(ASAPS) PARIGI, 20 dicembre 2006 – Lo sapevate quanto dura
un pedone in autostrada? 20 minuti! Lo dicono le autostrade francesi, che hanno
deciso di aiutare chi resta a piedi sul nastro d’asfalto ed ha come unica
speranza di salvezza di uscirne al più presto. Come? Innanzitutto indossando il
gilet retroriflettente, quello che la legge italiana ci impone di indossare
ogni qual volta ci si trovi a scendere dal veicolo. In Francia nessun articolo
del code du route impone un obbligo
del genere, anche se molti premono a Parigi per seguire l’esempio di Italia,
Spagna, Austria e Portogallo. In vista del Natale, l’associazione francese delle società
concessionarie (ASFA), la nostra AISCAT, ha deciso di regalare gilet salvavita
agli automobilisti, sperando di incoraggiare così conducenti e passeggeri ad
“aiutarsi” innanzitutto da soli, in caso di incidente o di semplice panne. Un opuscolo spiega quali siano le precauzioni minime di
sicurezza, come ad esempio cercare riparo – se le condizioni lo permettono –
oltre il guardrail. Le pattuglie di Polizia Nazionale e Gendarmeria che
interverranno nei prossimi giorni in attività di soccorso in autostrada,
avranno il compito di distribuirne 25mila, tutti in regola con la legge europea
di omologazione, spiegando agli utenti come indossarlo e dove custodirlo in
auto per garantirne un pronto utilizzo. Secondo l’ASFA, che ha effettuato appositi studi in
proposito, un pedone che indossi una casacca con strisce riflettenti, è
visibile da almeno 300
metri in ore diurne (ciò in virtù del colore acceso
arancione o giallo che contraddistingue il capo), ed a 160 metri in ore
notturne. Quando il pedone è invece sprovvisto del gilet, i
conducenti dei veicoli riescono a vederlo solo ad una distanza di 100 metri (di giorno) o
di 30 metri
in ore notturne: un veicolo che viaggia a 130 km/h, percorre quello
spazio in meno di un secondo, giusto il tempo medio di reazione. È fin troppo ovvio che un veicolo lanciato in velocità non
potrebbe mai riuscire ad evitare l’impatto contro il corpo del pedone ad una
distanza così ridotta, considerando il tempo di reazione e quello di frenata,
che insieme costituiscono lo spazio d’arresto. Ma lo studio non si ferma qui, e si è addentrato sulla
figura della persona che cammina a piedi, svelando scenari finora solo
ipotizzati. Il pedone, sino all’esperienza investigativa dell’ASFA, è stato
sempre studiato dalla parte dell’automobilista: si è lavorato insomma sulla sua
figura in chiave di semplice protezione, cercando di immaginare per esempio
come un automobilista avrebbe potuto vederlo prima, dove farlo attraversare o
riservandogli spazi di deambulazione in armonia (ma quando mai) con l’habitat
naturale dell’automobile, vera specie dominatrice del mondo moderno. Quanti, finora, si sono invece calati nella testa di chi è
in qualche modo costretto a percorrere a piedi questi spazi? Le società concessionarie francesi, lo hanno fatto,
mettendo un dato oggettivo su tutti gli altri: un pedone non comprende quasi
mai di essere in una posizione di rischio. Ovvio che l’autostrada è luogo assolutamente diverso
rispetto alla città, ma considerata una lunga serie di fattori, gli esperti
hanno calcolato che un pedone in autostrada – in determinate condizioni –
difficilmente può superare i 20 minuti di sopravvivenza. Attenzione: non si tratta affatto di sciocchezze, e lo
dimostra l’altissimo numero di investimenti letali (anche in danno di
poliziotti, cantonieri e addetti ai cantieri oltre che di utenti) che ogni anno
si verificano in autostrada anche in Italia. Dal punto di vista
del pedone, infatti, mal si apprezza la velocità dei veicoli che gli vanno
incontro ed è sistematicamente sottovaluta la distanza ed i tempi della frenata
da parte dei mezzi in movimento. È questa spesso la causa di tante, tantissime morti
assurde. Per chi sta dietro al volante, che è ben cosciente della velocità
tenuta, il comportamento del pedone che attraversa nonostante abbia
perfettamente visto l’imminente arrivo della macchina, è incomprensibile,
folle. Per lui, invece, alcuni attimi di terrore quando si accorge che la
valutazione inconscia che aveva fatto è sbagliata: l’attraversamento è tardivo e la velocità del
veicolo che sopraggiunge non gli consentirà né di proseguire, né di tornare
indietro. È finita. L’essere visti prima, dunque, è una garanzia
importantissima, perché consente al conducente del veicolo di avere una
reazione anticipata, alla quale seguirà una frenata moderata. Eviterà, insomma
il cosiddetto panic stop, la frenata
istintiva che induce a spingere a fondo il pedale del freno, aumentando il
rischio di incidenti stradali di altro tipo, come quelli caratterizzati da
perdita di controllo o il tamponamento. È vero che in Italia abbiamo una legge ad hoc, su questo
preciso argomento, ma siamo sicuri di aver convinto l’utenza che farlo
indossare è stata una decisione giusta? Il 94% dei francesi – in pratica 9 su 10 – che hanno
ammesso di conoscere il gilet retroriflettente (Oltralpe chiamato semplicemente
gilet di sicurezza) stimano che si
tratti di uno strumento che funziona. Il dato che ha fatto riflettere ricercatori e società
autostradali, però, è che solo il 47% tra gli intervistati nell’ambito di un
sondaggio realizzato da TNS-Sofrès per conto dell’ASFA e della Prévention
Routière, ha ammesso di possederne uno a portata di mano, ma che solo il 12% si
ricorda poi di utilizzarlo. L’indagine è stata eseguita intervistando 956 persone. A questo punto, non è rimasto che tentare la carta della
sensibilizzazione, visto che la sinistrosità stradale non concede mai troppo
tempo: si pensi che in Francia, 1 incidente mortale su 8 coinvolge un pedone.
Nel 2005 ne sono morti 20, investiti mentre camminavano sulla corsia di
emergenza o su una delle corsie di marcia, a seguito di panne o incidente: il
70% di questi incidenti sono avvenuti di notte, e nessuno degli uccisi
indossava il gilet. (Asaps)
Diritti riservati.
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