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Articoli 28/02/2007

Strade
La morte nei cantieri: infortunio sul lavoro o incidente stradale?

da "il Centauro"
Strade
La morte nei cantieri: infortunio sul lavoro o incidente stradale?
di Lorenzo Borselli

 

“…Si continua inesorabilmente a morire sui luoghi di lavoro, nonostante i reiterati appelli, anche autorevoli, all’osservanza delle norme di sicurezza […] Si chiede il rispetto di quelle che dovrebbero essere elementari garanzie per la salvaguardia della vita degli operai, ma le parole cadono nel vuoto, senza che nessuno intervenga a fermare tragedie che, a livello nazionale, sono oramai quasi quotidiane […] La sicurezza non può essere un mero aspetto del lavoro, ma deve divenirne parte integrante, per tutelare la dignità dell’uomo. Se agli appelli, seguiranno ancora e soltanto parole, non si farà altro che continuare a ledere tale dignità e, con essa, la vita stessa…” L’Osservatore Romano, 24 ottobre 2006



Quelle sul lavoro, si chiamano morti bianche. Esattamente come quelle dei neonati in culla, che restano ancora un mistero per la scienza. Ogni morte sulla strada, per quanto inutile, una spiegazione però ce l’ha: nella migliore (si fa per dire) delle ipotesi, purtroppo rarissima, è un guasto meccanico o una buca sull’asfalto. Nella maggioranza dei casi, invece, si tratta di veri e propri crimini stradali commessi senza movente, come la guida in stato di ebbrezza o la velocità eccessiva. Le morti nei cantieri (fissi o mobili), possono essere classificate – pensate – a volte come semplici infortuni sul lavoro, altre ancora come meri incidenti stradali. Ma non si tratta né dell’uno, né dell’altro: se ci scappa il morto, un motivo c’è, ed è inaccettabile chiamare in causa la fatalità. La realtà è che queste morti non disturbano il sonno della gente, che scorre fuggevole lo sguardo sulla lettura delle notizie di cronaca e che nemmeno si sofferma ad osservare gli operai al lavoro, che cuociono nel riverbero del sole dei mesi estivi, o congelano imbacuccati come esploratori antartici nelle notti di gennaio. Per questo, noi che di questi eventi abbiamo purtroppo molta, troppa dimestichezza, crediamo sia giunto il momento di fare il punto della situazione. Gli eventi letali che avvengono nei cantieri stradali, possono essere classificati in tre grosse fattispecie:
• la prima riguarda la morte di operai e tecnici che operano all’interno dell’area (solitamente investiti da veicoli in transito);
• la seconda ha invece come teatro la coda che si forma sul sentiero di avvicinamento al cantiere; • la terza coinvolge entrambe le categorie precedenti e che per una qualche ragione coinvolge sia veicoli in transito che personale all’opera.
È ovvio che la componente umana gioca un ruolo di primordine, perché è quasi sempre la trasgressione a mettere fine alla vita. In questo contesto, affronteremo la sicurezza del lavoratore, e come vedrete non sarà facile distinguere gli ambiti. Le cause di letalità, nella maggioranza dei casi, sono imputabili ad un pericolosissimo mix costituito da velocità eccessiva, distrazione o stato di ebbrezza, scarsa attenzione della segnaletica, ma soprattutto dalla mancanza di sensibilità che la stragrande maggioranza delle persone al volante dimostra ogni volta che transita in un’area di cantiere stradale.
 Nell’affrontare i restringimenti si inscenano veri e propri duelli tra chi ritiene di dover difendere la propria posizione a tutti i costi e chi invece – pur dovendo cambiare corsia – rimanda la manovra all’ultimo istante utile: atteggiamenti pericolosissimi, che vanno ben oltre l’ignoratissimo divieto di sorpasso e in barba a quel poco di cavalleresco che può esserci nel codice della strada, quando impone di agevolare la manovra di sorpasso. Non parliamo poi degli scambi di carreggiata, spesso imboccati con manovre pistaiole, che impongono alle auto poderose variazioni di carico con l’effetto sempre più diffuso del “dritto” sulla corsia opposta, spesso separata – soprattutto sui cantieri mobili – da una fila di coni. In effetti, l’Italia – e qui introduciamo un altro spunto di riflessione – è uno di quei paesi il cui codice della strada non impone l’impiego di barriere per separare le corsie (come ad esempio il new jersey) ma si limita a prevedere l’utilizzo di semplici coni o di cordoli, anche per i cantieri di lunga durata. Una distrazione e la frittata è fatta. Proprio questi particolari, filtrati dalla nostra esperienza di operatori di polizia stradale, ci hanno convinti del fatto che l’utente non conosce per niente i rischi del traffico in condizioni di viabilità maggiore. Ne è un’ulteriore conferma il numero altissimo di investimenti mortali in danno di cittadini comuni che si verificano ogni anno in autostrada o su viabilità a scorrimento veloce: gente che cambia pneumatici, che soccorre persone coinvolte in pregressi incidenti, a bordo di auto ferme in corsia d’emergenza (per telefonare o consultare una mappa), fino agli scontri con auto in retromarcia. Gente che muore per colpa di atti della circolazione apparentemente normali e che tali sarebbero se tutti rispettassero il limite di velocità o mantenessero sempre la capacità di arrestare il veicolo (anche in autostrada) in presenza di un ostacolo inatteso. L’incoscienza dei rischi è causa diretta anche di uccisioni e ferimento dei professionisti, coloro cioè che lavorano in carreggiata e che nella maggior parte dei casi avevano adottato tutte le norme di sicurezza possibili, inutili quando manca il buonsenso degli altri. Il cantiere stradale è ormai un evento assolutamente ordinario, in tutta la nostra rete viaria. È questo un dato di fatto, col quale ognuno di noi è costretto a confrontarsi ogni volta che si trova alla guida di qualcosa. A dire la verità, ci si misura anche il pedone, visto che sempre più spesso l’area cantiere tende a cronicizzarsi ovunque, città compresa. A concorrere al lavoro in corso in pianta stabile, c’è la maglia del subappalto in economia, l’incuria di molti enti proprietari della strada, la scarsa applicazione di chi dovrebbe risolvere in tempi brevi la causa dell’intervento. Non è il caso dell’autostrada, o – almeno – non dovrebbe esserlo. È, comunque, una vera e propria trappola, perché interrompe la routine di una strada costringendo il veicolo a modificare la propria condotta, saltando da una carreggiata all’altra, facendogli diminuire la velocità od obbligandolo a tortuose deviazioni. Le conseguenze del cantiere, sono dunque molteplici: si va dal rallentamento, all’interruzione del traffico, all’incidente stradale, fino alla scarsa sicurezza di chi lavora per noi, con l’aggiunta della perdita di sensibilità da parte degli utenti verso le più elementari norme di sicurezza, data dall’insofferenza per la presenza di decine di questi siti anche nei brevissimi spostamenti. Secondo le rilevazioni della NHTSA, l’agenzia federale americana che si occupa di sicurezza stradale (National Highway Trafic Safety Administration), ogni anno negli Stati Uniti muoiono in aree pericantierali circa 850 persone (50mila feriti). Il numero di operai addetti a lavori di manutenzioni investiti ed uccisi oscilla tra i 106 morti del 1992 ed i 136 del 1999. In Italia, tanto per cambiare, dati precisi non sono al momento disponibili. Sappiamo (da un’inchiesta di Quattroruote) che nel 2005 i sinistri con esito letale rilevati sui sentieri di avvicinamento ai cantieri di Autostrade per l’Italia sono stati 16 (ma non conosciamo il numero delle vittime). L’Asaps ha tenuto invece il conto degli operai falciati ed uccisi all’interno di cantieri autostradali nell’arco del 2006: 7 le vittime, ma il dato è desunto dalla cronaca ed è molto probabile che non sia completo. A questi si devono aggiungere gli eventi con lesioni, anche gravi: per esempio il 5 ottobre 2006, a Fidenza (Parma), un operaio che lavorava all’asfaltatura della A1, è stato travolto da un’auto sopraggiunta a velocità altissima, riportando l’amputazione delle gambe. L’inesattezza dei dati relativi a questa nicchia di sinistrosità, è dovuta al fatto che manca – anche in campo statistico – una sensibilità dedicata: si pensi che al 2005 le statistiche ufficiali non fanno alcun riferimento agli episodi rilevati all’interno di aree cantierali, mentre ci sono solo le società autostradali concessionarie a censire gli eventi, grazie alla compilazione da parte della Polizia Stradale del modello TS14 (rapporto di incidente). Secondo Autostrade per l’Italia, sulla rete del gruppo vengono attivati ogni anno circa 40.000 cantieri, che impiegano mediamente oltre 300 persone al giorno. Si tratta di lavori di manutenzione ordinaria, come il rifacimento del piano viabile (25%), interventi di ripristino della segnaletica orizzontale (20%), potatura e conservazione delle cosiddette opere in verde (30%), mentre il restante 25% è costituito dalle grandi opere (si pensi alla quarta corsia nel tratto padano dalla A1 o alla variante di valico fino alla realizzazione della terza corsia sul tratto appenninico dell’Autosole da Bologna fino ed oltre Firenze). Sono compresi in quest’ultima fetta di torta i lavori per l’installazione delle nuove barriere di contenimento, quelle fonoassorbenti ed il ripristino dei luoghi a seguito di eventi accidentali. C’è chi sostiene che all’estero tanto disagio non è mai arrecato, ma a tale osservazione si ribatte che al di fuori dei confini nazionali, un’auto oltre i limiti di velocità in aree di cantiere viene puntualmente inseguita dalla polizia. Le violazioni contestate di questo tipo sono comunque rare: all’estero, perché non vengono commesse, in Italia perché non vengono accertate. Questo perché nel nostro paese letteralmente nessuno ubbidisce alle prescrizioni e la vigilanza in tali aree – complice anche l’esiguità degli organici della Polizia Stradale – è di fatto inesistente. Come funziona un cantiere autostradale (oggetto di un’interessante inchiesta pubblicata su Quattroruote) è per noi operatori fin troppo chiaro: non appena il traffico cala, scatta il piano d’intervento, con la chiusura del tratto interessato e l’entrata in azione di uomini e mezzi, per riuscire a riaprire la carreggiata entro le prime luci dell’alba. I cantieri stanziali, quelli che invece si prolungano nei mesi (o negli anni), sono animati da orari propri, da piccole città dove la vita è scandita dal cambio del turno, con spacci di generi di prima necessità, aree ricreative e uffici sanitari: sono, in realtà, alienati dalla realtà del traffico, perché ben delimitati da recinzioni e barriere. Rallentano la marcia dell’arteria, perché solitamente la riducono, ma non ci sono scambi possibili né eventi infortunistici legati alla circolazione stradale. Dunque, a noi interessa il cantiere che interagisce col traffico, quello che l’utente della strada si trova a dover affrontare come condizione di marcia, sia esso di tipo fisso (che non subisce alcun spostamento almeno nell’arco di mezza giornata), che di tipo mobile (caratterizzato da una progressione di marcia da poche centinaia di metri al giorno a qualche chilometro all’ora). Secondo una recente indagine esperita nell’ambito di Euro Test (alla quale ha partecipato l’ACI), 3 cantieri stradali su 5 – in Italia – offrono oggi un sufficiente standard di sicurezza, pur essendo ancora ben lontani dalla media dell’Unione Europea, dove l’esame è stato superato dal 90% dei cantieri. Nel 2005, solo 1 cantiere su 5 aveva superato l’esame. Il peggior cantiere tra i 53 esaminati in tutta Europa è risultato quello della A3 nei pressi di Eboli (Salerno): inaccettabile, visto che l’ente proprietario della strada è l’Anas… esattamente come la E45. In modo particolare, però, ci interessa l’evento che rompe lo schema del cantiere e che semina la morte al suo interno. Nell’analisi degli episodi da noi monitorati, l’evidenza del ruolo giocato dai mezzi pesanti è schiacciante: 5 episodi letali su 5, hanno avuto come protagonisti veicoli commerciali complessi (autoarticolati o autotreni), che sono sopraggiunti nell’area cantierale senza rendersi conto della modifica della viabilità. Le inchieste stabiliranno in quale misura abbia giocato la posa della segnaletica, ma da tempo siamo abituati al preavvertimento dei lavori sui tabelloni a messaggio variabile e difficilmente la segnaletica autostradale è fuori regola: l’ultima, dopo l’evento mortale di ottobre in A1, indica la presenza di operai al lavoro anche in inglese: men at work. La regola fondamentale di sicurezza, è semplice: proteggere il cantiere dagli utenti e proteggere gli utenti dal cantiere. Non è un gioco di parole, ma è parte stessa del progetto che dovrebbe sempre essere redatto prima di intervenire per la manutenzione, in ossequio alla 626 ed al codice della strada. Le cause degli eventi monitorati, sono ascrivibili sempre al superamento dei limiti di velocità imposti nelle aree a rischio. Secondo Autostrade per l’Italia, la ragione di questa costante trasgressione (mediamente si percorre il tratto interessato a velocità doppie o triple rispetto al limite imposto) è dovuta alla percezione errata di questi limiti da parte dell’utenza, che interpreta le riduzioni di velocità come incongruenti rispetto alle caratteristiche della strada. Non c’è insomma la giusta comprensione del perché il limite così basso venga imposto in quel determinato tratto di strada. Eppure, aggiungiamo noi, ci pare semplice: tutelare l’incolumità di chi lavora sulla carreggiata e di chi, quella carreggiata, la percorre. Ma del resto: quando mai un limite è osservato? A lavorare in pattuglia, si ha l’impressione che chi rispetta i limiti sia come “Pel di carota”: Bravo, ma destinato ad essere presto vessato dai fratelli maggiori, che gli rivolgeranno presto sciabolate di fari pur di farlo spostare. Senza entrare in polemica con la categoria degli autotrasportatori – i pochi utenti della strada ai quali possiamo come operatori di polizia stradale far riferimento in condizioni limite – è purtroppo un dato di fatto che la gran parte di questi eventi sono stati innescati da mezzi pesanti, troppo spesso incolonnati in fila indiana a pochissimi metri di distanza gli uni dagli altri. Già in condizioni di perfetta vigilanza, evitare un impatto in tali contesti sarebbe già un successo; figurarsi poi se lo stato psicofisico di chi sta al volante di un bisonte della strada è viziato da stanchezza (troppo massacranti i tour de force ai quali si sottopongono in nome della concorrenza, spesso sleale e concretizzata da conducenti extracomunitari) o da altre componenti affatto rare in tutte la categorie di utenti (colpo di sonno, stato di ebbrezza, manovre pericolose). Sappiamo di essere stati additati, di recente, quali critici della categoria, ma non è affatto così. Siamo consci che se c’è una categoria che non corre per il gusto di correre è quella dei camionisti. Ma la fatica, stanchezza, lo stress giocano un ruolo determinante. Non si dimentichi che sulla strada ci siamo noi, a vigilare come a rilevare incidenti mortali: un briciolo di competenza, se permettete, la rivendichiamo. L’incidente in cantiere si presenta allora come un male della nostra epoca, nella quale ogni evento che spezza la regolarità della marcia diviene causa di incidente stradale: tutti avranno visto i mezzi tecnici delle società autostradali, o le pattuglie della Specialità, attestarsi a tergo delle code per segnalare gli imprevisti: eppure i tamponamenti continuano, aggiungendo code alle code, disagi al disagio, morti ai morti. Secondo il disciplinare tecnico (DM 10.07.2002), la segnaletica temporanea istituita in prossimità dei cantieri non deve semplicemente informare gli utenti e guidarli nella variazione della condotta di marcia fino al superamento del cantiere, ma anche convincerli a tenere un comportamento adeguato, seguendo alcuni principi previsti dalla legge. È una filosofia insolitamente umana, quella del disciplinare, fondata sulla riflessione ed il buon senso: dove piazzare la segnaletica e come, (principio di adattamento), sostituire del tutto la segnaletica ordinaria, coprendola per non ingenerare equivoci (principio di coerenza in ossequio all’articolo 30/5° del regolamento di esecuzione del CDS), chiarezza ed efficacia delle segnalazioni (principio di credibilità), evitando per esempio lunghe percorrenze a 5 km/h, ed infine l’utilizzo di segnaletica efficiente (principio di visibilità), tenendo lontano il materiale obsoleto e danneggiato. È dunque questo ciò che manca? La capacità di far credere all’automobilista, al camionista o al motociclista che le conseguenze di un gesto considerato normale in normali condizioni di traffico (si perdoni l’allitterazione) possono costare la vita a chi lavora per noi? Sul fronte della prevenzione, allora, c’è da lavorare ancora parecchio: le morti bianche, sulla strada, non esistono. C’è una connessione di colpe e responsabilità spesso inconsapevoli, che devono essere superate innanzitutto con la presa di coscienza che ad un’azione corrisponde una reazione, con la condivisione del concetto che un comportamento responsabile evita sangue inutile. L’utenza deve essere richiamata al rispetto di regole semplici, che non sempre sono poste in maniera chiara, ma alle quali tutti dobbiamo sottostare. Chiudiamo con un interrogativo: quanti controlli di velocità e distanza di sicurezza vengono eseguiti nei cantieri? Quante sanzioni vengono contestate ai maghi da gincane che cambiano traiettoria all’ultimo momento prima di infilare l’unica corsia accessibile? Forse, oltre ad una cultura diversa del rispetto delle regole della strada (e del cantiere stradale), semplicemente presidiando il territorio, si può ripristinare la legalità, ed evitare che un incidente stradale passi per infortunio sul lavoro.

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Un cantiere con una autobox per la verifica della velocità dei veicoli in transito

 

Gli episodi monitorati dall’Asaps

- FOIANO DELLA CHIANA (AR), 29 MAGGIO 2006
- ACQUAVIVA DELLE FONTI (BARI), 29 AGOSTO 2006.
- PIAN DEL VOGLIO (BO), 5 SETTEMBRE 2006
- FIDENZA (PR), 5 SETTEMBRE 2006
- ROSIGNANO MARITTIMO (LI), 23 OTTOBRE 2006
- DALMINE (BG), 8 NOVEMBRE 2006

da il Centauro n.109


© asaps.it

Di Lorenzo Borselli

da "il Centauro"
Mercoledì, 28 Febbraio 2007
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