Rassegna stampa dell’8 Settembre 2005 |
Da “Il Secolo XIX” del 8 settembre 2005 Ore 8,35: l’ora dell’emergenza. Una cisterna carica di solventi per l’industria appena entrato al casello di Savona affronta male la curva che lo immette sull’Autofiori (andava in Spagna) e si ribalta su un fianco finendo contro il muraglione. Illeso l’autista, nessun altro mezzo è coinvolto, ma nella cisterna si apre una piccola falla. Sono pochi centimetri ma bastano per far uscire decine, forse qualche centinaio di litri di "cicloesanone", un solvente tossico e infiammabile. Praticamente veleno. Respirarlo a lungo da vicino può essere letale; passarci una fiamma o una fonte di calore, può farlo esplodere. Il liquido nocivo si disperde sull’asfalto e nell’atmosfera. Pochi secondi e scatta l’allarme. Si teme la nube tossica, si teme una catastrofe. È lo stesso autista a chiamare i soccorsi. Pochi minuti e sul posto arriva una volante della polizia con due agenti sopra che nel bloccare il traffico autostradale si avvicinano troppo alla cisterna e finiscono ko.
Intossicati, vengono accompagnati al pronto soccorso. Ma poche ore dopo saranno dimessi con una prognosi lieve: 2 giorni a testa. E a quel punto si sa già che il veleno in realtà non uccide, al massimo stordisce. E di nube tossica non può produrne, perché pesa più dell’aria. E terzo ne è uscito troppo poco per creare allarme. Ma sono cose note nel tardo pomeriggio. Prima è regnato l’allarme e l’angoscia. L’emergenza è iniziata così. Ed è durata tutto il giorno tra la paralisi del traffico autostradale e la difficoltà di affrontare e gestire il pericolo d’inquinamento. In parte durerà anche oggi perché il tratto interessato dallo sversamento dev’essere riasfaltato. L’unico dato positivo è quello sanitario: a parte due poliziotti intossicati, nessun’altra persona ha dovuto ricorrere alle cure mediche. Però dai pompieri ai carabinieri ai vertici dell’Autofiori, tutti hanno sudato freddo ieri mattina. Subito dopo il ribaltamento sono intervenuti carabinieri e vigili urbani che hanno chiuso le rampe d’accesso all’autostrada e le strade vicine (via Caravaggio). Intorno alla cisterna gli agenti della polstrada hanno creato un muro impedendo a chiunque di avvicinarsi. Il casello di Savona è stato chiuso in entrata e in uscita. A contatto col solvente sono rimasti pompieri e tecnici dell’Arpal che vestivano mascherine, respiratori, tute, guanti. Sono stati proprio i pompieri ad ispezionare la cisterna e trovare il foro da cui è uscito il cicloesanone. "Per fortuna non è grosso, solo pochi centimetri, e questo ha fatto sì che la maggior parte del carico (sulla cisterna si calcola ce ne possano stare circa 20 mila litri) sia rimasto all’interno" ha spiegato l’ingegnere Silvio Saffioti, comandante dei pompieri. La sua caratteristica principale è essere infiammabile. Passata la paura della nube c’era quella di un’esplosione. Per questo oltre che sull’A10 il livello di guardia è stato esteso a tutto il circondario: Legino, Valleggia, Quiliano e le colline intorno. Qualcuno era incerto se allontanarsi da casa. A vigili e carabinieri hanno chiesto se conveniva chiudere le finestre. Per fortuna erano scrupoli ingiustificati. Non è successo nulla. Poi la ditta di Piacenza che faceva il trasporto ha chiarito: "Bisogna travasare il liquido restante su un’altra cisterna e solo quando sarà completata quest’operazione potremo rimuovere il mezzo ribaltato". Per farlo sono venuti appositamente da Piacenza e questo ha dilungato i tempi. Nell’attesa il casello è rimasto chiuso e la cisterna piantonata da uomini e nastro isolante. Poi verso sera l’operazione è stata completata. Ma sull’asfalto è rimasta la ferita del liquido che attendevano in un’industria spagnola e non è arrivato. Dal punto di vista dell’indagine la responsabilità dell’incidente è certamente del camionista che deve aver affrontato la curva troppo veloce. Ma questi rischia soprattutto per l’inquinamento dell’ambiente se le analisi accerteranno che la fuoriuscita lo ha provocato. Da “Il Gazzettino” del 8 settembre 2005
PORTANO A ROSSANO LE INDAGINI DELLA POLIZIA STRADALE SU UN INCIDENTE ACCADUTO SABATO SCORSO AD ALTIVOLE Travolse il ragazzo e scappò: era senza patente e recidivo. Castelfranco
E’ bastato un piccolo frammento della mascherina dell’auto agli agenti della Polstrada di Castelfranco per risalire all’investitore pirata che il 3 settembre scorso ad Altivole aveva travolto un ragazzo del posto di 16 anni. Un ragazzo che aveva subito lesioni guaribili in un mese. Ieri mattina l’ultimo atto dell’indagine quando gli agenti hanno chiamato il protagonista forse più sconvolto per il fatto di essere stato scoperto che per una serie presa di coscienza di quanto ha combinato. Si tratta di un cittadino romeno di 22 anni, M.D., regolare in Italia che abita insieme alla famiglia a Rossano Veneto (Vi). Il ragazzo è risultato privo di patente e dell’assicurazione dell’auto.Per questo motivo si è beccato una denuncia a piede libero per omissione di soccorso e fuga, quindi le sanzioni amministrative dovute al fatto che guidava senza patente ed assicurazione. L’auto, una Volkswagen Golf, è stata posta sotto sequestro ma, dopo l’iter burocratico e giudiziale a cui sarà sottoposta, sarà confiscata. La confisca dell’auto è dovuta per legge perché il protagonista è recidivo: era stato trovato senza patente dalla polizia stradale di Verona. E’ stato un grande lavoro investigativo quello che ha permesso agli agenti della Polstrada di Castelfranco di individuare questo personaggio. Un lavoro iniziato subito sabato notte quando intorno alle 24 sono stati chiamati ad Altivole dove era avvenuto l’incidente. L’impatto non era stato violentissimo e per questo non aveva lasciato molti ’segni’ se non un pezzettino di mascherina dell’auto. "Quel frammento ci ha permesso di individuare il tipo di macchina - spiega soddisfatto il comandante ispettore Fabio Viale - e poi di arrivare al conducente". Da “Il Giornale di Vicenza” del 8 settembre 2005
La magistratura ha aperto un’inchiesta anche per riciclaggio nei confronti di un gruppo di individui, tra cui un commercialista di Lonigo Stangata con le auto di lusso. Caccia al tesoro all’estero E per un altro troncone d’indagine la procura scaligera ha chiuso l’istruttoria per 12 persone i.t. Due anni dopo la grande stangata, consumata ai danni di quasi 200 clienti raggirati con la scusa di comprare auto di prestigio con sensibili sconti, si rimettono in moto le indagini nel tentativo di risalire al tesoro nascosto da A. A. e soci. Tra le vittime anche molti professionisti e imprenditori del Vicentino.
All’appello mancano tre miliardi 354 milioni di vecchie lire, mica bruscolini, che la presunta associazione per delinquere capeggiata dai fratelli A. e G. A. e l’ex poliziotto della squadra mobile di Verona C. O., con la complicità del commercialista R. P. di Lonigo, che curava la contabilità della ditta Commerce@House, avrebbero dirottato verso investimenti esteri dopo avere spennato 183 parti offese. Il filone principale dell’inchiesta è di recente giunto alla fase conclusiva. Il pm ha inviato ai 12 indagati (oltre ai fratelli A, al poliziotto O. e al rag. P., le sorelle E. e L. P., T. C., G. G., M. M., F. O., A. V. e F. V.) gli avvisi nei quali sono specificate le accuse. Il sistema truffaldino messo in piedi da A. era stato abbastanza semplice. Dopo avere individuato gli opinion leader in alcuni ceti professionali del capoluogo e provincia e in alcune comunità, molte delle quali nel Basso Vicentino, ha loro venduto macchine di lusso con uno sconto del 20-30 per cento sul listino. I clienti, ovviamente, hanno raccontato a colleghi, amici e parenti mirabilie sul conto della concessionaria Commerce@House, che aveva sede ad Alonte. In tanti hanno così abboccato. Si trattava anche di persone scafate, le quali erano state convinte dal classico passaparola. In realtà, i fratelli A. avevano disegnato una ragnatela di truffe che nell’arco di qualche mese sono scattate una dopo l’altra, assestando incredibili bidoni. C’è stato chi ci ha rimesso “soltanto” la caparra, nell’ordine di qualche milione di vecchie lire, chi invece ha versato il prezzo concordato di più automobili. La presunta organizzazione criminale era in grado di produrre documentazione che tranquillizzava la clientela sulla disponibilità di automobili. A distanza di due anni le persone avvelenate dalla beffa sono ancora tantissime in giro per Vicenza. "Purtroppo la legislazione italiana è permissiva in fatto di truffe - spiega una professionista di 34 anni, che versò ad A. 5 milioni di lire e non ha mai visto la Golf promessa - e le parti offese non sono tutelate. All’estero sono molto duri con chi raggira la gente con simili artifizi. Si va in galera". Così, dopo avere informato gli indagati che l’inchiesta per l’associazione per delinquere è terminata, il pm Celentano ha incaricato la polstrada di Vicenza di cercare di capire dove sono finiti i soldi. Toccherà agli agenti del vicequestore Antonio Macagnino analizzare conti e tabulati per scoprire dove sono stati investiti i contanti della maxibeffa. Dell’inchiesta si era occupata anche la tributaria di Vicenza, la quale aveva raccolto qualche denuncia. C’è il sospetto degli investigatori che gli A., magari con la consulenza del quotato commercialista P., abbiano dirottato in Romania gran parte del tesoro investendolo in immobili e attività produttive. Una caccia segnata in partenza?. |
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