ORDINANZA
N. 453 REPUBBLICA ITALIANA composta
dai signori:
nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 171,
commi 1 e 2, e 213, comma 2-sexies (introdotto dall’art. 5-bis, comma 1,
lettera c, del decreto-legge 30 giugno 2005, n. 115, recante «Disposizioni
urgenti per assicurare la funzionalità di settori della pubblica
amministrazione», nel testo risultante dalla relativa legge di conversione 17
agosto 2005, n. 168), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo
codice della strada), promossi con ordinanze del 21 ottobre, del 2 novembre,
del 24 ottobre, del 4 novembre 2005 dal Giudice di pace di Torre Annunziata e
del 23 dicembre 2005 dal Giudice di pace di Napoli, rispettivamente iscritte ai
nn. 48, 49, 125, 141 e 142 del registro ordinanze 2006 e pubblicate nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 9, 18 e 21, prima serie speciale,
dell’anno 2006. Visti, gli atti
di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; udito nella camera di consiglio dell’11 ottobre 2006
il Giudice relatore Alfonso Quaranta. Ritenuto che il
Giudice di pace di Torre Annunziata, con quattro ordinanze (r.o. nn. 48, 49,
125 e 141 del 2006), ha sollevato questione di legittimità costituzionale – in
riferimento, nel complesso, agli artt. 2, 3, 24, 42 e 111 della Costituzione –
degli artt. 171, commi 1 e 2, e 213, comma 2-sexies (introdotto dall’art.
5-bis, comma 1, lettera c, del decreto-legge 30 giugno 2005, n. 115, recante
«Modificazioni al codice della strada», nel testo risultante dalla relativa
legge di conversione 17 agosto 2005, n. 168), del decreto legislativo 30 aprile
1992, n. 285 (Nuovo codice della strada); che, nella prima
delle citate ordinanze di rimessione (r.o. n. 48 del 2006), il rimettente
premette, in punto di fatto, di dovere giudicare di un ricorso ex art. 204-bis
del codice della strada, concernente un verbale di contestazione di infrazione
stradale relativo alla violazione dell’art. 171, commi 1 e 2, del medesimo
codice, precisando che il ricorrente si duole del fatto che il proprio
ciclomotore – condotto da altri, «contro la sua volontà» – risulta essere stato
assoggettato a sequestro da parte degli agenti accertatori, ai sensi dell’art.
213, comma 2-sexies, del codice della strada, sebbene si fosse contestato solo
al terzo trasportato l’infrazione consistente nel mancato uso del casco
protettivo; che, ciò
premesso, reputa il giudice rimettente di dover sollevare questione di
legittimità costituzionale dei predetti artt. 171, commi 1 e 2, e 213, comma
2-sexies, del codice della strada, giacché la previsione secondo cui è «sempre
disposta la confisca in tutti i casi in cui un ciclomotore o un motoveicolo sia
stato adoperato per commettere una delle violazioni amministrative di cui agli
articoli 169, commi 2 e 7, 170 e 171» del codice stradale sarebbe in contrasto
con gli artt. 2, 3, 42, 24 e 111 della Costituzione; che è dedotta,
in primo luogo, la violazione dell’art. 42 della Carta fondamentale, sotto un
duplice profilo; che si assume,
da un lato, che «con la sanzione del sequestro, prodromica alla confisca
obbligatoria, si sottrae la proprietà del bene al legittimo proprietario e/o
possessore, gravandolo inoltre delle spese di custodia senza limite di tempo» e
si censura, dall’altro, la previsione del sequestro anche nel caso
«dell’appartenenza del ciclomotore o del motoveicolo a terzo non trasgressore»,
giacché detta previsione «costituisce una sottrazione immotivata, illegittima,
ed, in ultima analisi, illecita del bene», in quanto effettuata nei confronti
di un soggetto non responsabile di alcuna delle infrazioni sanzionate dagli
artt. 169, commi 2 e 7, 170 e 171 del codice della strada; che, a tale
ultimo proposito, il rimettente rileva come la denunciata censura di
incostituzionalità non possa essere disattesa in ragione di quanto previsto dal
comma 6 del predetto art. 213 del codice della strada, essendo lo stesso «in
contrasto insuperabile con il contenuto del comma 2-sexies del medesimo art.
213»; che si ipotizza,
poi, la violazione degli artt. 2 e 3 della Costituzione; che, al
riguardo, il rimettente sottolinea «la evidente sproporzione tra violazione e
sanzione» comminata, giacché, variando «la differenza di valore del singolo
ciclomotore o motoveicolo confiscato», si verrebbe, per tale motivo, a punire
«in modo diverso il trasgressore rispetto alla medesima violazione», con
conseguente lesione dei diritti inviolabili dell’uomo, «tra i quali va compreso
il diritto all’eguaglianza»; che i medesimi
parametri sono evocati, poi, sotto altro profilo, evidenziandosi come le norme
impugnate realizzino «una evidente disparità di trattamento tra il conducente
di ciclomotori o motoveicoli» e «i conducenti di tutti gli altri veicoli,
rispetto alla medesima ratio di salvaguardia dell’integrità fisica» dell’utente
della strada: difatti, le misure del sequestro e poi della confisca non sono
previste per chi realizza infrazioni che, al pari di quelle di cui agli artt.
169, commi 2 e 7, 170 e 171 del codice della strada, risultano altrettanto idonee
a porre in pericolo l’integrità fisica del conducente, quali, in via
esemplificativa, il mancato uso della cintura di sicurezza, la guida in stato
di ebbrezza o di alterazione da sostanze psicotrope, l’impiego, da parte del
conducente di un autoveicolo, di apparecchi telefonici cellulari o, infine,
l’attraversamento della sede stradale sebbene il semaforo emetta luce rossa; che, da ultimo,
viene dedotta anche la violazione degli artt. 24 e 111 della Costituzione; che, da un lato,
si rileva che la disciplina recata dalle disposizioni impugnate «sottrae a
qualsivoglia giudice terzo la comminatoria di una sanzione, ancorché
amministrativa», di una tale «gravità economica» da superare, in alcune
ipotesi, persino «l’entità di sanzioni pecuniarie previste dalle leggi penali»; che, inoltre,
l’art. 213, comma 2-sexies, del codice della strada, nello stabilire la
possibilità della confisca di un bene «adoperato per commettere una delle
violazioni» di cui ai precedenti artt. 169, commi 2 e 7, 170 e 171, presuppone
la «volontarietà» dell’illecito, in contrasto «con il principio secondo il
quale in materia di sanzione amministrativa è ininfluente l’elemento
psicologico»; che, su tali
basi, il rimettente – non senza richiamare la sentenza della Corte n. 27 del
2005, nonché i principi di cui agli artt. 3 e 6 della legge 24 novembre 1981,
n. 689 (Modifiche al sistema penale) – ha concluso per l’accoglimento della
questione sollevata; che è
intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato
e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato; che la difesa
erariale deduce, in via preliminare, «l’irrilevanza della questione sollevata
in relazione all’art. 171, commi 1 e 2» del codice della strada; che, difatti,
tali disposizioni «prevedono l’obbligo di indossare il casco e comminano la
sanzione pecuniaria principale in caso di inosservanza», rimanendo, pertanto,
estranea al loro contenuto precettivo ogni determinazione in riferimento al
ciclomotore, con la conseguenza, quindi, che nel caso di specie – sottolinea la
difesa erariale – la «sola disposizione astrattamente rilevante potrebbe essere
l’art. 213, comma 2-sexies, che prevede la confisca obbligatoria» proprio nel
caso in cui ricorra taluna delle infrazioni di cui agli artt. 169, commi 2 e 7,
170 e 171 del medesimo codice della strada; che, tuttavia,
anche la questione avente ad oggetto l’art. 213, comma 2-sexies, si presenta
«irrilevante», sebbene «sotto un diverso profilo»; che, invero, il
proprietario del ciclomotore confiscato, che ha promosso il giudizio a quo,
risulta del tutto estraneo all’infrazione in relazione alla quale la confisca è
stata disposta, giacché egli non era alla guida del mezzo (che, oltretutto,
«circolava contro la sua volontà»), non essendo, inoltre, elevata a suo carico
la contestazione relativa al mancato uso del casco protettivo, infrazione
accertata nei confronti di un terzo trasportato; che da ciò
consegue, secondo la difesa dello Stato, l’irrilevanza anche della questione di
legittimità costituzionale dell’art. 213, comma 2-sexies, del codice della
strada, e ciò in quanto «il giudice non spiega per quale motivo ritenga di
dover confermare la confisca», sebbene sembri ritenere provato il fatto della
circolazione del veicolo contro la volontà del proprietario, circostanza idonea
– ai sensi dell’art. 191, comma 1, del codice della strada – ad escludere
l’applicazione, nei confronti del proprietario del veicolo, non solo della
sanzione pecuniaria comminata per l’infrazione accertata, ma anche di quella
accessoria prevista dal predetto art. 213, comma 2-sexies; che a identica
conclusione, d’altra parte, questa Corte dovrebbe pervenire – osserva ancora
l’Avvocatura generale dello Stato – qualora reputi, in alternativa, che il
giudice a quo non abbia chiarito se debba ritenersi provato «il fatto che il
veicolo circolava contro la volontà del proprietario», giacché, in questo caso,
difetterebbe un’adeguata motivazione sull’incidenza, rispetto al giudizio
principale, del prospettato dubbio di costituzionalità; che, infine,
sempre con riferimento al dedotto difetto di rilevanza della questione, la
difesa erariale evidenzia come nell’ordinanza di rimessione si affermi, «senza
alcuna motivazione», che la previsione di cui all’art. 213, comma 6, del codice
della strada (secondo cui la sanzione della confisca «non si applica se il
veicolo appartiene a persone estranee alla violazione amministrativa e l’uso
può essere consentito mediante autorizzazione amministrativa») «sarebbe
derogata dal comma 2-sexies del medesimo articolo»; che, in
subordine, l’Avvocatura generale dello Stato deduce l’infondatezza della
questione sollevata sulla base dei seguenti rilievi; che la confisca
è rivolta a sottrarre la disponibilità di ciclomotori e motoveicoli a coloro i
quali, mostrandosi indifferenti all’obbligo di indossare il casco protettivo,
realizzano, con il proprio contegno, «una causa di incremento del pericolo di
lesioni craniche da circolazione di motocicli», sicché – sottolinea la difesa erariale
– anche «il proprietario che autorizzi o tolleri l’uso del motociclo da parte
di soggetti che non rispettano l’obbligo in questione» è ragionevolmente
sottoposto, dal censurato art. 213, comma 2-sexies, a tale sanzione; che, pertanto,
l’applicazione della sanzione de qua trova – in questo ultimo caso – la sua
ragion d’essere nella circostanza che il proprietario del veicolo «ha accettato
di concorrere all’incremento complessivo del rischio da circolazione e,
contemporaneamente, ha rinunciato ad esercitare un controllo personale e
diretto sul comportamento del conducente», di talché, quella ipotizzabile nei
suoi confronti, non è un’ipotesi di responsabilità per fatto altrui, bensì di
«autorità (recties: autorità, ndr)
mediata»; che nessuna violazione
del principio di eguaglianza, poi, può essere ravvisata nel caso di specie; che, difatti, è
priva di fondamento la censura che tende a stigmatizzare il fatto che la
confisca obbligatoria «non sia prevista per violazioni stradali che il giudice
rimettente considera più gravi sotto il profilo degli interessi protetti»,
atteso che la legittimità costituzionale di una sanzione va riconosciuta
«qualora sussista una ragionevole coerenza tra la sua misura ed entità e gli
interessi protetti dal precetto di cui la sanzione è presidio»; che, nella
specie, prosegue la difesa erariale, «la prevenzione del rischio individuale e
sociale da trauma cranico, specifico e peculiare della circolazione
motociclistica, rende ragione sufficiente di una misura intesa a togliere la
disponibilità del mezzo specifico della creazione di tale rischio»; che tali
rilievi, inoltre, valgono a fugare l’ulteriore dubbio relativo alla violazione
dell’art. 3 della Costituzione, dimostrando come, nell’applicazione della sanzione
de qua, «non abbia alcun rilievo il valore dei motocicli confiscati», giacché
attraverso detta sanzione non si «tende a colpire il patrimonio del
responsabile, bensì a rimuovere una causa di incremento del rischio di cui si è
detto»; che, infine, si
esclude l’esistenza di un contrasto tra le norme impugnate e gli artt. 24 e 111
della Costituzione conseguente al «carattere rigido» di tale sanzione, essendo
quella della confisca obbligatoria una «sanzione ampiamente nota
all’ordinamento penale e sanzionatorio amministrativo», giustificata dalla
«necessità di eliminare le cause materiali di potenziali, ulteriori, lesioni
dell’interesse protetto»; che con le altre
citate ordinanze (r.o. nn. 49, 125 e 141 del 2006) il medesimo Giudice di pace
di Torre Annunziata ha sollevato pressoché identiche questioni di legittimità
costituzionale; che, in
particolare, nel primo di tali provvedimenti di rimessione (r.o. n. 49 del
2006), il giudice a quo deduce, in punto di fatto, di dover decidere
dell’opposizione proposta avverso un verbale con cui si contesta, al
ricorrente, la violazione dell’art. 171, commi 1 e 2, del codice della strada; che il
rimettente, pertanto, «dichiara rilevante nel giudizio in corso» la questione
relativa a tale disposizione, nonché all’art. 213, comma 2-sexies, del medesimo
codice della strada, questione che solleva – sulla base di argomenti simili a
quelli svolti nella ordinanza r.o n. 48 del 2005 – in riferimento ai soli artt.
2, 3 e 42 della Costituzione; che, infatti, quanto
ai primi due parametri, ribadisce la sproporzione «tra violazione e conseguenze
economiche della sanzione», sottolineando come l’irragionevolezza di tale
circostanza sia «amplificata» dalla «notevole diversità di valore economico
riguardo ai singoli ciclomotori o motoveicoli confiscati», ciò che porta a
punire «in modo ingiustificatamente diverso i trasgressori», pur in presenza
della medesima infrazione, in evidente spregio del diritto «inviolabile»
all’eguaglianza; che il contrasto
con l’art. 42 della Costituzione viene, invece, ravvisato nel fatto che le
norme impugnate non distinguono «l’ipotesi dell’appartenenza del ciclomotore o
del motoveicolo a terzo non trasgressore, dando luogo ad una sottrazione
illegittima del bene a soggetto non responsabile», gravandolo, inoltre, «delle
spese di custodia senza limite di tempo»; che, infine,
nelle ultime due citate ordinanze di rimessione (r.o. n. 125 e n. 141 del
2006), il Giudice di pace di Torre Annunziata censura, nuovamente, gli artt.
171, commi 1 e 2, e 213, comma 2-sexies, del codice della strada, ipotizzando
il contrasto con tutti i parametri – artt. 2, 3, 24, 42 e 111 della
Costituzione – già evocati nell’ordinanza r.o. n. 48 del 2006; che il predetto
Giudice evidenzia di dover decidere, in entrambi i casi, ricorsi proposti da
soggetti proprietari di motoveicoli, alla conduzione di ciascuno dei quali i
ricorrenti venivano sorpresi privi del casco protettivo (donde l’elevazione a
loro carico di verbale di contestazione di infrazioni amministrative); che alle
censure, già in precedenza illustrate, di violazione degli artt. 2, 3 e 42
della Costituzione, il rimettente affianca quella – peraltro anch’essa oggetto
della ricordata ordinanza r.o. n. 48 del 2006 – basata sull’ipotizzato contrasto
con gli artt. 24 e 111 della Carta fondamentale, giacché la disciplina
impugnata «sottrae a qualsivoglia giudice terzo la comminatoria di una
sanzione», di una tale «gravità economica» da superare, in alcune ipotesi,
persino «l’entità di sanzioni pecuniarie previste dalle leggi penali»; che, in
particolare, l’art. 213, comma 2-sexies, del codice della strada, nello
stabilire la possibilità della confisca di un bene «adoperato per commettere
una delle violazioni» di cui ai precedenti artt. 169, commi 2 e 7, 170 e 171,
presuppone la «volontarietà» dell’illecito, in contrasto «con il principio
secondo il quale in materia di sanzione amministrativa è ininfluente l’elemento
psicologico»; che il
Presidente del Consiglio dei ministri – con il patrocinio dell’Avvocatura
generale dello Stato – è intervenuto anche nei giudizi che originano da tali
ordinanze di rimessione, ribadendo le medesime tesi e conclusioni svolte e
rassegnate già in relazione al primo dei provvedimenti emessi dal Giudice di
pace rimettente (all’infuori dell’eccezione relativa all’irrilevanza delle
questioni sollevate, basata sulla circostanza che la circolazione dei motocicli
sarebbe avvenuta contro la volontà dei proprietari, atteso che, nella specie,
proprio costoro risultano sanzionati per essere stati colti alla conduzione dei
veicoli in difetto del casco protettivo); che anche il
Giudice di pace di Napoli (r.o. n. 142 del 2006), ha sollevato questione di
legittimità costituzionale – in riferimento agli artt. 3 e 27 della Costituzione
– del solo art. 213, comma 2-sexies, del codice della strada; che il
rimettente premette di essere chiamato a decidere dell’opposizione proposta dal
proprietario di un motoveicolo, sorpreso alla conduzione dello stesso senza
indossare il casco protettivo, a carico del quale, dunque, veniva contestata la
violazione dell’art. 171, comma 1, del codice della strada, con conseguente
sequestro e confisca del veicolo ai sensi del censurato art. 213, comma
2-sexies, del medesimo codice; che, ciò premesso
in fatto, il giudice a quo assume che la sanzione accessoria della confisca sia
«in palese contrasto con gli artt. 3 e 27 della Costituzione, per aperta
violazione del principio di ragionevolezza e proporzionalità della sanzione»,
nonché «per la disparità di trattamento tra le violazioni» del codice della
strada (differenziate ingiustificatamente a seconda che siano commesse mediante
motoveicoli o autoveicoli), ed anche in contrasto con «il principio di
personalità» della sanzione; che, in particolare,
egli ravvisa un primo profilo di irragionevolezza nel fatto che «il contenuto
afflittivo della disposizione impugnata risieda più nella sanzione accessoria
disposta che in quella principale», denunciando segnatamente «l’incongruità»
della corrispondenza, ad una «sanzione principale fissata in misura modesta»,
di «una sanzione accessoria notevolmente penalizzante per la libertà del
cittadino»; che richiamato,
dunque, quell’indirizzo della giurisprudenza costituzionale (del quale, secondo
il rimettente, sarebbero espressione le sentenze n. 144 del 2001, n. 58 del
1999, n. 297 del 1998, n. 313 del 1995) secondo cui «uno scrutinio che
direttamente investa il merito delle scelte sanzionatorie del legislatore è
possibile solo ove l’opzione normativa contrasti in modo manifesto con il
canone della ragionevolezza, vale a dire si appalesi, in concreto, come
espressione di un uso distorto della discrezionalità», il giudice a quo reputa
che tale evenienza ricorra nel caso di specie, dal momento che, osserva, neppure
«l’esistenza di casi limite» può «giustificare misure sanzionatorie
sproporzionate» (sentenza n. 110 del 1996); che nella
specie, quindi, il legislatore – non diversamente da quanto avvenuto con
l’introduzione dell’art. 126-bis del codice della strada, sulla decurtazione
dei punti dalla patente (norma dichiarata costituzionalmente illegittima dalla
sentenza n. 27 del 2005) – non avrebbe fatto un uso corretto del proprio potere
discrezionale, anche perché ha disatteso l’«auspicio più volte espresso dalla
Corte costituzionale della estrema necessità di “rimodellare il sistema della
confisca, stabilendo alcuni canoni essenziali al fine di evitare che
l’applicazione giudiziale della sanzione amministrativa produca disparità di
trattamento” (sentenze n. 435 e n. 349 del 1997)»; che ad un
trattamento ingiustificatamente differenziato risultano assoggettati – secondo
il rimettente – «chi conduce una moto o ciclomotore e chi guida un
autoveicolo», e ciò con riferimento sia a «violazioni e trasgressioni relative
agli stessi articoli del codice della strada», sia all’ipotesi di «uso del
veicolo per commettere un reato» (atteso che, ai sensi della norma denunciata,
la confisca è prevista unicamente per i veicoli a due ruote); che quanto,
infine, alla dedotta violazione dell’art. 27 della Costituzione, richiamato il
principio di cui all’art. 3 della legge n. 689 del 1981 (secondo cui «nelle
violazioni cui è applicabile una sanzione amministrativa ciascuno è
responsabile della propria azione o omissione»), il rimettente evidenzia come
la sanzione della confisca del motoveicolo «colpisce inevitabilmente ed
esclusivamente il proprietario di detto veicolo», anche quando questi sia
estraneo alla commessa infrazione, «con evidente violazione del principio della
personalità» della sanzione amministrativa; che anche nel
giudizio originato dall’iniziativa del rimettente napoletano è intervenuto il
Presidente del Consiglio dei ministri, con il patrocinio dell’Avvocatura
generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o
infondata, sulla scorta dei medesimi argomenti già sopra illustrati. Considerato che
il Giudice di pace di Torre Annunziata e quello di Napoli hanno sollevato
questioni di legittimità costituzionale – il primo, in riferimento, nel
complesso, agli artt. 2, 3, 24, 42 e 111 della Costituzione, il secondo, in
riferimento ai soli articoli 3 e 27 della Carta fondamentale – degli artt. 171,
commi 1 e 2, e 213, comma 2-sexies (comma introdotto dall’art. 5-bis, comma 1, lettera
c, del decreto-legge 30 giugno 2005, n. 115, recante «Modificazioni al codice
della strada», nel testo risultante dalla relativa legge di conversione 17
agosto 2005, n. 168), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo
codice della strada); che, data la
connessione esistente tra i vari giudizi, se ne impone la riunione ai fini di
una unica pronuncia; che, nelle more
del presente giudizio, i commi 168 e 169 dell’art. 2 del decreto-legge 3
ottobre 2006, n. 262 (Disposizioni urgenti in materia tributaria e
finanziaria), inseriti dalla relativa legge di conversione, 24 novembre 2006,
n. 286, hanno, rispettivamente, modificato, l’uno, il testo dell’art. 171,
comma 3, del codice della strada, l’altro, il testo del successivo art. 213,
comma 2-sexies (norma, quest’ultima, denunciata da ambedue i giudici
rimettenti); che, difatti, in
virtù del citato ius superveniens,
mentre alla «sanzione pecuniaria amministrativa prevista dal comma 2» del
medesimo art. 171 del codice della strada, in luogo della confisca
originariamente prevista, «consegue il fermo del veicolo per sessanta giorni ai
sensi del capo I, sezione II del titolo VI» dello stesso codice (ovvero per la
durata di novanta giorni allorché, «nel corso di un biennio», sia «stata commessa,
almeno per due volte, una delle violazioni previste dal comma 1» del predetto
art. 171), ai sensi del novellato art. 213, comma 2-sexies, dello stesso codice
della strada risulta «sempre disposta la confisca del veicolo in tutti i casi
in cui un ciclomotore o un motoveicolo sia stato adoperato per commettere un
reato, sia che il reato sia stato commesso da un conducente maggiorenne, sia
che sia stato commesso da un conducente minorenne»; che, pertanto,
alla luce di tale duplice sopravvenienza normativa si impone la restituzione
degli atti ai giudici rimettenti, per una rinnovata valutazione della rilevanza
delle questioni dagli stessi sollevate. LA CORTE COSTITUZIONALE riuniti i
giudizi, ordina la
restituzione degli atti ai Giudici di pace di Torre Annunziata e di Napoli. Così deciso in
Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13
dicembre 2006. |
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