Nell’ipotesi di lesioni riportate dall’utente di
una strada urbana, per il Tribunale di Foggia, il danneggiato deve essere
risarcito, in quanto nei confronti del Comune trova applicazione, la
presunzione di responsabilità per danni cagionati da cose in custodia, a meno
che risulti oggettivamente impossibile l’esercizio di un adeguato controllo da
parte dell’ente proprietario. Le spese di
lite sono state integralmente compensate tra le parti, ad esclusione di quelle
liquidate ai consulenti tecnici d’ufficio, che sono state poste a carico del
Comune. 1. “La presunzione di responsabilità per danni
da cosa in custodia, di cui all’art. 2051 cod. civ., non si applica
agli enti pubblici per danni subiti dagli utenti di beni demaniali ogni qual
volta sul bene demaniale, per le sue caratteristiche, non risulti possibile
- all’esito di un accertamento da svolgersi da parte del giudice di merito in
relazione al caso concreto - esercitare la custodia, intesa quale potere di
fatto sulla stessa”. 2. “L’estensione del bene demaniale e
l’utilizzazione generale e diretta delle stesso da parte di terzi, sotto tale
profilo assumono, soltanto la funzione di circostanze sintomatiche
dell’impossibilità della custodia. Alla stregua di tale principio,
con particolare riguardo al demanio stradale, la ricorrenza della custodia
dev’essere esaminata non soltanto con riguardo all’estensione della strada, ma
anche alle sue caratteristiche, alla posizione, alle dotazioni, ai sistemi di
assistenza che li connotano, agli strumenti che il progresso tecnologico
appresta, in quanto tali caratteristiche assumono rilievo condizionante
anche delle aspettative degli utenti”. 3. “Alla stregua di tale criterio, mentre in
relazione alle autostrade (di cui già all’art. 2 del d.P.R. n. 393 del
1959, ed ora all’art. 2 del d.lgs. n. 285 del 1992), attesa la loro natura
destinata alla percorrenza veloce in condizioni di sicurezza, si deve
concludere per la configurabilità del rapporto custodiale, in relazione
alle strade riconducibili al demanio comunale non è possibile una simile,
generalizzata, conclusione, in quanto l’applicazione dei detti criteri non la
consente, ma comporta valutazioni ulteriormente specifiche”. 4. “Per le strade comunali - salvo il
vaglio in concreto del giudice di merito - circostanza eventualmente
sintomatica della possibilità della custodia è che la strada, dal cui difetto
di manutenzione è stato causato il danno, si trovi nel perimetro urbano
delimitato dallo stesso comune. (Cassa con rinvio, Trib. Ancona, 13 Giugno
2002)”. (Altalex, Nota di Giuseppe Mommo)
Sezione II Civile Sentenza 17 agosto 2006 REPUBBLICA
ITALIANA IN NOME
DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE
DI FOGGIA SECONDA
SEZIONE CIVILE La dott.
Carmela Romano, in funzione di Giudice Unico di primo grado, ha
pronunciato la seguente SENTENZA nella causa
iscritta al n. 1792 del Ruolo Generale degli Affari Contenziosi dell’anno 1997 TRA XXX,
elettivamente domiciliata presso lo studio dell’ Avv. XXX, che la rappresenta e
difende, giusta procura a margine dell’atto di citazione attrice E XXX, in
persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato
presso lo studio dell’Avv. XXX, che lo rappresenta e difende, giusta procura a
margine della comparsa di costituzione e risposta convenuto CONCLUSIONI:
all’udienza del 25 gennaio 2006, i procuratori delle parti hanno concluso come
da relativo verbale. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con atto
di citazione notificato il 31-10-97, XXXX ha convenuto in giudizio il COMUNE di
XXXX per sentirlo dichiarare responsabile dell’evento dannoso occorsole in data
18-11-96 e, per l’effetto, condannare al risarcimento del danno patito,
quantificato in £. 47.823.250, oltre rivalutazione monetaria ed interessi
legali; con vittoria di spese. Ha, al
riguardo, esposto che: il 18-11-96, mentre percorreva a piedi via Roma, in
XXXX, cadeva in terra a causa di una buca presente sul marciapiedi della
predetta via; in conseguenza del sinistro, riportava lesioni personali, che le
cagionavano una invalidità temporanea totale di 49 giorni e parziale di 73,
nonché postumi permanenti nella misura del 10%; la responsabilità dell’evento
era ascrivibile, in via esclusiva, al Comune, che, in qualità di proprietario
della strada, avrebbe dovuto provvedere alla manutenzione della stessa. Si è
costituito il COMUNE di XXX, contestando la domanda nell’an come nel quantum
debeatur e chiedendone il rigetto, attesa la insussistenza - nel caso di
specie - di una situazione di pericolo integrante gli estremi della
< Esaurita
l’istruttoria, le parti sono state invitate alla precisazione delle conclusioni
e, all’udienza del 25 gennaio 2006, la causa è stata trattenuta in decisione,
con termini di legge per il deposito di comparse conclusionali e memorie di
replica. MOTIVI DELLA DECISIONE 1. La
domanda è fondata e va, per quanto di ragione, accolta. 1.1.
Invero, giova, prima d’altro, dar atto del revirement giurisprudenziale
che ha interessato la vexata quaestio dell’applicabilità, alla pubblica
amministrazione, della presunzione di responsabilità prevista dall’art. 2051 c.
c. per quelle categorie di beni – come le strade pubbliche - che sono oggetto
di utilizzo generale e diretto da parte di terzi. Ripercorrendo
l’evoluzione degli orientamenti interpretativi sviluppatisi in subiecta
materia, emerge come, in una fase iniziale, i giudici di legittimità
abbiano escluso radicalmente l’ applicabilità dell’art. 2051 c. c., indicando
il referente normativo della responsabilità nella norma generale di cui
all’art. 2043 c.c. (Cass. 2806-66; 385-69; 260-75), e siano andati elaborando
il concetto di < Solo a
partire dagli anni ’80 si è aperta una breccia nell’orientamento tradizionale,
che ha portato la Suprema Corte ad affermare l’applicabilità dell’art. 2051
c.c. anche nei confronti della p.a. , seppure < Tale
approdo ermeneutico ha ricevuto l’avallo della Consulta, la quale, con la
pronuncia n. 156 del 1999, ha ritenuto che non violi il dettato costituzionale
l’interpretazione dell’art. 2051 c.c. che ne esclude l’applicabilità alla p.a.
< Gli
spunti offerti da questa pronuncia - secondo cui, peraltro, la notevole
estensione del bene e l’uso generale e diretto costituiscono < In
particolare, il contrasto si è polarizzato tra l’interpretazione favorevole ad
escludere la presunzione di responsabilità ex art. 2051 c.c. per quei beni
demaniali (come le strade pubbliche) oggetto di utilizzazione generale e
diretta da parte della collettività (v. Cass. 2410-05) e la diversa
interpretazione orientata nel senso di evitare quello che è stato definito un
< Ebbene,
è quest’ultimo l’indirizzo interpretativo che la terza sezione civile della
Cassazione, con le sentenze n. 3651 del 20-02-06 e 5445 del 14-03-06, ha scelto
di seguire ed al quale questo giudice ritiene di aderire. Ed
invero, presupposti applicativi della fattispecie di responsabilità descritta
dall’art. 2051 c.c. sono la custodia e la derivazione del danno dalla cosa, non altro
(nemmeno, in particolare, i suindicati < Ora,
tenuto conto che la norma introduce una < 1.2.
Tanto premesso, in diritto, procedendo al vaglio del caso di specie, gli esiti
istruttori hanno confermato la prospettazione dei fatti descritta nell’atto di
citazione. E’
quanto emerge, in particolare, dalla deposizione del teste XXX, il quale ha
riferito di aver visto l’attrice cadere in una “buca” presente nella
pavimentazione del marciapiedi di via Roma, in XXX, aggiungendo altresì che il
manto stradale si presentava sconnesso e con mattonelle divelte (cfr. verbale
d’udienza del 26-09-00), circostanza quest’ultima risultante dalla
documentazione fotografica in atti, non disconosciuta dal convenuto. Peraltro,
tale ricostruzione trova indiretta conferma nelle conclusioni del consulente
tecnico d’ufficio, il quale, con argomentazioni esaustive ed immuni da censure
logiche, ha ritenuto sussistente la derivazione causale della caduta
dalla esistenza della “buca” (cfr. relazione peritale del
26-02-03, a firma dell’ing. XXX). Deve
quindi ritenersi acclarato, in base alle esposte risultanze istruttorie, che sia
stata la particolare condizione, potenzialmente lesiva, del manto stradale a
determinare la caduta della XXX. Si
impone, pertanto, la declaratoria di responsabilità del Comune di XXX per
l’evento dannoso occorso all’attrice, non avendo l’amministrazione comunale
fornito la prova (liberatoria) di aver adottato tutte le misure idonee ad
evitarlo. Di
contro, la rappresentazione fotografica dei luoghi di causa costituisce la
prova più evidente che la p.a. non ha tenuto il comportamento diligente
richiesto in relazione alle condizioni del bene posto sotto la sua custodia ed
all’uso dello stesso (si tratta di una strada del centro cittadino, come tale
molto frequentata), avendo omesso di verificare se la strada versasse in
condizioni tali da non recare nocumento agli utenti ed altresì di effettuare i
necessari lavori di manutenzione, ciò in ottemperanza all’obbligo previsto
dall’ art. 5 r.d. 15 novembre 1923, n. 2506, e, più in generale, dall’art. 2051
c.c. (Cass. 723-88). Ebbene,
considerato peraltro che la violazione di una specifica norma di condotta
costituisce prova sufficiente della colpa della p.a. (cfr. cit. sent. 3651-06),
deve ribadirsi, per tale ulteriore rilievo, la responsabilità dell’ente
comunale per il danno sofferto dall’attrice in conseguenza del sinistro. 1.3.
Passando alla determinazione del quantum debeatur, con riguardo al danno
da lesione dell’integrità fisica (cd. danno biologico), il consulente tecnico
d’ufficio ha accertato una invalidità temporanea totale della durata di 45
giorni, una parziale al 70% di 30 giorni ed una parziale al 50% di ulteriori 20
giorni, nonché postumi permanenti in misura compresa tra il 2 e il 3% (cfr.
relazione peritale del 26-01-04, a firma del dott. XXX). A tali
conclusioni si aderisce integralmente e, quanto alla percentuale di invalidità
permanente, essa deve riconoscersi nella misura del 3%, in considerazione della
patologia descritta dal consulente e del complesso degli esiti invalidanti
riscontrati sulla periziata. Nella
liquidazione del danno biologico si farà riferimento al criterio equitativo di
cui all’art. 1226 c. c., da applicarsi tenendo conto di tutte le circostanze
del caso concreto e, specificamente, della gravità delle lesioni, dei postumi
permanenti, dell’età, dell’attività svolta, delle condizioni sociali e
familiari del danneggiato (tra le molte, Cass. 19057 e 8827 del 2003). A tal
fine, superato il criterio del triplo della pensione sociale, che la
giurisprudenza di legittimità ha in più occasioni ritenuto inadeguato alla
liquidazione del danno alla salute (ex pluribus, Cass. 14874-00;
9835-96; 5271-95; 2008-93), si assumerà a parametro di calcolo quello del punto
flessibile indicato dalle tabelle milanesi del 2005, in base al quale viene
differenziato il valore del punto in relazione alla gravità della menomazione
permanente ed all’età del danneggiato secondo un criterio - rispettivamente -
progressivo e regressivo. La somma
scaturente dall’ applicazione delle tabelle risulta pari ad €2.143,01
(€1.107,50 x 3 x 0,645) ed è pienamente in grado – a parere di chi scrive – di
dar conto delle peculiarità del caso concreto, quali risultanti da atti e
documenti di causa. Quanto
al danno biologico temporaneo, assumendo come parametro sempre le tabelle
milanesi, esso va liquidato nella misura di €4.925,00, di cui €2.925,00 per 45
giorni di invalidità totale (€65,00 al giorno), €1.350,00 per 30 giorni di
invalidità parziale al 70 % (€45,00 al giorno) ed €650,00 per 20 giorni di
invalidità parziale al 50% (€32,5 al giorno). Con
riguardo al danno morale, inteso come transeunte turbamento dello stato d’animo
della vittima, nessun dubbio sussiste in ordine alla sua risarcibilità ove, come
nell’ipotesi di specie, la colpa dell’ autore del danno si ritenga sussistente
in base ad una presunzione di legge ed il fatto, ricorrendo la colpa, sarebbe
qualificabile come reato (C. 12.5.2003 n. 7283: «appare incongruo ritenere
che, in un contesto connotato da un onere probatorio posto a carico del
danneggiante convenuto, evidentemente in funzione di tutela della posizione
della vittima, ove lo stesso non sia soddisfatto e la prova liberatoria non sia
data, il danneggiato attore possa ottenere o no il risarcimento del danno non
patrimoniale a seconda che abbia o meno dato la prova di un fatto (colpa) che
non gli compete e la cui mancanza va invece provata dall’altra parte. Posto
che, se la colpa fosse sussistente, il fatto integrerebbe il reato ed il danno
non patrimoniale sarebbe dunque risarcibile, la non superata presunzione di
colpa altro non significa che essa agli effetti civili sussiste, sicché il
fatto senz’altro corrisponde anche in tale ipotesi alla fattispecie astratta di
reato […]. Deve conclusivamente enunciarsi, così innovando il
precedente orientamento, il seguente principio di diritto: alla risarcibilità
del danno non patrimoniale ex artt. 2059 c.c. e 185 c.p. non osta il mancato
positivo accertamento della colpa dell’autore del danno se essa, come nei casi
di cui all’art. 2054 c.c., debba ritenersi sussistente in base ad una
presunzione di legge e se, ricorrendo la colpa, il fatto sarebbe qualificabile
come reato»; conf., C. 26 febbraio 2004 n. 3871). Tanto
premesso, tenuto conto dell’entità e tipologia dei postumi invalidanti, della
durata della malattia e delle condizioni soggettive dell’attrice, si ritiene
equo liquidare – a tale titolo – l’importo di €500,00, pari a circa 1/4 del
danno biologico permanente. Trattandosi
di importi già comprensivi di rivalutazione monetaria, la somma finale di
€7.568,01 deve essere devalutata all’epoca del fatto e l’importo così ottenuto
rivalutato, in base agli indici ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie di
operai ed impiegati, dal 18-11-96 alla data della decisione, in considerazione
della natura di debito di valore della obbligazione risarcitoria. Sul
valore della somma via via rivalutata spettano altresì alla creditrice gli
interessi per ritardato pagamento maturati anno per anno, restando escluso che
possano computarsi dalla data dell’illecito sull’intera somma rivalutata
definitivamente (in tal senso, C. Sez. Un. 1712-95; conf. 2217-98; 11502-97;
339-96). Ne consegue
che la somma complessivamente dovuta all’attrice è pari ad €9.741,28 (di cui
€6.201,15 quale capitale iniziale, devalutato alla data del 18-11-96, €1.384,61
per rivalutazione ed €2.155,52 per interessi legali sul capitale rivalutato
annualmente). Sull’
importo così liquidato decorrono ulteriori interessi, al saggio legale, dalla
data della sentenza al saldo. Sussistono
giusti motivi per la compensazione integrale, tra le parti, delle spese di
lite, tenuto conto della mancanza di una interpretazione giurisprudenziale
consolidata della norma applicata al caso di specie, salvo per quelle di ctu,
da porsi definitivamente a carico del convenuto, in ossequio al criterio
generale della soccombenza. P.Q.M. Il Tribunale, in composizione
monocratica, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da XXX nei
confronti del COMUNE di XXX, con atto di citazione notificato il 31-10-97,
disattesa ogni contraria istanza, eccezione, deduzione, così provvede: · accertata
la responsabilità del COMUNE di XXX per l’evento dannoso occorso, in data
18-11-96, a XXX, condanna il convenuto, in persona del legale rappresentante pro
tempore, al pagamento, in favore dell’attrice, della somma di €9.741,28, a
titolo di risarcimento del danno, oltre gli interessi legali sulla predetta
somma dalla pubblicazione della sentenza al saldo; · dichiara
integralmente compensate, tra le parti, le spese di lite, ad esclusione di
quelle liquidate ai consulenti tecnici d’ufficio, da porsi definitivamente a
carico di parte convenuta. Foggia,
17 agosto 2006. IL
GIUDICE |
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