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Articoli 31/01/2007

Indulti e rotonde

da "il Centauro"
Indulti e rotonde
di Michele Leoni*



Diceva una vecchia canzone di Celentano degli anni Sessanta: “prendo il giornale e leggo che…”. Bene, ho preso un giornale assolutamente a caso, “La Gazzetta di Modena” del 13 ottobre 2006, e ho letto, sempre assolutamente a caso: “il 15 maggio prendono il via i lavori per la realizzazione di tre nuove rotatorie in città. Due saranno costruite agli incroci della strada statale 12 Nuova Estense con via Morane e con strada Contrada, mentre la terza riguarderà l’incrocio di via Fratelli Rosselli, Panni e Salvo D’Acquisto. A completamento delle opere, inoltre, è previsto anche un attraversamento ciclopedonale all’altezza dell’incrocio tra via Morane e la Nuova Estense. I lavori avranno un costo complessivo di 3 milioni e 188mila euro. Le due rotatorie all’incrocio con la Nuova Estense, la prima sulle Morane e la seconda su strada Contrada, sono state dimensionate tenendo conto del volume di traffico che, nelle ore di punta, raggiunge il picco di 2711 auto l’ora. Entrambe le rotatorie avranno un diametro di 80 metri, un anello di circolazione largo 10 metri e un aiuola centrale del diametro di 60 metri.” Eccetera, eccetera. Dunque, più o meno un milione di euro a rotonda, ho pensato. Ho riflettuto. Nessuno discute dell’efficacia delle rotonde (alias rotatorie). Snelliscono il traffico, riducono i tempi di attesa, abbassano l’inquinamento (da inutili emissioni di gas da fermi), diminuiscono il numero e soprattutto la pericolosità degli incidenti, e via discorrendo. Però a me (e a tanti altri con cui mi capita di parlare) sembra che non tutte le rotonde siano così necessarie. Indispensabili, provvidenziali. Alcune (molte, in verità) vengono costruite in piccoli incroci a non alta densità di traffico, altre creano invece una gran confusione, con il loro corollario di svincoli del tutto improbabili. Altre ancora, in certe ore, non accelerano assolutamente la marcia, ma creano code che richiedono attese superiori a quelle, “certe”, che imponevano, e ancora impongono, i vecchi semafori con le loro cadenze. Quante rotonde ci saranno in una città di provincia, di centomila abitanti o giù di lì? Trenta? Quaranta? Se così è, ciò significa che vi sono stati costi per circa trenta, quaranta milioni di euro. Okay. Alcuni mesi fa ho preso il giornale e ho letto che è uscita la legge 241 (del 2006), che ha previsto l’indulto per tutta una serie di gravi reati, fra cui rapina a mano armata e spaccio di droga. Reati mica da ridere. Tanti criminali “di razza” sono usciti e altri usciranno ancora. Per un bel po’ si emetteranno sentenze dove, a fronte di una condanna grave, occorrerà dichiarare condonata la pena. Ho anche letto che un’autorevole carica istituzionale ha definito questo indulto “un grande atto di clemenza, un grande atto di civiltà”. Un altro autorevole politico (un ministro) ha dedicato l’indulto addirittura alla memoria di Karol Woityla. Altre riflessioni.

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Gli atti di clemenza di questo genere (indulti, amnistie), normalmente, intervengono quando c’è la necessità di riconciliare opposte componenti (parti politiche, etnie, confessioni religiose) all’interno di un popolo che deve convivere nello stesso territorio, quando questo popolo esce da esperienze cruente o fratricide (dittature, guerre civili, rivoluzioni). Ricordiamo l’amnistia del ministro della giustizia Palmiro Togliatti all’indomani della fine della seconda guerra mondiale. Ricordiamo le Commissioni per la Verità e la Riconciliazione nel Sudafrica di Mandela, subito dopo la fine dell’apartheid, dove vittime e carnefici venivano, in assoluta libertà, chiamati a confrontarsi per riconciliarsi. Ma qui, in Italia, in questo periodo storico, perché noi dobbiamo essere clementi? Siamo usciti da una rivoluzione? No. Siamo usciti da una guerra civile? No. Siamo usciti da una dittatura? No. E allora? Con chi, e perché dobbiamo essere clementi? Con chi dobbiamo tutti riaffrattellarci? Con spacciatori e rapinatori, forse? Tra l’altro, stiamo vivendo un periodo storico assai “congiunturale” per quanto riguarda la criminalità. E’ in atto un’escalation della delinquenza legata ai clandestini, la quale sta assumendo dimensioni e modalità assolutamente imprenditoriali. L’infiltrazione terroristica è un altro fronte scottante, che pone a rischio tutta la società. Senza contare i nostri handicap irrisolti, criminalità mafiosa e colletti bianchi. Con tutto questo, noi ci mettiamo a “fare i clementi”. Attenzione, poi. E’ stato emesso un provvedimento di indulto, non un’amnistia (ad esempio, per i reati minori), con la quale, almeno, si sarebbe dato respiro al lavoro della magistratura, deflazionando il carico giudiziario e rendendo, almeno per un po’, più veloci i processi. No, con l’indulto le aule giudiziarie continueranno ad esser affogate di carte, con emissione di sentenze di condanna, per le quali, però, la pena non sarà applicata. Siamo sinceri, allora. L’indulto è stato promulgato a causa del sovraffollamento delle carceri. Perché lo Stato non ha costruito tanti penitenziari quanto ne occorrevano per fare fronte all’ingravescente aumento della popolazione carceraria, fenomeno noto e arcinoto da decenni. Perché ha speso i soldi altrove, per anni, per decenni (Cassa per il mezzogiorno, cattedrali nel deserto, appalti inutili, tangenti, tanto per non essere ripetitivi). Lo Stato, quindi, qui, non è stato clemente. E’ stato semplicemente inefficiente. In particolare, è venuto meno a un preciso obbligo che gli impone la Costituzione (art. 27c. 3), rieducare il condannato attraverso la pena. Si tratta di un dovere costituzionale, ma prima di tutto morale. Lo Stato, oltre che inefficiente, quindi, è stato anche inadempiente. Ma la pena, ha affermato tante volte la Corte Costituzionale, non ha solo una funzione rieducativa. La pena ha una natura polifunzionale, fra le sue funzioni c’è anche la difesa sociale, ossia di preservare la società da persone che sono pericolose e vanno rieducate. E veniamo alla domanda finale. Quanto costa un penitenziario? Non lo so. Però, possiamo fare un rapido calcolo, molto, molto approssimativo prendendo come base il costo delle rotonde, moltiplicandolo per il numero delle città di provincia che ci sono in Italia, aggiungendo una stima delle rotonde che ci possono essere nelle città più grandi e nelle metropoli, chiedendo se non sarebbero sufficienti per le esigenze del traffico, la metà delle rotonde che ci sono e che ci saranno. Verrà fuori una cifra nell’ordine di miliardi di euro, sicuramente. Ci si può quindi chiedere quanti penitenziari potrebbero essere costruiti con questo “taglio di spesa”. E’ questa una domanda legittima. Chiediamoci anche: la società è più sicura con tante rotonde e rotondine ad ogni incrocio (traffico snellito e quant’altro), oppure con i condannati che scontano la loro pena, grave, e “si rieducano”?
*Gip presso il Tribunale di Forlì

da "il Centauro n. 108" 


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Mercoledì, 31 Gennaio 2007
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