I
giudici di legittimità nella sentenza in rassegna statuiscono che il conducente
di un autoveicolo ha l’obbligo di controllare se i trasportati abbiano o meno
allacciato le cinture di sicurezza. In
caso affermativo, nulla quaestio. Pertanto, se da un eventuale sinistro
i trasportati subiscono lesioni personali, il conducente risponderà solo
secondo le norme regolamentatrici della materia, avendo cioè riguardo alle
prescrizioni in merito ad una eventuale o meno responsabilità del trasportante
nella causazione de quo. Tuttavia,
nel caso in cui i trasportati non provvedono spontaneamente, egli dovrà
invitarli a tanto. In effetti, se a seguito di un eventuale incidente stradale
i terzi trasportati subiscono delle lesioni personali, la responsabilità sarà sua. Con
il dictum in questione gli ermellini precisano che l’automobilista ha
l’obbligo giuridico di fare allacciare le cinture di sicurezza, in difetto
risponderà di lesioni personali lievi. I giudici di via Cavour, si sono
riportati a quanto avevano statuito in precedenza [1]
dove precisavano che anche se il mancato uso delle cinture di sicurezza è
sanzionato amministrativamente a carico di chi sia tenuto ad indossarle, il conducente dell’autoveicolo è comunque
obbligato, in base alle regole della comune diligenza e
prudenza, ad esigere che il
passeggero indossi le cinture e, in caso di sua renitenza, a rifiutarne il
trasporto o ad omettere l’intrapresa della marcia, pertanto,
risponde di omicidio colposo il conducente che non abbia ottemperato al
suddetto obbligo ove il soggetto trasportato sul veicolo da lui condotto sia
deceduto dopo esser stato sbalzato fuori dal veicolo a seguito di un sinistro.
La
ratio del dictum
Il
caso sotteso all’esame del Supremo Collegio è di grande rilievo ai fini della
qualificazione della responsabilità dell’utente della strada in materia di
trasporto di persone. Da un lato bisogna osservare che il legislatore expressis
verbis sancisce nell’art. 172, C.d.S. l’obbligatorietà dei sistemi di
ritenuta, dall’altro occorre rilevare che nella sentenza de qua il
ragionamento operato dalla Suprema Corte è imperniato sul concetto di colpa
generica del conducente che si inserisce nell’azione produttiva dell’evento
lesivo da parte del trasportato, privo di cintura di sicurezza, creando al
contempo un’ipotesi di cooperazione nel fatto colposo [2].
Nel caso di specie la colpa a seguito dell’evento dannoso verificatosi è da
ascriversi nella causa di negligenza, imperizia, imprudenza o inosservanza di
leggi e regolamenti [3]. Pertanto risulta colposo per
omissione il comportamento inerte del soggetto (rectius, conducente)
ogni qual volta un suo atto d’impulso avrebbe potuto modificare l’eventus
damni, conducendo a conseguenze meno gravose [4].
Caso deciso
Caia
veniva condannata in primo grado al pagamento di una multa di € 200 , in quanto
responsabile di lesioni personali lievi [5], nella
causazione dell’incidente avvenuto nel 2002, per aver trasportato sulla propria
vettura un’amica senza farle indossare le cinture di sicurezza e quest’ultima,
a seguito del sinistro occorsole durante il trasporto, rimaneva lievemente
ferita. A seguito di tanto Caia proponeva opposizione alla Corte di Appello
territorialmente competente. Nelle more del regolare iter processuale, i
giudici di merito emettevano sentenza con la quale ribadivano quanto affermato
dai giudici di prime cure, confermando la responsabilità dell’appellante, corroborata
dal fatto che la terza trasportata aveva la cintura di sicurezza slacciata e la
trasportante aveva non solo omesso di far allacciare le cinture all’amica, ma
la propria responsabilità era acclarata dalla circostanza di essere uscita
fuori strada a seguito di una manovra di marcia mal effettuata, perdendo il
controllo del veicolo. Infine, aditi i giudici di legittimità, la causa veniva
trasmessa alla quarta sezione penale della Corte di cassazione. Con il dictum
in questione i Supremi giudici nella sentenza 12 settembre 2006 n. 30065
dichiaravano che in casi come questi il conducente risponde per lesioni
personali colpose, rigettando il ricorso così come proposto da Caia.
(Altalex,
12 febbraio 2007. Nota di Luca Bardaro)
[1] Si vedano ex plurimis Cassazione penale, sez. IV,
sentenza 28 febbraio 2003 n. 9311; Cassazione penale, sez. IV, sentenza n. 9904
del 1996. [2] Per un approfondimento sul punto si veda GRECO, Mancato
uso delle cinture di sicurezza da parte del trasportato e concorso di colpa del
conducente, in Resp. Civ., Torino, 2004, II. [3] Art. 43, c.p. Elemento psicologico del reato.
Il
delitto:
- è doloso, o secondo
l’intenzione, quando l’evento dannoso o pericoloso, che è il risultato dell’azione
od omissione e da cui la legge fa dipendere l’esistenza del delitto, è
dall’agente preveduto e voluto come conseguenza della propria azione od
omissione;
- è preterintenzionale, o oltre
l’intenzione, quando dall’azione od omissione deriva un evento dannoso o
pericoloso più grave di quello voluto dall’agente;
- è colposo, o contro
l’intenzione quando l’evento, anche se preveduto [c.p. 61, n. 3],
non è voluto dall’agente e si verifica a causa di negligenza o imprudenza
o imperizia, ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o
discipline.
La
distinzione tra reato doloso e reato colposo, stabilita da questo articolo per
i delitti, si applica altresì alle contravvenzioni, ogni qualvolta per queste
la legge penale faccia dipendere da tale distinzione un qualsiasi effetto
giuridico. [4] Tale tipo di colpa discende dalla violazione dei
parametri di diligenza, prudenza e perizia che il conducente, con la diligenza
del buon padre di famiglia, avrebbe dovuto osservare, magari interrompendo la
marcia e facendo scendere dall’autovettura il passeggero. [5] L’art. 582 c.p. punisce chiunque cagiona ad alcuno una
lesione personale, dalla quale deriva una malattia nel corpo o nella mente.
Le lesioni, che possono essere di natura dolosa o colposa, si distinguono in
lievi, gravi e gravissime, con un conseguente diverso trattamento
sanzionatorio.
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE IV PENALE (Presidente: L. Marini; Relatore: C. G. Brusco) SENTENZA 12 settembre 2006 n. 30065
LA CORTE OSSERVA
S.E.
ha proposto ricorso avverso la sentenza 7 lug. 2004 della Corte di appello di
Torino che ha confermato la sentenza 9 apr. 2003 del Tribunale di Asti che
l’aveva condannata alla pena di euro 200,00 di multa per il delitto di lesioni
colpose lievi in danno di C.V. I
giudici di merito hanno ritenuto accertato che l’imputata avesse per colpa
cagionato le lesioni in questione avendo perso il controllo dell’autovettura da
lei condotta sulla quale era trasportata la persona offesa. A
fondamento del ricorso si deduce con un primo motivo l’inosservanza o erronea
applicazione della legge penale perché l’affermazione di responsabilità sarebbe
fondata esclusivamente sulle dichiarazioni interessate della persona offesa e
non sarebbero state accertate le modalità e la causa dell’incidente; con il
secondo motivo si deduce invece la mancanza manifesta illogicità della
motivazione perché i giudici di merito non avrebbero considerato che l’unica
causa dell’incidente era costituita dall’aver omesso, la persona offesa, di
allacciare le cinture di sicurezza. Il
ricorso è inammissibile in quanto manifestamente infondato e in quanto
introduce nel giudizio di legittimità circostanze di fatto che non possono
essere apprezzate da questa corte. La
prima censura proposta dalla ricorrente, oltre che porre in discussione la
ricostruzione dei fatti accolta dai giudici di merito, neppure ne propone
un’alternativa in presenza di una motivazione adeguata che ha ritenuto
accertato che l’imputata avesse perso il controllo del veicolo da lei condotto. Ne
rileva che questa ricostruzione fosse fondata esclusivamente sulle
dichiarazioni della persona offesa ritenute peraltro attendibili dai giudici di
merito. Sotto
diverso profilo la tesi della riconducibilità dell’evento a colpa esclusiva
della persona offesa è manifestamente infondata posto che è obbligo del conducente
verificare che i trasportati facciano uso delle cinture di sicurezza ed essendo
stata accertato in fatto, nel caso in esame, che l’imputata neppure si era
preoccupata di invitare la passeggera ad allacciarle. Alla
dichiarazione di inammissibilità conseguono le pronunzie di cui al dispositivo. Con
riferimento a quanto statuito dalla Corte cost. nella sentenza 13 giu. 2000 n.
186 si rileva che non si ravvisano ragioni per escludere la colpa nella
determinazione della causa di inammissibilità in considerazione della palese
violazione dei limiti del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La
Corte suprema di Cassazione, sezione IV penale, dichiara inammissibile il
ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della
somma di euro 1000,00 in favore della cassa delle ammende.
Roma,
20 giugno 2006. Depositata
in Cancelleria il 12 settembre 2006.
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