Forse il nome può apparire un
poco strano ma a chi ha vissuto - e vive - le drammatiche conseguenze di una
grave lesione spinale o cerebrale, questo nome appare quasi familiare: stiamo
parlando di Montecatone o per la precisione del “Montecatone
Rehabilitation Institute”, l’istituto ospedaliero più importante
d’Italia specializzato nel trattamento delle mielolesioni, in larga parte sono
dovute ai danni da incidente stradale. La struttura si trova nel bel mezzo di
un parco secolare, sulle prime pendici dell’Appennino emiliano che sovrasta la
città di Imola ed è facilmente raggiungibile dall’autostrada A/14 che collega
Bologna con la Romagna. Sono tante le peculiarità di questo ospedale, a
cominciare dal fatto che dal 1997 è gestito da una società per azioni a
capitale misto (pubblico e privato). Attenzione però a non farsi trarre in
inganno: la struttura è a tutti gli effetti pubblica e funziona secondo gli
schemi del servizio sanitario nazionale. Questa inconsueta forma di
collaborazione imprenditoriale tra ente pubblico e interesse privato, ha
permesso all’ospedale di Montecatone di rendere più vicine fra loro competenze
e professionalità, oltre che di sviluppare in modo costante quelle potenzialità
qualitative che lo hanno portato ai massimi livelli in Italia ma anche nel
resto d’Europa. Sono poche, infatti, le altre strutture ospedaliere italiane ed
estere di riferimento nel settore delle mielolesioni e non è un caso se a
Montecatone giungono pazienti che provengono anche al di fuori dei confini
nazionali. Molti di questi sono giovani e la ragione del loro ricovero è quasi sempre
la stessa: lesioni derivanti da incidente stradale. Proprio a seguito
dell’elevata richiesta di servizi, nel 2001 si è sentita l’esigenza di
ristrutturare uno dei padiglioni di questo presidio medico che fino a vent’anni
fa ospitava il cosiddetto “sanatorio”, aumentando in questo modo l’efficienza e
soprattutto la capienza della struttura. Oggi l’ospedale di Montecatone è
dotato di 150 posti letto a cui ne vanno aggiunti altri 8 per il day hospital
riservato ai casi meno gravi o per i quali è possibile lasciare che il paziente
continui le terapie anche da casa, con costanti ricoveri giornalieri per
verificare la progressione dei risultati. L’edificio principale è sviluppato su
sei piani suddivisi in camere, palestre, percorsi e servizi di supporto, così
da rendere più confortevole non solo il soggiorno dei pazienti ma anche
l’attesa e soprattutto l’impegno nel percorso riabilitativo dei familiari.
Infatti, questa è un’altra delle peculiarità dell’ospedale di Montecatone, che
ha saputo impostare i progetti di assistenza al paziente secondo le esigenze
non soltanto mediche ma anche di carattere personale e familiare, con
un’attenta valutazione di ciò che la famiglia può offrire al paziente sia
durante la degenza che una volta giunto a casa. In poche parole, anche se in
maniera forse un poco semplicistica, potremmo dire che la “terapia” viene
decisa dal medico, dal paziente e con l’aiuto del familiare. “All’interno
dell’ospedale - come ci ha spiegato inizialmente il dottor Roberto
Pederzini, direttore sanitario della struttura - non esiste un’area
chirurgica, tantomeno la possibilità di interrelazione funzionale con altre
specialità mediche presenti nei normali ospedali. Tuttavia, a Montecatone si è
cercata ed ottenuta una forte specializzazione nel trattamento del mieloleso
per causa traumatica, grazie soprattutto ad un percorso riabilitativo
innovativo.”
Il dottor Roberto Pederzini, direttore
sanitario della struttura ospedaliera
In effetti l’ospedale è organizzato per aree che corrispondono alle diverse intensità
riabilitative. La prima è l’area intensiva, vale a dire un’unità operativa
capace di ospitare fino a 18 pazienti (8 nella terapia intensiva e 10 in quella
sub-intensiva), dove vengono ricoverati mielolesi o cerebrolesi provenienti
dalle riabilitazioni di ospedali per acuti ed ancora in fase di instabilità
clinica, che spesso necessitano di ventilazione assistita. Si tratta
essenzialmente di pazienti che pur avendo completato la fase chirurgica, sono
ancora fortemente instabili sotto il profilo clinico e non autonomi per le
funzioni vitali di base. Coloro che superano la fase di dipendenza respiratoria
vengono poi trasferiti nell’area acuti, mentre quanti sono afflitti da
particolari e gravi difficoltà vengono ricoverati nell’area sub-intensiva.
L’area acuti è suddivisa nell’unità operativa per pazienti mielolesi (44 posti
letto) ed in quella per pazienti con grave cerebrolesione acquisita (22 posti
letto), dove tutti hanno raggiunto l’autonomia respiratoria e si trovano in
fase di graduale stabilizzazione clinica. Per questo motivo si può iniziare un
trattamento di riabilitazione intensiva che parte dall’attività di palestra
fino alle fasi di rieducazione fisica delle funzioni autonome.
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I pazienti
cerebrolesi, date le peculiarità delle condizioni neuropsicologiche, terminano
il percorso in quest’area, mentre per i mielolesi si aprono le porte dell’area
post-acuti dove l’obiettivo principale è quello di raggiungere il massimo
livello di autonomia individuale per il reinserimento sociale. L’area
post-acuti (66 posti letto di degenza ordinaria più altri 8 di day hospital)
accoglie anche i pazienti mielolesi e cerebrolesi che rientrano in ospedale per
completare il percorso riabilitativo dopo un primo periodo passato nel proprio
domicilio per poter recuperare altre capacità motorie e sperimentare
nell’ambiente familiare le abilità raggiunte. “Tuttavia - prosegue il
dottor Pederzini - per poter accedere a questo reparto occorre avere
raggiunto determinati obiettivi riabilitativi, quali la respirazione autonoma,
l’assenza di nutrizione enterenale e la capacità di mantenere la posizione seduta.”
Ecco perché in questa fase il progetto riabilitativo si arricchisce di
ulteriori attività che concorrono al raggiungimento della massima autonomia
possibile: la terapia occupazionale, l’idrokinesiterapia e la riabilitazione
tramite il gesto sportivo. Su quest’ultimo aspetto vale la pena spendere alcune
parole, data l’ennesima particolarità del progetto di Montecatone: oltre a
rappresentare a tutti gli effetti uno strumento riabilitativo per il rinforzo
della muscolatura, il gesto sportivo favorisce i primi contatti del paziente
con la realtà extraospedaliera e incentiva la socializzazione attraverso la
personale rielaborazione, pure iniziale, di un nuovo progetto esistenziale.
Grazie a particolari convenzioni soprattutto con alcuni enti pubblici imolesi,
i pazienti dell’ospedale possono fruire di uscite settimanali per recarsi nella
piscina pubblica o per esercitarsi nel tiro con l’arco o nella pratica sportiva
del basket. Come se non bastasse, grazie all’apporto di associazioni di
volontariato è stata riccamente organizzata all’interno della struttura
ospedaliera una biblioteca e un’aula informatica che consente di “dialogare”
con altre persone esterne via Internet. Ma c’è di più: attraverso una
convenzione con l’Inail di Vigorso (centro poco distante da Montecatone), i
pazienti possono
fruire di moderne tecnologie e di un adeguato addestramento per il recupero
della patente di guida, così da elevare il livello di reinserimento sociale. Il
rapporto con l’esterno è anche alla base del lavoro dell’equipe medica di
Montecatone, se si pensa che vengono periodicamente organizzati momenti di
incontro e dibattito nelle scuole, mentre da alcuni anni la direzione
dell’ospedale ha elaborato un protocollo con l’università di Bologna che
istituisce all’interno della struttura un polo didattico per l’attività di
diagnosi e cura in ambito neuro-urologico, colonproctologico e psicologico e
l’attivazione di un corso di laurea di I° livello in fisioterapia. Infine,
altrettanto importante è l’istituzione all’interno dell’area ospedaliera della
casa di accoglienza “Anna Guglielmi”, una struttura che ha lo scopo di
accogliere i familiari dei pazienti ricoverati, grazie ad una ricettività
complessiva di 82 posti letto. La struttura fornisce la possibilità di
sperimentare soluzioni abitative in prospettiva di un rientro del paziente al
proprio domicilio e di utilizzare quelle attrezzature che serviranno a
stimolare la sua autonomia all’interno e fuori casa. Il futuro di Montecatone,
invece, è fatto di progetti che intendono migliorare l’efficienza delle aree
integrandole maggiormente fra loro, senza dimenticare l’importante attività di
ricerca sulle mielolesioni, un cammino già iniziato da alcuni medici della
struttura e che se coltivato adeguatamente potrà portare benefici ai tanti
giovani ed a tutti i ricoverati di questa efficiente e splendida struttura
ospedaliera cui dobbiamo andare tutti orgogliosi.
Montecatone
in cifre
Di
seguito riportiamo i principali dati di riferimento dell’attività del “Montecatone
Rehabilitation Institute” registrati nel corso del 2005. Posti letto di
degenza ordinaria: 150 Posti letto in day hospital: 8
Personale medico e sanitario in servizio di continuità
Medici: 32
Infermieri professionali: 105
Operatori socio-sanitari: 64
Fisioterapisti: 57
Logopedisti: 2
Psicologici: 3
Educatori ed ass.ti sociali: 2
Consulenze prof.li esterne: 24
Attività
di ricovero
Totale
dei ricoveri: 1.279 di cui
ordinari: 632 (primi ricoveri e rientri)
day hospital: 647
Indice di occupazione in regime ordinario: 99%
Giornate di degenza: 60.599 di cui
Ordinarie: 54.357
Day hospital: 6.242
Durata
media di degenza in regime ordinario:
giorni 86
Presenza media giornaliera: 148 pazienti
Analisi per tipologia di pazienti
mielolesi: 505 casi con una presenza media giornaliera di 117 unità
cerebrolesi: 106 casi con una presenza media giornaliera di 30 unità altri: 21
casi con una presenza media giornaliera di 3 unità
Provenienza dei pazienti
dall’Emilia Romagna il 37% di cui:
Modena: 30%
Bologna: 24%
Ravenna: 14%
Imola: 9%
Forlì: 8%
Cesena: 5%
Da altre regioni italiane il 61% di cui:
Campania: 11%
Puglia: 10%
Sicilia: 7%
Calabria: 6%
Lazio: 5,5%
Lombardia: 4%
Dall’estero: il 2%
Intervista al dottor Mauro
Menarini coordinatore del dipartimento di riabilitazione di Montecatone
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Il dottor Mauro Menarini, coordinatore
del reparto di riabilitazione
“L’Europa,
analizzandola da nord a sud, fa registrare a partire dai Paesi scandinavi una
prevalenza di 8 lesioni al midollo spinale ogni milione di abitanti, in Italia
siamo attorno ai 30/40 casi, mentre in Turchia e Grecia arriviamo a 50 sempre
per milione di abitanti”
Il
dottor Mauro Menarini, 48 anni sposato e con una figlia, pur avendo svolto
diversi compiti all’interno di strutture ospedaliere, ha cominciato la sua
carriera a Montecatone dove oggi è tornato per ricoprire l’incarico di
coordinatore del dipartimento di riabilitazione. Vive pertanto questa
esperienza in maniera molto personale oltre che professionale.
Dottor Menarini, come si inserisce questa struttura nel panorama nazionale
delle strutture sanitarie dedicate alla riabilitazione?
“Montecatone è oggi la più grossa unità spinale italiana dal punto di
vista numerico, pur non possedendo i reparti tipici dell’emergenza e della
chirurgia. Tuttavia abbiamo in sede tutte le capacità e le professionalità
indispensabili per il trattamento completo della mielolesione. Mi riferisco
alla trattazione dei problemi viscerali, intestinali, andrologici, sessuali, di
pressione arteriosa, di termoregolazione, di cute e di tutte quelle complicanze
che sconvolgono la normale vita del mieloleso che non incontra soltanto
problemi di carattere motorio”.
Quali sono gli aspetti innovativi di questa struttura?
“Abbiamo al nostro interno tutto il corredo sia strumentale che umano
per trattare la mielolesione. Accanto a strutture quali la piscina, la
palestra, la terapia occupazionale, funzionano anche i vari laboratori di
urodinamica neurourologia,
andrologia per i problemi di fertilità del maschio, di analisi e cura
gastrointestinale, di neurofisiologia e siamo in grado di seguire l’intero
ciclo della terapia intensiva che ci permette di accogliere i pazienti subito
dopo l’intervento chirurgico, quando ancora necessitano di ventilazione
assistita. Abbiamo inoltre punte di eccellenza nelle attività legate al
trattamento della spasticità, che ci vede uno dei pochi ospedali ad impiantare
le pompe al baclo, oltre che ad essere all’avanguardia anche nel settore legato
agli aspetti neurourologici. Importante è anche il laboratorio di studio per le
funzioni autonome diretto dal dottor Gabriele Mazzocchi, unico laboratorio di
studio delle disfunzioni gastrointestinali presente all’interno di una unità
spinale. Altrettanto importante è la terapia attraverso il gesto sportivo, che
ci consente di portare i nostri pazienti negli impianti sportivi pubblici dove
si allenano le persone cosiddette normali e questo è di grande aiuto per il
loro reinserimento sociale. Siamo infine impegnati in un progetto di impianto
delle cellule staminali sui mielolesi per trattare una particolare complicanza
che si chiama siringomielia. E’ un progetto ambizioso ma che potrà avere degli
sviluppi molto interessanti per la cura della spasticità”.
Molti
dei pazienti qui ricoverati si trovano sulla sedie a rotelle ed alcuni di loro
in stato comatoso. Quanti tornano in condizioni normali?
“Coloro
che escono con le proprie gambe sono una piccola percentuale non superiore al
5/7 per cento, se invece parliamo di pazienti che tornano a lavorare, anche se
sulla sedia a rotelle, la percentuale sale abbondantemente. D’altro canto la
terapia riabilitativa mira proprio al raggiungimento di questo
obiettivo, cioè di reinserire in maniera adeguata il paziente nella società in
cui viveva prima. Molto dipende però anche dal contesto sociale in cui il
paziente torna a vivere e dalla sua volontà di reazione”.
Dottor
Menarini, al di là dei risultati clinici, come reagiscono questi ragazzi di
fronte ad una malattia così grave?
“Ogni
paziente afflitto da una mielolesione godeva in passato un proprio carattere e
di un personale stile di vita. Successivamente le cose cambiano e inizialmente
si assiste ad un comportamento che potremmo definire standard, nel quale il
paziente ha un’elevata aspettativa di recupero ed è convinto che la
riabilitazione possa sanare ogni suo problema. In realtà, la terapia
riabilitativa accompagna soltanto un recupero spontaneo e non sempre definitivo
e in questo contesto il paziente comincia poi a rendersi conto della situazione
in cui si trova concretamente. E’ questa la fase più delicata poiché si assiste
spesso ad un periodo di depressione che rende difficoltosa la stessa cura
riabilitativa. Anche il momento del ritorno a casa può diventare traumatico,
quando il paziente, specie se giovane, deve affrontare le difficoltà quotidiane
con una mentalità diversa e farsi vedere dagli altri in una veste inusuale fino
a quel momento”.
Lei
da questa esperienza cosa ne ha tratto dal punto di vista umano?
“Personalmente
questo lavoro mi ha accresciuto anche umanamente e non solo dal punto di vista
professionale. Basti pensare al fatto che per antonomasia il medico è colui che
guarisce da una malattia. Noi, invece, siamo a contatto soprattutto con ragazzi
che non guariranno quasi mai e che su di noi pongono tutte le speranze, anche
quelle che talvolta abbiamo difficoltà a intravedere”.
Qual
è il rapporto con le famiglie dei pazienti?
“E’
un rapporto difficilissimo e spesso i genitori dei pazienti più giovani si
aggrappano fortemente speranzosi di notizie sempre nuove e positive. Alcune
famiglie, invece, si gettano in viaggi della speranza da una parte all’altra
del Paese, anche quando noi abbiamo la certezza che si potrà fare poco o nulla
per sanare una situazione irrimediabile. Anche in questo caso, però, molto
dipende dal contesto in cui ci si trova e dalla situazione di ogni nucleo
familiare”.
Per
quanti dei pazienti che si trovano in ospedale a seguito di incidente stradale
la causa è direttamente riferibile alla guida in stato di ebbrezza o sotto
l’influenza di sostanze stupefacenti?
“Come
abbiamo detto nel nostro ospedale giungono persone che sono già state curate
nei reparti d’emergenza-urgenza, ma per ragioni mediche veniamo a conoscenze
dello stato in cui il paziente si trovava al primo ricovero e spesso le cause
derivano da incidenti stradali legati alla velocità eccessiva o alle precarie
condizioni psico-fisiche del conducente. La correlazione tra alcolici e droga
con gli incidenti stradali è molto importante e su questo occorrerebbe lavorare
col massimo delle forze”.
Come
vedo un medico la situazione della sicurezza stradale italiana?
“L’Europa,
analizzandola da nord a sud, fa registrare a partire dai Paesi scandinavi una
prevalenza di 8 lesioni al midollo spinale ogni milione di abitanti, in Italia siamo
attorno ai 30/40 casi, mentre in Turchia e Grecia arriviamo a 50 sempre per
milione di abitanti. E’ un dato molto significativo e che si riallaccia proprio
alle tematiche di sicurezza stradale. D’altro canto, quando vado in Finlandia e
in Svezia vedo strade larghe, con gente rispettosa dei limiti di velocità e
cinture di sicurezza sempre allacciate. Credo pertanto che vi sia una larga
componente della sicurezza legata alla sensibilità dell’automobilista, a cui fa
da contorno un sistema infrastrutturale che probabilmente non è dei più
efficaci e meriterebbe di essere migliorato”.
Parla un giovane in cura a
Montecatone per i postumi di un incidente
“Non
avevo bevuto, ma non avevo le cinture. Forse andavo forte” “Andate piano e
tenete la testa sulle spalle, per evitare di dover poi tenere tutto il corpo su
di una carrozzina!” Mirco
ha 24 anni ed è di Rimini. Dallo scorso luglio si trova ricoverato a
Montecatone dopo avere vissuto la drammatica esperienza di un incidente
stradale. Ora è su di una sedia a rotelle, ma spera presto di poter riprendere
la vita che faceva prima.
Mirco, quando è avvenuto l’incidente stradale di cui sei stato protagonista
e come si è svolto? “Era l’una di notte e avevo appena finito di
lavorare come barista. Mi sono messo in macchina per tornare a casa e
improvvisamente sono stato abbagliato da una vettura che veniva nel senso
opposto. Forse ero anche distratto, fatto sta che ho reagito con una brusca
sterzata e sono finito nel fossato adiacente alla strada, dove purtroppo c’era
un manufatto in cemento per lo scolo delle acque”.
Sei rimasto cosciente?
“Sì, ricordo bene quando sono arrivati i soccorsi ed anche mio padre che
mi chiedevano se riuscivo a muovermi. Ricordo persino di avere spento
l’autoradio che nonostante l’incidente continuava a funzionare. Però non
riuscivo a muovere le gambe”.
Avevi bevuto alcolici prima di metterti alla guida?
“Sembrerà strano visto che di mestiere faccio il barista, ma ti assicuro
che non avevo bevuto nemmeno un goccio. In questo senso sono sempre stato molto
prudente, anche perché gioco a calcio in una categoria abbastanza agonistica e
cerco sempre di essere al meglio della mia forma fisica”.
Andavi forte?
“Forse, anche se non ho mai avuto il piede pesante, certamente ero
distratto, questo sì”.
Avevi le cinture di sicurezza
allacciate?
“Purtroppo no e quando ho avuto l’impatto con quel manufatto sono
scivolato in avanti, averle avute avrei certamente limitato le conseguenze
dell’incidente…” Quali sono i tuoi pensieri da quando sei ricoverato qui
a Montecatone?
“E’ chiaro che nelle prime settimane ti senti distrutto e non è facile
svegliarsi sapendo che dal letto passi a una sedia a rotelle. Inoltre ti
accorgi che il tuo problema non è solo alle gambe ma anche ad altri organi: hai
difficoltà a mangiare ad andare in bagno e fare tutto ciò che prima facevi. Poi
piano piano capisci che devi rimboccarti le maniche e cominciare a reagire e
che la tua guarigione dipende non tanto dalle medicine ma dalle tue forze”.
Ora come stai?
“Le gambe si muovono lentamente e comincio ad ottenere i primi risultati
dalla terapia riabilitativa. Continuo a sperare, ma so che ci vorrà parecchio
tempo…”
Perché tanti giovani continuano ad andare forte per strada e a bere
prima di mettersi alla guida?
“Credo che ognuno pensi sempre che queste cose capitano agli altri e mai
a se stessi. Soltanto quando vivi queste esperienze in prima persona cominci a
capire quanti e quali pericoli si possano incontrare per strada”.
Cosa si potrebbe fare per sensibilizzare di più i giovani?
“Credo che sarebbe una buona cosa dare maggiori informazioni durante il
periodo della scuola guida e far capire loro che in macchina molto dipende
anche dagli altri e non solo da se stessi”. Qual è il messaggio che vuoi
mandare ai tuoi coetanei?
“Innanzitutto andare piano e tenere la testa sulle spalle, per evitare
di dover poi tenere tutto il corpo su di una carrozzina!” Parole sante,
Mirco e speriamo che i nostri lettori, soprattutto i più giovani, possano
ricordarlo. “Non avevo bevuto, ma non avevo le cinture.
Forse andavo forte” “Andate piano e tenete la testa sulle spalle, per evitare
di dover poi tenere tutto il corpo su di una carrozzina!”
da "il Centauro n. 108"
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