«Vuoi che
ti accompagni a scuola?» «No, grazie papà, stamani vado col motorino». È un
giorno di tarda primavera e l’uragano che cova non lancia segnali. Il latte da
bere di corsa, lo zaino per i libri, il saluto di ogni mattina. Non sai che a
quell’intimità quotidiana resta lo spazio di pochi tornanti. L’uragano che
sconvolge la tua vita si mostra impietoso mentre percorri la stessa strada, a
distanza di pochi minuti. Non ci sono occhi per quello che vedi. Non ci sono
parole dentro quell’urlo.
Francesco e i suoi 17 anni erano in quel vortice che è appena passato e che non
hai potuto prevedere, né fermare. «È accaduto sulla Faentina, a due passi dalla nostra casa alle Caldine –
ricorda Lorenzo Caffè – Una macchina gli è apparsa davanti all’improvviso:
forse la conducente aveva intravisto un parcheggio ed è entrata nella corsia
che lui stava percorrendo».
Lorenzo, giornalista, ormai da molti anni a Firenze, si siede accanto al fiume
di questi sette anni. Tanti sono passati dall’incidente. E non solo li vede, ma
riesce a contare anche i giorni, uno ad uno. Specie i primi. Infiniti. «Il
primo anno è stato durissimo. Ero disperato. Spesso ci domandavamo con mia
moglie: ma come facciamo ad arrivare sino a stasera?». Il dolore di un padre è
quello di una madre, Federica, e degli altri due figli, Valentina, la maggiore,
e Jacopo, il più piccolo. Essere una famiglia unita non lenisce il dolore, ma
alla lunga aiuta ad affrontarlo: «È stato difficile, specie all’inizio, perché
ogni gesto del quotidiano ci riportava a Francesco. Poi pian piano siamo
riusciti a recuperare i nostri spazi familiari, accompagnati dalla consapevolezza
che non avremmo potuto sostituire Francesco con nulla, ma che dovevamo
accettare di convivere con quel vuoto».
La sofferenza è una scorciatoia efficace per capire ciò in cui crediamo
davvero. È la fede, nel fiume che continua a scorrere, a rendere l’acqua meno
gelata, e l’aria di nuovo respirabile: «Ho cercato tanto, persone, percorsi,
strade diverse che mi potessero aiutare; poi, insieme a Federica, abbiamo
incontrato l’esperienza della Fraternità di Romena e del gruppo Nain, composto
da tante famiglie che hanno vissuto la nostra stessa tragica esperienza. Il
rapporto con don Luigi Verdi, il responsabile della Fraternità, ci ha aiutato a
far sedimentare quel dolore, a iniziare la difficile opera di ricostruzione
interiore. Ma fondamentale è stata anche la condivisione con gli altri
genitori: il gruppo ci ha consentito di buttar giù le maschere, di sentirci
capiti e di poter capire. L’amore gratuito che ricevo ogni volta che ci vediamo
è un dono straordinario».
Il fiume ora trasporta qualcosa di sfuggente, che non puoi fermare, è
l’indescrivibile sensazione di potersi fidare di qualcosa, di qualcuno: «La mia
fede in Dio mi dice che nulla avviene a caso, che c’è un significato anche se
spesso è davvero difficile da comprendere. Questa accettazione di quello che è
avvenuto non è mai certa, mai definitiva, sempre soggetta a momenti di crisi,
ma intanto è un primo passo, che mi permette di vivere un po’ meglio».
Il nome di Francesco è oggi anche quello di una fondazione che prova a
recuperarne la gioia di vivere per tradurla in azioni di aiuto. «Abbiamo
cercato di fare piccole azioni concrete sia sul territorio, con l’acquisto di
attrezzature per gli ospedali locali, sia per “la casa della compassione” di
Katmandu, in Nepal. Ma abbiamo anche rivolto molta attenzione al tema della
sicurezza stradale. In questo momento stiamo sostenendo il lavoro di una equipe
di psicologi che mettono al centro del loro lavoro i giovani, i loro disagi, le
motivazioni di certe azioni a volte inconsapevolmente pericolose, per arrivare
a fare opera di prevenzione degli incidenti». «Mi colpisce – sottolinea Lorenzo
– come certe disattenzioni, in macchina, in moto, possano avere effetti così
sproporzionati. Spesso sono errori banali, che ciascuno di noi può compiere. Ma
il prezzo che si paga è altissimo».
di Massimo Orlandi
da Toscana Oggi (settimanale regionale
d’informazione) n° 5 del 4 febbraio 2007
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