REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUARTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. BATTISTI Mariano - Presidente Dott. MARINI Lionello - rel. Consigliere Dott. DE GRAZIA Benito Romano - Consigliere Dott. CAMPANATO Graziana - Consigliere Dott. MARZANO Francesco - Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da N.S., avverso la sentenza emessa
il 5/2/2003 dal Giudice di Pace di Alessandria; Visti gli atti, la sentenza impugnata ed il procedimento; Udita in pubblica udienza la relazione svolta dal
Consigliere Dott. Leonello Marini; Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Mario
Fratcelli, il quale ha concluso per la declaratoria di inammissibilità del
ricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con sentenza emessa il 5 febbraio 2003 il Giudice di Pace
di Alessandria ha dichiarato N.S. responsabile del reato di guida in stato di
ebbrezza di un autoveicolo, commesso il 30 giugno 2002 e, riconosciute le
circostanze attenuanti generiche, lo ha condannato alla pena di Euro 1500,00 di
ammenda, con applicazione della sanzione accessoria amministrativa della
sospensione della patente di guida. Ricorre per cassazione, a mezzo del difensore, il N.
deducendo, con un primo motivo, la violazione del D.Lgs. n.285 del 1992, art.186, e del D.P.R. n. 495 del 1992, art.
739. Il ricorrente, premesso che la norma del D.Lgs. n.285 del
1992, art. 186, pur dotando gli agenti di polizia di un’espressa facoltà di
utilizzo del dispositivo tecnico dell’etilometro, non permette agli stessi di
invadere coattivamente la sfera personale del soggetto con metodi di tipo
invasivo (quale è il prelievo ematico) consentiti soltanto previa prestazione
del consenso da parte dell’interessato, e richiamando al riguardo la sentenza
della Corte Costituzionale 9 luglio 1996, n. 238, la quale ha affermato che
"il prelievo ematico comporta certamente una restrizione della libertà
personale quando la persona sottoposta all’esame non acconsente spontaneamente
al prelievo, e ciò in quanto, seppur in minima misura, invade la sfera
corporale della persona e di quella sfera sottrae, per fini di acquisizione
probatoria nel processo penale, una parte che è, sì, insignificante, ma non
certo nulla". Poichè - osserva il ricorrente - nel caso di specie il N.,
trovato in stato di incoscienza a seguito dell’incidente stradale nel quale
(alla guida della propria autovettura la quale aveva colliso contro un veicolo
in sosta sulla pubblica via) era stato coinvolto, non era certamente in grado
di esprimere (nè aveva espresso) il proprio consenso al prelievo ematico, gli
agenti di polizia stradale non avrebbero potuto richiedere il prelievo del
sangue al fine di provare lo stato di ebbrezza, nè il giudice avrebbe potuto,
disattendendo l’eccezione proposta dal difensore, acquisire al fascicolo del
dibattimento il certificato medico dell’Ospedale di Alessandria del 30 giugno
2002, contenente le analisi del sangue effettuate sulla persona di N.S. dal personale ospedaliero
"esclusivamente per motivi clinici e per gli eventuali interventi che
sarebbero occorsi per curare le lesioni patite dal soggetto nell’incidente
stradale occorsogli, ma non certo in seguito ad una richiesta specifica degli
agenti di polizia stradale". Donde la inutilizzabilità del suddetto certificato,
viceversa utilizzato dal giudice quale presunzione legale dello stato di ebbrezza dell’imputato. Con un secondo motivo il ricorrente deduce la
"omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione sulla prova della
colpevolezza dell’imputato, nonchè violazione dell’art. 192 c.p.p." sul
riflesso che l’affermazione di responsabilità è stata fondata esclusivamente
sulle risultanze del citato, inutilizzabile, certificato ospedaliero, salvo un,
non esplicitato, richiamo alla condotta
di guida del N.S. ed un altro richiamo alle affermazioni dell’unico teste
escusso (l’agente di polizia municipale intervenuto, nonchè redattore del
verbale di incidente, P.A.), da ritenersi inidonee a provare la responsabilità
dell’imputato per il reato a lui ascritto, in quanto espressione di un mero
giudizio personale del teste, sì da fornire tutt’al più un indizio, l’unico nel
caso concreto, del presunto stato di ebbrezza del conducente, in un contesto
nel quale la giurisprudenza di legittimità, pur ammettendo la idoneità ai fini
di vari elementi indizianti, anche diversi dall’accertamento effettuato con l’etilometro, ritiene, tuttavia, che
sia insufficiente - al fine suddetto, un solo elemento, per di più del tutto
personale e non ben definito, quale l’affermazione "emanava alito
vinoso", occorrendo invece vari dati sintomatici dimostrativi, in modo in
equivoco, dello stato di ebbrezza (ciò in armonia con il disposto dell’art. 192
c.p.p. in tema di valutazione della prova). I suddetti motivi, per quanto bene articolati e per quanto
in gran parte condivisibili in ordine
alle affermazioni in linea di diritto in essi contenuti, non sono fondati alla
luce delle concrete connotazioni del fatto così come prospettate nello stesso
ricorso e nella sentenza impugnata, nonchè alla luce della motivazione di
quest’ultima. Va in primis rilevato, infatti, che l’affermazione della
responsabilità del N. per il reato di cui all’art. 186 C.d.S., comma 2, è stata (assai succintamente, ma chiaramente)
motivata sulla base di tre risultanze sinergicamente convergenti:
1) La dichiarazione del teste P., di aver percepito che il
N., il quale dopo l’incidente aveva perduto i sensi, "emanava alito vinoso"; 2) L’accertata condotta di guida dell’imputato, la quale -
a differenza di quanto il ricorrente afferma - non è rimasta affatto non
esplicitata dal giudice, atteso che nella parte iniziale della motivazione si
legge che il N., "alla guida di un veicolo Renault, perdeva il controllo
del mezzo venendo a collidere con un’auto in sosta"; 3) Il valore di etanolo in circolo nel sangue del N.
accertato presso il laboratorio di analisi dell’Ospedale di Alessandria, nel
quale costui era stato ricoverato in conseguenza dell’incidente stradale.
Orbene - a prescindere, per il momento, dalla risultanza
sopra indicata sub 3) - appare evidente che già quelle sole indicate sub 1) e
sub 2) convergono in senso dimostrativo dello stato di ebbrezza del conducente,
e va al riguardo osservato che, per consolidata giurisprudenza di legittimità,
la prova dello stato di ebbrezza del conducente può essere tratta - in assenza,
nel processo penale, della previsione "di prove legali" e valendo, in
detto processo, il principio del libero convincimento del giudice -, dalla
valutazione di tutti i dati disponibili, ed in particolare di una serie di
elementi sintomatici, nel novero dei
quali rientra indubbiamente anche quello rappresentato da un’anomala condotta
di guida (non diversamente giustificata) alla quale fa esplicito richiamo l’art.
379 Reg., comma 3, laddove si precisa che "resta fermo, in ogni caso, il
compito dei verbalizzanti di indicare ... le circostanze sintomatiche
dell’esistenza dello stato di ebbrezza, desumibili, in particolare, dallo stato
del soggetto e dalla condotta di guida; così come vi rientra la percezione, da
parte di testimoni, del cosiddetto "alito vinoso" (Cass. Sez. 4^
15/11/1994, n. 3829, Malacrino’; Cass. Sez. 5^ 1/2/1995, n. 2499, Corradini;
Cass. Sez. 4^ 28/3/1995, n. 5296, Pisaniello; Cass. Sez. Un. 27/9/1995, n.
1299, Cirigliano; Cass. Sez. 6^ 27/1/2000, n. 2644, Calderas;
Cass. Sez. 4^ 2/4/2000, n. 25306, Ottolini; Cass. Sez. 4^ 9/6/2004, n. 32961,
P.M. in proc. Massacesi), dovendosi inoltre rilevare, in
ordine a tale elemento, che la percezione, da parte del testimone, di un alito
fortemente alcolico emanato dal conducente non costituisce, diversamente da
quanto affermato in ricorso, un mero apprezzamento soggettivo od un giudizio,
bensì un fatto oggettivo, percepito dal teste ex propriis sensibus (per mezzo dell’olfatto),
utilizzabile al fine di prova ed avente valenza non difforme da quella
riconoscibile alla percezione de visu di una determinata circostanza. Va aggiunto che la già richiamata sentenza delle Sezioni
Unite di questa Corte, nell’affermare che lo stato di ebbrezza del conducente
di veicoli può essere accertato e provato con qualsiasi mezzo (e non
necessariamente nè unicamente attraverso la strumentazione e la procedura
indicate nell’art. 379 C.d.S. del Regolamento) ha fatto riferimento all’
"alito vinoso" come elemento sintomatico dell’ebbrezza, e cioè di
quello stato di alterazione psico - fisica del soggetto che, con riguardo alla
fattispecie concreta qui in esame, il giudice ha considerato tale da aver
privato il conducente della capacità di controllo del mezzo guidato, risultando
pertanto giuridicamente corretta la metodologia dell’accertamento seguito dal
giudice di pace, e non essendo censurabile in questa sede l’accertamento di
fatto spiegato con succinta motivazione indenne da vizi logici. S’intendono, già a questo punto, le ragioni della
infondatezza del secondo motivo posto a sostegno del ricorso, nonchè il carattere assorbente di tale giudizio, sì
che non sarebbe neppure strettamente indispensabile l’esame anche del primo motivo,
che tuttavia questa Corte ritiene di considerare per evidenti ragioni di
completezza, salvo rilevare l’infondatezza anche della censura rivolta dal
ricorrente all’avvenuta acquisizione ed utilizzazione del certificato medico relativo all’accertato tasso di alcool nel
sangue del N., rilasciato dall’Ospedale di Alessandria. Invero l’eccezione di inutilizzabilità del suddetto
certificato avrebbe fondamento - per le ragioni di diritto, a valenza anche di
principio costituzionale, esposte in ricorso - ove l’accertamento in esso
documentato fosse stato effettuato su richiesta della polizia stradale, ma così non è, atteso che lo stesso
ricorrente afferma che le analisi del sangue furono effettuate sulla persona di
N.S. dal personale ospedaliero "unicamente per motivi clinici" ed a
scopo curativo delle lesioni riportate dal predetto nell’incidente stradale de
quo, "ma non certo in seguito ad una richiesta specifica degli agenti di
polizia stradale". Ne consegue che l’accertamento "invasivo" non è
stato illegittimamente effettuato (assente il consenso dell’indagato) dall’organo di
polizia giudiziaria a fini processuali (come non è più consentito per effetto
della sentenza della Corte Costituzionale n. 238 del 1996) e nel processo hanno
avuto semplicemente ingresso i risultati ematici contenuti nella documentazione
medica relativa al ricovero dell’imputato presso struttura ospedaliera in
seguito ad incidente stradale occorso in occasione della commissione del reato
ascritto, e questa Sezione 4 (vedasi la sentenza 12/6/2003, n. 37442, Cartoni) ha già avuto modo di affermare il principio di
diritto, qui condiviso, secondo il quale, ai fini dell’accertamento del reato
di guida in stato di ebbrezza alcolica, sono utilizzabili, nei confronti
dell’imputato, i risultati del prelievo ematico che sia stato effettuato,
secondo i normali protocolli medici di pronto soccorso, durante il ricovero
presso una struttura ospedaliera pubblica a seguito dell’incidente stradale
subito in occasione della commissione del reato, trattandosi di elementi di
prova acquisiti attraverso la documentazione medica e restando irrilevante, a
questi fini, la mancanza del consenso. Per le sin qui esposte ragioni il ricorso va rigettato,
con le conseguenze ex art. 616 c.p.p., in ordine alle spese del presente
giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 25 gennaio 2006. Depositato in Cancelleria il 14 giugno 2006
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