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Articoli 13/02/2007

Obesità e sovrappeso

da "il Centauro"
Obesità e sovrappeso

di Antonia Liaci*



L
a prevalenza dell’obesità è in aumento in tutti paesi occidentali, e colpisce fino ad un terzo della popolazione adulta, con un’incidenza in aumento in età pediatrica, tanto da far nascere in molti paesi addirittura l’esigenza di interventi normativi e campagne di informazione. Non soltanto, infatti, l’obesità costituisce di per sé una malattia ed un grave fattore di rischio per mortalità e morbilità, ma è anche la causa o la concausa di altre serie patologie, quali il diabete mellito, l’ipertensione arteriosa, l’iperlipidemia, la calcolosi della colecisti, l’osteoartrosi. Negli Stati Uniti contribuisce a 300.000 morti/anno, diventando in tal modo la seconda causa di morte dopo il fumo. L’obesità è una malattia complessa dovuta a fattori genetici, ambientali ed individuali che comportano alterazioni del bilancio energetico ed accumulo eccessivo di tessuto adiposo nell’organismo; è determinata, cioè, da uno squilibrio tra eccessiva introduzione calorica, assoluta o relativa, e dispendio energetico. Con il cibo si assorbono sostanze che producono energia attraverso reazioni chimiche con l’ossigeno della respirazione. Queste sostanze vengono immagazzinate in varie forme nell’organismo, divenendo fonti di energia più o meno prontamente disponibile, come il glucosio ematico, il glicogeno epatico e cellulare, e gli acidi grassi del tessuto adiposo. In un soggetto adulto medio, il tessuto adiposo può contenere una quantità di energia che va dalle 100.000 alle 200.000 kcal e mobilizzare rapidamente energia tramite una scissione chimica dei trigliceridi in glicerolo ed acidi grassi liberi. L’obesità può essere frutto di diete ad elevato tenore di grassi, che, rispetto a carboidrati e proteine, stimolano meno il senso di sazietà, rendono i cibi più appetibili, e, a parità di calorie, inducono un maggiore aumento del peso corporeo attraverso un minor dispendio termoenegetico, o ancora può essere conseguenza di disfunzioni della tiroide o di altri disturbi ormonali. L’influenza genetica è responsabile delle anomalie metaboliche che faciliterebbero l’insorgenza dell’obesità, in presenza di elevata ingestione di alimenti e sedentarismo. Alcuni fattori possono contribuire all’eccessiva introduzione di cibo: comportamenti impulsivi o compulsivi per sindromi ansioso-depressive, l’utilizzo di farmaci (antipsicotici, antidepressivi, antiepilettici, glucocorticoidi, insulina, etc.), influenze etniche e socio-culturali. Si può parlare di obesità quando si ha un eccesso di massa grassa di circa il 17% nel maschio ed il 25% nella femmina. La massa grassa è composta da soli lipidi, e si differenzia, perciò, dal tessuto adiposo che è composto oltre che da lipidi anche da acqua (14%) e proteine (2%). Per quantificare il rapporto tra la massa grassa e la massa adiposa vengono utilizzate alcune tecniche dirette ed indirette, quali la densitometria, la tomografia computerizzata, la risonanza magnetica, l’impedenziometria, la plicometria cutanea, ed indici di misurazione, tra i quali il più affidabile è l’indice di massa corporea (IMC) o Body Mass Index (BMI), che si ottiene dividendo il peso corporeo (in Kg) per il quadrato dell’altezza (in metri). Recentemente l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha fissato nuovi criteri che permettono di classificare l’obesità in base al BMI: vengono definiti sovrappeso o obesi di I grado i soggetti con indice di massa corporea tra 25 e 29,9, ed obesi di II e III grado quelli con valore di BMI rispettivamente tra 30 e 39,9 e maggiore di 40. In base al rapporto tra la circonferenza della vita e quella dei fianchi l’obesità si distingue, poi, in androide (addominale) e ginoide (gluteofemorale). Frequentemente l’approccio terapeutico all’obesità è riduttivo e semplicistico, e si limita alla prescrizione di una dieta e al generico invito all’esercizio muscolare; perciò, spesso i risultati non sono coronati da successo, a causa della cronicità della malattia e della complessità della sua patogenesi, e l’insuccesso costituisce un ulteriore problema per il paziente obeso, che si affida, poi, a terapie incongrue ed, a volte, pericolose. È importante, in primo luogo, perseguire un obiettivo realisticamente raggiungibile, mirando non al “peso ideale”, ma ad un “peso ragionevole” mantenuto senza sforzo, e che garantisca buone condizioni di salute psico-fisica. Si è dimostrato, infatti, che basta una riduzione del 10-15% del peso iniziale per indurre miglioramenti significativi in soggetti affetti da ipertensione, diabete e patologie cardiovascolari. Per raggiungere lo scopo è necessario in molti casi un trattamento integrato, che coinvolga diverse branche specialistiche, l’internista, il nutrizionista, lo psicologo ed il chirurgo, e che si affidi a differenti protocolli terapeutici, ampiamente valutati in termini di sicurezza ed efficacia. Il controllo dell’alimentazione rappresenta sempre il perno di ogni terapia per la riduzione del peso corporeo, e si fonda su diete ipocaloriche, che devono però garantire il fabbisogno giornaliero di proteine, vitamine e sali minerali, e per questo devono essere condotte, in particolare quelle più restrittive, sotto stretto controllo medico. Le diete moderatamente ipocaloriche utilizzate nell’obesità di medio grado inducono un calo ponderale più lento rispetto a quelle fortemente ipocaloriche, ma comportano una minore riduzione della massa magra e del dispendio energetico a riposo, garantendo maggiore efficacia nel tempo. In molti casi è utile associare interventi psicocomportamentali che tendono a normalizzare il comportamento alimentare al fine di ridurre l’introito calorico, e prevedono anche esercizi muscolari di tipo aerobico, che hanno un ruolo fondamentale nel migliorare le funzioni cardiocircolatoria, respiratoria e motoria, e nel combattere la sedentarietà propria del paziente in sovrappeso. La terapia farmacologica, generalmente attuata con anoressizzanti (sibutramina) o con farmaci ad azione sull’apparato gastrointestinale (orlistat), comporta significativi effetti collaterali senza un persistente effetto sul peso corporeo; per questo dovrebbe essere impiegata solo in pazienti in cui l’indice di massa corporea sia superiore a 30 Kg/m2, ed in associazione con la terapia dieteticocomportamentale Sono, invece, da evitare trattamenti con diuretici, ormoni, preparati anfetamino-simili ed associazioni di farmaci dimagranti. Per i casi di obesità di alto grado, resistente a qualsiasi tipo di trattamento medico, può essere indicato ricorrere alla terapia chirurgica, che si basa su due diversi approcci, quello restrittivo e quello malassorbitivo. Il primo mira al calo ponderale attraverso la riduzione della capacità di introito di cibo, cioè obbligando il soggetto a mangiare molto di meno. A tal fine si suddivide lo stomaco, con varie tecniche, in più “tasche gastriche”, riducendone così il volume, con la sola conseguenza del vomito, se vi è una rapida o eccessiva introduzione di cibi solidi. Il malassorbimento si ottiene, invece, attraverso l’intervento di diversione bilio-pancreatica, che crea un doppio condotto intestinale, ritardando l’incontro tra cibo e succhi digestivi, così gli alimenti non possono essere adeguatamente digeriti e quindi assorbiti. Questa tecnica ha dato un buon risultato a lungo termine nel mantenimento del peso corporeo, anche se complicata da carenza di ferro, calcio, vitamine e proteine, che possono, però, essere integrati con un’ appropriata supplementazione.  

*Medico Capo Polizia di Stato Ufficio Sanitario – Questura di Ragusa

da "il Centauro n. 108"
 

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di Antonia Liaci

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Martedì, 13 Febbraio 2007
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