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Articoli 02/02/2007

Montecatone Rehabilitation Institute
Un esempio di efficienza sanitaria per le mielolesioni.
La maggior parte degli ospiti è vittima di incidenti della strada

da "il Centauro"
Montecatone Rehabilitation Institute
Un esempio di efficienza sanitaria per le mielolesioni.La maggior parte degli ospiti è vittima di incidenti della strada.

di Roberto Rocchi

 

Forse il nome può apparire un poco strano ma a chi ha vissuto - e vive - le drammatiche conseguenze di una grave lesione spinale o cerebrale, questo nome appare quasi familiare: stiamo parlando di Montecatone o per la precisione del Montecatone Rehabilitation Institute”, l’istituto ospedaliero più importante d’Italia specializzato nel trattamento delle mielolesioni, in larga parte sono dovute ai danni da incidente stradale. La struttura si trova nel bel mezzo di un parco secolare, sulle prime pendici dell’Appennino emiliano che sovrasta la città di Imola ed è facilmente raggiungibile dall’autostrada A/14 che collega Bologna con la Romagna. Sono tante le peculiarità di questo ospedale, a cominciare dal fatto che dal 1997 è gestito da una società per azioni a capitale misto (pubblico e privato). Attenzione però a non farsi trarre in inganno: la struttura è a tutti gli effetti pubblica e funziona secondo gli schemi del servizio sanitario nazionale. Questa inconsueta forma di collaborazione imprenditoriale tra ente pubblico e interesse privato, ha permesso all’ospedale di Montecatone di rendere più vicine fra loro competenze e professionalità, oltre che di sviluppare in modo costante quelle potenzialità qualitative che lo hanno portato ai massimi livelli in Italia ma anche nel resto d’Europa. Sono poche, infatti, le altre strutture ospedaliere italiane ed estere di riferimento nel settore delle mielolesioni e non è un caso se a Montecatone giungono pazienti che provengono anche al di fuori dei confini nazionali. Molti di questi sono giovani e la ragione del loro ricovero è quasi sempre la stessa: lesioni derivanti da incidente stradale. Proprio a seguito dell’elevata richiesta di servizi, nel 2001 si è sentita l’esigenza di ristrutturare uno dei padiglioni di questo presidio medico che fino a vent’anni fa ospitava il cosiddetto “sanatorio”, aumentando in questo modo l’efficienza e soprattutto la capienza della struttura. Oggi l’ospedale di Montecatone è dotato di 150 posti letto a cui ne vanno aggiunti altri 8 per il day hospital riservato ai casi meno gravi o per i quali è possibile lasciare che il paziente continui le terapie anche da casa, con costanti ricoveri giornalieri per verificare la progressione dei risultati. L’edificio principale è sviluppato su sei piani suddivisi in camere, palestre, percorsi e servizi di supporto, così da rendere più confortevole non solo il soggiorno dei pazienti ma anche l’attesa e soprattutto l’impegno nel percorso riabilitativo dei familiari. Infatti, questa è un’altra delle peculiarità dell’ospedale di Montecatone, che ha saputo impostare i progetti di assistenza al paziente secondo le esigenze non soltanto mediche ma anche di carattere personale e familiare, con un’attenta valutazione di ciò che la famiglia può offrire al paziente sia durante la degenza che una volta giunto a casa.
In poche parole, anche se in maniera forse un poco semplicistica, potremmo dire che la “terapia” viene decisa dal medico, dal paziente e con l’aiuto del familiare. “All’interno dell’ospedale - come ci ha spiegato inizialmente il dottor Roberto Pederzini, direttore sanitario della struttura - non esiste un’area chirurgica, tantomeno la possibilità di interrelazione funzionale con altre specialità mediche presenti nei normali ospedali. Tuttavia, a Montecatone si è cercata ed ottenuta una forte specializzazione nel trattamento del mieloleso per causa traumatica, grazie soprattutto ad un percorso riabilitativo innovativo.”

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Il dottor Roberto Pederzini, direttore sanitario della struttura ospedaliera


In effetti l’ospedale è organizzato per aree che corrispondono
 alle diverse intensità riabilitative. La prima è l’area intensiva, vale a dire un’unità operativa capace di ospitare fino a 18 pazienti (8 nella terapia intensiva e 10 in quella sub-intensiva), dove vengono ricoverati mielolesi o cerebrolesi provenienti dalle riabilitazioni di ospedali per acuti ed ancora in fase di instabilità clinica, che spesso necessitano di ventilazione assistita. Si tratta essenzialmente di pazienti che pur avendo completato la fase chirurgica, sono ancora fortemente instabili sotto il profilo clinico e non autonomi per le funzioni vitali di base. Coloro che superano la fase di dipendenza respiratoria vengono poi trasferiti nell’area acuti, mentre quanti sono afflitti da particolari e gravi difficoltà vengono ricoverati nell’area sub-intensiva.
L’area acuti è suddivisa nell’unità operativa per pazienti mielolesi (44 posti letto) ed in quella per pazienti con grave cerebrolesione acquisita (22 posti letto), dove tutti hanno raggiunto l’autonomia respiratoria e si trovano in fase di graduale stabilizzazione clinica. Per questo motivo si può iniziare un trattamento di riabilitazione intensiva che parte dall’attività di palestra fino alle fasi di rieducazione fisica delle funzioni autonome.

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I pazienti cerebrolesi, date le peculiarità delle condizioni neuropsicologiche, terminano il percorso in quest’area, mentre per i mielolesi si aprono le porte dell’area post-acuti dove l’obiettivo principale è quello di raggiungere il massimo livello di autonomia individuale per il reinserimento sociale. L’area post-acuti (66 posti letto di degenza ordinaria più altri 8 di day hospital) accoglie anche i pazienti mielolesi e cerebrolesi che rientrano in ospedale per completare il percorso riabilitativo dopo un primo periodo passato nel proprio domicilio per poter recuperare altre capacità motorie e sperimentare nell’ambiente familiare le abilità raggiunte. “Tuttavia - prosegue il dottor Pederzini - per poter accedere a questo reparto occorre avere raggiunto determinati obiettivi riabilitativi, quali la respirazione autonoma, l’assenza di nutrizione enterenale e la capacità di mantenere la posizione seduta.” Ecco perché in questa fase il progetto riabilitativo si arricchisce di ulteriori attività che concorrono al raggiungimento della massima autonomia possibile: la terapia occupazionale, l’idrokinesiterapia e la riabilitazione tramite il gesto sportivo. Su quest’ultimo aspetto vale la pena spendere alcune parole, data l’ennesima particolarità del progetto di Montecatone: oltre a rappresentare a tutti gli effetti uno strumento riabilitativo per il rinforzo della muscolatura, il gesto sportivo favorisce i primi contatti del paziente con la realtà extraospedaliera e incentiva la socializzazione attraverso la personale rielaborazione, pure iniziale, di un nuovo progetto esistenziale. Grazie a particolari convenzioni soprattutto con alcuni enti pubblici imolesi, i pazienti dell’ospedale possono fruire di uscite settimanali per recarsi nella piscina pubblica o per esercitarsi nel tiro con l’arco o nella pratica sportiva del basket. Come se non bastasse, grazie all’apporto di associazioni di volontariato è stata riccamente organizzata all’interno della struttura ospedaliera una biblioteca e un’aula informatica che consente di “dialogare” con altre persone esterne via Internet. Ma c’è di più: attraverso una convenzione con l’Inail di Vigorso (centro poco distante da Montecatone), i pazienti possono fruire di moderne tecnologie e di un adeguato addestramento per il recupero della patente di guida, così da elevare il livello di reinserimento sociale. Il rapporto con l’esterno è anche alla base del lavoro dell’equipe medica di Montecatone, se si pensa che vengono periodicamente organizzati momenti di incontro e dibattito nelle scuole, mentre da alcuni anni la direzione dell’ospedale ha elaborato un protocollo con l’università di Bologna che istituisce all’interno della struttura un polo didattico per l’attività di diagnosi e cura in ambito neuro-urologico, colonproctologico e psicologico e l’attivazione di un corso di laurea di I° livello in fisioterapia. Infine, altrettanto importante è l’istituzione all’interno dell’area ospedaliera della casa di accoglienza “Anna Guglielmi”, una struttura che ha lo scopo di accogliere i familiari dei pazienti ricoverati, grazie ad una ricettività complessiva di 82 posti letto. La struttura fornisce la possibilità di sperimentare soluzioni abitative in prospettiva di un rientro del paziente al proprio domicilio e di utilizzare quelle attrezzature che serviranno a stimolare la sua autonomia all’interno e fuori casa. Il futuro di Montecatone, invece, è fatto di progetti che intendono migliorare l’efficienza delle aree integrandole maggiormente fra loro, senza dimenticare l’importante attività di ricerca sulle mielolesioni, un cammino già iniziato da alcuni medici della struttura e che se coltivato adeguatamente potrà portare benefici ai tanti giovani ed a tutti i ricoverati di questa efficiente e splendida struttura ospedaliera cui dobbiamo andare tutti orgogliosi. 

Montecatone in cifre  
Di seguito riportiamo i principali dati di riferimento dell’attività del “Montecatone Rehabilitation Institute” registrati nel corso del 2005. Posti letto di degenza ordinaria: 150 Posti letto in day hospital: 8  
Personale medico e sanitario in servizio di continuità  
Medici: 32  
Infermieri professionali: 105  
Operatori socio-sanitari: 64  
Fisioterapisti: 57  
Logopedisti: 2  
Psicologici: 3  
Educatori ed ass.ti sociali: 2  
Consulenze prof.li esterne: 24
 
Attività di ricovero  
Totale dei ricoveri: 1.279 di cui  
ordinari: 632 (primi ricoveri e rientri)  
day hospital: 647  
Indice di occupazione in regime ordinario: 99%  
Giornate di degenza: 60.599 di cui  
Ordinarie: 54.357  
Day hospital: 6.242  
Durata media di degenza in regime ordinario:  
giorni 86  
Presenza media giornaliera: 148 pazienti  
Analisi per tipologia di pazienti  
mielolesi: 505 casi con una presenza media giornaliera di 117 unità
cerebrolesi: 106 casi con una presenza media giornaliera di 30 unità altri: 21 casi con una presenza media giornaliera di 3 unità  
Provenienza dei pazienti  
dall’Emilia Romagna il 37% di cui:  
Modena: 30%  
Bologna: 24%  
Ravenna: 14% 
Imola: 9% 
Forlì: 8% 
Cesena: 5%  
Da altre regioni italiane il 61% di cui:  
Campania: 11%  
Puglia: 10%  
Sicilia: 7%  
Calabria: 6%  
Lazio: 5,5% 
Lombardia: 4%  
Dall’estero: il 2%
 


 

Intervista al dottor Mauro Menarini coordinatore del dipartimento di riabilitazione di Montecatone

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Il dottor Mauro Menarini, coordinatore del reparto di riabilitazione

“L’Europa, analizzandola da nord a sud, fa registrare a partire dai Paesi scandinavi una prevalenza di 8 lesioni al midollo spinale ogni milione di abitanti, in Italia siamo attorno ai 30/40 casi, mentre in Turchia e Grecia arriviamo a 50 sempre per milione di abitanti” 

Il dottor Mauro Menarini, 48 anni sposato e con una figlia, pur avendo svolto diversi compiti all’interno di strutture ospedaliere, ha cominciato la sua carriera a Montecatone dove oggi è tornato per ricoprire l’incarico di coordinatore del dipartimento di riabilitazione. Vive pertanto questa esperienza in maniera molto personale oltre che professionale.
Dottor Menarini, come si inserisce questa struttura nel panorama nazionale delle strutture sanitarie dedicate alla riabilitazione?
“Montecatone è oggi la più grossa unità spinale italiana dal punto di vista numerico, pur non possedendo i reparti tipici dell’emergenza e della chirurgia. Tuttavia abbiamo in sede tutte le capacità e le professionalità indispensabili per il trattamento completo della mielolesione. Mi riferisco alla trattazione dei problemi viscerali, intestinali, andrologici, sessuali, di pressione arteriosa, di termoregolazione, di cute e di tutte quelle complicanze che sconvolgono la normale vita del mieloleso che non incontra soltanto problemi di carattere motorio”.
Quali sono gli aspetti innovativi di questa struttura?
“Abbiamo al nostro interno tutto il corredo sia strumentale che umano per trattare la mielolesione. Accanto a strutture quali la piscina, la palestra, la terapia occupazionale, funzionano anche i vari laboratori di urodinamica
 neurourologia, andrologia per i problemi di fertilità del maschio, di analisi e cura gastrointestinale, di neurofisiologia e siamo in grado di seguire l’intero ciclo della terapia intensiva che ci permette di accogliere i pazienti subito dopo l’intervento chirurgico, quando ancora necessitano di ventilazione assistita. Abbiamo inoltre punte di eccellenza nelle attività legate al trattamento della spasticità, che ci vede uno dei pochi ospedali ad impiantare le pompe al baclo, oltre che ad essere all’avanguardia anche nel settore legato agli aspetti neurourologici. Importante è anche il laboratorio di studio per le funzioni autonome diretto dal dottor Gabriele Mazzocchi, unico laboratorio di studio delle disfunzioni gastrointestinali presente all’interno di una unità spinale. Altrettanto importante è la terapia attraverso il gesto sportivo, che ci consente di portare i nostri pazienti negli impianti sportivi pubblici dove si allenano le persone cosiddette normali e questo è di grande aiuto per il loro reinserimento sociale. Siamo infine impegnati in un progetto di impianto delle cellule staminali sui mielolesi per trattare una particolare complicanza che si chiama siringomielia. E’ un progetto ambizioso ma che potrà avere degli sviluppi molto interessanti per la cura della spasticità”.
Molti dei pazienti qui ricoverati si trovano sulla sedie a rotelle ed alcuni di loro in stato comatoso. Quanti tornano in condizioni normali?
“Coloro che escono con le proprie gambe sono una piccola percentuale non superiore al 5/7 per cento, se invece parliamo di pazienti che tornano a lavorare, anche se sulla sedia a rotelle, la percentuale sale abbondantemente. D’altro canto la terapia riabilitativa mira proprio al raggiungimento di questo obiettivo, cioè di reinserire in maniera adeguata il paziente nella società in cui viveva prima. Molto dipende però anche dal contesto sociale in cui il paziente torna a vivere e dalla sua volontà di reazione”.
Dottor Menarini, al di là dei risultati clinici, come reagiscono questi ragazzi di fronte ad una malattia così grave?
“Ogni paziente afflitto da una mielolesione godeva in passato un proprio carattere e di un personale stile di vita. Successivamente le cose cambiano e inizialmente si assiste ad un comportamento che potremmo definire standard, nel quale il paziente ha un’elevata aspettativa di recupero ed è convinto che la riabilitazione possa sanare ogni suo problema. In realtà, la terapia riabilitativa accompagna soltanto un recupero spontaneo e non sempre definitivo e in questo contesto il paziente comincia poi a rendersi conto della situazione in cui si trova concretamente. E’ questa la fase più delicata poiché si assiste spesso ad un periodo di depressione che rende difficoltosa la stessa cura riabilitativa. Anche il momento del ritorno a casa può diventare traumatico, quando il paziente, specie se giovane, deve affrontare le difficoltà quotidiane con una mentalità diversa e farsi vedere dagli altri in una veste inusuale fino a quel momento”.
Lei da questa esperienza cosa ne ha tratto dal punto di vista umano?
“Personalmente questo lavoro mi ha accresciuto anche umanamente e non solo dal punto di vista professionale. Basti pensare al fatto che per antonomasia il medico è colui che guarisce da una malattia. Noi, invece, siamo a contatto soprattutto con ragazzi che non guariranno quasi mai e che su di noi pongono tutte le speranze, anche quelle che talvolta abbiamo difficoltà a intravedere”.
Qual è il rapporto con le famiglie dei pazienti?
“E’ un rapporto difficilissimo e spesso i genitori dei pazienti più giovani si aggrappano fortemente speranzosi di notizie sempre nuove e positive. Alcune famiglie, invece, si gettano in viaggi della speranza da una parte all’altra del Paese, anche quando noi abbiamo la certezza che si potrà fare poco o nulla per sanare una situazione irrimediabile. Anche in questo caso, però, molto dipende dal contesto in cui ci si trova e dalla situazione di ogni nucleo familiare”.
Per quanti dei pazienti che si trovano in ospedale a seguito di incidente stradale la causa è direttamente riferibile alla guida in stato di ebbrezza o sotto l’influenza di sostanze stupefacenti?
“Come abbiamo detto nel nostro ospedale giungono persone che sono già state curate nei reparti d’emergenza-urgenza, ma per ragioni mediche veniamo a conoscenze dello stato in cui il paziente si trovava al primo ricovero e spesso le cause derivano da incidenti stradali legati alla velocità eccessiva o alle precarie condizioni psico-fisiche del conducente. La correlazione tra alcolici e droga con gli incidenti stradali è molto importante e su questo occorrerebbe lavorare col massimo delle forze”.
Come vedo un medico la situazione della sicurezza stradale italiana?
“L’Europa, analizzandola da nord a sud, fa registrare a partire dai Paesi scandinavi una prevalenza di 8 lesioni al midollo spinale ogni milione di abitanti, in Italia siamo attorno ai 30/40 casi, mentre in Turchia e Grecia arriviamo a 50 sempre per milione di abitanti. E’ un dato molto significativo e che si riallaccia proprio alle tematiche di sicurezza stradale. D’altro canto, quando vado in Finlandia e in Svezia vedo strade larghe, con gente rispettosa dei limiti di velocità e cinture di sicurezza sempre allacciate. Credo pertanto che vi sia una larga componente della sicurezza legata alla sensibilità dell’automobilista, a cui fa da contorno un sistema infrastrutturale che probabilmente non è dei più efficaci e meriterebbe di essere migliorato”.


Parla un giovane in cura a Montecatone per i postumi di un incidente

 “Non avevo bevuto, ma non avevo le cinture. Forse andavo forte” “Andate piano e tenete la testa sulle spalle, per evitare di dover poi tenere tutto il corpo su di una carrozzina!” Mirco ha 24 anni ed è di Rimini. Dallo scorso luglio si trova ricoverato a Montecatone dopo avere vissuto la drammatica esperienza di un incidente stradale. Ora è su di una sedia a rotelle, ma spera presto di poter riprendere la vita che faceva prima.
Mirco, quando è avvenuto l’incidente stradale di cui sei stato protagonista e come si è svolto? “Era l’una di notte e avevo appena finito di lavorare come barista. Mi sono messo in macchina per tornare a casa e improvvisamente sono stato abbagliato da una vettura che veniva nel senso opposto. Forse ero anche distratto, fatto sta che ho reagito con una brusca sterzata e sono finito nel fossato adiacente alla strada, dove purtroppo c’era un manufatto in cemento per lo scolo delle acque”.
Sei rimasto cosciente?
“Sì, ricordo bene quando sono arrivati i soccorsi ed anche mio padre che mi chiedevano se riuscivo a muovermi. Ricordo persino di avere spento l’autoradio che nonostante l’incidente continuava a funzionare. Però non riuscivo a muovere le gambe”.
Avevi bevuto alcolici prima di metterti alla guida?
“Sembrerà strano visto che di mestiere faccio il barista, ma ti assicuro che non avevo bevuto nemmeno un goccio. In questo senso sono sempre stato molto prudente, anche perché gioco a calcio in una categoria abbastanza agonistica e cerco sempre di essere al meglio della mia forma fisica”.
Andavi forte?
“Forse, anche se non ho mai avuto il piede pesante, certamente ero distratto, questo sì”.
 
Avevi le cinture di sicurezza allacciate?
“Purtroppo no e quando ho avuto l’impatto con quel manufatto sono scivolato in avanti, averle avute avrei certamente limitato le conseguenze dell’incidente…”
Quali sono i tuoi pensieri da quando sei ricoverato qui a Montecatone?
“E’ chiaro che nelle prime settimane ti senti distrutto e non è facile svegliarsi sapendo che dal letto passi a una sedia a rotelle. Inoltre ti accorgi che il tuo problema non è solo alle gambe ma anche ad altri organi: hai difficoltà a mangiare ad andare in bagno e fare tutto ciò che prima facevi. Poi piano piano capisci che devi rimboccarti le maniche e cominciare a reagire e che la tua guarigione dipende non tanto dalle medicine ma dalle tue forze”.
Ora come stai?
“Le gambe si muovono lentamente e comincio ad ottenere i primi risultati dalla terapia riabilitativa. Continuo a sperare, ma so che ci vorrà parecchio tempo…”
Perché tanti giovani continuano ad andare forte per strada e a bere prima di mettersi alla guida?
“Credo che ognuno pensi sempre che queste cose capitano agli altri e mai a se stessi. Soltanto quando vivi queste esperienze in prima persona cominci a capire quanti e quali pericoli si possano incontrare per strada”.
Cosa si potrebbe fare per sensibilizzare di più i giovani?
“Credo che sarebbe una buona cosa dare maggiori informazioni durante il periodo della scuola guida e far capire loro che in macchina molto dipende anche dagli altri e non solo da se stessi”.
Qual è il messaggio che vuoi mandare ai tuoi coetanei?
“Innanzitutto andare piano e tenere la testa sulle spalle, per evitare di dover poi tenere tutto il corpo su di una carrozzina!” Parole sante, Mirco e speriamo che i nostri lettori, soprattutto i più giovani, possano ricordarlo.
  “Non avevo bevuto, ma non avevo le cinture. Forse andavo forte” “Andate piano e tenete la testa sulle spalle, per evitare di dover poi tenere tutto il corpo su di una carrozzina!”

da "il Centauro n. 108"   


© asaps.it

di Roberto Rocchi

da "il Centauro"
Venerdì, 02 Febbraio 2007
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