... Omissis ...
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza dell’11 marzo 2004 la Corte di appello
dell’Aquila confermava la sentenza di condanna emessa, anche questa, nella
contumacia dell’imputato R.C., per i reati di violenza sessuale, sequestro di
persona e minaccia ai danni di N.H.
Il difensore di R.C., con atto del 14 Settembre 2004, ha
proposto ricorso per cassazione deducendo:
- inosservanza di norme processuali stabilite a pena di
nullità, sul rilievo che al C. tutti gli atti successivi alla concessione degli
arresti domiciliari all’esito dell’udienza di convalida dell’arresto in
flagranza furono notificati non già al domicilio dichiarato (eletto, afferma il
ricorrente) secondo il disposto dell’art. 161 n. 3 cpp al momento della
scarcerazione ed indicato nella sua abitazione di Fiamignano in provincia di
Rieti, presso il quale non fu fatto alcun tentativo di notifica, ma al
domicilio eletto presso il difensore con precedente dichiarazione resa in
occasione dell’udienza di convalida dell’arresto in flagranza: si denuncia
quindi la nullità assoluta ed insanabile di tutte le notifiche effettuate
presso il domicilio eletto e di tutta l’attività processuale sin dall’avviso di
fissazione dell’udienza preliminare, avendo tale elezione perso ogni valore per
la prevalenza della successiva dichiarazione di domicilio pur non accompagnata
da espressa revoca della precedente elezione;
- violazione del combinato disposto di cui agli artt. 521,
secondo comma, 178 e 179 cpp, per la ragione che con il capo di imputazione era
stato contestato al C. il fatto di avere compiuto atti sessuali consistenti
nella penetrazione vaginale con il pene, mentre la condanna è intervenuta per
il fatto diverso, mai contestato, della penetrazione con una mano;
- manifesta illogicità della motivazione in ordine alla
ritenuta credibilità della parte offesa N.H. in relazione al delitto di
violenza sessuale: la Corte d’Appello non ha compiuto una puntuale verifica
della attendibilità della teste parte offesa, come si evince dalla assoluta
genericità delle ragioni che renderebbero credibile la testimonianza della
donna, nonostante vistose e sostanziali discrasie e contraddizioni; la
motivazione è manifestamente illogica sui riscontri esterni, che non si
riferiscono alla violenza sessuale, sicché la prova di questa è fatta derivare
da fatti che con essa non hanno nulla in comune; illogicamente sono state
ritenute irrilevanti le contraddizioni della donna sulle modalità della
penetrazione (giustificate con una presunta non conoscenza del significato in
italiano della parola penetrazione, smentita dalle sue stesse dichiarazioni),
sulle lesioni subite e la perdita di sangue ( non confermate dalla visita
ginecologica), sulla circostanza che l’imputato abitava in quella casa e sul
furto dell’auto;
- mancanza di motivazione in ordine alla configurabilità
del contestato delitto di sequestro di persona, avendo la Corte di Appello
omesso il giudizio di valutazione della tipicità della condotta ascritta al C.;
- illogicità manifesta della motivazione in relazione al
contestato delitto di minaccia, non avendo la Corte di Appello indicato gli
elementi di fatto che consentono di affermare che la persona offesa fu in grado
di riconoscere con certezza nel C. l’autore della telefonata minacciosa;
- erronea applicazione della legge penale sul rilievo che
dalle dichiarazioni rese in dibattimento dalla persona offesa emerge con
certezza che la condotta ascritta al C. configura al più il delitto tentato di
violenza sessuale, e non già la forma consumata di tale delitto per la quale è
invece intervenuta condanna. Successivamente alla proposizione del ricorso per
cassazione appena riassunto, il difensore del C., con atto del 31 maggio 2005,
ha proposto nuovo ricorso nei confronti dell’indicata sentenza, con la
riproduzione degli stessi motivi, avendo ottenuto dal giudice dell’esecuzione,
con atto del 28 aprile 2005, sia la rimessione in termini per la proposizione
del ricorso per cassazione che la sospensione dell’esecuzione della sentenza
emessa dal tribunale di Avezzano e confermata dalla Corte di appello
dell’Aquila, nel frattempo ritenuta esecutiva dalla Procura della Repubblica di
Avezzano, che aveva emesso nei confronti del C. ordine di carcerazione sul
presupposto dell’asserita tardività del ricorso per cassazione. La sezione terza di questa Suprema Corte, assegnataria del
ricorso, attribuita natura pregiudiziale e rilevante al primo motivo di
impugnazione, ha evidenziato che il suo esame implica la soluzione di una
questione sulla quale è in atto un contrasto giurisprudenziale, e pertanto, con
ordinanza del 17 novembre 2005 ha trasmesso gli atti al primo Presidente per
l’eventuale assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite per la composizione del
contrasto.
In tal senso è stato disposto.
CONSIDERATO IN
DIRITTO
1. La questione sottesa al primo motivo del ricorso e
portata, come detto, all’esame di queste S.U., è propriamente la seguente: “
Se, in tema di notificazione, la ‘dichiarazione’ di domicilio prevalga su una
precedente ‘elezione’ di domicilio, non espressamente revocata”. Per un corretto inquadramento ed un agevole
approfondimento della questione è opportuno riportare il contenuto delle norme
di riferimento nella loro attuale formulazione quale risultante a seguito di interventi
legislativi. L’art. 161 cpp ha sostanzialmente riprodotto la disciplina
contenuta dell’ultima formulazione dell’art. 171 del codice del 1930. Ha
previsto così che con l’informazione di garanzia o nel primo atto compiuto
dalla polizia giudiziaria o dal pubblico ministero con l’intervento del
sottoposto ad indagine non detenuto né internato, questi è invitato a
dichiarare uno dei luoghi indicati nell’art. 157 comma 1 ovvero a eleggere
domicilio per le notificazioni. Ha poi disposto la reiterazione dell’invito con
il primo atto notificato per disposizione del giudice o compiuto alla presenza
dello stesso, ed ha stabilito che in caso di mancanza, d’insufficienza o di
inidoneità della dichiarazione o della elezione, le successive notificazioni
siano eseguite nel luogo in cui l’atto è stato notificato ovvero, in mancanza
di precedenti notificazioni, mediante consegna al difensore. Ed ancora, l’art. 161 cpp ha riprodotto la disposizione
secondo cui l’imputato detenuto, che deve essere scarcerato per causa diversa
dal proscioglimento definitivo, ha l’obbligo all’atto della scarcerazione di
fare la dichiarazione o l’elezione di domicilio. Con la novella dell’art. 5 del D. lgs. n. 12 del 1991,
l’art. 161 cpp è stato modificato nel senso che l’invito a dichiarare uno dei
luoghi indicati nell’art. 157 comma 1 ovvero a eleggere domicilio è rivolto dal
giudice, dal pubblico ministero o dalla polizia giudiziaria nel primo atto
compiuto con l’intervento del sottoposto ad indagine, ribadendo che in mancanza
della comunicazione di ogni mutamento del domicilio dichiarato o eletto, o
anche nel caso di rifiuto di fare la dichiarazione o l’elezione di domicilio,
le notificazioni devono essere eseguite mediante consegna al difensore. Con un altro comma si è poi statuito che, fuori del caso
del contatto diretto con il sottoposto ad indagine, questi è invitato con
l’informazione di garanzia o con il primo atto notificato per disposizione
dell’autorità giudiziaria, e che in caso di mancanza, di insufficienza, o di
inidoneità della dichiarazione o della elezione, le successive notificazioni
devono essere eseguite nel luogo della notificazione del primo atto. L’art. 162 cpp dispone che il domicilio dichiarato, il
domicilio eletto, e ogni loro mutamento sono comunicati dall’imputato all’autorità
che procede, con l’avvertimento che finché questa non ha ricevuto la
comunicazione sono valide le notificazioni disposte nel domicilio
precedentemente dichiarato o eletto. L’art. 164 cpp stabilisce che la determinazione del
domicilio dichiarato o eletto è valida per ogni stato e grado del procedimento,
salvo quanto previsto dagli artt. 157 e 613, comma 2.
2. Come esattamente rilevato con la su riferita ordinanza
di rimessione della sezione terza, sul quesito enunciato in premessa sussiste
effettivamente un palese contrasto giurisprudenziale. L’indirizzo prevalente è nel senso che l’elezione di
domicilio prevale sulla dichiarazione di domicilio, anche se questa è
successiva a meno che non vi sia una espressa revoca. I numerosi precedenti
che, ribadendo un filone di pronunzie, tendenzialmente maggioritario, risalente
al sistema processuale previgente, sono pervenuti a questa soluzione hanno
evidenziato: a) che il domicilio eletto si distingue dal domicilio
dichiarato perché, mentre in questo è indicato solo il luogo in cui gli atti
debbono essere notificati, nel domicilio eletto viene indicata anche la persona
(c.d. domiciliatario) presso la quale la notificazione deve eseguirsi e
presuppone l’esistenza di un rapporto fiduciario fra il domiciliatario e
l’imputato, in virtù del quale il primo si impegna, nei confronti del secondo,
a ricevere gli atti a questo destinati e a tenerli a sua disposizione; b) che la dichiarazione e l’elezione di domicilio sono,
pertanto, istituti che si differenziano per natura e funzione: la prima,
corrispondendo ad una dichiarazione reale, in quanto implica l’effettiva
esistenza di una relazione fisica tra l’imputato e il luogo dichiarato, ha
carattere di mera dichiarazione, la seconda, invece, rappresentando la
manifestazione di un potere di autonomia dell’imputato di stabilire un luogo
(diverso da quello della residenza, della dimora o del domicilio) e la persona
( o l’ufficio) presso i quali intende che siano eseguite le notificazioni, ha
carattere negoziale costitutivo recettizio; c) che ne consegue necessariamente che l’indicazione di un
luogo per le notificazioni coincidente con l’abitazione dell’imputato deve
essere intesa come dichiarazione di domicilio, anche se in essa sia stato fatto
uso improprio del termine ‘elezione’, e che la revoca di una precedente
elezione di domicilio deve essere espressamente rappresentata in una contraria
manifestazione di volontà; d) che, pertanto, la dichiarazione di domicilio senz’altra
particolare specificazione non revoca l’elezione precedentemente fatta, perché
essa equivale ad una semplice dichiarazione che serve ad una più precisa
identificazione dell’imputato, e non costituisce una manifestazione di volontà
da cui desumere l’intendimento che gli atti siano notificati al nuovo
domicilio. Si collocano in questo orientamento, tutte ispirate alle
ragioni di strutturale diversità tra elezione e dichiarazione: Cass. sez. 6°,
21 giugno 1993, Spada, rv. 194953; Cass. sez. 2° 13 gennaio 1995, Restucci, rv.
202124; Cass. sez. 1°, 22 settembre 1995, Tatoli, rv. 202888; Cass. sez. 3° 2
ottobre 1998, Civitelli, rv. 212175; Cass. sez. 5° 30 giugno 1999, Allegretti,
rv. 214874; Cass. sez. 3° 26 marzo 2003, Barbiera, rv. 224870; Cass. sez. 4° 15
ottobre 2003, D’Ingiullo, rv. 227059; sul codice previdente: Cass. sez. 1° 30
maggio 1966, Leonetti, rv.102324-328; Cass. sez. 4° 29 settembre 1975, Corazza,
rv. 131089; Cass. sez. 2° 10 aprile 1981, Magri, rv. 150436; Cass. sez. 6° 3
giugno 1982, Gropplero, rv. 155733; Cass. sez. 3° 30 marzo 1984, Martorella,
rv. 166678; Cass. sez. 5° 2 dicembre 1986, Di Benedetto, rv. 175040. Il contrario, minoritario, orientamento (invocato dal
ricorrente) ha negato la necessità di un’espressa revoca per porre nel nulla la
precedente elezione di domicilio. Esso si dipana dall’assunto che la pretesa
maggiore valenza dell’elezione di domicilio, in quanto negozio costitutivo
recettizio, non ha supporto nel dato normativo, dal momento che l’art. 161
comma primo cpp pone sullo stesso piano l’elezione di domicilio e la
dichiarazione di uno dei luoghi indicati nell’art. 157 comma primo cpp,
lasciando libertà di scelta tra le possibili opzioni, con la sola imposizione
dell’obbligo di comunicazione di ogni successiva variazione. A fronte di
quest’assetto normativo, “la sola diversità della natura giuridica dei due
atti” non giustifica “una sorta di gerarchia….. che finirebbe per condizionare
negativamente la conoscibilità da parte dell’indagato delle evenienze
processuali che lo riguardano”. In tal senso Cass. sez. 5° 23 settembre 2002, Ciuffetta,
rv. 223109. La sentenza non sembra contestare la riconducibilità dell’elezione
di domicilio alla categoria del negozio processuale e l’estraneità a siffatta
categoria della mera dichiarazione, e risolve la questione accordando maggiore
attenzione al dato normativo: è la disciplina processuale ad indicare la
soluzione, senza che l’interprete debba fare ricorso a letture complesse
incentrate su aspetti dogmatici di costruzione dottrinale. La distinzione tra elezione e dichiarazione fondata sulla
categoria del negozio processuale è stata poi espressamente negata da Cass.
sez. 6° 9 dicembre 2003, Filocamo, rv. 228319, che ha riconosciuto ad entrambe
la natura di “dichiarazioni di volontà aventi valore negozial-processuale”
(conforme: Cass. sez. 5° 23 marzo 2005, Pesenti, rv. 232145; per il sistema
previdente: Cass. sez. 3° 5 aprile 1966, Catalano, rv. 101666; Cass. sez. 2° 28
settembre 1981, Bonacquisti, rv. 152072; Cass. sez. 1° 14 febbraio 1989,
Ariento, rv. 181756). In una particolare ipotesi infine alcune decisioni hanno
escluso la prevalenza della precedente elezione di domicilio sulla successiva
dichiarazione, ma non già contestandone la natura negoziale o estendendo tale
connotazione alla dichiarazione. Hanno invece ragionato sul fatto che la
normativa codicistica consente soltanto all’imputato non detenuto di eleggere
(o dichiarare) il domicilio, ed hanno quindi riconosciuto piena efficacia alla
dichiarazione di domicilio resa al momento della scarcerazione, ritenendo la
totale inefficacia dell’elezione di domicilio precedentemente fatta in stato di
detenzione (Cass. sez. 4° 30 aprile 2003, Jovanovic, rv. 225861; Cass. sez. 2°
13 gennaio 2005, Simeoni, rv. 230698).
3. Tanto premesso e valutato, queste Sezioni Unite sono
dell’avviso di far proprio il secondo dei richiamati indirizzi
giurisprudenziali in base alle seguenti argomentazioni, recepite anche dal
Procuratore Generale presso questa Corte nella sua requisitoria orale. Perché possa utilmente muoversi per risolvere il quesito
oggetto di contrasto occorre partire dalla non contestabile constatazione, ben
colta dalla sentenza Ciuffetta cit., che sul piano testuale non vi è alcuna
norma che sancisca la prevalenza del domicilio eletto rispetto a quello
dichiarato. Anzi, il sotto sistema delle norme sulle notifiche assimila
costantemente l’elezione di domicilio e la dichiarazione di domicilio ( arg. ex
artt. 161, commi 1, 2 e 4, 162, 164 cpp). Infatti la formulazione dell’art. 161
considera i due atti alternativamente e paritariamente quanto agli effetti e
l’art. 164 è conferma di questa equipollenza funzionale nel prevedere che tanto
il domicilio dichiarato quanto il domicilio eletto costituiscono “domicilio
legale” per tutto il corso del procedimento. Di tanto, in definitiva, ha dovuto prendere atto lo stesso
orientamento giurisprudenziale prevalente (esplicita sul punto, in particolare,
la sentenza Allegretti cit.), che allora reputa di ricercare la soluzione, come
si è visto, in una lettura sistematica della disciplina codicistica apertamente
ispirata a nozioni civilistiche, che condurrebbe a ritenere che se l’elezione
ha natura negoziale e la dichiarazione è un atto meramente ricognitivo del
domicilio reale, la prima non può che prevalere sulla seconda sempre e comunque
quale che sia l’ordine temporale di successione. Sennonché – a parte che la trasposizione della categoria
del negozio giuridico come contrapposta a quella dell’atto giuridico in senso
stretto, figure proprie del diritto privato, sul terreno del diritto pubblico,
e particolarmente del diritto processuale, è attuabile non senza difficoltà,
come autorevole dottrina tiene a puntualizzare – è proprio la distinzione tra
atto negoziale (elezione) e mero atto dichiarativo (dichiarazione di domicilio)
a non apparire fondata, se si guarda al contesto in cui gli atti vengono posti
in essere. Invero, con la dichiarazione di domicilio l’indagato (o l’imputato),
a ben vedere, non si limita ad una manifestazione di scienza o di semplice
verità, cioè a dire e comunicare un dato di fatto o il proprio pensiero su di
esso (nel che consiste, come è noto, la dichiarazione di scienza), ma opera una
scelta (art. 161 comma 1 cpp) tra i luoghi indicati nell’art. 157 cpp. In altri
termini, il soggetto, su richiesta dell’autorità giudiziaria o della polizia
giudiziaria, deve compiere una scelta con la consapevolezza degli effetti
processuali di tale scelta. Compiere una scelta significa compiere un atto di
volontà. L’avvertimento che precede l’elezione o la dichiarazione di domicilio
è volto proprio a fondare una scelta consapevole: il dichiarante, attraverso
l’elezione o la dichiarazione di domicilio, “sa” e “vuole” che gli atti vengano
notificati in un determinato luogo. Ma, anche a voler ritenere una diversità di struttura tra
elezione di domicilio e dichiarazione di domicilio, non sarebbe comunque
corretto trarne le conseguenze che, nel silenzio normativo, ne trae la
giurisprudenza prevalente. Invero, sul piano delle garanzie e dell’effettività
della conoscenza dell’atto notificato, l’elezione di domicilio non fornisce
maggiori garanzie della dichiarazione di domicilio. Infatti, è vero che
l’elezione di domicilio implica la designazione di un domiciliatario, nel quale
evidentemente l’indagato (o l’imputato) ripone fiducia. Ma non è men vero che
se questo – avendo a disposizione più luoghi tra quelli indicati nell’art. 157
cpp – dichiara un luogo specifico, evidentemente pone fiducia nelle persone che
- in sua vece - possono ricevere l’atto. Con ciò si vuole significare che il
rapporto fiduciario, che esiste nell’elezione di domicilio, in definitiva non
manca nella dichiarazione di domicilio. E nel silenzio della legge l’interprete
non si può sostituire all’interessato, fissando con presunzioni ciò che è
meglio per lui: se il sistema gli riconosce il potere di scelta, tale potere va
rispettato. Un’ulteriore considerazione si impone: non è nella legge,
ma neppure nella logica che una successiva dichiarazione di domicilio sia priva
di effetto rispetto alla precedente elezione di domicilio. Il codice, come si è
acutamente osservato, suppone attori razionali: un indagato fa una elezione di
domicilio, successivamente fa una dichiarazione di domicilio; supponendo una
coerenza dei suoi comportamenti, è lecito chiedersi che senso avrebbe la
successiva dichiarazione se non quella di informare gli organi procedenti che
egli vuole che d’ora in poi le notifiche vengano effettuate al domicilio
dichiarato. Ammettere che la seconda dichiarazione non revochi la prima sarebbe
come dire che la seconda dichiarazione è inutiliter data, cioè un atto
volutamente compiuto senza senso. Non vale obiettare che la revoca della precedente elezione
di domicilio deve essere espressa, tenuto conto della gravità delle
conseguenze. Si può agevolmente replicare: ai sensi dell’art. 162 cpp le
modifiche tanto dell’elezione quanto della dichiarazione di domicilio devono
rivestire determinate forme; tra di esse non è indicata la revoca espressa
della precedente elezione. Sicché non si vede perché una successiva
dichiarazione di domicilio debba implicare automaticamente la revoca della
precedente dichiarazione di domicilio e non anche la revoca della precedente
elezione. E’ stato autorevolmente affermato che il sistema
processuale è volto a garantire l’effettività delle funzioni, delle volontà e
dei diritti. Le forme devono presidiare tali finalità, non ostacolarle. Ora, la
comunicazione di un nuovo domicilio, sia che lo si elegga sia che lo si
dichiari, significa che il soggetto vuole che le future notificazioni siano
fatte in quel luogo e non in quelli dichiarati o eletti in precedenza, a meno
che non conservi, con esplicita dichiarazione, anche il domicilio anteriore:
tale comunicazione comporta quindi, come concludente e univoca manifestazione
di volontà, la revoca del precedente domicilio, dichiarato o eletto. Si tratta
all’evidenza di una semplice “quaestio voluntatis, dai termini piuttosto
chiari” secondo una espressione dottrinale incisivamente formulata sul tema. In conclusione, il contrasto va composto enunciando il
principio secondo il quale, in tema di notificazione, la ‘dichiarazione’ di
domicilio prevale su una precedente ‘elezione’ di domicilio, pur non
espressamente revocata.
4. La soluzione data al quesito è conforme a quella
auspicata dal ricorrente e recepita dal giudice dell’esecuzione con la
menzionata ordinanza 28 aprile 2005, che, divenuta definitiva, perché non
impugnata, rende perciò proponibile il ricorso in scrutinio (cfr. Cass. sez. 6°
11 luglio 2002, Fiorentino, rv. 222355, richiamata da Sez. un. 24 maggio 2005,
Fragomeli). Ciò non comporta, tuttavia, l’accoglimento del primo
motivo di impugnazione volto, come detto, alla declaratoria di nullità delle
dichiarazioni di contumacia nei due gradi del giudizio e delle sentenze di
primo e di secondo grado, quale conseguenza dell’essere stati tutti gli atti,
compreso il decreto che dispone il giudizio notificati al domicilio eletto
presso il difensore e non al domicilio indicato dal C. con dichiarazione
successiva, dello stesso giorno, al momento della sua scarcerazione. Va infatti rilevato che, secondo la più recente
giurisprudenza di questa Corte, “in tema di notificazione della citazione
dell’imputato, la nullità assoluta e insanabile prevista dall’art. 179 cpp,
ricorre soltanto nel caso in cui la notificazione della citazione sia stata
omessa o quando, essendo stata eseguita in forme diverse da quelle prescritte,
risulti inidonea a determinare la conoscenza effettiva dell’atto da parte
dell’imputato; la medesima nullità non ricorre invece nei casi in cui vi sia
stata esclusivamente la violazione delle regole sulle modalità di esecuzione,
alla quale consegue la applicabilità della sanatoria di cui all’art. 184 cpp” e
comunque la decadenza dalla possibilità di farla rilevare oltre i termini
previsti dall’art. 180 cpp (Cass. Sez. un. 27 ottobre 2004, Palombo, rv.
229539). Nel caso in esame non v’è dubbio, per le esposte ragioni,
che è invalida la notifica delle citazioni effettuata presso lo studio del
difensore domiciliatario. Ma altrettanto certo è che quella notifica non fu
inidonea a determinare la conoscenza effettiva della citazione da parte
dell’imputato, considerato il rapporto fiduciario che lo legava al difensore
cui gli atti furono consegnati, il quale ha mantenuto il mandato fiduciario per
tutti i gradi di giudizio di merito e non adduce ora, in ricorso, alcun elemento
– se non una asserita assenza del patrocinato dal territorio nazionale – per
avvalorare l’ipotesi che l’imputato pur contumace non abbia avuto effettiva
conoscenza del procedimento per il tramite appunto del difensore
domiciliatario. Ne consegue che l’adozione di un modello di notificazione
diverso dalla prescritta consegna al domicilio dichiarato ha determinato una
nullità a regime intermedio, non assoluta, della citazione sia per il giudizio
di primo grado sia per il giudizio di secondo grado. E da ciò discende che
entrambe le nullità non possono essere più rilevate, dal momento che la
questione di nullità della notificazione non è stata proposta, come è pacifico,
in primo grado e nel giudizio di appello.
5. Parimenti preclusa è l’eccezione processuale formulata
con il secondo motivo di ricorso. Invero, anche la violazione del principio di necessaria
correlazione tra accusa e sentenza dà luogo ad una nullità non rientrante fra
quelle assolute e insanabili, ma a regime intermedio, sicché tale vizio non può
essere dedotto per la prima volta in sede di legittimità ove esso non sia stato
denunciato nei motivi di appello (Cass. sez. 5° 2 dicembre 2005, Di Benedetto,
rv. 232805; Cass. sez. 6° 7 luglio 1999, Testa, rv. 214316). Il che è quanto si è verificato nel presente caso,
risultando anzi che nell’atto di appello il difensore ebbe ad accettare il
contraddittorio sull’ipotesi di “penetrazione con una mano” ritenuta dal
tribunale ed a difendersi con riguardo alla medesima; la suddetta considerazione
è decisiva ed assorbe ogni ulteriore rilievo sul merito della questione.
6. Il terzo, quarto, quinto e sesto motivo sono
inammissibili per violazione dell’art. 606 comma 1 cpp perché si risolvono
nella riproposizione di argomenti difensivi adeguatamente presi in esame e
confutati dalla sentenza impugnata e svolgono considerazioni di fatto
insuscettibili di valutazione in sede di legittimità., in quanto intese a
provocare un nuovo intervento in sovrapposizione argomentativa da parte di
questa Corte rispetto ai contenuti della decisione adottata dai giudici del
merito. Decisione che, diversamente dal dedotto, non si è affatto
sottratta all’obbligo di fornire un quadro giustificativo della ritenuta
colpevolezza del C., in termini che non possono certamente tacciarsi di
illogicità od implausibilità, tanto per ciò che concerne il controllo di
credibilità oggettiva e soggettiva della deposizione della persona offesa,
condotto in modo attento ed esauriente, dandosi anche congrua giustificazione delle
apparenti e comunque non significative discrasie e contraddizioni colte dalla
difesa nel narrato della donna, quanto con riferimento alla ritenuta idoneità
dei molteplici elementi di riscontro, documentali, testimoniali e sanitari
acquisiti al processo, a corroborare il giudizio di sussistenza di tutte le
ipotesi delittuose contestate. Va peraltro rilevato, quanto al delitto di minaccia, che
il fatto risale al 20 agosto 1998, di guisa che, pur tenendo conto, ai sensi
dell’art. 159 cp, delle sospensioni del procedimento disposte su richiesta del
difensore, protrattesi per complessivi quattro mesi e venti giorni, alla data
odierna risulta già maturato il termine prescrizionale di sette anni e sei
mesi, di cui al combinato disposto degli artt. 157 n° 4 e 160 ult. comma cp.
S’impone pertanto declaratoria di estinzione del reato
suddetto, con la conseguente eliminazione della pena di un mese di reclusione.
PER QUESTI MOTIVI
La Corte Suprema di Cassazione, a Sezioni Unite, annulla
senza rinvio l’impugnata sentenza limitatamente al reato di minaccia perché
estinto per prescrizione ed elimina la pena di un mese di reclusione.
Rigetta nel resto il ricorso.
Così deciso in Roma il 17 ottobre 2006
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