.250, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali; con vittoria di spese.

Ha, al riguardo, esposto che: il 18-11-96, mentre percorreva a piedi via Roma, in XXXX, cadeva in terra a causa di una buca presente sul marciapiedi della predetta via; in conseguenza del sinistro, riportava lesioni personali, che le cagionavano una invalidità temporanea totale di 49 giorni e parziale di 73, nonché postumi permanenti nella misura del 10%; la responsabilità dell’evento era ascrivibile, in via esclusiva, al Comune, che, in qualità di proprietario della strada, avrebbe dovuto provvedere alla manutenzione della stessa.

Si è costituito il COMUNE di XXX, contestando la domanda nell’an come nel quantum debeatur e chiedendone il rigetto, attesa la insussistenza - nel caso di specie - di una situazione di pericolo integrante gli estremi della <> e l’eccessività della pretesa risarcitoria.

Esaurita l’istruttoria, le parti sono state invitate alla precisazione delle conclusioni e, all’udienza del 25 gennaio 2006, la causa è stata trattenuta in decisione, con termini di legge per il deposito di comparse conclusionali e memorie di replica.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. La domanda è fondata e va, per quanto di ragione, accolta.

1.1. Invero, giova, prima d’altro, dar atto del revirement giurisprudenziale che ha interessato la vexata quaestio dell’applicabilità, alla pubblica amministrazione, della presunzione di responsabilità prevista dall’art. 2051 c. c. per quelle categorie di beni – come le strade pubbliche - che sono oggetto di utilizzo generale e diretto da parte di terzi.

Ripercorrendo l’evoluzione degli orientamenti interpretativi sviluppatisi in subiecta materia, emerge come, in una fase iniziale, i giudici di legittimità abbiano escluso radicalmente l’ applicabilità dell’art. 2051 c. c., indicando il referente normativo della responsabilità nella norma generale di cui all’art. 2043 c.c. (Cass. 2806-66; 385-69; 260-75), e siano andati elaborando il concetto di <> o <> determinante un <> per il carattere oggettivo della non visibilità e soggettivo della non prevedibilità (Cass. 2244-69; 5539-97; 2850-98; più di recente, 1571-04), ritenuto <> (Cass. 10654-04; 11250-02; 2850-98).

Solo a partire dagli anni ’80 si è aperta una breccia nell’orientamento tradizionale, che ha portato la Suprema Corte ad affermare l’applicabilità dell’art. 2051 c.c. anche nei confronti della p.a. , seppure <> (Cass. 5567-84), quali, ad esempio, la villa comunale (Cass. 58-82), la rete fognaria (Cass. 2319-85), le pertinenze della stazione ferroviaria, il trefolo e la fune di guardia di una linea elettrica di proprietà dell’Enel (Cass. 265-96).

Tale approdo ermeneutico ha ricevuto l’avallo della Consulta, la quale, con la pronuncia n. 156 del 1999, ha ritenuto che non violi il dettato costituzionale l’interpretazione dell’art. 2051 c.c. che ne esclude l’applicabilità alla p.a. <>.

Gli spunti offerti da questa pronuncia - secondo cui, peraltro, la notevole estensione del bene e l’uso generale e diretto costituiscono <> dell’impossibilità di un concreto esercizio del potere di controllo sul bene, da riscontrarsi attraverso un’indagine svolta caso per caso - hanno portato i giudici di legittimità ad un nuovo esame della questione, che ha fatto riemergere differenze ormai sopite.

In particolare, il contrasto si è polarizzato tra l’interpretazione favorevole ad escludere la presunzione di responsabilità ex art. 2051 c.c. per quei beni demaniali (come le strade pubbliche) oggetto di utilizzazione generale e diretta da parte della collettività (v. Cass. 2410-05) e la diversa interpretazione orientata nel senso di evitare quello che è stato definito un <> (Cass. 19653 e 6515 del 2004).

Ebbene, è quest’ultimo l’indirizzo interpretativo che la terza sezione civile della Cassazione, con le sentenze n. 3651 del 20-02-06 e 5445 del 14-03-06, ha scelto di seguire ed al quale questo giudice ritiene di aderire.

Ed invero, presupposti applicativi della fattispecie di responsabilità descritta dall’art. 2051 c.c. sono la custodia e la derivazione del danno dalla cosa, non altro (nemmeno, in particolare, i suindicati <>, di fonte giurisprudenziale, della notevole estensione del bene e dell’uso generale della cosa da parte di terzi).

Ora, tenuto conto che la norma introduce una <> a carico del soggetto che si trovi in una determinata relazione di fatto con la cosa, avendone il potere di <>, l’onere probatorio gravante sul danneggiato si esaurisce nella prova dei descritti presupposti, incombendo sul presunto responsabile l’onere di dimostrare – diversamente dal paradigma generale di responsabilità di cui all’art. 2043 c. c. - l’assenza di colpa e, quindi, che <>.

1.2. Tanto premesso, in diritto, procedendo al vaglio del caso di specie, gli esiti istruttori hanno confermato la prospettazione dei fatti descritta nell’atto di citazione.

E’ quanto emerge, in particolare, dalla deposizione del teste XXX, il quale ha riferito di aver visto l’attrice cadere in una “buca” presente nella pavimentazione del marciapiedi di via Roma, in XXX, aggiungendo altresì che il manto stradale si presentava sconnesso e con mattonelle divelte (cfr. verbale d’udienza del 26-09-00), circostanza quest’ultima risultante dalla documentazione fotografica in atti, non disconosciuta dal convenuto.

Peraltro, tale ricostruzione trova indiretta conferma nelle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, il quale, con argomentazioni esaustive ed immuni da censure logiche, ha ritenuto sussistente la derivazione causale della caduta dalla esistenza della “buca” (cfr. relazione peritale del 26-02-03, a firma dell’ing. XXX).

Deve quindi ritenersi acclarato, in base alle esposte risultanze istruttorie, che sia stata la particolare condizione, potenzialmente lesiva, del manto stradale a determinare la caduta della XXX.

Si impone, pertanto, la declaratoria di responsabilità del Comune di XXX per l’evento dannoso occorso all’attrice, non avendo l’amministrazione comunale fornito la prova (liberatoria) di aver adottato tutte le misure idonee ad evitarlo.

Di contro, la rappresentazione fotografica dei luoghi di causa costituisce la prova più evidente che la p.a. non ha tenuto il comportamento diligente richiesto in relazione alle condizioni del bene posto sotto la sua custodia ed all’uso dello stesso (si tratta di una strada del centro cittadino, come tale molto frequentata), avendo omesso di verificare se la strada versasse in condizioni tali da non recare nocumento agli utenti ed altresì di effettuare i necessari lavori di manutenzione, ciò in ottemperanza all’obbligo previsto dall’ art. 5 r.d. 15 novembre 1923, n. 2506, e, più in generale, dall’art. 2051 c.c. (Cass. 723-88).

Ebbene, considerato peraltro che la violazione di una specifica norma di condotta costituisce prova sufficiente della colpa della p.a. (cfr. cit. sent. 3651-06), deve ribadirsi, per tale ulteriore rilievo, la responsabilità dell’ente comunale per il danno sofferto dall’attrice in conseguenza del sinistro.

1.3. Passando alla determinazione del quantum debeatur, con riguardo al danno da lesione dell’integrità fisica (cd. danno biologico), il consulente tecnico d’ufficio ha accertato una invalidità temporanea totale della durata di 45 giorni, una parziale al 70% di 30 giorni ed una parziale al 50% di ulteriori 20 giorni, nonché postumi permanenti in misura compresa tra il 2 e il 3% (cfr. relazione peritale del 26-01-04, a firma del dott. XXX).

A tali conclusioni si aderisce integralmente e, quanto alla percentuale di invalidità permanente, essa deve riconoscersi nella misura del 3%, in considerazione della patologia descritta dal consulente e del complesso degli esiti invalidanti riscontrati sulla periziata.

Nella liquidazione del danno biologico si farà riferimento al criterio equitativo di cui all’art. 1226 c. c., da applicarsi tenendo conto di tutte le circostanze del caso concreto e, specificamente, della gravità delle lesioni, dei postumi permanenti, dell’età, dell’attività svolta, delle condizioni sociali e familiari del danneggiato (tra le molte, Cass. 19057 e 8827 del 2003).

A tal fine, superato il criterio del triplo della pensione sociale, che la giurisprudenza di legittimità ha in più occasioni ritenuto inadeguato alla liquidazione del danno alla salute (ex pluribus, Cass. 14874-00; 9835-96; 5271-95; 2008-93), si assumerà a parametro di calcolo quello del punto flessibile indicato dalle tabelle milanesi del 2005, in base al quale viene differenziato il valore del punto in relazione alla gravità della menomazione permanente ed all’età del danneggiato secondo un criterio - rispettivamente - progressivo e regressivo.

La somma scaturente dall’ applicazione delle tabelle risulta pari ad €2.143,01 (€1.107,50 x 3 x 0,645) ed è pienamente in grado – a parere di chi scrive – di dar conto delle peculiarità del caso concreto, quali risultanti da atti e documenti di causa.

Quanto al danno biologico temporaneo, assumendo come parametro sempre le tabelle milanesi, esso va liquidato nella misura di €4.925,00, di cui €2.925,00 per 45 giorni di invalidità totale (€65,00 al giorno), €1.350,00 per 30 giorni di invalidità parziale al 70 % (€45,00 al giorno) ed €650,00 per 20 giorni di invalidità parziale al 50% (€32,5 al giorno).

Con riguardo al danno morale, inteso come transeunte turbamento dello stato d’animo della vittima, nessun dubbio sussiste in ordine alla sua risarcibilità ove, come nell’ipotesi di specie, la colpa dell’ autore del danno si ritenga sussistente in base ad una presunzione di legge ed il fatto, ricorrendo la colpa, sarebbe qualificabile come reato (C. 12.5.2003 n. 7283: «appare incongruo ritenere che, in un contesto connotato da un onere probatorio posto a carico del danneggiante convenuto, evidentemente in funzione di tutela della posizione della vittima, ove lo stesso non sia soddisfatto e la prova liberatoria non sia data, il danneggiato attore possa ottenere o no il risarcimento del danno non patrimoniale a seconda che abbia o meno dato la prova di un fatto (colpa) che non gli compete e la cui mancanza va invece provata dall’altra parte. Posto che, se la colpa fosse sussistente, il fatto integrerebbe il reato ed il danno non patrimoniale sarebbe dunque risarcibile, la non superata presunzione di colpa altro non significa che essa agli effetti civili sussiste, sicché il fatto senz’altro corrisponde anche in tale ipotesi alla fattispecie astratta di reato […]. Deve conclusivamente enunciarsi, così innovando il precedente orientamento, il seguente principio di diritto: alla risarcibilità del danno non patrimoniale ex artt. 2059 c.c. e 185 c.p. non osta il mancato positivo accertamento della colpa dell’autore del danno se essa, come nei casi di cui all’art. 2054 c.c., debba ritenersi sussistente in base ad una presunzione di legge e se, ricorrendo la colpa, il fatto sarebbe qualificabile come reato»; conf., C. 26 febbraio 2004 n. 3871).

Tanto premesso, tenuto conto dell’entità e tipologia dei postumi invalidanti, della durata della malattia e delle condizioni soggettive dell’attrice, si ritiene equo liquidare – a tale titolo – l’importo di €500,00, pari a circa 1/4 del danno biologico permanente.

Trattandosi di importi già comprensivi di rivalutazione monetaria, la somma finale di €7.568,01 deve essere devalutata all’epoca del fatto e l’importo così ottenuto rivalutato, in base agli indici ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati, dal 18-11-96 alla data della decisione, in considerazione della natura di debito di valore della obbligazione risarcitoria.

Sul valore della somma via via rivalutata spettano altresì alla creditrice gli interessi per ritardato pagamento maturati anno per anno, restando escluso che possano computarsi dalla data dell’illecito sull’intera somma rivalutata definitivamente (in tal senso, C. Sez. Un. 1712-95; conf. 2217-98; 11502-97; 339-96).

Ne consegue che la somma complessivamente dovuta all’attrice è pari ad €9.741,28 (di cui €6.201,15 quale capitale iniziale, devalutato alla data del 18-11-96, €1.384,61 per rivalutazione ed €2.155,52 per interessi legali sul capitale rivalutato annualmente).

Sull’ importo così liquidato decorrono ulteriori interessi, al saggio legale, dalla data della sentenza al saldo.

Sussistono giusti motivi per la compensazione integrale, tra le parti, delle spese di lite, tenuto conto della mancanza di una interpretazione giurisprudenziale consolidata della norma applicata al caso di specie, salvo per quelle di ctu, da porsi definitivamente a carico del convenuto, in ossequio al criterio generale della soccombenza.

P.Q.M.

Il Tribunale, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da XXX nei confronti del COMUNE di XXX, con atto di citazione notificato il 31-10-97, disattesa ogni contraria istanza, eccezione, deduzione, così provvede:

· accertata la responsabilità del COMUNE di XXX per l’evento dannoso occorso, in data 18-11-96, a XXX, condanna il convenuto, in persona del legale rappresentante pro tempore, al pagamento, in favore dell’attrice, della somma di €9.741,28, a titolo di risarcimento del danno, oltre gli interessi legali sulla predetta somma dalla pubblicazione della sentenza al saldo;

· dichiara integralmente compensate, tra le parti, le spese di lite, ad esclusione di quelle liquidate ai consulenti tecnici d’ufficio, da porsi definitivamente a carico di parte convenuta.

Foggia, 17 agosto 2006.

IL GIUDICE
dott. Carmela ROMANO


© asaps.it
Martedì, 05 Dicembre 2006
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