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Articoli 18/12/2006

Il d.M. 19 Aprile 2006 recante le “norme funzionali per la costruzione delle intersezioni stradali”



Le norme funzionali e geometriche per la costruzione delle intersezioni stradali
Beh, partendo dalla premessa che ad un ritardo significativo – riferendoci a quello di pubblicazione delle norme tecniche testé citate – della normazione in tema di sicurezza stradale, corrispondesse anche uno sforzo decisamente significativo degli enti proprietari di strade (che, non dimentichiamolo, non erano certamente sprovvisti di personale qualificato e, soprattutto, di riferimenti tecnici quali quelli autorevoli precedentemente citati, oggi di riferimento all’emanante Ministero), c’era non già da auspicare ma da osservare in concreto un evidente trasformazione della rete stradale. Quella trasformazione necessaria a permettere la rivisitazione ed il miglioramento, in termini di sicurezza, delle intersezioni stradali esistenti e di quelle in divenire. Non a caso, le recenti norme tecniche di cui al d.M. 19 aprile 2006, sono applicabili sostanzialmente sulla base della classificazione delle strade che si intersecano o che, non possono intersecarsi, se non evidenziando un punto di conflitto di traiettorie assolutamente inaccettabile. Ciò non è avvenuto e sembra che ci vorrà del tempo, affinché avvenga. Sta di fatto che sulla G.U. 24 luglio 2006, n. 170 (dunque, con vigenza 23 agosto di questo stesso anno) è stata pubblicata la norma che dà il titolo a questo paragrafo e a cui si rimanda il lettore per un approfondimento.

Oggetto e campo di applicazione 
Le norme citate, sono ovviamente dirette a tutti gli enti proprietari e gestori delle strade, tanto da far presumere che la polizia stradale non abbia, in fondo, interesse a conoscerne il contenuto. Lo abbiamo già detto su questa stessa Rivista e non facciamo fatica a scriverlo di nuovo: l’art. 11 del nuovo codice della strada, tra i servizi di polizia stradale individua anche quello della tutela e del controllo sull’uso della strada. Un compito di vigilanza che difficilmente è esercitabile da altri soggetti, perché è la polizia stradale che lavorando sulla strada, soffre sulla strada, percepisce il disagio, vive e convive con il pericolo e con quelle mille insidie che sono spesso le cause oscure dell’origine dei sinistri stradali. Quante volte interveniamo su di un sinistro stradale e ci sentiamo dire che un rosso non è stato saltato o uno STOP non rispettato perché “non c’era nessuno”? Quante volte un pedone caricato da un veicolo è “piovuto dal cielo”? Certamente, spesso è il tentativo di darsi pace o l’illusione di evitare un addebito: spesso, che si creda o meno è la verità! Oltre una certa velocità (40 km/h!) il campo visivo si riduce e quindi, gli ostacoli laterali non sono percepiti; un messaggio pubblicitario arreca distrazione di un secondo che, in funzione della velocità locale predominante può anche significare un notevole tratto di strada al buio; un segnale o, per meglio dire, un totem di segnali di direzione comporta una eccessiva distrazione alla guida e magari il passaggio dell’intersezione con guida indecisa o distratta... Noi arriviamo dopo e ci sentiamo dare la “giustificazione di rito”: ma è una giustificazione di rito o è la verità? Se la costruzione sicura di una strada, anche in soli termini di visibilità, può ridurre considerevolmente il numero dei sinistri beh, figuriamoci quanto si può risparmiare i termini di vite umane e di qualità della vita su di una intersezione urbana costruita secondo criteri razionali, mediante i quali poter (dovendo!) superare le resistenze locali (l’ampliamento di pochi metri di resede privato, l’apertura di un nuovo passo carrabile per l’accesso di un nuovo veicolo, l’installazione di un mezzo pubblicitario, la realizzazione di un chiosco: interessi, anzi, spesso interessucoli privati che vanno ai danni dell’interesse, anzi, del diritto, ad una circolazione sicura). Allora l’invito a leggere le norme suddette per tutelare le nostre strade e la nostra gente: gli utenti della strada che non sono sempre così a noi distanti, ahimé; quelli che, magari, possiamo salvare con una semplice segnalazione o con un semplice richiamo al senso della responsabilità istituzionale.


L’intersezione stradale  
Non a caso, nella introduzione delle citate norme è stabilito che esistono due momenti imprescindibili, fondamentali, nell’organizzazione razionale (rectius, fatta con la testa) di una intersezione stradale: - l’attribuzione di una categoria tipologica, in relazione alle caratteristiche di classifica delle strade che s’intersecano; - la procedura compositiva degli elementi geometrici e funzionali, atti a realizzare le possibili manovre di svolta, necessarie per il trasferimento dei flussi da una strada all’altra. A questi, ovviamente, precedono (o dovrebbero aver preceduto) altri momenti di attenzione istituzionale, già previsti nei citati decreti del 2001. La definizione di intersezione stradale, almeno noi della polizia stradale la conosciamo probabilmente a menadito. Se non altro, perché questa definizione rileva per l’applicazione di talune sanzioni previste dal nuovo codice della strada quale la velocità, la precedenza, la prudenza, la fermata e la sosta, ecc. Ma se così tanta attenzione il legislatore ha dato (da sempre) alla intersezione, è chiaro che tale luogo geometrico della strada ha una sua importanza intrinseca che mai va sottovalutata. Infatti, come cita il decreto in commento è proprio lì che “i veicoli compiono manovre, abbandonando quindi un regime caratterizzato da velocità pressoché costanti e da traiettorie a bassa curvatura, per passare rapidamente ad un regime che è essenzialmente di moto vario. Dette manovre sono infatti caratterizzate da velocità variabili e da traiettorie fortemente curve, almeno nella maggioranza dei casi”. Da qui l’esigenza di costruire nuove intersezioni ovvero, di adattare quelle esistenti a nuovi (si fa per dire) principi oggi cogenti.


Criteri per l’ubicazione delle intersezioni in una rete stradale, manovre e classificazioni delle intersezioni
Non c’è qui l’assurda esigenza di riprodurre il testo del decreto in commento, se non richiamare l’attenzione – se non la coscienza morale e giuridica – del lettore, sull’esigenza di stimolare l’ente proprietario della strada ad adeguare la propria rete stradale i principi tecnici che si evincono dalla lettura dello stesso decreto. Certamente, rifacendoci al contenuto di questo – quindi ripetendo l’invito a prenderne lettura – si tende a stigmatizzarne talune parti, affinché possa scaturire una necessaria amplificazione della norma tecnico-giuridica che sottende. In tal senso, la lettura dei paragrafi 1, 2 e 3 del decreto completa, dopo averlo stimolato, questo ragionamento. Certamente, lo stimolo che si vuol dare alla polizia stradale e comunque a quanti hanno interesse per la sicurezza della circolazione stradale, non è da meno. Dunque, uno dei primi elementi da considerare è la distanza intercorrente (interferenza) tra le intersezioni che, in linea di massima e per le strade extraurbana non può essere inferiore ai 500 m.; per le altre strade, le intersezioni sono da considerare eccessivamente prossime, dunque interferenti, allorquando si possa determinare una sovrapposizione di segnaletica di preavviso. Non a caso, al comma 4, dell’art. 127 del d.P.R. n. 495 del 1992 è stabilito che più intersezioni non possono figurare sullo stesso preavviso salvo che non si trovino a meno di 250 metri l’una dall’altra, o non sia possibile rispettare le distanze di cui all’art. 126 del medesimo regolamento. Evidentemente, almeno a parere di chi scrive, questo vale per le intersezioni esistenti; per le nuove intersezioni, invece, sempre chi scrive ritiene che la minima distanza tra le intersezioni non può essere inferiore ai 250 m. indicati nell’art. 127 precedentemente citato. Altre valutazioni riguardano le compatibilità planoaltimetriche, dovendo preferire la realizzazione di nuove intersezioni su tronchi stradali rettilinei ovvero, anche in tratti curvilinei, pur garantendo il rispetto delle distanze minime previste al § 4.6 del decreto. Ad ogni buon conto, nelle intersezioni a raso è raccomandata un’angolazione tra nuovi assi stradali intersecantisi, non inferiore ai 70°. Gli eventuali accessi, passi carrabili, aree di sosta, fermate veicolari ed altre consimili funzioni sono assolutamente vietate sulle rampe e lungo gli apprestamenti per le manovre di entrata e di uscita e per le intersezioni a raso, i rami di interconnessione che realizzano le svolte devono avere pendenze aggiuntive longitudinali non superiori del 2% rispetto alle livellette delle strade confluenti. Anche lungo i viadotti, in corrispondenza di opere di sostegno ed in galleria possono essere realizzate opere di sostegno purché, in quest’ultimo caso, non siano realizzate aree di diversione e di immissione nelle zone di imbocco e di uscita delle gallerie medesime.

Le manovre elementari e la classificazione delle intersezioni
Parlando di aree di diversione e di aree di immissione, la nostra attenzione si rivolge quindi al concetto di manovra ed alle tipologie di manovre che il decreto contempla. Infatti, al § 2 del d.M. in commento, sono indicate, anche mediante schemi esemplificativi le principali manovre elementari che si possono osservare su di una intersezione e che come tali, possono dare luogo ai c.d. “punti di conflitto” di traiettorie, dai quali dipendono le condizioni di sicurezza e di operatività dell’intersezione. Questi possono essere sostanzialmente distinti in: - punti di conflitto di intersezione o di attraversamento; - punti di conflitto di diversione o “in uscita” (ove si viene a generare una corrente di traffico, rispetto alla principale, che tende a “sfuggire” a quest’ultima, in destra o in sinistra. Tipico il caso delle canalizzazioni prossime all’area di intersezione); - punti di conflitto in immissione o “in entrata” (ove, sulla corrente di traffico principale, si viene ad inserire una nuova corrente di traffico, da destra o da sinistra. Tipico il caso delle confluenze tra strade secondarie su strade principali). Si tratta allora di evitare che sulle strade di tipo A, B e D, non avvengano né manovre di diversione, né manovre di immissione (fatto salvo il ricorso a rampe di svincolo ovvero per la presenza di strade di servizio) né, tanto meno, di svolta propriamente detta o di scambio di traiettorie che, evidentemente, tendono a determinare rallentamenti, anche bruschi, idonei a causare gravi intralci alla circolazione stradale, con probabili tamponamenti o scontri fronto-laterali. Va quindi detto che se tali manovre sono consentite sulla corrente principale delle restanti strade (C, E ed F), è comunque opportuno ridurre il numero dei punti di conflitto, ricorrendo alle seguenti soluzioni progettuali: - sfalsamento altimetrico delle traiettorie, con realizzazione di sovrappassi o sottopassi stradali; - tronchi di scambio, trasformando il punto di conflitto di intersezione in punto di diversione e/o immissione (ad esempio, anello di rotatoria); - sfalsamento temporale di tipo misto (semaforo) o di tipo attuato dall’utente (precedenza/stop). Dalla intersezione delle strade classificate sulla base dei principi che scaturiscono dal d.M. 6792/2001, si vengono ad individuare otto nodi di intersezione o punti simbolici (il tutto, è meglio rappresentato nella matrice riprodotta al § 3 del decreto in commento): detti nodi sono classificati in nodi omogenei, disomogenei e non ammissibili in quanto questi ultimi idonei ad individuare una forte differenza fra livelli gerarchici di strade intersecantisi. In buona sostanza, nei nodi omogenei (tra strade di pari livello gerarchico), sono sempre consentite le connessioni mentre, in quelli disomogenei (tra strade di diverso livello gerarchico), per ragioni di sicurezza e di fluidità non sempre sono consentite le connessioni. Un eloquente esempio grafico è quello qui di seguito riprodotto, con la ulteriore specifica, tratta dal decreto in commento, secondo la quale tra le soluzioni compatibili tra le diverse tipologie di nodi, quelle più usuali fanno riferimento Ottobre 39 40 Ottobre all’incrocio fra due strade o all’innesto di una strada sull’altra. Intersezioni più complesse sono da evitare; soltanto nei casi di intersezioni a livello o parzialmente a livelli sfalsati, organizzate “a rotatoria” (che si distinguono da quelle lineari, in ragione del fatto che i punti di intersezione sono eliminati), è possibile considerare più di due strade confluenti nel nodo.  

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Conclusioni
Il corposo paragrafo 4 del decreto in commento tratta della caratterizzazione geometrica degli elementi dell’intersezione, a cui si rimanda per una eventuale lettura di approfondimento. Per le mode degli ultimi tempi – per quanto deleterie, la moda condiziona ogni tipo di espressione intellettuale tanto da far venire meno il coraggio della ragione – un richiamo particolare è al paragrafo che riguarda le intersezioni a rotatoria, affatto utili a risolvere ogni tipo di conflittualità tra correnti di traffico intersecantisi, se non quelle specificatamente previste. Anche in questo caso gli organi di polizia stradale – soprattutto quelli locali – dovrebbero aiutare i loro amministratori a lasciar perdere l’emozione artistica che suscita una bella rotatoria e l’apparente ritorno di consenso elettorale che deriva dalla sua realizzazione, se non dal suo progetto. Fiumi di milioni di euro spendibili o spesi, che potrebbero essere destinati ad interventi anche di altra natura, se non proprio necessari. Non da meno, val la pena di soffermare la nostra attenzione sul paragrafo 4.6 inerente le distanze di visibilità nelle intersezioni a raso. Quella visibilità che raramente è presente sulle nostre intersezioni e che spesso ci costringe ad utilizzare la “pistola automatica” della strada che percorriamo, per giocare con gli altri utenti ad una “roulette russa” rispetto alla quale la nostra salvezza è solo in mano al conducente del veicolo che ci interseca: al suo buon senso ed alla velocità impressa a quell’unico proiettile che “cavalca”, certamente sparato in questo insano esercizio del caso. Ma la nostra vita, quella dei nostri cari, come quella di tanti sconosciuti, non può essere lasciata al caso. Quella vita va protetta. Quella vita possiamo proteggerla. Noi. Non altri. C’è anche il nostro senso della responsabilità a poterci rendere non responsabili del male altrui. Quella responsabilità che ci deve rendere compartecipi di un progetto sulla sicurezza che non deve continuare ad essere percepito come una scommessa con il tempo e con le statistiche: certo, con le statistiche! Assurdo pensare che l’Italia o qualsivoglia altro Paese si dia un obiettivo percentuale da raggiungere entro un determinato anno. Assurdo sentire dire che c’è da essere preoccupati perché i morti sono ancora troppi sulle nostre strade e si rischia di non raggiungere un abbattimento significativo – anzi percentualmente stabilito – entro un determinato anno. Assurdo sentire dire in contrario e cioè sentirci soddisfatti perché i morti sono meno di quelli previsti. I morti non ci devono essere e basta! Questo è un risultato da auspicare, per quanto difficile da raggiungere ed è difficile da raggiungere, forse, perché questa voglia di raggiungere questo obiettivo, si perde cammin facendo. Un costituente ha indicato come preminente interesse della Nazione la tutela della salute pubblica (art. 32 Costituzione). Il nostro legislatore nazionale ha recepito in una sua norma un principio cardine dell’Unione ed ha stabilito che la sicurezza delle persone, nella circolazione stradale, rientra tra le finalità primarie di ordine sociale ed economico perseguite dallo Stato (art. 1, comma 1, d. Lgs. 285/1992). I governi, con i propri ministri ed i propri dicasteri, hanno scritto fiumi di inchiostro per indicare la corretta via da seguire per raggiungere tali obiettivi, non solo vietando agli utenti della strada di adottare taluni comportamenti o di regolamentarne altri, ma soprattutto, indicando il modo di far sì che questi divieti, obblighi e limitazioni siano dotati di effettività e quindi, possano essere osservati in concreto, senza alcuna ipocrisia istituzionale. Purtroppo, queste norme, sono superare dagli interessi e dagli interessucoli locali: quelli di quell’amministratore che vuole una ZTL in una determinata area perché è lì che è presente lo “zoccolo duro” di quella maggioranza; quelli di quel dirigente che lascia aprire un passo carrabile nella prossimità di una intersezione, perché l’amico ha un veicolo che non può lasciare in strada; ma anche quelli di quel poliziotto che si sente frustrato non ha più voglia di scrivere perché tanto, la responsabilità è di altri. Che alcuni altri facciano i loro sporchi comodi, ma, vivaddio, ve ne sono molti altri che fanno gli interessi della collettività, pur essendo infangati nell’immagine da loschi figuri che, per quanto ancora pochi, riescono a sembrare molti. Così come vi sono tanti poliziotti che per andare avanti, per credere ancora in questo lavoro, debbono veramente far fatica a trovare un punto d’appiglio su quella roccia istituzionale che sembra averne ben più pochi. Uno sicuramente c’è ed è quello più importante: il rispetto per la vita! Questo è la forza debole che ci deve fare andare avanti e che ci deve aiutare a spostare il punto della nostra attenzione, dall’utente alla strada. Se a causare un sinistro stradale c’è una manovra errata di una delle parti coinvolte, verosimilmente c’è una insidia (non sempre) nascosta che l’ente proprietario della strada aveva l’obbligo giuridico – dunque la responsabilità – di rimuovere o, almeno, di segnalare. Se all’atto della realizzazione di una nuova strada, un progetto è passato perché di costo inferiore ad altri, è probabile che il vero risparmio è da ricercare dalla riduzione del fattore sicurezza (quello che non costa in termini economici diretti, è probabile che costi in termini economici indiretti ovvero, in vite umane) ed allora la nostra indagine deve spingersi oltre per evidenziare queste gravi lacune e, magari, anche qualche responsabilità di comodo. Beh, io sono convinto che se passasse il fatto che la polizia stradale si spingesse oltre quei compiti di mero accertamento di illecito, probabilmente, vi sarebbe anche qualcuno che ripercorrendo la propria scolarizzazione tornerebbe a comprendere l’arcaico significato del termine responsabile ovvero dell’essere consapevole del dover rispondere delle proprie azioni e delle proprie conseguenze.


© asaps.it

di Giovanni Fontana
da "il Centauro" n. 107
Lunedì, 18 Dicembre 2006
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