E’ il cruccio di ogni poliziotto della Stradale che si
rispetti, che ama il suo lavoro e che cerca – con il suo impegno – di far
rispettare le più civili norme di comportamento. Parliamo della distanza di
sicurezza, un concetto che se per noi è fin troppo chiaro, resta purtroppo
astratto per il codice della strada (non solo quello italiano) e per chi è chiamato
a scrivere le regole della “sopravvivenza stradale”. La condizione
dell’accertatore è definibile invece con il sostantivo femminile
“frustrazione”. All’arroganza di chi si appiccica al posteriore di un’auto e sciabola
coi fari per farsi dare strada, non può corrispondere (perché non previsto)
alcun adeguato intervento repressivo da parte di un ipotetico accertatore, che
deve limitarsi a circostanziare al massimo una fattispecie di violazione
relativa alla velocità pericolosa (art. 141 del CDS), senza poter di fatto
entrare nel merito, appunto, della mancata distanza di sicurezza. La mancanza di
un deterrente valido rende la fattispecie impunibile, e sulla prevenzione –
stando così le cose – nulla si può. Per questo motivo l’Asaps ha deciso di fare
un’inchiesta sull’argomento, analizzando il fenomeno e formulando, come di consueto,
una serie di proposte per poterlo affrontare in maniera decisiva. Non è stato
possibile beneficiare di un supporto scientifico puro, e questo limita
fortemente la portata del lavoro: ci si deve rifare al concetto di comune
diligenza e prudenza, o di semplice buonsenso. Dalla nostra abbiamo
un’esperienza consolidata da operatori. Il metodo è quello della constatazione,
dell’osservazione, del riconoscimento e della cura. Come un medico che
comprende con quale malattia il proprio paziente abbia che fare, dovremmo
osservarne l’evoluzione, sceglierne il percorso curativo ed alla fine
verificarne l’efficacia. Sappiamo, e questo è il punto di partenza, che come
società moderna dobbiamo limitare al massimo la sinistrosità, visto che gli
effetti della violenza stradale si fanno sentire non solo in termini di PIL, ma
anche – lo sappiamo bene – di danno biologico ed esistenziale. Un compito non
facile, in un Paese nel quale la libertà di movimento sulle strade è
generalmente interpretata come libertà di fare ciò che si vuole, millantando
ognuno la propria superiorità rispetto all’altro. L’altro, il
conducente antagonista nell’immaginario di questo utente “kalòs kai agathòs”
(dal greco antico, bello e giusto), generalmente ha queste caratteristiche:
guida male, perché va piano. È pericoloso, perché va piano. Ritarda la nostra
vita, perché va piano. A volerla mettere in filosofia, ci pare che questa interpretazione
sia ben lontana dall’ “Oltreuomo” di Nietzsche, e che invece si avvicini di più
alla razza pura ipotizzata da Hitler nel Mein Kampf o alla condizione dell’uomo
nello stato di natura così come l’aveva descritta il filosofo inglese Thomas
Hobbes. Un uomo schiavo dell’istinto di sopravvivenza e di sopraffazione, in
grado di vivere in società solo se una legge ne condiziona l’andamento.
Tuttavia il mancato rispetto della distanza di sicurezza, non è solo
un’espressione di arroganza o della conferma che l’Homo è hominis lupus,
quando guida qualcosa: per categorie diverse dall’autovettura, e ci riferiamo
agli autotrasportatori, è invece un semplice e generalizzato malcostume, a
volte ingenerato dalla necessità di fare economia (in scia si consuma meno),
altre volte dalla conformazione della strada, altre ancora perché attende il
momento giusto per sorpassare e fare prima. Non dobbiamo poi dimenticare che
l’Italia ha una densità di traffico tra le più alte del cosiddetto mondo
evoluto e l’enorme potere del trasporto su gomma – di merci e di persone – è la
madre di tutte le problematiche connesse alla strada: sicurezza stradale,
inquinamento, congestione del traffico. Comunque la si metta, è un
comportamento pericoloso. Partiamo dalla fine, allora: serve una legge, un
articolo specifico del codice della strada, che dica a quanto ci si debba
tenere dal veicolo che ci precede, in relazione ovviamente al tipo di strada. Una
pretesa troppo grande per uno Stato nel quale manca, e lo rileviamo ancora un
volta, un piano organico di sicurezza stradale? Secondo molti, obbligare un
veicolo a mantenersi ad una distanza di sicurezza precisa, è praticamente
impossibile, in quanto la predeterminazione di uno spazio tra un veicolo e l’altro
comporta innanzitutto la condizione che tutti procedano alla stessa velocità. Insomma,
tutti i veicoli a 130 in sorpasso, a 110 in corsia di marca, a 90 in quella
riservata ai veicoli più lenti. Ad immaginarsi uno scenario così democratico,
confessiamolo, ci mettiamo tutti a ridere. Deve far riflettere anche il fatto
che oggi si possa contestare il mancato rispetto della distanza solo dopo un sinistro
stradale… In pratica è la constatazione, fatta in ufficio sulla scorta dei
rilievi eseguiti sul luogo dell’incidente, che il veicolo tamponante era troppo
vicino al tamponato. Implicitamente, si riconosce che il limite massimo di
velocità, quindi una velocità da rispettare, non vale come metro di riferimento
per il mantenimento di un corretto spazio, ma che questo debba semmai essere
commisurato alla velocità: come si vede, un concetto astratto. Tuttavia, quando
passeggiamo nei grovigli di qualche sciagura stradale, l’ilarità ci passa
subito: la velocità eccessiva e la mancata distanza di sicurezza, si sono
dimostrate due ingredienti letali. La norma generale (ed astratta) trova però
due piccole eccezioni: una ai commi 2 e 3 dell’articolo 149 del Codice della
Strada, quello che disciplina appunto la “distanza di sicurezza tra veicoli”: “Fuori
dei centri abitati – recita il comma 2 – quando sia stabilito un divieto
di sorpasso solo per alcune categorie di veicoli, tra tali veicoli deve essere
mantenuta una distanza
non inferiore a 100 m. Questa disposizione non si osserva nei tratti di strada
con due o più corsie per senso di marcia”. Il terzo comma riguarda la
distanza da tenere con macchine operatrici in particolari condizioni
(sgombraneve in azione). L’altra eccezione di cui parliamo, riguarda invece i
trafori del Frejus e del Monte Bianco, dove è imposta da un’apposita ordinanza
delle società concessionarie, una distanza di sicurezza di 150 metri tra un
veicolo e l’altro. Si tratta però di un precetto al quale non segue – nelle
tratte italiane – alcuna sanzione, visto che non esiste la possibilità di
trasformare l’accertamento della violazione in contestazione: al dispositivo
installato nei due tunnel (l’Autovelox 105 SE della Sodi Scientifica),
nonostante la sua precisione sia inconfutabile e la tecnologia che lo anima tra
le più evolute, non è mai pervenuta l’omologazione ministeriale in ordine alla
misurazione della distanza di sicurezza. Nelle tratte francesi dei due trafori,
di contro, la rilevazione viene fatta eccome, senza speranza di farla franca.
La polizia francese si serve di un dispositivo analogo, il Multanova, che è stato
omologato oltre confine e che non smette mai di funzionare. Per essere precisi,
in Francia la rilevazione viene fatta ovunque, su strade e autostrade, per
reprimere violazioni di questo genere, limitando l’azione accertatoria
programmata ai soli veicoli pesanti, per i quali è prevista una sanzione di 90
euro. Anche in Austria la mancata distanza di sicurezza viene sanzionata, ed
anche in questo Stato – per quello che è dato sapere – l’accertamento viene
eseguito solo nei confronti di camion. Gli agenti della Autobahn Polizei
lavorano “a vista”, senza l’ausilio di apparecchiature techiche. Sotto i 50
metri di distanza, in assenza di incidenti o di altre violazioni contemporanee,
si applicano sanzioni di 30 euro. Il discorso cambia in presenza di sinistri,
sia in Austria che in Francia, ed analoghe procedure sono applicate anche in
Svizzera, con lo scopo comune di limitare al massimo gli eventi infortunistici
tra veicoli commerciali. Chi viaggia all’estero, avrà notato che certi
comportamenti sono rigorosamente evitati dai nostri cugini europei, ed anche se
l’azione repressiva sistematica sembra riguardare solo i tir, violazioni occasionali
sono puntualmente sanzionate anche nei confronti di automobilisti e
motociclisti. In più di uno stato, pensate, viene multato anche chi si affianca
troppo ad un altro veicolo in movimento. Sulle strade dello stivale, di contro,
si è fin troppo abituati a veder sfilare colonne interminabili di Tir in viaggio
a 2/3 metri gli uni dagli altri. Abitudini che definire “pericolose” è
riduttivo, visto che durante la marcia il conducente di un camion che non
rispetta la distanza di sicurezza ha come unico riferimento – in ordine di
velocità e di mantenimento della traiettoria – la parte postero-superiore del
rimorchio innanzi a lui: un’improvvisa frenata non gli darebbe il tempo di
reagire, perché le luci di arresto non sono visibili (troppo basse perché all’altezza
della barra paraincastro), e lo stesso dicasi per una variazione di
traiettoria. L’investimento di veicoli o persone ferme in corsia di emergenza –
fattispecie di sinistrosità spesso letale dalla quale non scampano la Polizia
Stradale, i dipendenti delle società o i cantonieri, e soccorritori (115 e 118)
– è una diretta conseguenza di questo malcostume, ed intervenire per educare al
rispetto di una regola semplicissima – al tempo stesso salvavita – ci sembra
importantissimo. Ma come è possibile superare lo scoglio dell’individualità? Innanzitutto
si deve intervenire sui due fattori che spingono il conducente di un veicolo a
stare francobollato a quello che gli sta davanti.
L’aggressività: non si tratta di una gara, ma di una strada, che tutti –
secondo le regole della democrazia – hanno il diritto di percorrere secondo la
proprie possibilità, in assoluta sicurezza. Lo scopo è quello di sostituire il
concetto di mors tua, vita mea con quello che non preveda la morte di
nessuno e la vita di tutti.
Il malcostume: chi si appiccica al prossimo per farsi “tirare”, e
consumare meno, mette tutti in una condizione di pericolo elevatissimo, ed
affida la sua vita al fato. Se qualcuno frena, davanti, lui lo centra. Questi
comportamenti possono essere ridotti o eliminati del tutto solo se la norma
definirà l’esatto ambito della violazione, e se oltre ad esserne certa la
contestazione siano garantite anche adeguate sanzioni amministrative ed accessorie
con le relative decurtazioni di punti. Da un punto di vista pratico, però,
niente ha senso se non viene preceduto da un’attenta analisi del fenomeno, che
consenta di concentrare sui cosiddetti black spot, o punti neri. Con
questa definizione si intendono quei settori della strada che individuano
luoghi nei quali appaiono ripetitive le cause di incidenti. In altre parole, se
nello stesso tratto di viabilità, gli incidenti stradali hanno come causa
sempre i medesimi elementi, ecco che siamo in presenza di un punto nero.
Un’analisi di questo tipo, ad oggi, è stata effettuata solo in chiave locale:
per ottenere una conoscenza approfondita di tutti i black spot – e vi
assicuriamo che sono davvero tanti – è necessario istituire un coordinamento
tra l’analisi dei dati – purtroppo tardivi e disomogenei – lo studio eziologico
della sinistrosità e l’approntamento delle relative contromisure. Una volta
operativa questa terna, serve stabilire una norma e farla applicare, cosa
assolutamente non facile in Italia, ove spesso la repressione dell’illegalità
stradale è simbolo di vessazione – complice l’atteggiamento di alcune
discutibili modalità di rilevamento della velocità – alla stregua delle gabelle
medievali. Se d’altra parte un obbligo, una limitazione od un divieto viene imposto
con molta decisione, e soprattutto viene fatto rispettare, alla fine è
accettato dall’utenza: se poi l’azione è accompagnata da un’adeguata
informazione, che si protrae nel tempo, è possibile arrivare anche alla
condivisione del concetto. L’esempio al quale intendiamo riferirci ha
caratteristiche “autostradali”: il divieto di sorpasso per mezzi pesanti
imposto sul tratto appenninico della A1 o sull’Autobrennero. Quando il provvedimento
venne annunciato, gli autotrasportatori reagirono con decisione, improvvisando
cortei lumaca e inscenando proteste di ogni tipo, ma alla fine il divieto finì
con l’essere accettato. La severità della sanzione accessoria (due mesi di sospensione
della patente) e la sua puntuale applicazione, hanno fatto il resto. La sola
Sottosezione Polizia Stradale di Firenze, nel corso del 2005, ha contestato 572
violazioni a tale norma, segno che l’azione di repressione continua ad essere
decisa. Permane dunque una certa trasgressione, ma sono drasticamente diminuiti
i morti. Tornando al Monte Bianco, è ovvio che il regolamento del tunnel sia
stato profondamente modificato dopo la tragedia del 1999 (Ordinanza n. 8 del
Presidente della Società Italiana per Azioni per il Traforo del Monte Bianco
del 1° marzo 2002 con le modifiche e integrazioni entrate in vigore il 23 agosto
2005), ma l’esempio della fattibilità dell’azione è mutuabile ad ogni tratto di
strada, in maniera particolare nei black spot di autostrade e delle
principali arterie. All’interno del traforo, l’utente calcola la giusta
distanza con il veicolo che precede grazie ad un particolare sistema di luci piazzate
sulle pareti della volta (di colore azzurro), che danno l’esatta posizione rispetto
al veicolo davanti. Anche il limite di velocità, nel tunnel, è fatto rispettare
rigorosamente ed anche il minimo illecito viene perseguito. In alcuni tratti
autostradali italiani, la distanza di sicurezza era stata sperimentalmente
indicata aggiungendo alla segnaletica orizzontale, e precisamente alcuni cerchi
di vernice lungo la striscia longitudinale continua della corsia di emergenza. Analizzando
gli ultimi dati Istat disponibili, quelli del 2004 (sic!) si scopre che le
cause imputabili al comportamento scorretto del conducente alla guida
costituiscono il 91,1 per cento del totale delle cause complessive di
incidente. Nell’ambito dei comportamenti errati di guida il 15,1 per cento dei
casi è rappresentato dalla guida distratta o andamento indeciso, il 12,2 per
cento si riferisce all’eccesso di velocità e l’11,4 per cento delle cause deriva
dal mancato rispetto della distanza di sicurezza: sommate insieme, queste tre
fattispecie formano un mix letale, ed ognuna aggrava le conseguenze
dell’evento. Gli incidenti dovuti al mancato rispetto di questa norma, sono stati
nel complesso 32.321, dei quali 22.703 in città e 9.618 su strade extraurbane.
In città, proporre la misurazione a fini repressivi della distanza di
sicurezza, è assolutamente improponibile, ma sulla viabilità extraurbana –
soprattutto autostradale – il discorso è diverso e la risoluzione di questa
problematica inciderebbe in maniera determinante sulla sicurezza complessiva. Oggettivamente,
un tamponamento in autostrada è cosa ben diversa da quello in città, almeno in
linea generale, anche perché il maggior numero di vittime legate a questa
“nicchia” lo si rileva in occasione dei cosiddetti esodi, quando cioè il grande
volume di traffico induce i veicoli a compattarsi durante la marcia.
*Sovrintendete della Polizia Stradale
da "il Centauro n. 108"
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