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Notizie brevi 09/02/2007

Sentenza della cassazione - «Non riesce più a fare sesso? Va risarcito»
Riconosciuto il «danno esistenziale» a un romano, single, divenuto impotente dopo un incidente stradale

 

ROMA - Chi non riesce a fare sesso deve essere risarcito per il «danno esistenziale» patito. Lo sancisce la Corte di Cassazione nell’accogliere il ricorso di Luca C., un romano single rimasto impotente in seguito ad un incidente stradale. Secondo la Cassazione quello alla sessualità rientra tra «i diritti umani inviolabili», pertanto «la perdita o la compromissione anche soltanto psichica della sessualità (come avviene nei casi di stupro e di pedofilia) costituisce di per sè un danno esistenziale» meritevole di essere risarcito. Il principio è contenuto nella sentenza 2311 della III sezione civile redatta dal consigliere Giovanni Battista Petti.

LA VICENDA - Luca C. aveva cominciato ad avere disturbi dell’erezione nell’estate del 1994 dopo un incidente automobilistico a responsabilità esclusiva dell’altro conducente, che tra le altre conseguenze gli provocò una cosiddetta «impotentia coeundi per la invalidità dell’asta virile e la insufficienza del tono virile», con« conseguente sindrome soggettiva ansioso depressiva», si legge nella motivazione del pronunciamento della cassazione. Dopo cinque anni, nel 1999, il Tribunale di Roma decretò che l’assicurazione dell’automobilista colpevole rifondesse Luca con 810 milioni di vecchie lire come risarcimento danni generico. Nemmeno la Corte d’appello della capitale nel 2002 riconobbe i danni patititi da Luca «per la grave compromissione dell’attività sessuale». Da qui la battaglia dell’uomo fino in Cassazione per una migliore liquidazione del danno biologico.

LE MOTIVAZIONI - In particolare la Cassazione, nell’accogliere il ricorso ha sottolineato che «sul punto la sentenza impugnata sorvola, con una enunciazione illogica e contraria al principio fondamentale della inviolabilità dei diritti umani» che costituiscono «il patrimonio irretrattabile della persona umana». In pratica, la Corte d’appello aveva riconosciuto al giovane postumi dall’incidente pari al 20%. Ma secondo la Cassazione il ragionamento è «errato nei principi fondamentali, posto che i diritti umani inviolabili nè si confondono con i danni esistenziali nè restano assorbiti nella globalità e complessità del danno biologico, ove abbiano una lesione propria, giuridicamente configurata come lesione del diritto».

COSTITUZIONE - I giudici hanno ricordato che il «diritto alla sessualità» è tutelato dal dettato della Corte Costituzionale che lo inquadra «tra i diritti inviolabili della persona, come modus vivendi essenziale per l’espressione e lo sviluppo della persona».Certamente, quindi, «la perdita della sessualità costituisce anche danno biologico consequenziale alla lesione per fatto della circolazione, ma nessuno ormai nega che la perdita o la compromissione anche soltanto psichica della sessualità costituisca di per sè un danno esistenziale, la cui rilevanza deve essere autonomamente apprezzata e valutata equitativamente in termini non patrimoniali e con una congrua stima dell’equivalente economico del debito di valore».
PROCREAZIONE - Se poi si considera nell’ottica della «procreazione» o della «vita sessuale familiare», la Suprema Corte rileva che «certamente questi ulteriori aspetti sarebbero rilevanti ai fini della equilibrata valutazione del danno anche ai fini di un congruo ristoro». Sarà ora la Corte d’appello di Roma a quantificare i danni subiti da Luca C. anche in relazione alla perdita della capacità sessuale, oltre a quella lavorativa.

Da Corriere.it


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Venerdì, 09 Febbraio 2007
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