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Centauro" Indulti e rotonde di Michele Leoni* |
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Gli atti di clemenza di questo genere (indulti, amnistie), normalmente, intervengono quando c’è la necessità di riconciliare opposte componenti (parti politiche, etnie, confessioni religiose) all’interno di un popolo che deve convivere nello stesso territorio, quando questo popolo esce da esperienze cruente o fratricide (dittature, guerre civili, rivoluzioni). Ricordiamo l’amnistia del ministro della giustizia Palmiro Togliatti all’indomani della fine della seconda guerra mondiale. Ricordiamo le Commissioni per la Verità e la Riconciliazione nel Sudafrica di Mandela, subito dopo la fine dell’apartheid, dove vittime e carnefici venivano, in assoluta libertà, chiamati a confrontarsi per riconciliarsi. Ma qui, in Italia, in questo periodo storico, perché noi dobbiamo essere clementi? Siamo usciti da una rivoluzione? No. Siamo usciti da una guerra civile? No. Siamo usciti da una dittatura? No. E allora? Con chi, e perché dobbiamo essere clementi? Con chi dobbiamo tutti riaffrattellarci? Con spacciatori e rapinatori, forse? Tra l’altro, stiamo vivendo un periodo storico assai “congiunturale” per quanto riguarda la criminalità. E’ in atto un’escalation della delinquenza legata ai clandestini, la quale sta assumendo dimensioni e modalità assolutamente imprenditoriali. L’infiltrazione terroristica è un altro fronte scottante, che pone a rischio tutta la società. Senza contare i nostri handicap irrisolti, criminalità mafiosa e colletti bianchi. Con tutto questo, noi ci mettiamo a “fare i clementi”. Attenzione, poi. E’ stato emesso un provvedimento di indulto, non un’amnistia (ad esempio, per i reati minori), con la quale, almeno, si sarebbe dato respiro al lavoro della magistratura, deflazionando il carico giudiziario e rendendo, almeno per un po’, più veloci i processi. No, con l’indulto le aule giudiziarie continueranno ad esser affogate di carte, con emissione di sentenze di condanna, per le quali, però, la pena non sarà applicata. Siamo sinceri, allora. L’indulto è stato promulgato a causa del sovraffollamento delle carceri. Perché lo Stato non ha costruito tanti penitenziari quanto ne occorrevano per fare fronte all’ingravescente aumento della popolazione carceraria, fenomeno noto e arcinoto da decenni. Perché ha speso i soldi altrove, per anni, per decenni (Cassa per il mezzogiorno, cattedrali nel deserto, appalti inutili, tangenti, tanto per non essere ripetitivi). Lo Stato, quindi, qui, non è stato clemente. E’ stato semplicemente inefficiente. In particolare, è venuto meno a un preciso obbligo che gli impone la Costituzione (art. 27c. 3), rieducare il condannato attraverso la pena. Si tratta di un dovere costituzionale, ma prima di tutto morale. Lo Stato, oltre che inefficiente, quindi, è stato anche inadempiente. Ma la pena, ha affermato tante volte la Corte Costituzionale, non ha solo una funzione rieducativa. La pena ha una natura polifunzionale, fra le sue funzioni c’è anche la difesa sociale, ossia di preservare la società da persone che sono pericolose e vanno rieducate. E veniamo alla domanda finale. Quanto costa un penitenziario? Non lo so. Però, possiamo fare un rapido calcolo, molto, molto approssimativo prendendo come base il costo delle rotonde, moltiplicandolo per il numero delle città di provincia che ci sono in Italia, aggiungendo una stima delle rotonde che ci possono essere nelle città più grandi e nelle metropoli, chiedendo se non sarebbero sufficienti per le esigenze del traffico, la metà delle rotonde che ci sono e che ci saranno. Verrà fuori una cifra nell’ordine di miliardi di euro, sicuramente. Ci si può quindi chiedere quanti penitenziari potrebbero essere costruiti con questo “taglio di spesa”. E’ questa una domanda legittima. Chiediamoci anche: la società è più sicura con tante rotonde e rotondine ad ogni incrocio (traffico snellito e quant’altro), oppure con i condannati che scontano la loro pena, grave, e “si rieducano”? *Gip presso il Tribunale di Forlì da "il Centauro n. 108" |
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