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Articoli 22/01/2007

da "il Centauro" - Mancata distanza di sicurezza
Una infrazione da impuniti…

di Lorenzo Borselli*



E’ il cruccio di ogni poliziotto della Stradale che si rispetti, che ama il suo lavoro e che cerca – con il suo impegno – di far rispettare le più civili norme di comportamento. Parliamo della distanza di sicurezza, un concetto che se per noi è fin troppo chiaro, resta purtroppo astratto per il codice della strada (non solo quello italiano) e per chi è chiamato a scrivere le regole della “sopravvivenza stradale”. La condizione dell’accertatore è definibile invece con il sostantivo femminile “frustrazione”. All’arroganza di chi si appiccica al posteriore di un’auto e sciabola coi fari per farsi dare strada, non può corrispondere (perché non previsto) alcun adeguato intervento repressivo da parte di un ipotetico accertatore, che deve limitarsi a circostanziare al massimo una fattispecie di violazione relativa alla velocità pericolosa (art. 141 del CDS), senza poter di fatto entrare nel merito, appunto, della mancata distanza di sicurezza. La mancanza di un deterrente valido rende la fattispecie impunibile, e sulla prevenzione – stando così le cose – nulla si può. Per questo motivo l’Asaps ha deciso di fare un’inchiesta sull’argomento, analizzando il fenomeno e formulando, come di consueto, una serie di proposte per poterlo affrontare in maniera decisiva. Non è stato possibile beneficiare di un supporto scientifico puro, e questo limita fortemente la portata del lavoro: ci si deve rifare al concetto di comune diligenza e prudenza, o di semplice buonsenso. Dalla nostra abbiamo un’esperienza consolidata da operatori. Il metodo è quello della constatazione, dell’osservazione, del riconoscimento e della cura. Come un medico che comprende con quale malattia il proprio paziente abbia che fare, dovremmo osservarne l’evoluzione, sceglierne il percorso curativo ed alla fine verificarne l’efficacia. Sappiamo, e questo è il punto di partenza, che come società moderna dobbiamo limitare al massimo la sinistrosità, visto che gli effetti della violenza stradale si fanno sentire non solo in termini di PIL, ma anche – lo sappiamo bene – di danno biologico ed esistenziale. Un compito non facile, in un Paese nel quale la libertà di movimento sulle strade è generalmente interpretata come libertà di fare ciò che si vuole, millantando ognuno la propria superiorità rispetto all’altro. L’altro, il conducente antagonista nell’immaginario di questo utente “kalòs kai agathòs” (dal greco antico, bello e giusto), generalmente ha queste caratteristiche: guida male, perché va piano. È pericoloso, perché va piano. Ritarda la nostra vita, perché va piano. A volerla mettere in filosofia, ci pare che questa interpretazione sia ben lontana dall’ “Oltreuomo” di Nietzsche, e che invece si avvicini di più alla razza pura ipotizzata da Hitler nel Mein Kampf o alla condizione dell’uomo nello stato di natura così come l’aveva descritta il filosofo inglese Thomas Hobbes. Un uomo schiavo dell’istinto di sopravvivenza e di sopraffazione, in grado di vivere in società solo se una legge ne condiziona l’andamento. Tuttavia il mancato rispetto della distanza di sicurezza, non è solo un’espressione di arroganza o della conferma che l’Homo è hominis lupus, quando guida qualcosa: per categorie diverse dall’autovettura, e ci riferiamo agli autotrasportatori, è invece un semplice e generalizzato malcostume, a volte ingenerato dalla necessità di fare economia (in scia si consuma meno), altre volte dalla conformazione della strada, altre ancora perché attende il momento giusto per sorpassare e fare prima. Non dobbiamo poi dimenticare che l’Italia ha una densità di traffico tra le più alte del cosiddetto mondo evoluto e l’enorme potere del trasporto su gomma – di merci e di persone – è la madre di tutte le problematiche connesse alla strada: sicurezza stradale, inquinamento, congestione del traffico. Comunque la si metta, è un comportamento pericoloso. Partiamo dalla fine, allora: serve una legge, un articolo specifico del codice della strada, che dica a quanto ci si debba tenere dal veicolo che ci precede, in relazione ovviamente al tipo di strada. Una pretesa troppo grande per uno Stato nel quale manca, e lo rileviamo ancora un volta, un piano organico di sicurezza stradale? Secondo molti, obbligare un veicolo a mantenersi ad una distanza di sicurezza precisa, è praticamente impossibile, in quanto la predeterminazione di uno spazio tra un veicolo e l’altro comporta innanzitutto la condizione che tutti procedano alla stessa velocità. Insomma, tutti i veicoli a 130 in sorpasso, a 110 in corsia di marca, a 90 in quella riservata ai veicoli più lenti. Ad immaginarsi uno scenario così democratico, confessiamolo, ci mettiamo tutti a ridere. Deve far riflettere anche il fatto che oggi si possa contestare il mancato rispetto della distanza solo dopo un sinistro stradale… In pratica è la constatazione, fatta in ufficio sulla scorta dei rilievi eseguiti sul luogo dell’incidente, che il veicolo tamponante era troppo vicino al tamponato. Implicitamente, si riconosce che il limite massimo di velocità, quindi una velocità da rispettare, non vale come metro di riferimento per il mantenimento di un corretto spazio, ma che questo debba semmai essere commisurato alla velocità: come si vede, un concetto astratto. Tuttavia, quando passeggiamo nei grovigli di qualche sciagura stradale, l’ilarità ci passa subito: la velocità eccessiva e la mancata distanza di sicurezza, si sono dimostrate due ingredienti letali. La norma generale (ed astratta) trova però due piccole eccezioni: una ai commi 2 e 3 dell’articolo 149 del Codice della Strada, quello che disciplina appunto la “distanza di sicurezza tra veicoli”: “Fuori dei centri abitati – recita il comma 2 – quando sia stabilito un divieto di sorpasso solo per alcune categorie di veicoli, tra tali veicoli deve essere mantenuta una distanza
non inferiore a 100 m. Questa disposizione non si osserva nei tratti di strada con due o più corsie per senso di marcia
”. Il terzo comma riguarda la distanza da tenere con macchine operatrici in particolari condizioni (sgombraneve in azione). L’altra eccezione di cui parliamo, riguarda invece i trafori del Frejus e del Monte Bianco, dove è imposta da un’apposita ordinanza delle società concessionarie, una distanza di sicurezza di 150 metri tra un veicolo e l’altro. Si tratta però di un precetto al quale non segue – nelle tratte italiane – alcuna sanzione, visto che non esiste la possibilità di trasformare l’accertamento della violazione in contestazione: al dispositivo installato nei due tunnel (l’Autovelox 105 SE della Sodi Scientifica), nonostante la sua precisione sia inconfutabile e la tecnologia che lo anima tra le più evolute, non è mai pervenuta l’omologazione ministeriale in ordine alla misurazione della distanza di sicurezza. Nelle tratte francesi dei due trafori, di contro, la rilevazione viene fatta eccome, senza speranza di farla franca. La polizia francese si serve di un dispositivo analogo, il Multanova, che è stato omologato oltre confine e che non smette mai di funzionare. Per essere precisi, in Francia la rilevazione viene fatta ovunque, su strade e autostrade, per reprimere violazioni di questo genere, limitando l’azione accertatoria programmata ai soli veicoli pesanti, per i quali è prevista una sanzione di 90 euro. Anche in Austria la mancata distanza di sicurezza viene sanzionata, ed anche in questo Stato – per quello che è dato sapere – l’accertamento viene eseguito solo nei confronti di camion. Gli agenti della Autobahn Polizei lavorano “a vista”, senza l’ausilio di apparecchiature techiche. Sotto i 50 metri di distanza, in assenza di incidenti o di altre violazioni contemporanee, si applicano sanzioni di 30 euro. Il discorso cambia in presenza di sinistri, sia in Austria che in Francia, ed analoghe procedure sono applicate anche in Svizzera, con lo scopo comune di limitare al massimo gli eventi infortunistici tra veicoli commerciali. Chi viaggia all’estero, avrà notato che certi comportamenti sono rigorosamente evitati dai nostri cugini europei, ed anche se l’azione repressiva sistematica sembra riguardare solo i tir, violazioni occasionali sono puntualmente sanzionate anche nei confronti di automobilisti e motociclisti. In più di uno stato, pensate, viene multato anche chi si affianca troppo ad un altro veicolo in movimento. Sulle strade dello stivale, di contro, si è fin troppo abituati a veder sfilare colonne interminabili di Tir in viaggio a 2/3 metri gli uni dagli altri. Abitudini che definire “pericolose” è riduttivo, visto che durante la marcia il conducente di un camion che non rispetta la distanza di sicurezza ha come unico riferimento – in ordine di velocità e di mantenimento della traiettoria – la parte postero-superiore del rimorchio innanzi a lui: un’improvvisa frenata non gli darebbe il tempo di reagire, perché le luci di arresto non sono visibili (troppo basse perché all’altezza della barra paraincastro), e lo stesso dicasi per una variazione di traiettoria. L’investimento di veicoli o persone ferme in corsia di emergenza – fattispecie di sinistrosità spesso letale dalla quale non scampano la Polizia Stradale, i dipendenti delle società o i cantonieri, e soccorritori (115 e 118) – è una diretta conseguenza di questo malcostume, ed intervenire per educare al rispetto di una regola semplicissima – al tempo stesso salvavita – ci sembra importantissimo. Ma come è possibile superare lo scoglio dell’individualità? Innanzitutto si deve intervenire sui due fattori che spingono il conducente di un veicolo a stare francobollato a quello che gli sta davanti.
L’aggressività: non si tratta di una gara, ma di una strada, che tutti – secondo le regole della democrazia – hanno il diritto di percorrere secondo la proprie possibilità, in assoluta sicurezza. Lo scopo è quello di sostituire il concetto di mors tua, vita mea con quello che non preveda la morte di nessuno e la vita di tutti.
Il malcostume: chi si appiccica al prossimo per farsi “tirare”, e consumare meno, mette tutti in una condizione di pericolo elevatissimo, ed affida la sua vita al fato. Se qualcuno frena, davanti, lui lo centra. Questi comportamenti possono essere ridotti o eliminati del tutto solo se la norma definirà l’esatto ambito della violazione, e se oltre ad esserne certa la contestazione siano garantite anche adeguate sanzioni amministrative ed accessorie con le relative decurtazioni di punti. Da un punto di vista pratico, però, niente ha senso se non viene preceduto da un’attenta analisi del fenomeno, che consenta di concentrare sui cosiddetti black spot, o punti neri. Con questa definizione si intendono quei settori della strada che individuano luoghi nei quali appaiono ripetitive le cause di incidenti. In altre parole, se nello stesso tratto di viabilità, gli incidenti stradali hanno come causa sempre i medesimi elementi, ecco che siamo in presenza di un punto nero. Un’analisi di questo tipo, ad oggi, è stata effettuata solo in chiave locale: per ottenere una conoscenza approfondita di tutti i black spot – e vi assicuriamo che sono davvero tanti – è necessario istituire un coordinamento tra l’analisi dei dati – purtroppo tardivi e disomogenei – lo studio eziologico della sinistrosità e l’approntamento delle relative contromisure. Una volta operativa questa terna, serve stabilire una norma e farla applicare, cosa assolutamente non facile in Italia, ove spesso la repressione dell’illegalità stradale è simbolo di vessazione – complice l’atteggiamento di alcune discutibili modalità di rilevamento della velocità – alla stregua delle gabelle medievali. Se d’altra parte un obbligo, una limitazione od un divieto viene imposto con molta decisione, e soprattutto viene fatto rispettare, alla fine è accettato dall’utenza: se poi l’azione è accompagnata da un’adeguata informazione, che si protrae nel tempo, è possibile arrivare anche alla condivisione del concetto. L’esempio al quale intendiamo riferirci ha caratteristiche “autostradali”: il divieto di sorpasso per mezzi pesanti imposto sul tratto appenninico della A1 o sull’Autobrennero. Quando il provvedimento venne annunciato, gli autotrasportatori reagirono con decisione, improvvisando cortei lumaca e inscenando proteste di ogni tipo, ma alla fine il divieto finì con l’essere accettato. La severità della sanzione accessoria (due mesi di sospensione della patente) e la sua puntuale applicazione, hanno fatto il resto. La sola Sottosezione Polizia Stradale di Firenze, nel corso del 2005, ha contestato 572 violazioni a tale norma, segno che l’azione di repressione continua ad essere decisa. Permane dunque una certa trasgressione, ma sono drasticamente diminuiti i morti. Tornando al Monte Bianco, è ovvio che il regolamento del tunnel sia stato profondamente modificato dopo la tragedia del 1999 (Ordinanza n. 8 del Presidente della Società Italiana per Azioni per il Traforo del Monte Bianco del 1° marzo 2002 con le modifiche e integrazioni entrate in vigore il 23 agosto 2005), ma l’esempio della fattibilità dell’azione è mutuabile ad ogni tratto di strada, in maniera particolare nei black spot di autostrade e delle principali arterie. All’interno del traforo, l’utente calcola la giusta distanza con il veicolo che precede grazie ad un particolare sistema di luci piazzate sulle pareti della volta (di colore azzurro), che danno l’esatta posizione rispetto al veicolo davanti. Anche il limite di velocità, nel tunnel, è fatto rispettare rigorosamente ed anche il minimo illecito viene perseguito. In alcuni tratti autostradali italiani, la distanza di sicurezza era stata sperimentalmente indicata aggiungendo alla segnaletica orizzontale, e precisamente alcuni cerchi di vernice lungo la striscia longitudinale continua della corsia di emergenza. Analizzando gli ultimi dati Istat disponibili, quelli del 2004 (sic!) si scopre che le cause imputabili al comportamento scorretto del conducente alla guida costituiscono il 91,1 per cento del totale delle cause complessive di incidente. Nell’ambito dei comportamenti errati di guida il 15,1 per cento dei casi è rappresentato dalla guida distratta o andamento indeciso, il 12,2 per cento si riferisce all’eccesso di velocità e l’11,4 per cento delle cause deriva dal mancato rispetto della distanza di sicurezza: sommate insieme, queste tre fattispecie formano un mix letale, ed ognuna aggrava le conseguenze dell’evento. Gli incidenti dovuti al mancato rispetto di questa norma, sono stati nel complesso 32.321, dei quali 22.703 in città e 9.618 su strade extraurbane. In città, proporre la misurazione a fini repressivi della distanza di sicurezza, è assolutamente improponibile, ma sulla viabilità extraurbana – soprattutto autostradale – il discorso è diverso e la risoluzione di questa problematica inciderebbe in maniera determinante sulla sicurezza complessiva. Oggettivamente, un tamponamento in autostrada è cosa ben diversa da quello in città, almeno in linea generale, anche perché il maggior numero di vittime legate a questa “nicchia” lo si rileva in occasione dei cosiddetti esodi, quando cioè il grande volume di traffico induce i veicoli a compattarsi durante la marcia.

*Sovrintendete della Polizia Stradale


da "il Centauro n. 108"


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Lunedì, 22 Gennaio 2007
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