Le norme funzionali e
geometriche per la costruzione delle intersezioni stradali
Beh, partendo
dalla premessa che ad un ritardo significativo – riferendoci a quello di
pubblicazione delle norme tecniche testé citate – della normazione in tema di
sicurezza stradale, corrispondesse anche uno sforzo decisamente significativo
degli enti proprietari di strade (che, non dimentichiamolo, non erano
certamente sprovvisti di personale qualificato e, soprattutto, di riferimenti
tecnici quali quelli autorevoli precedentemente citati, oggi di riferimento
all’emanante Ministero), c’era non già da auspicare ma da osservare in concreto
un evidente trasformazione della rete stradale. Quella trasformazione
necessaria a permettere la rivisitazione ed il miglioramento, in termini di
sicurezza, delle intersezioni stradali esistenti e di quelle in divenire. Non a
caso, le recenti norme tecniche di cui al d.M. 19 aprile 2006, sono applicabili
sostanzialmente sulla base della classificazione delle strade che si
intersecano o che, non possono intersecarsi, se non evidenziando un punto di
conflitto di traiettorie assolutamente inaccettabile. Ciò non è avvenuto e sembra
che ci vorrà del tempo, affinché avvenga. Sta di fatto che sulla G.U. 24 luglio
2006, n. 170 (dunque, con vigenza 23 agosto di questo stesso anno) è stata
pubblicata la norma che dà il titolo a questo paragrafo e a cui si rimanda il
lettore per un approfondimento.
Oggetto e campo di applicazione
Le norme
citate, sono ovviamente dirette a tutti gli enti proprietari e gestori delle
strade, tanto da far presumere che la polizia stradale non abbia, in fondo,
interesse a conoscerne il contenuto. Lo abbiamo già detto su questa stessa
Rivista e non facciamo fatica a scriverlo di nuovo: l’art. 11 del nuovo codice
della strada, tra i servizi di polizia stradale individua anche quello della
tutela e del controllo sull’uso della strada. Un compito di vigilanza che
difficilmente è esercitabile da altri soggetti, perché è la polizia stradale
che lavorando sulla strada, soffre sulla strada, percepisce il disagio, vive e
convive con il pericolo e con quelle mille insidie che sono spesso le cause
oscure dell’origine dei sinistri stradali. Quante volte interveniamo su di un
sinistro stradale e ci sentiamo dire che un rosso non è stato saltato o uno
STOP non rispettato perché “non c’era nessuno”? Quante volte un pedone caricato
da un veicolo è “piovuto dal cielo”? Certamente, spesso è il tentativo di darsi
pace o l’illusione di evitare un addebito: spesso, che si creda o meno è la
verità! Oltre una certa velocità (40 km/h!) il campo visivo si riduce e quindi,
gli ostacoli laterali non sono percepiti; un messaggio pubblicitario arreca
distrazione di un secondo che, in funzione della velocità locale predominante
può anche significare un notevole tratto di strada al buio; un segnale o, per
meglio dire, un totem di segnali di direzione comporta una eccessiva
distrazione alla guida e magari il passaggio dell’intersezione con guida
indecisa o distratta... Noi arriviamo dopo e ci sentiamo dare la
“giustificazione di rito”: ma è una giustificazione di rito o è la verità? Se
la costruzione sicura di una strada, anche in soli termini di visibilità, può
ridurre considerevolmente il numero dei sinistri beh, figuriamoci quanto si può
risparmiare i termini di vite umane e di qualità della vita su di una
intersezione urbana costruita secondo criteri razionali, mediante i quali poter
(dovendo!) superare le resistenze locali (l’ampliamento di pochi metri di
resede privato, l’apertura di un nuovo passo carrabile per l’accesso di un
nuovo veicolo, l’installazione di un mezzo pubblicitario, la realizzazione di
un chiosco: interessi, anzi, spesso interessucoli privati che vanno ai danni
dell’interesse, anzi, del diritto, ad una circolazione sicura). Allora l’invito
a leggere le norme suddette per tutelare le nostre strade e la nostra gente:
gli utenti della strada che non sono sempre così a noi distanti, ahimé; quelli
che, magari, possiamo salvare con una semplice segnalazione o con un semplice
richiamo al senso della responsabilità istituzionale.
L’intersezione
stradale
Non a caso,
nella introduzione delle citate norme è stabilito che esistono due momenti
imprescindibili, fondamentali, nell’organizzazione razionale (rectius, fatta
con la testa) di una intersezione stradale: - l’attribuzione di una categoria
tipologica, in relazione alle caratteristiche di classifica delle strade
che s’intersecano; - la procedura compositiva degli elementi geometrici e
funzionali, atti a realizzare le possibili manovre di svolta, necessarie
per il trasferimento dei flussi da una strada all’altra. A questi, ovviamente,
precedono (o dovrebbero aver preceduto) altri momenti di attenzione
istituzionale, già previsti nei citati decreti del 2001. La definizione di
intersezione stradale, almeno noi della polizia stradale la conosciamo
probabilmente a menadito. Se non altro, perché questa definizione rileva per
l’applicazione di talune sanzioni previste dal nuovo codice della strada quale
la velocità, la precedenza, la prudenza, la fermata e la sosta, ecc. Ma se così
tanta attenzione il legislatore ha dato (da sempre) alla intersezione, è chiaro
che tale luogo geometrico della strada ha una sua importanza intrinseca che mai
va sottovalutata. Infatti, come cita il decreto in commento è proprio lì che “i
veicoli compiono manovre, abbandonando quindi un regime caratterizzato da
velocità pressoché costanti e da traiettorie a bassa curvatura, per passare
rapidamente ad un regime che è essenzialmente di moto vario. Dette
manovre sono infatti caratterizzate da velocità variabili e da traiettorie
fortemente curve, almeno nella maggioranza dei casi”. Da qui l’esigenza di
costruire nuove intersezioni ovvero, di adattare quelle esistenti a nuovi (si
fa per dire) principi oggi cogenti.
Criteri
per l’ubicazione delle intersezioni in una rete stradale, manovre e
classificazioni delle intersezioni
Non c’è qui
l’assurda esigenza di riprodurre il testo del decreto in commento, se non
richiamare l’attenzione – se non la coscienza morale e giuridica – del lettore,
sull’esigenza di stimolare l’ente proprietario della strada ad adeguare la
propria rete stradale i principi tecnici che si evincono dalla lettura dello
stesso decreto. Certamente, rifacendoci al contenuto di questo – quindi
ripetendo l’invito a prenderne lettura – si tende a stigmatizzarne talune
parti, affinché possa scaturire una necessaria amplificazione della norma
tecnico-giuridica che sottende. In tal senso, la lettura dei paragrafi 1, 2 e 3
del decreto completa, dopo averlo stimolato, questo ragionamento. Certamente,
lo stimolo che si vuol dare alla polizia stradale e comunque a quanti hanno
interesse per la sicurezza della circolazione stradale, non è da meno. Dunque,
uno dei primi elementi da considerare è la distanza intercorrente
(interferenza) tra le intersezioni che, in linea di massima e per le strade
extraurbana non può essere inferiore ai 500 m.; per le altre strade, le intersezioni
sono da considerare eccessivamente prossime, dunque interferenti, allorquando
si possa determinare una sovrapposizione di segnaletica di preavviso. Non a
caso, al comma 4, dell’art. 127 del d.P.R. n. 495 del 1992 è stabilito che più
intersezioni non possono figurare sullo stesso preavviso salvo che non si
trovino a meno di 250 metri l’una dall’altra, o non sia possibile rispettare le
distanze di cui all’art. 126 del medesimo regolamento. Evidentemente, almeno a
parere di chi scrive, questo vale per le intersezioni esistenti; per le nuove
intersezioni, invece, sempre chi scrive ritiene che la minima distanza tra le
intersezioni non può essere inferiore ai 250 m. indicati nell’art. 127
precedentemente citato. Altre valutazioni riguardano le compatibilità
planoaltimetriche, dovendo preferire la realizzazione di nuove intersezioni su
tronchi stradali rettilinei ovvero, anche in tratti curvilinei, pur garantendo
il rispetto delle distanze minime previste al § 4.6 del decreto. Ad ogni buon
conto, nelle intersezioni a raso è raccomandata un’angolazione tra nuovi assi
stradali intersecantisi, non inferiore ai 70°. Gli eventuali accessi, passi
carrabili, aree di sosta, fermate veicolari ed altre consimili funzioni sono
assolutamente vietate sulle rampe e lungo gli apprestamenti per le manovre di
entrata e di uscita e per le intersezioni a raso, i rami di interconnessione
che realizzano le svolte devono avere pendenze aggiuntive longitudinali non
superiori del 2% rispetto alle livellette delle strade confluenti. Anche lungo
i viadotti, in corrispondenza di opere di sostegno ed in galleria possono
essere realizzate opere di sostegno purché, in quest’ultimo caso, non siano
realizzate aree di diversione e di immissione nelle zone di imbocco e di uscita
delle gallerie medesime.
Le
manovre elementari e la classificazione delle intersezioni
Parlando di
aree di diversione e di aree di immissione, la nostra attenzione si rivolge
quindi al concetto di manovra ed alle tipologie di manovre che il decreto
contempla. Infatti, al § 2 del d.M. in commento, sono indicate, anche mediante
schemi esemplificativi le principali manovre elementari che si possono
osservare su di una intersezione e che come tali, possono dare luogo ai c.d.
“punti di conflitto” di traiettorie, dai quali dipendono le condizioni di
sicurezza e di operatività dell’intersezione. Questi possono essere
sostanzialmente distinti in: - punti di conflitto di intersezione o di
attraversamento; - punti di conflitto di diversione o “in uscita” (ove si viene
a generare una corrente di traffico, rispetto alla principale, che tende a
“sfuggire” a quest’ultima, in destra o in sinistra. Tipico il caso delle
canalizzazioni prossime all’area di intersezione); - punti di conflitto in
immissione o “in entrata” (ove, sulla corrente di traffico principale, si viene
ad inserire una nuova corrente di traffico, da destra o da sinistra. Tipico il
caso delle confluenze tra strade secondarie su strade principali). Si tratta
allora di evitare che sulle strade di tipo A, B e D, non avvengano né manovre
di diversione, né manovre di immissione (fatto salvo il ricorso a rampe di
svincolo ovvero per la presenza di strade di servizio) né, tanto meno, di
svolta propriamente detta o di scambio di traiettorie che, evidentemente,
tendono a determinare rallentamenti, anche bruschi, idonei a causare gravi
intralci alla circolazione stradale, con probabili tamponamenti o scontri
fronto-laterali. Va quindi detto che se tali manovre sono consentite sulla
corrente principale delle restanti strade (C, E ed F), è comunque opportuno
ridurre il numero dei punti di conflitto, ricorrendo alle seguenti soluzioni
progettuali: - sfalsamento altimetrico delle traiettorie, con
realizzazione di sovrappassi o sottopassi stradali; - tronchi di scambio,
trasformando il punto di conflitto di intersezione in punto di diversione e/o
immissione (ad esempio, anello di rotatoria); - sfalsamento temporale di
tipo misto (semaforo) o di tipo attuato dall’utente (precedenza/stop).
Dalla intersezione delle strade classificate sulla base dei principi che
scaturiscono dal d.M. 6792/2001, si vengono ad individuare otto nodi di
intersezione o punti simbolici (il tutto, è meglio rappresentato nella matrice
riprodotta al § 3 del decreto in commento): detti nodi sono classificati in nodi
omogenei, disomogenei e non ammissibili in quanto questi
ultimi idonei ad individuare una forte differenza fra livelli gerarchici di
strade intersecantisi. In buona sostanza, nei nodi omogenei (tra strade di pari
livello gerarchico), sono sempre consentite le connessioni mentre, in quelli
disomogenei (tra strade di diverso livello gerarchico), per ragioni di
sicurezza e di fluidità non sempre sono consentite le connessioni. Un eloquente
esempio grafico è quello qui di seguito riprodotto, con la ulteriore specifica,
tratta dal decreto in commento, secondo la quale tra le soluzioni compatibili
tra le diverse tipologie di nodi, quelle più usuali fanno riferimento Ottobre
39 40 Ottobre
all’incrocio fra
due strade o all’innesto di una strada sull’altra. Intersezioni più complesse sono
da evitare; soltanto nei casi di intersezioni a livello o parzialmente a
livelli sfalsati, organizzate “a rotatoria” (che si distinguono da quelle lineari,
in ragione del fatto che i punti di intersezione sono eliminati), è possibile
considerare più di due strade confluenti nel nodo.
![11588 11588](https://www.asaps.it/http://dati.asaps.it/master/foto_pagina_g/11588.jpg) Conclusioni
Il corposo
paragrafo 4 del decreto in commento tratta della caratterizzazione geometrica
degli elementi dell’intersezione, a cui si rimanda per una eventuale lettura di
approfondimento. Per le mode degli ultimi tempi – per quanto deleterie, la moda
condiziona ogni tipo di espressione intellettuale tanto da far venire meno il
coraggio della ragione – un richiamo particolare è al paragrafo che riguarda le
intersezioni a rotatoria, affatto utili a risolvere ogni tipo di conflittualità
tra correnti di traffico intersecantisi, se non quelle specificatamente
previste. Anche in questo caso gli organi di polizia stradale – soprattutto
quelli locali – dovrebbero aiutare i loro amministratori a lasciar perdere
l’emozione artistica che suscita una bella rotatoria e l’apparente ritorno di
consenso elettorale che deriva dalla sua realizzazione, se non dal suo
progetto. Fiumi di milioni di euro spendibili o spesi, che potrebbero essere
destinati ad interventi anche di altra natura, se non proprio necessari. Non da
meno, val la pena di soffermare la nostra attenzione sul paragrafo 4.6 inerente
le distanze di visibilità nelle intersezioni a raso. Quella visibilità che
raramente è presente sulle nostre intersezioni e che spesso ci costringe ad
utilizzare la “pistola automatica” della strada che percorriamo, per giocare
con gli altri utenti ad una “roulette russa” rispetto alla quale la nostra
salvezza è solo in mano al conducente del veicolo che ci interseca: al suo buon
senso ed alla velocità impressa a quell’unico proiettile che “cavalca”,
certamente sparato in questo insano esercizio del caso. Ma la nostra vita,
quella dei nostri cari, come quella di tanti sconosciuti, non può essere
lasciata al caso. Quella vita va protetta. Quella vita possiamo proteggerla.
Noi. Non altri. C’è anche il nostro senso della responsabilità a poterci
rendere non responsabili del male altrui. Quella responsabilità che ci deve
rendere compartecipi di un progetto sulla sicurezza che non deve continuare ad
essere percepito come una scommessa con il tempo e con le statistiche: certo,
con le statistiche! Assurdo pensare che l’Italia o qualsivoglia altro Paese si
dia un obiettivo percentuale da raggiungere entro un determinato anno. Assurdo
sentire dire che c’è da essere preoccupati perché i morti sono ancora troppi
sulle nostre strade e si rischia di non raggiungere un abbattimento
significativo – anzi percentualmente stabilito – entro un determinato anno.
Assurdo sentire dire in contrario e cioè sentirci soddisfatti perché i morti
sono meno di quelli previsti. I morti non ci devono essere e basta! Questo è un
risultato da auspicare, per quanto difficile da raggiungere ed è difficile da
raggiungere, forse, perché questa voglia di raggiungere questo obiettivo, si
perde cammin facendo. Un costituente ha indicato come preminente interesse
della Nazione la tutela della salute pubblica (art. 32 Costituzione). Il nostro
legislatore nazionale ha recepito in una sua norma un principio cardine dell’Unione
ed ha stabilito che la sicurezza delle persone, nella circolazione stradale,
rientra tra le finalità primarie di ordine sociale ed economico perseguite
dallo Stato (art. 1, comma 1, d. Lgs. 285/1992). I governi, con i propri
ministri ed i propri dicasteri, hanno scritto fiumi di inchiostro per indicare
la corretta via da seguire per raggiungere tali obiettivi, non solo vietando
agli utenti della strada di adottare taluni comportamenti o di regolamentarne
altri, ma soprattutto, indicando il modo di far sì che questi divieti, obblighi
e limitazioni siano dotati di effettività e quindi, possano essere osservati in
concreto, senza alcuna ipocrisia istituzionale. Purtroppo, queste norme, sono
superare dagli interessi e dagli interessucoli locali: quelli di
quell’amministratore che vuole una ZTL in una determinata area perché è lì che
è presente lo “zoccolo duro” di quella maggioranza; quelli di quel dirigente
che lascia aprire un passo carrabile nella prossimità di una intersezione,
perché l’amico ha un veicolo che non può lasciare in strada; ma anche quelli di
quel poliziotto che si sente frustrato non ha più voglia di scrivere perché
tanto, la responsabilità è di altri. Che alcuni altri facciano i loro sporchi
comodi, ma, vivaddio, ve ne sono molti altri che fanno gli interessi della
collettività, pur essendo infangati nell’immagine da loschi figuri che, per
quanto ancora pochi, riescono a sembrare molti. Così come vi sono tanti
poliziotti che per andare avanti, per credere ancora in questo lavoro, debbono
veramente far fatica a trovare un punto d’appiglio su quella roccia
istituzionale che sembra averne ben più pochi. Uno sicuramente c’è ed è quello
più importante: il rispetto per la vita! Questo è la forza debole che ci deve
fare andare avanti e che ci deve aiutare a spostare il punto della nostra
attenzione, dall’utente alla strada. Se a causare un sinistro stradale c’è una
manovra errata di una delle parti coinvolte, verosimilmente c’è una insidia
(non sempre) nascosta che l’ente proprietario della strada aveva l’obbligo
giuridico – dunque la responsabilità – di rimuovere o, almeno, di segnalare. Se
all’atto della realizzazione di una nuova strada, un progetto è passato perché
di costo inferiore ad altri, è probabile che il vero risparmio è da ricercare
dalla riduzione del fattore sicurezza (quello che non costa in termini
economici diretti, è probabile che costi in termini economici indiretti ovvero,
in vite umane) ed allora la nostra indagine deve spingersi oltre per
evidenziare queste gravi lacune e, magari, anche qualche responsabilità di
comodo. Beh, io sono convinto che se passasse il fatto che la polizia stradale
si spingesse oltre quei compiti di mero accertamento di illecito,
probabilmente, vi sarebbe anche qualcuno che ripercorrendo la propria
scolarizzazione tornerebbe a comprendere l’arcaico significato del termine
responsabile ovvero dell’essere consapevole del dover rispondere delle proprie
azioni e delle proprie conseguenze.
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