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Corte di Cassazione 05/01/2007

Giurisprudenza di legittimità - La dichiarazione di domicilio prevale su una precedente elezione di domicilio, pur non espressamente revocata

Corte di Cassazione Sezioni Unite Penali, Sentenza 17 ottobre 2006 (dep. 18 dicembre 2006), n.41280/2006

... Omissis ...

RITENUTO IN FATTO

Con sentenza dell’11 marzo 2004 la Corte di appello dell’Aquila confermava la sentenza di condanna emessa, anche questa, nella contumacia dell’imputato R.C., per i reati di violenza sessuale, sequestro di persona e minaccia ai danni di N.H.

Il difensore di R.C., con atto del 14 Settembre 2004, ha proposto ricorso per cassazione deducendo:

- inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità, sul rilievo che al C. tutti gli atti successivi alla concessione degli arresti domiciliari all’esito dell’udienza di convalida dell’arresto in flagranza furono notificati non già al domicilio dichiarato (eletto, afferma il ricorrente) secondo il disposto dell’art. 161 n. 3 cpp al momento della scarcerazione ed indicato nella sua abitazione di Fiamignano in provincia di Rieti, presso il quale non fu fatto alcun tentativo di notifica, ma al domicilio eletto presso il difensore con precedente dichiarazione resa in occasione dell’udienza di convalida dell’arresto in flagranza: si denuncia quindi la nullità assoluta ed insanabile di tutte le notifiche effettuate presso il domicilio eletto e di tutta l’attività processuale sin dall’avviso di fissazione dell’udienza preliminare, avendo tale elezione perso ogni valore per la prevalenza della successiva dichiarazione di domicilio pur non accompagnata da espressa revoca della precedente elezione;

- violazione del combinato disposto di cui agli artt. 521, secondo comma, 178 e 179 cpp, per la ragione che con il capo di imputazione era stato contestato al C. il fatto di avere compiuto atti sessuali consistenti nella penetrazione vaginale con il pene, mentre la condanna è intervenuta per il fatto diverso, mai contestato, della penetrazione con una mano;

- manifesta illogicità della motivazione in ordine alla ritenuta credibilità della parte offesa N.H. in relazione al delitto di violenza sessuale: la Corte d’Appello non ha compiuto una puntuale verifica della attendibilità della teste parte offesa, come si evince dalla assoluta genericità delle ragioni che renderebbero credibile la testimonianza della donna, nonostante vistose e sostanziali discrasie e contraddizioni; la motivazione è manifestamente illogica sui riscontri esterni, che non si riferiscono alla violenza sessuale, sicché la prova di questa è fatta derivare da fatti che con essa non hanno nulla in comune; illogicamente sono state ritenute irrilevanti le contraddizioni della donna sulle modalità della penetrazione (giustificate con una presunta non conoscenza del significato in italiano della parola penetrazione, smentita dalle sue stesse dichiarazioni), sulle lesioni subite e la perdita di sangue ( non confermate dalla visita ginecologica), sulla circostanza che l’imputato abitava in quella casa e sul furto dell’auto;

- mancanza di motivazione in ordine alla configurabilità del contestato delitto di sequestro di persona, avendo la Corte di Appello omesso il giudizio di valutazione della tipicità della condotta ascritta al C.;

- illogicità manifesta della motivazione in relazione al contestato delitto di minaccia, non avendo la Corte di Appello indicato gli elementi di fatto che consentono di affermare che la persona offesa fu in grado di riconoscere con certezza nel C. l’autore della telefonata minacciosa;

- erronea applicazione della legge penale sul rilievo che dalle dichiarazioni rese in dibattimento dalla persona offesa emerge con certezza che la condotta ascritta al C. configura al più il delitto tentato di violenza sessuale, e non già la forma consumata di tale delitto per la quale è invece intervenuta condanna.
Successivamente alla proposizione del ricorso per cassazione appena riassunto, il difensore del C., con atto del 31 maggio 2005, ha proposto nuovo ricorso nei confronti dell’indicata sentenza, con la riproduzione degli stessi motivi, avendo ottenuto dal giudice dell’esecuzione, con atto del 28 aprile 2005, sia la rimessione in termini per la proposizione del ricorso per cassazione che la sospensione dell’esecuzione della sentenza emessa dal tribunale di Avezzano e confermata dalla Corte di appello dell’Aquila, nel frattempo ritenuta esecutiva dalla Procura della Repubblica di Avezzano, che aveva emesso nei confronti del C. ordine di carcerazione sul presupposto dell’asserita tardività del ricorso per cassazione.
La sezione terza di questa Suprema Corte, assegnataria del ricorso, attribuita natura pregiudiziale e rilevante al primo motivo di impugnazione, ha evidenziato che il suo esame implica la soluzione di una questione sulla quale è in atto un contrasto giurisprudenziale, e pertanto, con ordinanza del 17 novembre 2005 ha trasmesso gli atti al primo Presidente per l’eventuale assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite per la composizione del contrasto.

In tal senso è stato disposto.

 CONSIDERATO IN DIRITTO

1. La questione sottesa al primo motivo del ricorso e portata, come detto, all’esame di queste S.U., è propriamente la seguente: “ Se, in tema di notificazione, la ‘dichiarazione’ di domicilio prevalga su una precedente ‘elezione’ di domicilio, non espressamente revocata”.
Per un corretto inquadramento ed un agevole approfondimento della questione è opportuno riportare il contenuto delle norme di riferimento nella loro attuale formulazione quale risultante a seguito di interventi legislativi.
L’art. 161 cpp ha sostanzialmente riprodotto la disciplina contenuta dell’ultima formulazione dell’art. 171 del codice del 1930. Ha previsto così che con l’informazione di garanzia o nel primo atto compiuto dalla polizia giudiziaria o dal pubblico ministero con l’intervento del sottoposto ad indagine non detenuto né internato, questi è invitato a dichiarare uno dei luoghi indicati nell’art. 157 comma 1 ovvero a eleggere domicilio per le notificazioni. Ha poi disposto la reiterazione dell’invito con il primo atto notificato per disposizione del giudice o compiuto alla presenza dello stesso, ed ha stabilito che in caso di mancanza, d’insufficienza o di inidoneità della dichiarazione o della elezione, le successive notificazioni siano eseguite nel luogo in cui l’atto è stato notificato ovvero, in mancanza di precedenti notificazioni, mediante consegna al difensore.
Ed ancora, l’art. 161 cpp ha riprodotto la disposizione secondo cui l’imputato detenuto, che deve essere scarcerato per causa diversa dal proscioglimento definitivo, ha l’obbligo all’atto della scarcerazione di fare la dichiarazione o l’elezione di domicilio.
Con la novella dell’art. 5 del D. lgs. n. 12 del 1991, l’art. 161 cpp è stato modificato nel senso che l’invito a dichiarare uno dei luoghi indicati nell’art. 157 comma 1 ovvero a eleggere domicilio è rivolto dal giudice, dal pubblico ministero o dalla polizia giudiziaria nel primo atto compiuto con l’intervento del sottoposto ad indagine, ribadendo che in mancanza della comunicazione di ogni mutamento del domicilio dichiarato o eletto, o anche nel caso di rifiuto di fare la dichiarazione o l’elezione di domicilio, le notificazioni devono essere eseguite mediante consegna al difensore.
Con un altro comma si è poi statuito che, fuori del caso del contatto diretto con il sottoposto ad indagine, questi è invitato con l’informazione di garanzia o con il primo atto notificato per disposizione dell’autorità giudiziaria, e che in caso di mancanza, di insufficienza, o di inidoneità della dichiarazione o della elezione, le successive notificazioni devono essere eseguite nel luogo della notificazione del primo atto.
L’art. 162 cpp dispone che il domicilio dichiarato, il domicilio eletto, e ogni loro mutamento sono comunicati dall’imputato all’autorità che procede, con l’avvertimento che finché questa non ha ricevuto la comunicazione sono valide le notificazioni disposte nel domicilio precedentemente dichiarato o eletto.
L’art. 164 cpp stabilisce che la determinazione del domicilio dichiarato o eletto è valida per ogni stato e grado del procedimento, salvo quanto previsto dagli artt. 157 e 613, comma 2.

2. Come esattamente rilevato con la su riferita ordinanza di rimessione della sezione terza, sul quesito enunciato in premessa sussiste effettivamente un palese contrasto giurisprudenziale.
L’indirizzo prevalente è nel senso che l’elezione di domicilio prevale sulla dichiarazione di domicilio, anche se questa è successiva a meno che non vi sia una espressa revoca. I numerosi precedenti che, ribadendo un filone di pronunzie, tendenzialmente maggioritario, risalente al sistema processuale previgente, sono pervenuti a questa soluzione hanno evidenziato:
a) che il domicilio eletto si distingue dal domicilio dichiarato perché, mentre in questo è indicato solo il luogo in cui gli atti debbono essere notificati, nel domicilio eletto viene indicata anche la persona (c.d. domiciliatario) presso la quale la notificazione deve eseguirsi e presuppone l’esistenza di un rapporto fiduciario fra il domiciliatario e l’imputato, in virtù del quale il primo si impegna, nei confronti del secondo, a ricevere gli atti a questo destinati e a tenerli a sua disposizione;
b) che la dichiarazione e l’elezione di domicilio sono, pertanto, istituti che si differenziano per natura e funzione: la prima, corrispondendo ad una dichiarazione reale, in quanto implica l’effettiva esistenza di una relazione fisica tra l’imputato e il luogo dichiarato, ha carattere di mera dichiarazione, la seconda, invece, rappresentando la manifestazione di un potere di autonomia dell’imputato di stabilire un luogo (diverso da quello della residenza, della dimora o del domicilio) e la persona ( o l’ufficio) presso i quali intende che siano eseguite le notificazioni, ha carattere negoziale costitutivo recettizio;
c) che ne consegue necessariamente che l’indicazione di un luogo per le notificazioni coincidente con l’abitazione dell’imputato deve essere intesa come dichiarazione di domicilio, anche se in essa sia stato fatto uso improprio del termine ‘elezione’, e che la revoca di una precedente elezione di domicilio deve essere espressamente rappresentata in una contraria manifestazione di volontà;
d) che, pertanto, la dichiarazione di domicilio senz’altra particolare specificazione non revoca l’elezione precedentemente fatta, perché essa equivale ad una semplice dichiarazione che serve ad una più precisa identificazione dell’imputato, e non costituisce una manifestazione di volontà da cui desumere l’intendimento che gli atti siano notificati al nuovo domicilio.
Si collocano in questo orientamento, tutte ispirate alle ragioni di strutturale diversità tra elezione e dichiarazione: Cass. sez. 6°, 21 giugno 1993, Spada, rv. 194953; Cass. sez. 2° 13 gennaio 1995, Restucci, rv. 202124; Cass. sez. 1°, 22 settembre 1995, Tatoli, rv. 202888; Cass. sez. 3° 2 ottobre 1998, Civitelli, rv. 212175; Cass. sez. 5° 30 giugno 1999, Allegretti, rv. 214874; Cass. sez. 3° 26 marzo 2003, Barbiera, rv. 224870; Cass. sez. 4° 15 ottobre 2003, D’Ingiullo, rv. 227059; sul codice previdente: Cass. sez. 1° 30 maggio 1966, Leonetti, rv.102324-328; Cass. sez. 4° 29 settembre 1975, Corazza, rv. 131089; Cass. sez. 2° 10 aprile 1981, Magri, rv. 150436; Cass. sez. 6° 3 giugno 1982, Gropplero, rv. 155733; Cass. sez. 3° 30 marzo 1984, Martorella, rv. 166678; Cass. sez. 5° 2 dicembre 1986, Di Benedetto, rv. 175040.
Il contrario, minoritario, orientamento (invocato dal ricorrente) ha negato la necessità di un’espressa revoca per porre nel nulla la precedente elezione di domicilio. Esso si dipana dall’assunto che la pretesa maggiore valenza dell’elezione di domicilio, in quanto negozio costitutivo recettizio, non ha supporto nel dato normativo, dal momento che l’art. 161 comma primo cpp pone sullo stesso piano l’elezione di domicilio e la dichiarazione di uno dei luoghi indicati nell’art. 157 comma primo cpp, lasciando libertà di scelta tra le possibili opzioni, con la sola imposizione dell’obbligo di comunicazione di ogni successiva variazione. A fronte di quest’assetto normativo, “la sola diversità della natura giuridica dei due atti” non giustifica “una sorta di gerarchia….. che finirebbe per condizionare negativamente la conoscibilità da parte dell’indagato delle evenienze processuali che lo riguardano”.
In tal senso Cass. sez. 5° 23 settembre 2002, Ciuffetta, rv. 223109. La sentenza non sembra contestare la riconducibilità dell’elezione di domicilio alla categoria del negozio processuale e l’estraneità a siffatta categoria della mera dichiarazione, e risolve la questione accordando maggiore attenzione al dato normativo: è la disciplina processuale ad indicare la soluzione, senza che l’interprete debba fare ricorso a letture complesse incentrate su aspetti dogmatici di costruzione dottrinale.
La distinzione tra elezione e dichiarazione fondata sulla categoria del negozio processuale è stata poi espressamente negata da Cass. sez. 6° 9 dicembre 2003, Filocamo, rv. 228319, che ha riconosciuto ad entrambe la natura di “dichiarazioni di volontà aventi valore negozial-processuale” (conforme: Cass. sez. 5° 23 marzo 2005, Pesenti, rv. 232145; per il sistema previdente: Cass. sez. 3° 5 aprile 1966, Catalano, rv. 101666; Cass. sez. 2° 28 settembre 1981, Bonacquisti, rv. 152072; Cass. sez. 1° 14 febbraio 1989, Ariento, rv. 181756).
In una particolare ipotesi infine alcune decisioni hanno escluso la prevalenza della precedente elezione di domicilio sulla successiva dichiarazione, ma non già contestandone la natura negoziale o estendendo tale connotazione alla dichiarazione. Hanno invece ragionato sul fatto che la normativa codicistica consente soltanto all’imputato non detenuto di eleggere (o dichiarare) il domicilio, ed hanno quindi riconosciuto piena efficacia alla dichiarazione di domicilio resa al momento della scarcerazione, ritenendo la totale inefficacia dell’elezione di domicilio precedentemente fatta in stato di detenzione (Cass. sez. 4° 30 aprile 2003, Jovanovic, rv. 225861; Cass. sez. 2° 13 gennaio 2005, Simeoni, rv. 230698).

3. Tanto premesso e valutato, queste Sezioni Unite sono dell’avviso di far proprio il secondo dei richiamati indirizzi giurisprudenziali in base alle seguenti argomentazioni, recepite anche dal Procuratore Generale presso questa Corte nella sua requisitoria orale.
Perché possa utilmente muoversi per risolvere il quesito oggetto di contrasto occorre partire dalla non contestabile constatazione, ben colta dalla sentenza Ciuffetta cit., che sul piano testuale non vi è alcuna norma che sancisca la prevalenza del domicilio eletto rispetto a quello dichiarato. Anzi, il sotto sistema delle norme sulle notifiche assimila costantemente l’elezione di domicilio e la dichiarazione di domicilio ( arg. ex artt. 161, commi 1, 2 e 4, 162, 164 cpp). Infatti la formulazione dell’art. 161 considera i due atti alternativamente e paritariamente quanto agli effetti e l’art. 164 è conferma di questa equipollenza funzionale nel prevedere che tanto il domicilio dichiarato quanto il domicilio eletto costituiscono “domicilio legale” per tutto il corso del procedimento.
Di tanto, in definitiva, ha dovuto prendere atto lo stesso orientamento giurisprudenziale prevalente (esplicita sul punto, in particolare, la sentenza Allegretti cit.), che allora reputa di ricercare la soluzione, come si è visto, in una lettura sistematica della disciplina codicistica apertamente ispirata a nozioni civilistiche, che condurrebbe a ritenere che se l’elezione ha natura negoziale e la dichiarazione è un atto meramente ricognitivo del domicilio reale, la prima non può che prevalere sulla seconda sempre e comunque quale che sia l’ordine temporale di successione.
Sennonché – a parte che la trasposizione della categoria del negozio giuridico come contrapposta a quella dell’atto giuridico in senso stretto, figure proprie del diritto privato, sul terreno del diritto pubblico, e particolarmente del diritto processuale, è attuabile non senza difficoltà, come autorevole dottrina tiene a puntualizzare – è proprio la distinzione tra atto negoziale (elezione) e mero atto dichiarativo (dichiarazione di domicilio) a non apparire fondata, se si guarda al contesto in cui gli atti vengono posti in essere. Invero, con la dichiarazione di domicilio l’indagato (o l’imputato), a ben vedere, non si limita ad una manifestazione di scienza o di semplice verità, cioè a dire e comunicare un dato di fatto o il proprio pensiero su di esso (nel che consiste, come è noto, la dichiarazione di scienza), ma opera una scelta (art. 161 comma 1 cpp) tra i luoghi indicati nell’art. 157 cpp. In altri termini, il soggetto, su richiesta dell’autorità giudiziaria o della polizia giudiziaria, deve compiere una scelta con la consapevolezza degli effetti processuali di tale scelta. Compiere una scelta significa compiere un atto di volontà. L’avvertimento che precede l’elezione o la dichiarazione di domicilio è volto proprio a fondare una scelta consapevole: il dichiarante, attraverso l’elezione o la dichiarazione di domicilio, “sa” e “vuole” che gli atti vengano notificati in un determinato luogo.
Ma, anche a voler ritenere una diversità di struttura tra elezione di domicilio e dichiarazione di domicilio, non sarebbe comunque corretto trarne le conseguenze che, nel silenzio normativo, ne trae la giurisprudenza prevalente. Invero, sul piano delle garanzie e dell’effettività della conoscenza dell’atto notificato, l’elezione di domicilio non fornisce maggiori garanzie della dichiarazione di domicilio. Infatti, è vero che l’elezione di domicilio implica la designazione di un domiciliatario, nel quale evidentemente l’indagato (o l’imputato) ripone fiducia. Ma non è men vero che se questo – avendo a disposizione più luoghi tra quelli indicati nell’art. 157 cpp – dichiara un luogo specifico, evidentemente pone fiducia nelle persone che - in sua vece - possono ricevere l’atto. Con ciò si vuole significare che il rapporto fiduciario, che esiste nell’elezione di domicilio, in definitiva non manca nella dichiarazione di domicilio. E nel silenzio della legge l’interprete non si può sostituire all’interessato, fissando con presunzioni ciò che è meglio per lui: se il sistema gli riconosce il potere di scelta, tale potere va rispettato.
Un’ulteriore considerazione si impone: non è nella legge, ma neppure nella logica che una successiva dichiarazione di domicilio sia priva di effetto rispetto alla precedente elezione di domicilio. Il codice, come si è acutamente osservato, suppone attori razionali: un indagato fa una elezione di domicilio, successivamente fa una dichiarazione di domicilio; supponendo una coerenza dei suoi comportamenti, è lecito chiedersi che senso avrebbe la successiva dichiarazione se non quella di informare gli organi procedenti che egli vuole che d’ora in poi le notifiche vengano effettuate al domicilio dichiarato. Ammettere che la seconda dichiarazione non revochi la prima sarebbe come dire che la seconda dichiarazione è inutiliter data, cioè un atto volutamente compiuto senza senso.
Non vale obiettare che la revoca della precedente elezione di domicilio deve essere espressa, tenuto conto della gravità delle conseguenze. Si può agevolmente replicare: ai sensi dell’art. 162 cpp le modifiche tanto dell’elezione quanto della dichiarazione di domicilio devono rivestire determinate forme; tra di esse non è indicata la revoca espressa della precedente elezione. Sicché non si vede perché una successiva dichiarazione di domicilio debba implicare automaticamente la revoca della precedente dichiarazione di domicilio e non anche la revoca della precedente elezione.
E’ stato autorevolmente affermato che il sistema processuale è volto a garantire l’effettività delle funzioni, delle volontà e dei diritti. Le forme devono presidiare tali finalità, non ostacolarle. Ora, la comunicazione di un nuovo domicilio, sia che lo si elegga sia che lo si dichiari, significa che il soggetto vuole che le future notificazioni siano fatte in quel luogo e non in quelli dichiarati o eletti in precedenza, a meno che non conservi, con esplicita dichiarazione, anche il domicilio anteriore: tale comunicazione comporta quindi, come concludente e univoca manifestazione di volontà, la revoca del precedente domicilio, dichiarato o eletto. Si tratta all’evidenza di una semplice “quaestio voluntatis, dai termini piuttosto chiari” secondo una espressione dottrinale incisivamente formulata sul tema.
In conclusione, il contrasto va composto enunciando il principio secondo il quale, in tema di notificazione, la ‘dichiarazione’ di domicilio prevale su una precedente ‘elezione’ di domicilio, pur non espressamente revocata.

4. La soluzione data al quesito è conforme a quella auspicata dal ricorrente e recepita dal giudice dell’esecuzione con la menzionata ordinanza 28 aprile 2005, che, divenuta definitiva, perché non impugnata, rende perciò proponibile il ricorso in scrutinio (cfr. Cass. sez. 6° 11 luglio 2002, Fiorentino, rv. 222355, richiamata da Sez. un. 24 maggio 2005, Fragomeli).
Ciò non comporta, tuttavia, l’accoglimento del primo motivo di impugnazione volto, come detto, alla declaratoria di nullità delle dichiarazioni di contumacia nei due gradi del giudizio e delle sentenze di primo e di secondo grado, quale conseguenza dell’essere stati tutti gli atti, compreso il decreto che dispone il giudizio notificati al domicilio eletto presso il difensore e non al domicilio indicato dal C. con dichiarazione successiva, dello stesso giorno, al momento della sua scarcerazione.
Va infatti rilevato che, secondo la più recente giurisprudenza di questa Corte, “in tema di notificazione della citazione dell’imputato, la nullità assoluta e insanabile prevista dall’art. 179 cpp, ricorre soltanto nel caso in cui la notificazione della citazione sia stata omessa o quando, essendo stata eseguita in forme diverse da quelle prescritte, risulti inidonea a determinare la conoscenza effettiva dell’atto da parte dell’imputato; la medesima nullità non ricorre invece nei casi in cui vi sia stata esclusivamente la violazione delle regole sulle modalità di esecuzione, alla quale consegue la applicabilità della sanatoria di cui all’art. 184 cpp” e comunque la decadenza dalla possibilità di farla rilevare oltre i termini previsti dall’art. 180 cpp (Cass. Sez. un. 27 ottobre 2004, Palombo, rv. 229539).
Nel caso in esame non v’è dubbio, per le esposte ragioni, che è invalida la notifica delle citazioni effettuata presso lo studio del difensore domiciliatario. Ma altrettanto certo è che quella notifica non fu inidonea a determinare la conoscenza effettiva della citazione da parte dell’imputato, considerato il rapporto fiduciario che lo legava al difensore cui gli atti furono consegnati, il quale ha mantenuto il mandato fiduciario per tutti i gradi di giudizio di merito e non adduce ora, in ricorso, alcun elemento – se non una asserita assenza del patrocinato dal territorio nazionale – per avvalorare l’ipotesi che l’imputato pur contumace non abbia avuto effettiva conoscenza del procedimento per il tramite appunto del difensore domiciliatario.
Ne consegue che l’adozione di un modello di notificazione diverso dalla prescritta consegna al domicilio dichiarato ha determinato una nullità a regime intermedio, non assoluta, della citazione sia per il giudizio di primo grado sia per il giudizio di secondo grado. E da ciò discende che entrambe le nullità non possono essere più rilevate, dal momento che la questione di nullità della notificazione non è stata proposta, come è pacifico, in primo grado e nel giudizio di appello.

5. Parimenti preclusa è l’eccezione processuale formulata con il secondo motivo di ricorso.
Invero, anche la violazione del principio di necessaria correlazione tra accusa e sentenza dà luogo ad una nullità non rientrante fra quelle assolute e insanabili, ma a regime intermedio, sicché tale vizio non può essere dedotto per la prima volta in sede di legittimità ove esso non sia stato denunciato nei motivi di appello (Cass. sez. 5° 2 dicembre 2005, Di Benedetto, rv. 232805; Cass. sez. 6° 7 luglio 1999, Testa, rv. 214316).
Il che è quanto si è verificato nel presente caso, risultando anzi che nell’atto di appello il difensore ebbe ad accettare il contraddittorio sull’ipotesi di “penetrazione con una mano” ritenuta dal tribunale ed a difendersi con riguardo alla medesima; la suddetta considerazione è decisiva ed assorbe ogni ulteriore rilievo sul merito della questione.

 
6. Il terzo, quarto, quinto e sesto motivo sono inammissibili per violazione dell’art. 606 comma 1 cpp perché si risolvono nella riproposizione di argomenti difensivi adeguatamente presi in esame e confutati dalla sentenza impugnata e svolgono considerazioni di fatto insuscettibili di valutazione in sede di legittimità., in quanto intese a provocare un nuovo intervento in sovrapposizione argomentativa da parte di questa Corte rispetto ai contenuti della decisione adottata dai giudici del merito.
Decisione che, diversamente dal dedotto, non si è affatto sottratta all’obbligo di fornire un quadro giustificativo della ritenuta colpevolezza del C., in termini che non possono certamente tacciarsi di illogicità od implausibilità, tanto per ciò che concerne il controllo di credibilità oggettiva e soggettiva della deposizione della persona offesa, condotto in modo attento ed esauriente, dandosi anche congrua giustificazione delle apparenti e comunque non significative discrasie e contraddizioni colte dalla difesa nel narrato della donna, quanto con riferimento alla ritenuta idoneità dei molteplici elementi di riscontro, documentali, testimoniali e sanitari acquisiti al processo, a corroborare il giudizio di sussistenza di tutte le ipotesi delittuose contestate.
Va peraltro rilevato, quanto al delitto di minaccia, che il fatto risale al 20 agosto 1998, di guisa che, pur tenendo conto, ai sensi dell’art. 159 cp, delle sospensioni del procedimento disposte su richiesta del difensore, protrattesi per complessivi quattro mesi e venti giorni, alla data odierna risulta già maturato il termine prescrizionale di sette anni e sei mesi, di cui al combinato disposto degli artt. 157 n° 4 e 160 ult. comma cp.

S’impone pertanto declaratoria di estinzione del reato suddetto, con la conseguente eliminazione della pena di un mese di reclusione.

  PER QUESTI MOTIVI

 La Corte Suprema di Cassazione, a Sezioni Unite, annulla senza rinvio l’impugnata sentenza limitatamente al reato di minaccia perché estinto per prescrizione ed elimina la pena di un mese di reclusione.

 Rigetta nel resto il ricorso.

Così deciso in Roma il 17 ottobre 2006


© asaps.it
Venerdì, 05 Gennaio 2007
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