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Articoli 25/01/2007

“Lo spazio di arresto: Fisica & Neuroscienze”

da "il Centauro"
Appunti di Comunicazione Ostensiva
“Lo spazio di arresto: Fisica & Neuroscienze”
di Franco Taggi*

 



Lo spazio di arresto di un veicolo (SDA) è un qualcosa di molto serio. Proprio per questo, al fine di scaldarci i muscoli, lo introdurremo con una battuta: “Dicesi “spazio di arresto” la lunghezza del percorso effettuato da un malvivente prima che sia bloccato dalle Forze dell’Ordine”. Agghiacciante, vero? Sono d’accordo. Decisamente, le battute non sono il mio forte. Ma ancora più agghiacciate, per le conseguenze che ne derivano, è l’idea che la gran parte di noi ha del concetto di “spazio d’arresto”. In statistica, quando si vuol mettere in luce il carattere di variabilità di qualcosa, si usano in genere tre termini: casuale, aleatorio, stocastico. Io credo che nell’immaginario collettivo il termine “casuale” sia percepito come a casaccio; “aleatorio”, invece, fa pensare più ad un risultato probabilmente negativo: può accadere, ma non sperarci troppo; “stocastico”, poi, pur derivando dal greco, sembra una parolaccia in romanesco. Tuttavia, quanto correttamente sotteso da questi tre termini calza a pennello per descrivere la scarsa prevedibilità dello spazio di arresto. In effetti, valutare quale sarà questo spazio, grandezza fondamentale nel determinare o meno una collisione quando si verifica una condizione critica sulla strada, non è poi così affidabile perché esso dipende da tante, ma proprio tante condizioni. Questa variabilità dello SDA è una sorta di spada di Damocle sul nostro capo: se c’è un oggetto fisso a distanza d (da quando cominciamo a percepire la sua presenza), quando SDA<= d, allora tutto bene; quando SDA>d, allora l’impatto è sicuro; e più grande sarà la quantità (SDA-d), peggio andranno le cose. Negli studi sulla sicurezza stradale si richiamano sempre tre macrofattori che possono concorrere a determinare l’incidente: l’Uomo, l’Ambiente, il Veicolo. Era ubriaco? Il fattore è l’Uomo. C’era una buca? Il fattore è l’Ambiente. Si sono rotti i freni? Il fattore è il Veicolo. Più o meno, in ogni incidente, tutti e tre i fattori sono presenti (con peso diverso), interagendo tra loro. E sistematicamente quello che prevale è il primo (l’Uomo), quasi sempre verificabile quando si analizzi a fondo la genesi di ciò che è successo sulla strada. Tornando allo spazio di arresto, questo trae la sua caratteristica di difficile prevedibilità dal fatto che dipende fortemente da tutti e tre i macrofattori visti. Dimenticando la fantozziana definizione data all’inizio, formuliamone un’altra: “Dicesi spazio di arresto la distanza percorsa dal veicolo dal momento in cui il conducente inizia a percepire una situazione critica sino a quando il veicolo si ferma”. Se riflettiamo bene, sia la parte iniziale, sia quella finale di questa definizione risultano sottendere grande variabilità. Certamente, a fronte della stessa situazione critica, qualcuno se ne accorgerà prima, qualcuno dopo; lo stesso, alcuni riusciranno a fermarsi o a modificare la traiettoria, evitando la collisione, altri collideranno. Peraltro, uno stesso conducente potrà avere nel tempo reazioni più o meno pronte, e prendere decisioni differenti a fronte della stessa situazione. Nel seguito, per comprendere meglio come vadano le cose, esamineremo da vicino tutta una serie di aspetti che nei fatti determinano lo spazio di arresto del veicolo; e dal tutto si comprenderà meglio del perché questa grandezza sia estremamente variabile. Quello che prenderemo in considerazione può sin d’ora essere suddiviso in due parti: - la prima (spazio di reazione) relativa alla messa in luce della situazione critica e all’avviare i provvedimenti del caso (che in questa sede consisteranno nel cercare di arrestare il veicolo); - la seconda (spazio di frenata), relativa al puro scaricamento (grazie all’attrito) dell’energia cinetica accumulata dal veicolo stesso. Il tutto verrà svolto nell’ipotesi che ad una certa distanza vi sia un ostacolo fisso.

Spazio di reazione: rendersi conto di una situazione critica e prendere provvedimenti

Rendersi conto di una situazione critica… prendere provvedimenti...: sembra facile, ma il tutto sottende una elevata complessità, che il nostro cervello deve gestire. Guidare in sicurezza, infatti, presuppone lo svolgersi ciclico di quattro fasi in cascata: percepire, riconoscere, decidere, agire. Chiariamo meglio il tutto su un esempio. Mario Rossi è in autostrada e sta viaggiando a 100 km/h (il che equivale a dire che si muove a 28 metri al secondo). Davanti a lui, sulla sua traiettoria, c’è un TIR che, per uno sbandamento, ha occupato di traverso la corsia. Sotto quali condizioni Mario Rossi eviterà la collisione? In primo luogo, egli deve percepire la presenza del TIR: le sue rétine debbono cioè essere prima colpite dai quanti di luce (fotoni) provenienti da quest’ultimo (e da tutto il resto…) per poi trasmettere i segnali al cervello. Quando questo accade, Mario Rossi non sa ancora che ha a che fare con un TIR. Per giungere a questo, il suo cervello dovrà analizzare i segnali pervenuti e riconoscere di cosa si tratta. Finito qua? No. Riconosciuto e contestualizzato l’oggetto, dovrà decidere se il tutto costituisca o meno una situazione critica (o che comunque richiede un suo intervento di aggiustamento); e se sì, decidere sul da farsi. In coda a tutto questo, poi, se ritiene che qualcosa debba essere fatto… deve anche farlo. E solo qualche istante dopo che il suo cervello avrà dato l’ordine di “fare”, preme finalmente il suo piede sul pedale del freno. Questa catena fondamentale di fasi ora descritta l’abbiamo battezzata col nome di “Catena PERIDEA”© , (PErcezione- RIconoscimento-DEcisione-Azione), in modo che la si possa ben ricordare rammentando frasi comuni, del tipo “Neanche per idea!”. Dovrebbe essere ben chiaro che più è lungo lo svolgimento temporale di questa catena (la cui durata viene di solito indicata come “tempo di reazione”… talora “tempo morto”), tanto più avanti comincerà la frenata vera e propria. Quanto più avanti? Dipende… dipende dalla velocità a cui stiamo muovendoci. Andando a 100 km/h, se la PERIDEA dura un secondo, cominceremo a frenare dopo aver percorso 28 metri; se dura due secondi, dopo 56 metri. Questo spazio (lo spazio di reazione) è il prodotto della velocità del veicolo per il tempo di reazione del conducente. A questo punto, dovrebbe essere ben chiaro come sia indesiderabile qualunque condizione porti ad allungare la durata della catena PERIDEA (o, che è lo stesso, a dilatare il tempo di reazione). Ad esempio, se non stiamo guardando la strada perché stiamo osservando una mappa, raccogliendo qualcosa caduto nell’abitacolo, cambiando stazione radiofonica, inserendo nel lettore un CD, accendendoci una sigaretta, parlando col passeggero guardandolo, osservando un’immagine su un videofonino, mandando un SMS col cellulare (succede anche questo!) ed altro ancora, la PERIDEA non si attiva perché l’informazione (i fotoni) non arriva alle retine (e la luce si propaga in linea retta, effetti relativistici a parte). Conseguenza importante di questa nostra distrazione è che, finché non torniamo a guardare la strada non si attiva la fase di “percezione”, e la PERIDEA resta bloccata. E il tempo passa. Ma supponiamo che questa fase si attivi (ora stiamo percependo): dobbiamo ancora riconoscere di cosa si tratti. Se siamo “lucidi” sarà un conto; se avremo bevuto alcolici, preso sostanze, se saremo particolarmente stanchi, se la nostra attenzione sarà divisa tra strada e qualcos’altro (ad esempio, una conversazione telefonica), ecc. ecc., il nostro cervello avrà qualche difficoltà ad analizzare i segnali e ad effettuare il “riconoscimento” necessario. E il tempo passa. Il tutto, poi, si potrà riverberare anche sulla fase successiva, quella della “decisione” sul da farsi, ritardandola; come pure, sull’avvio dell’azione, che non sarà delle più brillanti. Morale della favola: quale sarà al momento il nostro tempo di reazione non è che sia proprio ben determinato. Prestare costante attenzione alla strada e mantenersi in buone condizioni psicofisiche, appaiono quindi sin d’ora condizioni irrinunciabili per la nostra sicurezza (e per quella degli altri). Molti (specie tra i giovani) fanno grande conto sulla rapidità dei loro riflessi. E spesso, che i loro tempi di risposta siano davvero brevi non è un’illusione: magari sono delle “spade” con i videogiochi, o hanno stracciato macchinette che misurano i tempi di reazione, con risultati degni di un campione di Formula Uno. Tutto bene, per carità: ma… c’è un “ma”. Infatti, queste esperienze non ci assicurano che risponderemo sempre prontamente a tutte le diverse (e inaspettate) situazioni che il condurre un veicolo può proporci, bensì che risponderemo prontamente sotto condizioni di elevata attenzione, dove ci aspettiamo di percepire qualcosa e sappiamo già cosa fare in risposta. Riflettiamo bene sulla cosa. Stiamo misurando con un apposito apparecchio elettronico la rapidità dei nostri riflessi. Ebbene, siamo lì davanti aspettando che esca il segnale (sonoro o luminoso) cui dobbiamo reagire; peraltro, a fronte del segnale stesso, sappiamo già cosa fare (per esempio, premere un pulsante). Le condizioni percettive sono ottimali, l’azione è ovvia; da riconoscere e decidere non c’è nulla. Stiamo, in sostanza, misurando in vitro qualcosa di puramente fisiologico, solo in parte connesso a quanto si potrà realizzare nel mondo reale, dove un aspetto importante, come visto, è inquadrare prontamente una situazione (una delle tantissime, talora mai prima sperimentata) in cui possiamo venirci a trovare. Tanto per comprendere meglio questo aspetto fondamentale, immaginiamo che il tempo di reazione di Mario Rossi sia, in condizioni ottimali, addirittura pari a mezzo secondo. Sotto questa ipotesi, a 100 km/h egli inizierà la frenata dopo aver percorso 14 metri. Facciamo ora un piccolo esperimento per capire che succede se Mario Rossi si abbassa a raccogliere qualcosa che gli è caduto nell’abitacolo, ad esempio una sigaretta. Se non avete un cronometro, ricordatevi che il secondo non si “batte” con “Uno, due, tre…”: così è troppo veloce. Lo misurate meglio con “Trecentouno, trecentodue, trecentotre…” (provare per credere). Adesso, occhio alla lancetta dei secondi del vostro orologio o contate su base “Trecento…”. Da seduti, fate cadere qualcosa sul pavimento (per esempio, una matita), chinatevi a raccoglierla, rialzatevi e controllate il tempo trascorso. Io l’ho fatto e, su 10 prove, ho impiegato mediamente 3.5 secondi (singoli tempi: da 3 secondi a 5 secondi). Ora, se questo accadrà anche a Mario Rossi, egli reagirà sempre in mezzo secondo nel momento in cui guarda la strada, ma avrà perso i 3.5 secondi per la faccenda della sigaretta. Sicchè, sono 3.5 s + 0.5 s = 4 s. Conseguenza di questo: Mario Rossi comincerà a frenare dopo… 112 metri! Si osservi che questo risultato è ottimistico, perché l’esperimento fatto è sempre una semplificazione: la matita sapete dov’è e la si prende bene (la sigaretta, un po’ meno…); l’evento non è inaspettato; quello che dovete fare vi è noto (raccoglierla). Ma le cose possono andare anche peggio: se Mario Rossi non è sobrio, ci metterà ancor più tempo per raccogliere la sigaretta e reagirà meno prontamente. Supponiamo che il suo tempo di reazione sia nelle nuove condizioni pari a 1 secondo e che, visto che è un po’ brillo, raccolga la sigaretta in 4.5 secondi, egli comincerà a frenare dopo 154 metri. Avete letto bene: 154 metri. Forse, questo esempio può fornire una parziale risposta a certe domande, tipo: “Ma come è potuto succedere?”.

Spazio di frenata: scaricare tutta l’energia cinetica accumulata

 Il tempo di reazione è una caratteristica individuale che, come visto, può largamente variare in base allo stato del conducente e a situazioni contingenti che ne impegnano l’attenzione. Ma ora, finalmente, il piede è sul freno. Anche se le diverse persone possono avere diversa abilità nel frenare, lo svolgimento di questa operazione è sostanzialmente dominato dalla fisica. Detto in parole povere, per muoversi bisogna trasmettere al veicolo dell’energia (e questo lo si fa tramite l’acceleratore); per fermarsi bisogna scaricarla completamente (cosa che si fa coi freni, trasformando per attrito questa energia in calore). Un veicolo che si muove ad una certa velocità possiede un’energia di movimento (detta “energia cinetica”) che dipende dalla sua massa e dal quadrato della sua velocità. Ed ecco una prima riflessione da fare, derivante dalla presenza del termine quadratico: se andate ad una certa velocità e vi dovete fermare, dovrete restituire per attrito tutta la vostra energia cinetica, che indicheremo con E; se la velocità è doppia, non dovrete – come sembrerebbe a prima vista – restituire 2E, bensì 4E! Se raddoppia la velocità, l’energia da smaltire è quattro volte tanto. Tradotto in spazio ne consegue che se ad una certa velocità lo spazio di frenata è 25 metri, ad una velocità doppia i metri diventano 100 (e non 50, come potrebbe sembrare a prima vista). Peraltro, più la macchina è “carica” (persone e cose) maggiore sarà l’energia cinetica posseduta. La conclusione è, quindi, che quando cominciate a smaltire l’energia cinetica del veicolo, voi c’entrate ormai ben poco (dovete solo continuare a frenare…): il risultato dipende essenzialmente dall’Ambiente (fondo stradale e condizioni meteorologiche) e dal Veicolo (tipo e stato dell’impianto frenante e pneumatici). Ed eccoci, così, ad una seconda importante riflessione: tutto quello che non facilita la conversione dell’energia cinetica in calore produrrà guai (che è come dire: meno attrito c’è, peggio vanno le cose). E allora, se questo è vero, sullo spazio di frenata possono influire negativamente, tra i diversi fattori: - il tipo di manto stradale e il suo stato di manutenzione (es. manto poco “rugoso”); - le condizioni del tempo (es. manto stradale bagnato o ghiacciato); - condizioni particolari del manto stradale (es. presenza di macchie d’olio o fanghiglia); - pneumatici (es. pressione inadeguata, battistrada consumato); - impianto frenante (es. non in perfetta efficienza). C’è poi una terza riflessione da fare: se lo spazio di frenata dipende solo dalla fisica, allora data una certa velocità, a parità delle altre condizioni, questo spazio sarà sempre (più o meno) quello. La fisica è democratica: sia che voi siate un Rossi di nome Mario, sia che voi siate un Rossi di nome Valentino, quell’energia avete chiesto ed ottenuto dalla Banca della Natura, quell’energia dovrete restituire. E, se si fanno i conti nel dettaglio, si può vedere che all’aumentare della velocità (sin dai 50 km/h) lo spazio di frenata diviene, sorprendentemente, la gran parte dello spazio di arresto (i riflessi contano sempre meno).

Discussione e Conclusioni

 Da quanto è stato esposto, spero risulti chiaro che arrestare un veicolo presenta un elevato grado di incertezza, dato dal fatto che lo spazio di frenata è un qualcosa di molto variabile, come pure lo spazio di reazione. Che fare, dunque, per viaggiare sul nostro mezzo mantenendo elevata la sicurezza? Fondamentalmente, io credo, siano due le cose importanti: il cervello e lo spazio.Un cervello attento e cosciente, infatti, è la base di tutto, la premessa di ogni nostra sicurezza; e non soltanto nella guida (per esempio, l’alcol può combinarci dei guai non solo sulla strada, ma anche sul lavoro e in altro). Lo spazio, invece,… è quello che ci serve per arrestare il veicolo senza andare contro qualcosa: meno ne occorre, meglio è. Ma spazio ne possiamo guadagnare molto mantenendo una ragionevole distanza di sicurezza, andando a velocità contenuta (minore sarà la velocità, molto prima ci fermeremo), tenendo in buon ordine il nostro veicolo. Non sempre il buonsenso ci indica come stanno veramente le cose: ad esempio, esso serve poco o nulla in Meccanica Quantistica, come pure per certi aspetti della Teoria della Relatività o della Logica. Ma questi campi sono una sorta di eccezione alla regola. Nella vita di tutti i giorni il buonsenso serve, eccome. In fondo, l’Evoluzione ci ha premiati anche perché abbiamo dimostrato (qualche volta…) di possederne. E quando il buonsenso, poi, coincide con quello che la Scienza ci indica, come avviene per la sicurezza stradale, allora ne dovremmo fare ancor più tesoro. Per noi e, soprattutto, per gli altri.

*Direttore del Reparto “Ambiente e Traumi”
Dipartimento Ambiente e connessa Prevenzione Primaria Istituto Superiore di Sanità

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Nota 1: questo articolo è tratto dal libro “L’Onda Lunga del Trauma: Prima, Durante, Dopo, Poi… e Poi Ancora”, a cura di Franco Taggi e Pietro Marturano (di prossima pubblicazione).
Nota 2: i principi e gli obiettivi della Comunicazione Ostensiva sono stati descritti nell’articolo: F.Taggi “Per una comunicazione “ostensiva” dei messaggi sulla sicurezza stradale (e non solo)”, in F.Taggi (a cura di) “Sicurezza Stradale: verso il 2010”, ed. ISS, 2005, pag. 239-250, scaricabile dal sito
www.iss.it/stra).
Nota 3: quello che è stato qui riportato rappresenta una semplificazione, e non è certo una trattazione esaustiva dell’argomento. Ad esempio, non è stato considerato un aspetto che sarà bene tenere sempre presente guidando: lo spazio di arresto… dell’altro veicolo.
Nota 4: per trasformare i km/h in metri al secondo (m/s), basta moltiplicarli per il fattore 0.28 o, il che è più o meno è lo stesso, per 0.3. Quindi, se siamo a 50 km/h… 50*0.3=15… ci muoviamo a circa 15 m/s.
 Nota 5: che lo spazio di frenata diventi, all’aumentare della velocità, la gran parte dello spazio di arresto è spiegato in dettaglio nell’articolo: F.Taggi “Velocità e Sicurezza Stradale: alcune riflessioni”, Polizia Sicurezza Sanitaria 83, 52-61 (2005); reperibile anche in F.Taggi (a cura di) “Sicurezza Stradale: verso il 2010”, ed. ISS, 2005, pag. 216-228, scaricabile dal sito
www.iss.it/stra;
Nota 6: la Catena PERIDEA ©ISS è stata per la prima volta introdotta nell’articolo: F.Taggi, Pietro Marturano “La percezione del rischio e il rischio della percezione: il caso della sicurezza stradale”, in F.Taggi (a cura di) “Aspetti sanitari della sicurezza stradale”, ed. ISS, 2003, pag. 355-362, scaricabile dal sito
www.iss.it/stra).
Nota 7: altri nostri articoli su vari temi della sicurezza stradale possono essere scaricati anch’essi dal sito:
www.iss.it/stra


da "il Centauro n. 108"


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di Franco Taggi

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Appunti di Comunicazione Ostensiva
Giovedì, 25 Gennaio 2007
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