UNA
POSITIVA EVOLUZIONE MA NON ANCORA SUFFICIENTE Come
potrebbe sembrare, quindi, entro il 2010 forse si riuscirà a raggiungere
l’ambizioso obiettivo comunitario. In realtà la situazione è più complessa di
quanto sembri, infatti, in primo luogo la riduzione realizzata negli ultimi
quindici anni ci ha consentito di passare ad un tasso di mortalità certo più
basso, ma non ancora soddisfacente. In secondo luogo la fase di forte riduzione
dei tassi di mortalità stradale potrebbe facilmente rallentare una volta
metabolizzate le norme come la patente a punti da parte degli utenti della
strada. Infine, per alcune componenti del traffico, per alcune tipologie di
mobilità e di utenti della strada l’evoluzione della sicurezza stradale non
riesce a tenere il passo con la generale riduzione delle vittime. Un caso
esemplare, che riveste una importanza fondamentale per il nostro Paese, è
costituito dalla mobilità su due ruote a motore, gli incidenti stradali a
carico di questo comparto di mobilità nel 2001 determinavano circa 1/6 delle
vittime stradali complessive ma, alle attuali tendenze, nel 2010 ne
determineranno circa 1/3. Comprendere i motivi per cui questa componente della
mobilità risulta, in quasi tutti i Paesi, poco sensibile alle politiche di
miglioramento della sicurezza stradale è di fondamentale importanza sia per la
rilevanza del tema, sia per avviare, proprio partendo da questo settore, un
sistema di azioni dedicate a operare in modo specifico e selettivo su comparti
di mobilità dove si verificano elevati livelli di rischio o un’evoluzione
regressiva. LE LINEE DI AZIONE PER LA
RIDUZIONE DEL FENOMENO E’
facile rendersi conto che siamo di fronte ad una configurazione del rischio
stradale diversificata su base nazionale e regionale e che assume caratteri di
maggiore complessità tali da richiedere strumenti di intervento generali e
specifici oltre che un impegno diffuso e condiviso. Il problema nasce
certamente da carenze strutturali ed infrastrutturali, dal tipo di mobilità e
dai sistemi di trasporto pubblico, dall’assetto del territorio, da mancanza di
una solida cultura della sicurezza stradale. Queste annose e diffusamente
riconosciute carenze non possono colmarsi solo con interventi urgenti,
contingenti o con politiche di ottica a breve termine, limitando ad aumentare
le risorse dedicate alla sicurezza stradale e senza porre in discussione le
politiche stesse (e probabilmente quelle che fino ad ora si sono adottate). La
scelta di interventi anche “forti”, destinati ad incidere sui livelli di
incidentalità, ma basati prevalentemente sull’incremento quantitativo delle
risorse impegnate, senza modificare le strategie e l’architettura di sistema,
porterebbe inevitabilmente a miglioramenti effimeri o comunque destinati a
perdere efficacia entro periodi di tempo limitati. Ciò che occorre realmente è
una innovazione strutturale delle politiche di intervento, degli interventi
stessi e del tipo di approccio che dovrà essere di tipo innovativo, con
un’attenta analisi e studio dei risultati ottenuti e senza mai perdere il
contatto con un’azione di stretto monitoraggio dell’evoluzione dei risultati.
E’ di fondamentale importanza quindi riuscire ad avere un monitoraggio
statistico dei dati sull’incidentalità in tempi assolutamente brevi, certi e
definiti, già fissati in fase di programmazione. In particolare, queste sono le
principali linee di intervento generali, che oramai, in modo largamente
condiviso sia a livello nazionale sia europeo, che si pensa possano arginare
con successo il fenomeno: 2004-30 giugno 2005, confrontati con il periodo 1luglio 2003-30 giugno 2004, entrambi con patente a punti in vigore.. • Costruzione di una nuova e solida cultura della sicurezza stradale, basata sulla conoscenza dei principali fattori di rischio e sulla consapevolezza dei diversi stili di mobilità e delle condizioni di rischio associate (si pensi, ad esempio, che in Italia, solo nel 2004, sono morti ben 710 pedoni e 300 ciclisti, quasi tutti in ambito urbano o metropolitano, e che sulla rete autostradale ne sono invece morti 648). Questo obiettivo implica maggiori sforzi comunicativi (campagne di comunicazione istituzionali), migliorare l’informazione (sui dati), ed elevare il livello quantitativo e qualitativo di formazione (in scuole e università); • Reingegnerizzazione del sistema normativo. Nuovo Codice della strada, sviluppo e affinamento del sistema patente a punti, al fine di pervenire ad un testo semplice e compatto (attualmente tra Codice e Regolamento di attuazione ci sono oltre 600 articoli), un vero e proprio manuale della sicurezza stradale; • Realizzazione, aggiornamento e implementazione, a seconda dei casi, del Piano Nazionale della Sicurezza Stradale (PNSS), dei Piani Regionali, Provinciali e Comunali, come strumenti basilari per la riduzione ed il governo della sicurezza stradale; • Ricerca di nuove strategie di intervento per migliorare radicalmente il livello di incidentalità nelle aree metropolitane e più in generale nelle zone a forte antropizzazione (è noto infatti che oltre il 75% degli incidenti avviene in zona urbana) e nel settore della mobilità motociclistica; • Sviluppo di nuove tecnologie per la sicurezza stradale a bordo veicolo (sicurezza attiva e passiva), sulle strade (sistemi ITS) e nei processi di governo della sicurezza stradale; • Realizzazione di un sistema moderno e informatizzato per la rilevazione degli incidenti stradali, al fine di ottenere con assoluta tempestività tutti i dati necessari per poter costantemente monitorare il fenomeno e tutte le sue evoluzioni, compresi, ovviamente, gli effetti degli interventi programmati ed attuati. LA
CULTURA DELLA SICUREZZA STRADALE Il
rafforzamento della cultura della sicurezza stradale è l’azione preliminare per
qualsiasi attività per migliorare la sicurezza stradale. Senza una maggiore
consapevolezza e senza una partecipazione attiva di tutta la società al
processo di miglioramento della sicurezza stradale i risultati, anche a fronte
di un notevole impegno, sarebbero labili e di poco conto. Innovare la cultura
della sicurezza stradale significa non solo migliorare la conoscenza e il
rispetto delle regole della circolazione, ma anche costruire una maggiore
consapevolezza dell’impatto sulla sicurezza e sull’ambiente dei diversi stili
di mobilità e garantendo al tempo stesso a tutti i cittadini l’informazione in
modo completo e chiaro sui diversi fattori di rischio e sui comportamenti
pericolosi. Questa cultura, inoltre, non riguarda solo la popolazione più giovane
(come erroneamente si crede) ma anche i tecnici che si occupano di strade,
veicoli, mobilità, educazione, controllo, repressione e i decisori pubblici e
privati. Ovviamente non si tratta di una linea di azione a breve, lavorare
sugli schemi culturali, formare una nuova classe di tecnici più sensibili ai
problemi della sicurezza stradale e in grado di analizzare i problemi ed
elaborare le soluzioni necessarie per garantire condizioni di mobilità sicura e
sostenibile è impresa ardua e che necessita di tempo. Tutto questo delinea i
confini di una grande sfida, di una battaglia per smentire la previsione
dell’Organizzazione Mondiale della Sanità sul tragico peso che avranno gli
incidenti stradali nel 2020. Non è affatto casuale che proprio i Paesi che hanno pienamente adottato questa
visione complessiva della cultura della sicurezza stradale siano oggi quelli
che vantano i più elevati livelli di sicurezza o i più alti tassi di riduzione
delle vittime degli incidenti stradali. Affrontare questa sfida con un accettabile
prospettiva di successo implica uno sforzo corale di massima entità per tutta
la società. L’IMPORTANZA
DELLA PIANIFICAZIONE E DELLA PROGRAMMAZIONE Se
vogliamo migliorare sostanzialmente lo stato e l’evoluzione della sicurezza
stradale non possiamo limitarci a immettere più risorse nel sistema di
interventi in atto. Anche se fosse possibile aumentare di diverse volte le
risorse finanziarie e professionali – e non è detto che sia possibile – non è
affatto certo che gli interventi tradizionali ci consentano di determinare
miglioramenti di sicurezza stradale rilevanti e stabili nel tempo. Per
determinare questo tipo di innovazioni abbiamo bisogno di dedicare più risorse
alla formazione dei tecnici e dei decisori, di monitorare lo stato e
l’evoluzione della sicurezza stradale, di analizzare i risultati determinati
dagli interventi realizzati e di valutarne l’efficacia, di individuare le
tipologie di intervento più efficaci, di diffonderne la conoscenza e di
promuoverne l’applicazione nei contesti adeguati. Più di ogni altra cosa,
tuttavia, abbiamo bisogno di una più stretta collaborazione tra i diversi
soggetti che possono cooperare alla sicurezza stradale, della capacità di
combinare risorse e apporti di diversi settori in progetti di elevata efficacia
e di definire un sistema di priorità che consenta di concentrare le risorse nei
settori dove si possono determinare i più rilevanti e stabili miglioramenti
della sicurezza stradale. L’insieme degli elementi sopraindicati delineano una
attività di pianificazione e programmazione strettamente integrata con il
monitoraggio dell’evoluzione della sicurezza stradale e dei risultati degli
interventi realizzati oltre ad una sistematica attività di valutazione dei
risultati e di individuazione degli interventi più efficaci. Non è un caso che
nei Paesi dove sono stati implementati piani di programmazione (Piani nazionali
di sicurezza stradale) si sono avute le maggiori riduzioni di incidenti e di
mortalità. *Ministero dei Trasporti - Dipartimento per i trasporti terrestri Direzione Generale per la motorizzazione Divisione 9 Prevenzione e sicurezza stradale Roma da il Centauro n.109 |
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