La misura di prevenzione della confisca di all’art.
2 ter della legge 578/1965 è soggetta soltanto alla revoca con effetti ex tunc
su proposta di quanti abbiano partecipato al procedimento di prevenzione o
siano stati messi in grado di parteciparvi.
Lo hanno stabilito le Sezioni Unite Penali della
Cassazione, con la sentenza 19 dicembre 2006, risolvendo il contrasto
giurisprudenziale sul punto dell’applicabilità della revoca prevista
dall’articolo 7 della legge 1423 del 1956.
(Altalex, 6 febbraio 2007. Si rimanda all’articolo
di commento su AltalexMese 2/2007)
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE SEZIONI UNITE PENALI Sentenza 19
dicembre 2006 - 8 gennaio 2007, n. 57
(Presidente
Carbone – Relatore Agrò)
Ritenuto in fatto
1. Con incidente di
esecuzione ‑ istanza di revoca del 17 febbraio 2005, C. A., F. A., C. A., L.
A., R. A., N. A. e T. S. chiedevano al Tribunale di Reggio Calabria la revoca
parziale del provvedimento di confisca di immobili, confisca disposta, con
decreto depositato l’8 marzo 1995, nel procedimento di prevenzione a carico di
M. A., figlio della S. e fratello degli altri richiedenti.
Sostenevano, quanto a un magazzino, che la confisca era stata deliberata in
assenza di previo sequestro e senza che ai richiedenti, proprietari del bene,
fosse stata data la possibilità di intervenire nel procedimento e, quanto ad un
alloggio di edilizia economica e popolare, che anch’esso era stato confiscato
senza un previo sequestro e senza che sussistessero i presupposti della misura
di prevenzione, dato che non era stato effettuato alcun raffronto, fra i
redditi leciti dei soggetti assegnatari ‑ acquirenti (T. S. e R. A., padre
degli altri richiedenti) e il prezzo del riscatto.
2. Il Tribunale, con provvedimento del 6 maggio 2005, respingeva
l’istanza di revoca sui rilievi che la mancata partecipazione dei terzi al
procedimento di confisca non rileva come vizio del provvedimento; che, pur a
prescindere dall’influenza del giudicato su eventuali vizi in procedendo,
esisteva un provvedimento di sequestro dell’intero patrimonio aziendale
dell’Auddino; che non risultava provata l’effettiva disponibilità dei beni da
parte degli istanti, inerti per ben dieci anni dinanzi alla confisca; che la
madre della persona pericolosa, T. S., aveva partecipato al procedimento
conclusosi con la confisca; che in ogni modo non venivano prospettati elementi
di novità tali da integrare l’ipotesi di cui all’articolo 7 legge 1423/56.
3. Sull’appello dei richiedenti, la Corte di Appello di Reggio Calabria, con
decreto del primo marzo 2006, dichiarava inammissibile l’impugnazione.
Riteneva. infatti, conformemente a quanto affermato da Cassazione, Sezione
quinta, 5738/04., Pg in proc. D’Agata, che la revoca della misura patrimoniale
di prevenzione costituita dalla confisca non è prevista dalla legge e che non
sarebbe applicabile analogicamente l’articolo 7 della legge 1423/56,
riguardante le misure personali di prevenzione.
4. Contro questa pronunzia gli istanti propongono ricorso in Cassazione.
Nel richiamare l’orientamento interpretativo espresso da Cassazione Sezione
sesta 46449/04, Cerchia e altro, denunziano violazione di legge perché è stata
esclusa l’operatività della revoca ai sensi dell’articolo 7 della legge
1423/56, nonostante si fosse rappresentata una situazione in cui erano
inesistenti ab origine i presupposti della confisca (beni di lecita
provenienza e di legittima proprietà dei richiedenti).
5. La prima sezione penale di questa Corte, assegnataria del
ricorso, rilevato il contrasto giurisprudenziale sul punto dell’applicabilità
della revoca prevista dall’articolo 7 della legge 1956/23, alla misura di
prevenzione della confisca, su conforme richiesta del Pg, disponeva la
remissione procedimento alle Sezioni Unite.
Considerato in diritto
1. Come si è esposto in
narrativa, le Sezioni Unite, per risolvere il contrasto tuttora perdurante
nella giurisprudenza di legittimità (cfr. da ultime in senso positivo Cassazione
Sezione sesta, 44985/05, Buda e altri, e in senso negativo Cassazione Sezione
prima, 33056/06, Mandaglio e altri), sono state chiamate a decidere se la
misura della confisca di cui all’articolo 2ter, comma 3, della legge
575/65, sia revocabile ai sensi dell’articolo 7, comma 2, della legge 1423/56,
al pari delle misure personali di prevenzione.
2. Questa revoca, a una
prima lettura della disposizione, appare come atto di ritiro di una misura di
prevenzione, su istanza dell’interessato, da parte della stessa autorità che
ebbe ad emanarla. Essa suppone l’intervenuta definitività della misura,
potendosi altrimenti ottenere la cessazione della sua efficacia attraverso gli
ordinari mezzi di impugnazione (Cassazione Sezione prima, 21 gennaio 2000,
Russo); è improntata a discrezionalità (“può”); è condizionata dall’esaurirsi o
dal mutamento sopravvenuti della causa originaria (“quando sia cessata o mutata
la causa che lo ha determinato»); ha pertanto efficacia ex nunc.
Ed è in base a questa possibilità senza termine di ritiro che si è osservato
come, per le misure di prevenzione cui è applicabile, si debba parlare di un
principio di giudicato provvisorio, dato che la preclusione che deriva da un
simile giudicato opera sempre rebus sic stantibus e non impedisce una
rivalutazione dei presupposti, sulla base di nuove evenienze.
3. Un maggior
approfondimento interpretativo dell’articolo 7 è tuttavia intervenuto in
relazione al dubbio della compatibilità delle misure di prevenzione con
l’istituto della revisione contemplato negli articolo 629 e ss. c.p.p., ferma
restando l’esigenza logico‑sistematica di coprire anche simili provvedimenti
con uno strumento in grado di riparare ad errori giudiziari.
In questa linea, a cominciare da Cassazione Sezione prima 1071/92, Santapaola,
si è valorizzato il valore polisemantico dell’espressione “sia cessata la causa
che lo ha determinato” e si è affermato che tale cessazione è riferibile tanto
a un fatto sopravvenuto, quanto a una nuova e più attenta valutazione
retrospettiva della situazione iniziale.
Con il risultato di ritenere che il comma 2 dell’articolo 7 preveda anche la
possibilità di una revoca ex tunc, priva, questa, di ogni connotazione
discrezionale e determinata dal riconoscimento, oggi per allora,
dell’inesistenza originaria dei presupposti della misura di prevenzione.
Una tale lettura, consacrata dalla decisione delle Sezioni Unite 10 dicembre
1997, Pisco, fa si che la disposizione in esame svolga, per i partecipanti al
procedimento di prevenzione, altrimenti privi di diverso rimedio (e in
particolare dell’incidente di esecuzione cfr. Cassazione Sezione sesta
37025/02, Diana e altro), anche una funzione vicariante quella riservata, per
le sentenze e per i decreti penali di condanna, alla revisione.
La quale ultima, nelle forme di cui agli articoli 629 e ss. c.p.p., è stata
invece ritenuta inapplicabile ai provvedimenti di prevenzione, sempre dalla
pronunzia delle Sezioni Unite appena citata.
4. Va poi ancora
ricordato, quanto alla confisca disposta ai sensi dell’articolo 2ter
della legge 575/65, che questa, conformemente all’insegnamento di Sezioni Unite
3 luglio 1996, Pg in proc. Simonelli, non è di per sé provvedimento di
prevenzione in senso stretto, ma piuttosto sanzione amministrativa di carattere
ablatorio, equiparabile alla misura di sicurezza prescritta dal secondo comma
dell’articolo 240 Cp.
Simile sanzione accede comunque a una misura personale di prevenzione ed è
applicabile nel relativo procedimento di cui “segue, in linea di massima, le
regole” (giurisprudenza uniforme, cfr., da ultima, Cassazione Sezione seconda,
19914/05, Pg in proc. Bruno e altri).
5. Ora gli argomenti addotti dai fautori della
soluzione dell’irrevocabilità della confisca, compiutamente espressi da
Cassazione Sezione quinta, 5738/04, Pg in proc. D’Agata e da ultimo rivisitati
dalla già citata Cassazione sezione prima, 33056/06, Mandaglio e altri, sono in
primo luogo di carattere letterale.
Secondo canoni ermeneutici di questo tipo si evidenzia in primo luogo che
l’articolo 2ter, comma 4 della legge 575/65 prevede la revoca del
sequestro, ma non anche della confisca Cil sequestro è revocato dal Tribunale
quando è respinta la proposta di applicazione della misura di prevenzione o
quando risulta che essa ha per oggetto beni di legittima provenienza o dei
quali l’indiziato poteva disporre direttamente o indirettamente”). Inoltre
l’articolo 3ter, anch’esso attinente alle misure di prevenzione reali,
nel fare rinvio per il regime delle impugnazioni (in tema, tra l’altro, di
confisca e comprensivo, si assume di ogni tipo di gravame) ad altre
disposizioni della legge 1423/56 (articolo 4, commi 8, 9, 10, 11), non richiama
l’articolo 7 della suddetta legge, che disciplina specificamente l’istituto
della revoca.
Si aggiunge, sotto un profilo strutturale, che l’intangibilità della misura
troverebbe la sua ragione di essere nel fatto che, al momento del passaggio in
giudicato della sentenza che la dispone, alla confisca consegue un istantaneo
trasferimento a titolo originario in favore del patrimonio dello Stato del bene
che ne costituisce l’oggetto, con conseguente esaurimento ed irreversibilità
della situazione giuridica considerata.
Sul piano logico‑ sistematico viene, infine, sottolineata la differenza dei
beni giuridici, la cui tutela è sottesa rispettivamente alle misure di
prevenzione personali e reali e la conseguente diversità di ratio
ispiratrice, la cui identità giustificherebbe invece il ricorso all’analogia.
6. Tali
ragioni non paiono tuttavia risolutive.
Muovendo da quelle di ordine letterale va intanto premesso il rilievo della
scarsa affidabilità, quanto meno sotto il profilo della coerenza terminologica,
delle formulazioni impiegate in tema di misure di prevenzione, trattandosi di
produzione normativa confusa, cresciuta, come ben noto, per accumulazioni
successive e sulla spinta di esigenze contingenti.
Ed anzi è proprio questa disordinata successione di interventi che conduce a
non caricare di significato (come invece ha fatto Cassazione Sezione sesta,
465/05, Sollima e altri) la circostanza che il legislatore, a seguito
dell’introduzione delle misure reali, non abbia contestualmente modificato il
tenore del secondo comma dell’articolo 7 in esame, testualmente riferibile
soltanto alle misure personali di cui all’articolo 3.
D’altronde, questa omissione, ove si valorizzi l’origine storica della
disposizione (dettata quando ancora non esistevano misure reali di
prevenzione), può si leggersi come esclusione della applicabilità della revoca
alla confisca. Ma, valorizzando invece il rilievo della norma nell’ambito di
un’interpretazione sistematica, può anche leggersi nel senso della superfluità
di una espressa menzione della confisca, dato che, come pure si è visto, il
terzo comma dell’articolo 2ter della legge 575/65 concepisce questo
provvedimento reale come accessorio a quello personale di prevenzione,
provvedimento accessorio il cui regime giuridico (comprensivo della
revocabilità) è dunque regolato allo stesso modo di quello dettato per il
principale.
7. A quanto detto va poi aggiuntò che nessuna
conclusione in ordine alla revocabilità della confisca può trarsi
dall’osservazione che all’articolo 2ter comma 4 della legge 575/65 si
menzioni una revoca soltanto per il sequestro.
Con l’indicare per il sequestro questa forma di ritiro, nonostante l’identità
lessicale, ci si riferisce in realtà a un rimedio giuridico eterogeneo rispetto
a quello introdotto nell’articolo 7 della legge 1423/56.
La revoca della legge 575, conseguenza automatica del diniego di una misura
personale o del riconoscimento dell’assenza dei presupposti per l’applicazione
della confisca, agisce infatti, con pieni risultati ripristinatori, su un
provvedimento tuttora in esecuzione e comunque destinato ad esaurirsi con il
compimento del procedimento di prevenzione. La revoca della cui operatività si
discute riguarda invece (e con diverse e graduate conseguenze) provvedimenti
già definitivi, altrimenti destinati a perdurare dopo la conclusione di tale
procedimento.
Per dirla con diverse parole, la previsione
dell’articolo 2ter, relativa al sequestro, in nessun modo esaurisce le
possibilità di ritiro di altri provvedimenti reali e quindi non toglie la
possibilità che il legislatore predisponga, sia pure utilizzando un termine
eguale, ma che, per ampio spettro semantico, è appropriato a disegnare fenomeni
relativamente eterogenei, uno strumento ulteriore e di diversa natura per la
cessazione dell’efficacia di misure patrimoniali definitive. Strumento la cui
qualità consiglia una collocazione sistematica separata da quella in cui si prevede
la revoca dell’ordine di sequestro.
8. Ancor meno appropriato è poi basarsi sul regime delle
impugnazioni delle misure di prevenzione, sia o non sia totalmente esaustivo di
ogni possibilità di gravame, per considerare significativo il fatto che, nella
parte in cui questo regime ha riguardo alla confisca, non v’è menzione della
revoca prevista dal secondo comma dell’articolo 7.
In primo luogo questa revoca, come più volte si è avuto già modo di osservare,
è provvedimento di ritiro e non atto conclusivo o procedimento di gravame,
sicché, già per tale ragione, sarebbe stato fuori luogo richiamarla nella parte
relativa alle impugnazioni delle misure di prevenzione. Conclusione che deve
mantenersi ferma pure con riguardo a quella che si può definire la revoca ‑
revisione, riconosciuta da Sezioni Unite 10 dicembre 1997, Pisco, posto che la
revisione è nella tradizione processuale strumento straordinario di
impugnazione, meritevole quindi di autonoma sede normativa.
9. Un limitato fondamento ha per contro l’obbiezione
alla revocabilità tratta dagli esiti irreversibili della confisca, descritti,
per la misura di sicurezza omonima, da Sezioni Unite 28 gennaio 1998, Maiolo.
Secondo questa pronunzia, la confisca è collocata dalla leggenel novero degli
effetti istantaneamente prodotti dalla decisione definitiva che l’ha disposta,
effetti cioè non attinenti al rapporto esecutivo, ma conseguenti alla
statuizione giudiziale nel momento stesso del passaggio in giudicato della
medesima.
Dato dunque simile carattere istantaneo e non permanente (uno actu
perficitur), la confisca si connota come irrevocabile, cosa sottolineata da
autorevole dottrina anche sulla base della considerazione che la misura in
questione rappresenta, in sostanza, una sorta di espropriazione per pubblico
interesse, identificato, quest’ultimo, nella generale finalità di prevenzione
penale. Infatti, al provvedimento che la ordina consegue un trasferimento a
titolo originario del bene sequestrato nel patrimonio dello Stato. Con il che
si pone un suggello finale a una situazione che deve ritenersi ormai
“esaurita”.10. Se simili considerazioni appaiono in sé fuori discussione,
sembra tuttavia che per una sorta di equivoco esse siano state trasposte senza
distinzioni di sorta nella problematica riguardante la revoca della confisca
accessoria a una misura personale di prevenzione, prevista dall’articolo 7,
comma 2, della legge 1423/56. Più in particolare è vero che l’irreversibile
risultato ablatorio, conseguente alla definitività del provvedimento, rende
anche la confisca in esame insensibile a successivi mutamenti della situazione
che abbiano recato modificazioni alla pericolosità del soggetto inciso o che
abbiano addirittura fatto cessare la sua pericolosità.
Risultato questo già derivante dal carattere istantaneo e non permanente di
ogni disposizione di confisca in quanto tale, ma nella specie rafforzato dalla
natura di sanzione patrimoniale, riconosciuta alla nostra confisca, risposta a
una acquisizione illecita di beni, situazione per sua natura insuscettiva di
evoluzione (giurisprudenza costante, cfr. ex plurimis Cassazione Sezione
seconda, 1438/96 Olivieri).
Non è però egualmente vero che l’irreversibilità dell’ablazione impedisca di
accertare, oggi per allora, e nello spazio non precluso dalla definitività del
provvedimento, l’originaria insussistenza dei presupposti che hanno condotto
alla sua emanazione.
Infatti la dimostrazione dell’insussistenza non è tanto diretta a farcessare
gli effetti di una confisca. legittimamente imposta, quanto a fame palese un
vizio d’origine. Talché, una volta riconosciuta l’invalidità del titolo, la
ritenuta irreversibilità dell’ablazione non esclude la possibilità di una
restituzione, per determinazione discrezionale della Pa, e, quanto meno,
provoca l’insorgenza di un obbligo riparatorio della perdita patrimoniale,
priva di giustificazione sin dal momento in cui si è verificata.
Di qui dunque la possibilità di una revoca in funzione di revisione, per la
persistenza di un concreto interesse e in conformità alla ratio di
questo istituto che, al di là di ogni effetto di pratico ripristino, comprende
il superamento del degrado sociale, con l’affermazione dell’ingiustizia del
provvedimento sanzionatorio.
11. Per rispondere poi all’ultimo argomento contrario alla revocabilità,
formulato in considerazione della distinzione tra gli interessi sottesi alle
diverse misure di prevenzione, personali o reali, va infine sottolineato che,
attraverso la revoca in funzione di revisione, si tratta, come si è appena
osservato, di porre rimedio ad un errore giudiziario.
E in vista di questo fine è allora inconferente parlare di eterogeneità degli
interessi tutelati, dato che anche la lesione del diritto di proprietà appare
quale violazione di bene costituzionalmente protetto, al pari dell’ingiustificata
limitazione di libertà. Con la conseguenza che nulla impedisce di ritenere
accomunati il regime di revoca delle misure di prevenzione personali a quello
reale della confisca, nell’identità dell’interesse a predisporre un mezzo per
la riparazione dell’ingiustizia.
Osservazione che mostra ancora come sia priva di fondamento l’opinione di chi
ammette una perdita di efficacia ex tunc della confisca solo quale
conseguenza secondaria e automatica della revoca della misura personale di
prevenzione, per riconosciuta originaria inesistenza della pericolosità del
soggetto proposto, ma non su specifica richiesta diretta a questo unico fine e
in base alla postulata insussistenza degli altri presupposti della misura
(Cassazione Sezione sesta, 2244/97, Scuderi).
12. In conclusione può dunque affermarsi che vi è
un’incompatibilità strutturale tra la revoca ex nunc e la misura della
confisca, essendo questa revoca ex nunc ipotizzabile soltanto per le
misure di prevenzione di cui è costante l’esecuzione al momento in cui viene
avanzata la relativa istanza.
Tale incompatibilità è invece inesistente, quando venga avanzata una richiesta
di revoca con effetti ex tunc, in contemplazione di una invalidità
genetica del provvedimento.
In questi limiti deve dunque ritenersi applicabile l’articolo 7 comma 2 alla
misura prevista dall’articolo 2ter
comma 3 della legge 575/65, identificandosi nella revoca in esame un mezzo
predisposto dal legislatore per adempiere all’obbligo riparatorio prefigurato
dall’ultimo comma dell’articolo 24 della Costituzione.
13. Ci si deve però soffermare ancora su questa revoca, per tornare ad
osservare che essa si riferisce ad un provvedimento definitivo. Carattere,
questo, che preclude di rimettere in discussione con l’istanza atti o elementi
già considerati nel procedimento di prevenzione o in esso deducibili.
Come correttamente rileva Cassazione Sezione sesta, 46449/04, Cerchia e altro,
la richiesta di rimozione del provvedimento definitivo deve muoversi nello
stesso ambito della rivedibilità del giudicato di cui agli articoli 630 e ss.
c.p.p., con postulazione dunque di prove nuove sopravvenute alla conclusione
del procedimento (e sono tali anche quelle non valutate nemmeno implicitamente:
SS.UU., 26 settembre 2001, Pisano), ovvero di inconciliabilità di provvedimenti
giudiziari, ovvero di procedimento di prevenzione fondato su atti falsi o su un
altro reato.
Gli elementi dedotti saranno diretti a dimostrare l’insussistenza di uno o più
dei presupposti del provvedimento reale e pertanto in primo luogo la
pericolosità del proposto, ma anche, unitamente o separatamente, la
disponibilità diretta o indiretta del bene in capo al proposto medesimo, il
valore sproporzionato della cosa al reddito dichiarato o all’attività economica
svolta, il frutto di attività illecite o il reimpiego di profitti illeciti.
14. In ordine ai limiti soggettivi di esperibilità
della revoca, sono legittimati a proporla quanti abbiano partecipato al
procedimento di prevenzione o siano stati messi in grado di parteciparvi.
In tal modo simile richiesta non è in tesi proponibile da chi, pur dovendo
intervenire perché formalmente titolare dei beni sequestrati, non sia stato
chiamato a partecipare al procedimento e comunque non vi abbia partecipato,
secondo quanto invece prescritto dal quinto comma dell’articolo 2ter
legge 575/65.
In questo caso, l’esistenza delle condizioni per la dichiarazione
dell’inefficacia del provvedimento (esecutivo anche nei confronti del terzo non
intervenuto) può e deve farsi valere, secondo pacifica giurisprudenza, mediante
il ricorso ad incidente di esecuzione (cfr., da ultima, Cassazione Sezione
sesta, 41195/05, Cristaldi e altri). Incidente nel quale il terzo formalmente
titolare, senza preclusioni derivanti dal procedimento di prevenzione cui non
ha partecipato, potrà svolgere le sue deduzioni e chiedere l’acquisizione di
ogni elemento utile.
Rispetto ai terzi di cui non risultava l’appartenenza dei beni, durante il
procedimento di prevenzione, il provvedimento di confisca è irrevocabile e prevale
su eventuali acquisti in buona fede o sulla titolarità di diritti reali di
garanzia, per i quali e se del caso residua una tutela risarcitoria in sede
civile (Cassazione Sezione sesta, 38294/03, Carotenuto).
15. Applicando ora i principi fin qui esposti al
caso di specie, si deve immediatamente rilevare come a torto la Corte di
Appello abbia negato l’ammissibilità della richiesta di revoca della confisca
avanzata da T. S., la quale, ai sensi del comma 5 dell’articolo 2ter della
legge 575/65, era stata parte del procedimento di prevenzione.
La S. infatti intendeva valersi della revoca‑revisione di cui al secondo comma
dell’articolo 7 della legge 1423/56, deducendo l’emergere di prove che assumeva
mai esaminate e dimostrative dell’inesistenza del presupposto del valore
sproporzionato fra i redditi leciti dei soggetti assegnatari ‑ acquirenti (T.
S. e R. A., padre degli altri richiedenti) e il prezzo del riscatto di un
alloggio di edilizia economica‑popolare, oggetto della misura ablatoria.
16. Nei confronti poi degli altri ricorrenti, non
ci si è avveduti che essi, assumendo di non aver mai partecipato al
procedimento conclusosi con la confisca, non proponevano un’istanza di revoca
di questa, ma un incidente di esecuzione avverso il provvedimento ablatorio,
come del resto era anche fatto palese dall’intitolazione della richiesta
avanzata al Tribunale il 17 febbraio 2005.
Di qui la distonia della decisione adottata dalla Corte d’Appello di dichiarare
inammissibile una domanda di revoca, in realtà mai proposta, e il precedente
errore da parte del Tribunale di ritenere preclusi alcuni temi di prova sulla
disponibilità di un bene, perché privi del carattere di novità rispetto agli
elementi considerati e alle valutazioni fatte nel procedimento di prevenzione.
17. Ne deriva l’annullamento del decreto della Corte di Appello di Reggio
Calabria nei confronti di tutti i ricorrenti, con rinvio alla Corte medesima
perché proceda a una nuova deliberazione sulla revoca proposta da T. S., e
anche l’annullamento del provvedimento emanato dal Tribunale nel confronti
degli A. per una nuova deliberazione del Tribunale medesimo sull’incidente di
esecuzione proposto da costoro.
P.Q.M.
La Corte di
cassazione annulla il decreto impugnato e rinvia alla Corte di Appello di
Reggio Calabria per una nuova deliberazione nei confronti di S. T.; annulla
inoltre il provvedimento del Tribunale di Reggio Calabria in data 6 maggio 2005
nei confronti degli altri ricorrenti con rinvio allo stesso Tribunale per nuova
deliberazione.
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