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Articoli 13/12/2006

La sosta davanti al “proprio” passo carraio



Fra le tante storielle fiorite con la vittoria della nostra nazionale nel mondiale di calcio, eccone una degna di nota. Un tifoso talmente inebriato dalla vittoria e desideroso di sfogare il suo (antisportivo) malanimo contro i francesi a tutti i livelli, dopo la finale è sceso in strada e ha sfregiato la propria auto, una Peugeot. Ha fatto una cosa del genere legittimamente e senza incorrere in nessun rischio con la legge. L’auto era la sua e nessuno poteva contestargli il danneggiamento (aggravato) di cosa altrui. Da questa “bravata” sembrerebbe desumersi un principio, che una persona con la propria auto possa fare quello che vuole, anche se questa si trova in un luogo pubblico o in un luogo aperto al pubblico. Ebbene, non è così. In certi casi, non è così. Lo ha ribadito di recente la Corte di Cassazione con la sentenza n. 2340 del 02/02/2006 (rv. 589702), la cui massima recita: “dal combinato disposto degli artt. 2, comma primo, e 3, n. 33, del codice della strada, i quali definiscono rispettivamente come strada ‘l’area ad uso pubblico destinata alla circolazione dei pedoni, dei veicoli e degli animali’, e come marciapiede la ‘parte della strada, esterna alla carreggiata, rialzata o altrimenti delimitata e protetta, destinata ai pedoni’, si desume che, ai fini dell’accertamento della violazione dell’art. 158, comma primo, lett. h), del medesimo codice, che vieta la sosta ‘sui marciapiedi, salvo diversa segnalazione’, è decisiva soltanto la rilevazione della utilizzazione del suolo, sul quale la sosta è avvenuta, quale componente del sistema viario destinata alla circolazione dei pedoni, senza che assuma rilievo la proprietà dell’area (e, in particolare, la circostanza che essa eventualmente appartenga allo stesso autore della contestata infrazione), non essendo essenziale il suo assoggettamento a diritto di passaggio a favore della collettività o la sua appartenenza al demanio”. In altre parole, quando un’area privata è aperta al pubblico, in particolare alla circolazione dei veicoli in toto, anche il suo proprietario deve adeguarsi alle regole dell’uso pubblico, e non può fruire di un trattamento peculiare dovuto al suo status di proprietario, in quanto ciò si risolverebbe in un’indebita situazione di privilegio, e quindi in una violazione del principio di uguaglianza. La devoluzione all’uso pubblico, e quindi la soggezione all’interesse pubblico, affievolisce qualsiasi pretesa derivante dalla proprietà singola, in accordo con i principi superiori che regolano la res publica. Quindi, io non posso parcheggiare impunemente su un marciapiede sito nella mia proprietà, se questa soggiace in tutto e per tutto alle regole del codice della strada. Peraltro, è un principio di facile intuizione, in quanto, in tale situazione, la proprietà regredisce allo stato della nudità e viene meno uno dei suoi contenuti tipici, ossia il diritto al godimento esclusivo. Il caso di un proprietario di area, però, è decisamente minoritario, e concerne una ristretta cerchia di (facoltosi) possidenti. Maggiore richiamo invece può avere il caso, diverso, ma affine, del titolare di licenza di passo carrabile (condizione ormai massificata), sì da chiedersi se costui può “impunemente” parcheggiare i propri mezzi all’imbocco del “proprio” passo carraio. Qui la giurisprudenza non sembra univoca. Con una pronuncia del 1996 (n. 8082 del 5.9.1986) la Suprema Corte ha stabilito che il divieto esiste anche per il titolare della licenza. Questa la massima: “la licenza di accesso ai fondi e fabbricati laterali alla strada (passi carrabili), a norma degli articoli 4 e 5 del T.U. approvato con R.D. 8 dicembre 1933 n. 1740 (norme a tutela delle strade), non comprende anche la facoltà di sosta dei veicoli nell’area pubblica corrispondente al relativo ‘sbocco’, e ciò per la ragione che l’uso del suolo stradale per la sosta, come uso generale del bene demaniale, non può essere riservato a ‘determinati veicoli’ se non per motivi di pubblico interesse (art. 4, primo comma, sub b d.P.R. 15 giugno 1959 n. 393), con la conseguenza che il divieto di sosta posto dall’art. 115, quinto comma, sub B del citato D.P.R. n. 393 del 1959 ‘allo sbocco dei passi carrabili’ è operante anche nei confronti dei titolari delle relative licenze”. Il principio stabilito è quello espresso dalla sentenza dianzi citata in materia di violazioni sul “proprio” terreno (pubblico). Una volta che l’area è assoggettata alle norme, di diritto pubblico, della circolazione stradale, queste devono coerentemente operare per tutti, in nome di generalissimi principi.

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Per inciso, nella giurisprudenza di merito, una sentenza del Pretore di Bologna (11.5.1993, Mucci), in tempi non recenti, si orientò nello stesso modo, ritenendo che “la prescrizione del divieto di sosta, per l’apposizione del segnale di passo carraio, ha un’applicazione generale, includente anche il concessionario della facoltà di inibizione del passaggio sull’accesso tutelato (in Arc. giur. circ. sin. strad. 94, 637). Ma una sentenza più recente della Suprema Corte (n. 18557 del 04/12/2003) è invece parsa affermare il contrario. Ha infatti rilevato la Cassazione che: “in tema di tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche (TOSAP), ai sensi dell’art. 44, comma 8, del d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507, gli accessi, carrabili o pedonali, posti a filo con il manto stradale, per i quali sia stato rilasciato apposito cartello segnaletico di divieto di sosta, sono soggetti alla tassa, determinata con tariffa ordinaria, ridotta fino al 10 per cento. Da un lato, infatti, l’art. 3, comma 60, della legge 28 dicembre 1995, n. 549, nell’abrogare il comma 7 del citato art. 44, ha soltanto inteso eliminare (per evitare dubbi interpretativi) la regola generale della non imponi bilità degli accessi a filo con il manto stradale, ma, mantenendo fermo il comma 8 (che richiama il comma precedente), ne ha conservato l’imponibilità nel caso del rilascio del cartello di divieto di sosta, e, dall’altro, siffatti accessi a raso, muniti del detto cartello, configurano una sottrazione del bene all’uso pubblico (e, quindi, un’occupazione tassabile), con correlativo vantaggio per il proprietario, derivante dall’esistenza del divieto di sosta per gli altri”. Ossia, la concessione del passaggio (esclusivo) che deriva dalla necessità di accedere alla propria casa (e quindi, nella sostanza, il riconoscimento di una servitù di passaggio al singolo proprietario, che non può non essere esclusiva) implica, de plano, la facoltà di occupare, sempre in via esclusiva, l’area di passaggio. Di conseguenza, parcheggiare davanti al passaggio (non sul marciapiede, fatto che impedirebbe il transito pedonale) non lede alcun interesse pubblico, in quanto non pregiudica l’interesse, privato ma con riflesso pubblicistico, per il quale è stata data la concessione al passaggio. Non essendovi alcuna lesione di interesse pubblico, ne consegue, in via logica, anche la facoltà di occupazione dell’area devoluta al passaggio. Chi altri, infatti, avrebbe interesse a passare da lì? Anzi, a occupare tale area (fatto che, anzi è vietato)? Diverso, in effetti, è il caso in cui si parcheggi su un marciapiede, fatto che sottrae all’uso pubblico un’area che a tale uso è invece destinata in via incondizionata. Confidiamo quindi che, nel caso in cui un ignaro (e quindi scusabile) operatore di polizia elevi un’infrazione per divieto di sosta nei nostri confronti per aver trovato un’auto (la nostra) davanti a un passo carrabile (il nostro), l’infrazione ci possa essere, come prosaicamente si dice, “tolta”, in nome di un rudimentale principio di ragionevolezza.

* Gip presso il Tribunale di Forlì  

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di Michele Leoni
da "il Centauro" n. 107
Violazioni in proprio
Mercoledì, 13 Dicembre 2006
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