Responsabilità anche per i medici. Infatti rischiano
una multa salata i sanitari che dimenticano di avvertire i pazienti che i
medicinali prescritti hanno effetti collaterali che inducono sonnolenza. Lo ha
stabilito la Quarta Sezione Penale della Corte di Cassazione chiamata a
decidere sul caso di un medico di pronto soccorso presso l’ospedale di Gorizia
che aveva somministrato ad un paziente cardiopatico un tranquillante che dava
come possibili effetti collaterali il “colpo di sonno”: Il dottore non lo
aveva avvertito, e a seguito della somministrazione il paziente era
incorso in un incidente stradale causato proprio da un (suo) colpo di
sonno; per questi motivi il medico era stato condannato, sia in primo che
in secondo grado, ad una multa di più di mille euro per lesioni colpose.
Secondo la Suprema Corte i medici non sono tenuti solo ad una semplice
comunicazione verbale nei confronti dei pazienti, ma hanno l’obbligo di mettere
per iscritto l’avvertimento sui possibili rischi causati dalla somministrazione
di farmaci con effetti collaterali. Verba
volant scripta manent. (2
marzo 2007)
Suprema Corte di Cassazione, Sezione Quarta Penale,
sentenza n.1025/2007 15 gennaio 2007
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE IV PENALE
SENTENZA
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
C.G., nella qualità di medico del pronto soccorso
dell’ospedale civile di Gorizia, è stato chiamato a rispondere del reato di lesioni colpose [1] in danno di S.D. in quanto,
dopo aver somministrato al predetto (presentatosi al pronto soccorso adducendo
un generico malore diagnosticato quale cardiopalmo tachiaritmico) una fiala di
EN (5 mg.), all’atto delle dimissioni non aveva reso edotto il paziente dei
possibili effetti collaterali del farmaco (tra cui il colpo di sonno) e della
necessità di non mettersi alla guida per almeno dodici ore; lo S. si poneva
alla guida della sua autovettura (trascorse circa 5 ore dalla somministrazione
del farmaco) e, secondo quanto dal medesimo dichiarato nella querela, veniva
colto da un colpo di sonno, a causa del quale invadeva l’opposta corsia della
strada, entrando in collisione con un’altra autovettura e riportando
nell’incidente lesioni gravi; fatti verificatisi in data 20/4/1999. In primo grado il C. veniva condannato ad un mese di
reclusione, sostituito dalla pena di euro 1140,00 di multa, nonché, unitamente
al responsabili civile azienda sanitaria, al risarcimento del danno in favore
della persona offesa costituitasi parte civile. La sentenza di primo grado è stata confermata in appello
con la sola riduzione della provvisionale già concessa.
In entrambi i gradi di giudizio, veniva ritenuta la colpa
del C. per il mancato avvertimento circa gli effetti del farmaco, e veniva
altresì ritenuto esistente il nesso di causalità in base al principio della
certezza processuale quale affermato dalla più recente giurisprudenza di questa
corte (sez. un. Sent. n. 30328 del 2002 e sez. IV n. 38334 del 2002); gli
effetti del farmaco erano tali da condizionare le capacità psicofisiche del
guidatore e dunque tutta la sua condotta di guida, anche se imprudente, doveva
ritenersi da esso influenzata; peraltro la dinamica dell’incidente non
evidenziava alcun elemento tale da fondarvi l’individuazione di altre cause.
Avverso la sentenza resa in grado di appello ha presentato
ricorso per cassazione la difesa dell’imputato deducendo i seguenti motivi:
illogicità manifesta della motivazione e violazione dell’art. 192 c.p.p.; il
ricorrente ripercorre le vicende processuali che hanno portato alla condanna e
ricorda che il procedimento, a seguito di querela dello S., è iniziato solo
dopo due richieste di archiviazione da parte del PM respinte dal GIP; nel
frattempo lo S. aveva esperito azione civile nei suoi confronti, abbandonandola
dopo che il giudice, dando atto che secondo i risultati della consulenza
tecnica di ufficio non era possibile raggiungere la prova sulla riconducibilità
dell’incidente all’assunzione del farmaco, aveva invitato le parti a precisare
le conclusioni; lo S. si era allora costituito parte civile nel processo
penale; tanto premesso, esplicita le seguenti ragioni d’impugnazione: mancanza
di prove certe o indizi gravi precisi concordanti; infatti l’affermazione di
responsabilità è basata unicamente, da un lato, sulle dichiarazioni della
persona offesa contenute nella querela secondo cui egli, postoti alla guida,
era stato colto da un colpo di sonno; dall’altro, sulle varie perizie e
consulenze effettuate, che dimostrano però soltanto i possibili effetti del
farmaco, non già quelli effettivamente verificatisi; si è del tutto trascurato
che lo stesso S. al dibattimento (f. 4 della trascrizione del verbale di udienza)
aveva dichiarato di non ricordare assolutamente nulla delle modalità
dell’incidente e che la sua memoria si riferiva al momento immediatamente
successivo alla dimissione dall’ospedale; inoltre dalla stessa deposizione (ff.
10,16,17,18,19) risultava che egli aveva mentito su precedenti ricoveri al
pronto soccorso (di cui invece la difesa era a conoscenza), su precedenti
incidenti con violazione delle norme del codice della strada (risultanti dal
certificato penale) e sulla circostanza di essere stato a lungo in cura presso
il centro di igiene mentale (come documentato dalla cartella clinica che
attestava che egli era stato in cura presso il SERT dal 1972 al 1989), dove
evidentemente aveva assunto tranquillanti simili, con la conseguenza che ben
difficilmente tali farmaci potevano produrre su di lui gli effetti ritenuti
invece sussistenti e che comunque egli ben conosceva; mancanza di prova certa
che il dott. C. non ha avvertito lo S. della necessità di non mettersi all
guida per tutto il giorno; al riguardo esistono soltanto le contrarie versioni
fornite dallo S. e dal dott. C., quest’ultimo affermante che secondo la prassi
di ogni pronto soccorso aveva il paziente di non porsi alla guida dopo la
somministrazione di benzodiazepine; la parte offesa invece (ff. 24 e 25) al
dibattimento non era stata in grado di ricordare nulla circa quanto dettogli
dal medico all’atto delle dimissioni, se non un generico sta bene, può andare;
la prova positiva dell’omissione da parte del medico era a carico dell’accusa;
comunque bisogna domandarsi quale peso potesse avere tale omissione, ove per
ipotesi esistente, atteso che allo S. fu consegnato un foglio di dimissioni con
la prescrizione di tre giorni di riposo e che il paziente ben era a conoscenza
degli effetti dell’EN per averne fatto uso negli anni precedenti; non coerente
valutazione delle emergenze processuali sulla vera causa dell’incidente occorso
allo S.; si è trascurato che dalla stessa richiesta di archiviazione presentata
dal PM risultava che lo S. aveva appena effettuato il sorpasso di un’altra
autovettura (come riferito dal relativo conducente) e dunque doveva trovarsi in
una situazione di attenzione incompatibile con l’insorgenza di un colpo di
sonno; inoltre i precedente dello S. dimostrano che egli si era sempre
comportato da cattivo guidatore; di ciò si sarebbe potuto avere certezza
acquisendo, come richiesto dalla difesa con la richiesta di rinnovazione del
dibattimento, altri certificati del pronto soccorso relativi ricoveri del
medesimo in occasioni di incidenti stradali. Mancata assunzione di prova decisiva; lamenta che non è
stata accolta la richiesta di rinnovazione del dibattimento per acquisire copia
recente del certificato penale dello S., volto a dimostrare che il medesimo
aveva riportato significative condanne, e copia dei certificati del pronto
soccorso di Gorizia relativi ai ricoveri subiti dal medesimo il 29/12/2002 n.
46093 e il 9/7/2003 n. 14308, documenti la cui necessità si poneva in relazione
al rilevante peso dato alle dichiarazioni della parte offesa e che erano idonei
a smentire alcune dichiarazioni fatte dalla medesima. Il difensore della parte civile ha presentato memoria con
la quale resiste al ricorso dell’imputato e ne sostiene l’inammissibilità sia
con riferimento alla normativa vigente all’epoca in cui è stato proposto sia
con riguardo alla nuova normativa introdotta con la legge n. 46 del 2006;
richiama l’attenzione sulla circostanza che il ricorso contiene una
approfondita ricostruzione dei fatti che hanno dato origine al processo; che le
dichiarazioni dello S. vengono valutate nella loro attendibilità pur non
essendo stata fondata su tale aspetto la sentenza di appello; che la richiesta
di acquisizione del certificato penale e di quelli di pronto soccorso è
assolutamente infondata in quanto non potrebbe incidere sugli esiti del
processo, quale compiutamente ed correttamente ricostruito dalla sentenza di
appello secondo cui l’incidente si è verificato a seguito della condotta di
guida alterata dello S:, a sua volta causata dal farmaco che gli era stato
somministrato; rileva che, dalla sentenza di primo grado risulta che il
foglietto illustrativo del medicinale precisa, nel caso di somministrazione per
endovena, che i pazienti non dovrebbero essere dimessi se non accompagnati e
che la motivazione della sentenza sul mancato avvertimento da parte del dott.
C. è congrua sia con riferimento all’omissione dell’avviso sia alla
intelligibilità dello stesso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso merita accoglimento nei limiti appresso
indicati. Rileva preliminarmente il collegio che le censure proposte
risultano infondate quanto all’accertamento della colpa del dott. C. per il
mancato avvertimento allo S. circa gli effetti del farmaco somministrato sulle
capacità di guida e l’opportunità quindi di non mettersi immediatamente alla
guida. La serietà della possibile compromissione delle capacità
di guida risulta infatti chiaramente dal foglio illustrativo del medicinale,
riportato nella sentenza impugnata, che, per il caso di terapia endovenosa,
suggerisce che i pazienti non siano dimessi se non accompagnati e prescrive che
siano informati che non devono mettersi alla guida per tutta la giornata o
almeno nelle 12 ore successive alla somministrazione. Era dunque compito del dott. C. mettere al corrente il
paziente S. di tale situazione e la sentenza impugnata è logicamente motivata
sul punto, avendo ricavato il convincimento che un tale avvertimento non venne
dato da una compiuta valutazione delle risultanze processuali, in tal senso convergendo
non solo le dichiarazioni dello S. (che ha riferito che il dott. C. gli aveva
solo chiesto come stava e, alla sua risposta di sentirsi bene, gli aveva detto
che poteva andare senza alcun cenno agli effetti del farmaco), ma altresì da
quelle del C. (che sostanzialmente si è richiamato alla prassi esistente,
quella cioè di fornire tale informazione, senza però poter assicurare che tale
informazione venne da lui fornita effettivamente), nonché dal rilievo, che al
collegio appare particolarmente significativo, che un tale avvertimento non era
contenuto nel foglio di dimissioni consegnato al paziente. Fondate appaiono invece le censure per quanto riguarda la
richiesta di integrazione probatoria, non risultando corretta la motivazione
della sentenza impugnata laddove ha ritenuto di escludere la possibilità di
acquisizione di un nuovo, aggiornato, certificato penale della persona offesa e
della documentazione su ulteriori sinistri in cui la medesima sarebbe rimasta
coinvolta, facendo riferimento ad un precedente giurisprudenziale di questa
corte (sez. I 16/5/2002 n. 2361) secondo cui tale rinnovazione non può
consistere nella sola acquisizione, ai sensi dell’art. 236, co. 2, c.p.p., di
sentenze e certificati del casellario giudiziario al fine di valutare la credibilità
di un testimone le cui dichiarazioni sono già state assunte in primo grado. Tale precedente infatti sembra essere stato interpretato
dalla corte di appello nel senso che esso escluda la possibilità di acquisire
tali documenti; ma, dalla lettura della relativa sentenza, si ricava
chiaramente che viene invece affermato l’opposto principio (che nella specie
era rilevante ai fini dell’ammissibilità del giudizio abbreviato), secondo cui
l’acquisizione di documenti nel giudizio di appello prescinde dalla
rinnovazione del dibattimento. Deve dunque ribadirsi che, come peraltro costituisce
pacifica giurisprudenza di questa corte (da ultimo sez. un. 12/7/2005 n. 33748,
Mannino rv. 231676), nel giudizio di appello l’acquisizione di documenti è
senz’altro rituale, senza che sia necessaria un’apposita ordinanza che disponga
a tal fine la rinnovazione parziale del dibattimento, restando ineludibile,
tuttavia, che il documento venga legittimamente acquisito al fascicolo per il
dibattimento nel contraddittorio fra le parti, salva la valutazione sulla
necessità degli stessi al fine del decidere. A tal riguardo va’ulteriormente precisato che la corte
d’appello ha motivato anche sulla rilevanza dell’acquisizione di documenti
richiesti dalla difesa, in quanto sarebbe stato inutile, dal momento che la
ricostruzione dei fatti poteva, e doveva, essere fatta prescindendo da quanto
dichiarato da S. che al dibattimento aveva affermato di non ricordare nulla
dell’incidente; sotto tale profilo era dunque superfluo, secondo la corte dio
Trieste, approfondire, attraverso la dimostrazione di un eventuale mendacio, la
sua credibilità come teste. Il ragionamento è corretto, ma trascura di considerare che
anche a prescindere dal contributo che S. poteva o meno dare alla ricostruzione
dell’incidente, la conoscenza dei dati richiesti, essendo volta ad acquisire
informazioni, da un lato, circa l’attitudine alla guida del medesimo e,
dall’altro, circa la reazione del farmaco assunto, assumeva rilevanza ai fini
del decidere, dovendosi valutare, come in espresso si vedrà, la concreta
riconducibilità dell’incidente agli effetti del farmaco stesso. Era infatti necessario accertare non solo quali fossero in
generale gli effetti del farmaco, ma quli fossero stati in concreto, tenuto
delle condizioni fisiche dello S. in occasione di quella specifica assunzione,
della patologia di cui era portatore, dell’eventuale abitudine all’assunzione
dello stesso. Ed anche la qualità di cattivo guidatore assumeva
rilevanza nella complessiva valutazione dei fatti, dovendosi individuare le
cause specifiche dell’incidente occorso. È proprio sotto il profilo dell’individuazione della causa
dell’incidente risulta altresì carente l’accertamento della corte di appello. La corte ha così ragionato: S. mentre era alla guida si
trovava sotto l’influenza del farmaco; le condizioni psicofisiche indotte dal
farmaco potevano determinare una ipovalutazione della reale situazione, una
riduzione della reattività e dei riflessi muscolari, oltre che condizioni di
sonnolenza, che non solo potevano determinare l’errore nella guida e quindi
provocare la fuoriuscita della sede stradale ma anche portare a valutazioni
erronee sulla condotta di guida da tenere in relazione alle circostanze di
luogo e tempo; gli effetti del farmaco non erano contraddetti dalla deposizione
del teste F. e dagli accertamenti della polizia stradale, nel senso che non
erano risultate cause diverse dall’incidente; l’eventuale concorrente
imprudenza dello S. nella condotta di guida non escludeva il nesso di causalità
in quanto la velocità non era così elevata da determinare l’uscita di strada e
quindi non poteva essere considerata fatto autonomo ed esclusivo
dell’incidente; peraltro la stessa velocità era riconducibile alle
benzodiazepine (EN) in quanto la sua mancata commisurazione trovva
giustificazione nel generale stato di ottundimento delle emozioni determinato
dal farmaco. Il ragionamento è fondato su affermazioni teoriche non
sufficientemente precisate e non è sorretto da adeguati riscontri fattuali. È pacifico che gli effetti del farmaco somministrato
possono produrre un’alterazione delle condizioni di guida. Effetti principali dell’EN, risultano dal foglietto
illustrativo, sono: sedazione, ipnosi, rilassamento muscolare, senso di
stordimento, aumento del tempo di reazione, in coordinazione motoria; viene
inoltre segnalato che la sedazione, l’amnesia, l’alternanza della
concentrazione e della funzione muscolare possono influenzare negativamente le
capacità di guidare o utilizzare macchine. Il consulente del PM, dott. Costantinides ha poi chiarito
che il farmaco più che un addormentarsi improvviso, quale si determina nel
tipico colpo di sonno da stanchezza, produce uno stato di sonnolenza
ingravescente che procede fin quando il soggetto perde il controllo della vettura… Così individuata la causalità generale, cioè la legge
scientifica di copertura (secondo un’espressione ormai comunemente accolta)
capace di spiegare, con rigore scientifico, i fatti presi in considerazione,
occorre, come noto, passare ad un secondo momento di valutazione, e cioè
all’accertamento in concreto del nesso di causalità, alla verifica se nello
specifico caso considerato l’evento ha avuto luogo per effetto di quella legge
di copertura. Al riguardo la corte condivide gli esiti cui è giunta la
più recente evoluzione giurisprudenziale rappresentata dalle sentenze delle
sezioni unite e semplici già richiamate dai giudici di merito e sopra citate.,
che senza trascurare l’inquadramento dogmatico della complessa materia e
ripudiando criteri di accertamento meramente probabilistici e quantitativi ha
posto l’accento sulla necessità di ricondurre la problematica all’accertamento
del nesso di causalità nei termini della concreta verificabilità processuale,
di accertamento nel processo, procedendo nell’operazione ermeneutica alla
stregua dei comuni canoni di certezza processuale, non diversamente da quanto
avviene negli altri campi del diritto penale. Ritiene tuttavia che proprio sotto tale profilo la
sentenza non contenga una valutazione compiuta e logica. In particolare, non si è tenuto nella dovuta
considerazione la complessiva condotta di guida, risultante dal testo della
stessa sentenza (testimonianza F. conducente dell’auto sorpassata) secondala
quale S. ha percorso regolarmente una strada di andatura curvilinea (che
richiede evidentemente attenzione alla guida), si è posto dietro ad altra
autovettura, tallonandolo da vicino per poi superarla al primo tratto
rettilineo, ha acquisito una velocità sostenuta atteso che l’auto superata
procedeva a 80km/h e S., effettuato il sorpasso, guadagnava parecchie decine di
metri, a tale velocità ha affrontato la nuova curva sinistrorsa nella quale ha
perso il controllo dell’auto, invadendo l’opposto corsia di marcia. Viene così
descritto un comportamento di guida, protratto nel tempo, vigile e attento e
risulta pertanto illogico, oltre che privo di prova, ritenerlo collegato
all’effetto dell’EN, il cui effetto principale è quello di alleviare lo stato
d’ansia, nonché quello, eventuale, e comunque del tutto opposto alla vigile
condotta di guida desunta dai fatti, di indurre progressivamente sonnolenza. Si è altresì data per certa una diminuzione di percezione
e controllo dello S. cui riferire anche una eventuale condotta di guida
imprudente (velocità), senza voler prendere in considerazione che dalla
documentazione di cui la difesa chiedeva l’acquisizione, potevano emergere
ulteriori elementi di valutazione sugli effetti in concreto determinati dal
farmaco e sulle capacità di guida della stessa persona offesa. Ne risulta un accertamento incompleto ed in tal senso non
in linea con quell’esigenza di certezza processuale che, già affermata dalle
sezioni unite di questa core, è stata poi legislativamente imposta con
l’introduzione della regola dell’oltre ragionevole dubbio. La sentenza in questione deve pertanto essere annullata
con rinvio alla corte di appello di Trieste che, in diversa composizione, dovrà
procedere ad una nuova valutazione delle richieste probatorie e dei fatti,
chiarendo se il comportamento di guida concretamente posto in essere dallo S.
sia stato effettivamente, o meno, influenzato dalla somministrazione del
medicinale.
P.Q.M.
La corte annulla la sentenza impugnata con rinvio, anche
per le spese del giudizio di cassazione, ad altra sezione della corte di appello
di Trieste.
Depositata in Cancelleria il 15 gennaio 2007.
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