da "il
Centauro" "Velocità Virtuale: un nuovo concetto per comunicare i paradossali effetti della distrazione durante la guida" di Franco Taggi* |
|
Foto Coraggio Introduzione Domanda:
“Andreste a 200 km/h con la vostra auto?”. La
velocità “reale” Dovendo
successivamente parlare di “velocità virtuale”, sarà bene definire con
precisione quello che comunemente intendiamo con il termine “velocità”. Il
concetto di “velocità” deriva dalla fisica ed è, nella sostanza, qualcosa che
caratterizza la rapidità del moto. Come qualcuno ricorderà, anche per
esperienza scolastica, si tratta di rapportare uno spazio ad un tempo. Un
rapporto, in fondo: velocità=spazio/tempo. In generale, dividendo lo spazio
percorso per il tempo impiegato a percorrerlo, otteniamo questo indicatore
della rapidità del moto che – nell’ambito del discorso che stiamo facendo -
caratterizza la celerità (media) dello spostamento del nostro veicolo. Quando
la lancetta del tachimetro, che fornisce la velocità istantanea della nostra
auto, si posiziona ad esempio sui 100 km/h, essa ci segnala che, mantenendo
questo stato di moto, in un’ora percorreremo la distanza di 100 km. Come ho più
volte avuto modo di sottolineare, la percezione che abbiamo della rapidità del moto
risente molto delle unità di misura (prima, ad esempio, abbiamo usato i
chilometri per lo spazio e le ore per il tempo). In termini puramente
fisico-matematici, che si impieghino chilometri o millimetri, come pure ore o
microsecondi, non fa differenza: la velocità è sempre quella, anche se espressa
da numeri diversi. Invece, in termini psicologici… non è la stessa cosa. Il
nostro cervello sembra assai sensibile alle unità di misura nel trasformare
l’informazione “velocità” in qualche cosa di utile in termini di comportamento.
Fate un piccolo esperimento su voi stessi. Che impressione vi suscita qualcosa
come “40 km/h”? Probabilmente, l’idea che immediatamente sorge nella mente dei
più è quella di una velocità assai contenuta (anche io, confesso, ho questa
impressione). Tuttavia, se passiamo dai km/h ai metri al secondo (m/s), nella
nuove unità di misura apprendiamo che ci stiamo muovendo a circa 12 m/s (11.2
m/s, per l’esattezza). E ora, l’impressione cambia, nel senso che la rapidità
di questo moto non sembra cosa da “poco”: 12 metri (in un secondo)
rappresentano una distanza di
tutto rispetto, ben percepibile dal nostro senso comune. In due secondi, poi…
sono 24 metri; e 24 metri sembrano “tanti”. Un campione di Formula Uno,
sorpreso qualche tempo fa a guidare in centro abitato a 148 km/h (che anche in
queste unità appare una velocità ragguardevole), si stava muovendo a 41 m/s; un
importante amministratore, colto recentemente a guidare in autostrada a 311
km/h (sic!), volava basso a… 86 m/s. Facciamoci aiutare da Dante per capire
come passa il tempo: “Nel mezzo del cammin di nostra vita…”: per
recitare questo verso che tutti conosciamo ci si mettono circa 3 secondi. In
questo batter d’occhio, il campione percorreva 123 metri, l’altro ben 258
metri. Quanto abbiamo visto è relativo alla velocità così come comunemente la
intendiamo. Per non fare confusione, nel seguito la chiameremo “velocità reale”
(o “velocità fisica”). La
velocità “virtuale” La
guida consiste in una continua interazione tra Uomo-Ambiente-Veicolo. Nei
fatti, il conducente aggiusta traiettoria e velocità in base a quello che vede
sulla strada. Ed è un processo continuo. Entrando maggiormente nel merito, in
primo luogo egli deve percepire quello che c’è sulla strada; poi, analizzando i
segnali pervenuti (in genere visivi), rendersi conto di cosa si tratta; poi,
ancora, decidere se c’è da fare qualche aggiustamento; infine, se del caso,
farlo. E’ quella che noi chiamiamo “Catena PERIDEA”©, ovvero Percepire-
Riconoscere-Decidere-Agire. L’azione, una volta attivata, si concretizzerà in
un aggiustamento della traiettoria, in un aumento-diminuzione della velocità,
in altro ancora. Ma, per pervenire a questo (per esempio, per premere il piede
sul pedale del freno), la PERIDEA va comunque percorsa. E ciò richiede un certo
tempo. In genere, si assume che, in media, il tempo in questione sia intorno ad
un secondo (anche alla luce del fatto che alcune situazioni sono inattese, non
immediatamente riconoscibili, ed includono perciò un fattore “sorpresa” che
comporta anch’esso un po’ di tempo per essere metabolizzato). Questo secondo,
più o meno, di cui stiamo trattando, viene chiamato “tempo di reazione”
(qualche realista, o menagramo che sia, lo chiama “tempo morto”); lo spazio
percorso in questo tempo, viene invece indicato come “spazio di reazione”.
Sicché, se stiamo a 100 km/h e scopriamo che è necessario arrestare il nostro
veicolo, cominciamo a premere il pedale del freno dopo aver percorso ben 28
metri. Prendiamo a riferimento questo secondo di tempo necessario per attivare
l’azione ed immaginiamoci qualche situazione in cui possiamo facilmente
trovarci guidando la nostra auto. Siamo a 100 km/h e, improvvisamente, ci cade
qualcosa nell’abitacolo (una sigaretta accesa, ad esempio). Decidiamo di raccoglierla
e supponiamo che nel farlo ci si mettano 2.5 secondi. Ora, se malauguratamente
in quel mentre si presenta qualcosa lungo la nostra traiettoria, a causa di
questa banale distrazione inizieremo ad accorgerci dell’ostacolo dopo 2.5
secondi: avremo quindi percorso 70 metri prima ancora di attivare la catena
PERIDEA (che, nell’ipotesi formulata, richiederà poi un secondo). Conseguenza
del tutto, cominceremo a frenare (se avremo deciso che dobbiamo arrestarci)
dopo 98 metri (70m + 28m), non già dopo 28. E non è poco. D’altra parte, non è
insensato chiedersi a che velocità saremmo dovuti andare per percorrere tale
spazio di reazione qualora non fosse intervenuta la distrazione di cui sopra.
Se il nostro tempo di reazione (in condizioni normali) è pari a un secondo,
questa velocità “virtuale” sarà quella che, in pieno stato di attenzione, ci
farà percorrere in un secondo 98 metri prima di cominciare a frenare, ovvero 98
m/s. Per passare dai km/h ai m/s si usa il fattore 0.28 (1 km/1 ora = 1000
m/3600 s =0.28); per passare dai m/s ai km/h va usato invece il fattore 3.6
(che è l’inverso di 0.28). Possiamo, adesso, fare facilmente il conto che ci
interessa: 98* 3.6 = 352 km/h! Avete letto bene: 352 (352.8, per la
precisione). Il risultato è davvero paradossale, non intuitivo: andando a 100
km/h, per quella piccola distrazione, verremo a trovarci in una situazione che
sarebbe “normale” se stessimo viaggiando attenti a più di 350 km/h. Questa
velocità, che ho chiamato “velocità virtuale”, andrebbe sempre tenuta presente:
ogni occasione di distrazione ci farà virtualmente viaggiare con una rapidità
sensibilmente superiore a quella fisica. E questo vale per qualsiasi velocità.
Ad esempio, se quello che abbiamo visto in precedenza succede a 50 km/h, dove
ci muoviamo a 14 m/s, lo spazio percorso prima di cominciare a frenare (spazio
di reazione) sarà di 14*3.5=49 metri. La velocità “virtuale” risulterà perciò,
nell’ipotesi fatta sul “normale” tempo di reazione, pari a 49 m/s. Convertendo
questa col fattore 3.6, avremo in corrispon- denza un valore pari a 176.4 km/h! In formule, la relazione
che lega la velocità virtuale alla velocità reale è, con chiara scrittura. Velocità
virtuale ed energia La
velocità virtuale riguarda solo lo spazio di reazione, non già quello di
frenata, che è relato all’energia cinetica. In altre parole, il nostro spazio
di reazione, riferendoci all’ultimo esempio, sarà quello che in condizioni di
attenzione avremmo percorso a 176 km/h, ma l’energia da smaltire – per fortuna
- rimarrà sempre quella relativa alla velocità fisica, ovvero ai 50 km/h.
Resta, comunque, il fatto che la distrazione ha allungato sensibilmente lo
spazio di reazione: il che comporta, diciamolo senza tanti giri di parole,
quasi sempre dei guai. Se pensiamo che lo spazio di reazione può essere
accresciuto non solo dalla distrazione ma anche da certe indesiderabili
condizioni del conducente che inevitabilmente allungano i tempi di reazione,
quali stato di ebbrezza, influenza di sostanze psicotrope, sonno, stanchezza e
quant’altro, si comprende come la prevenzione di queste condizioni sia premessa
vitale per una guida sicura. Conclusioni La
morale della favola è dunque che non solo conviene essere costantemente vigili,
ma anche tenere una velocità moderata (moderata in funzione della strada e di quello che sulla
strada si trova: ad esempio, 50 km/h non sono una velocità moderata in zona
urbana, ma rappresentano il limite massimo di velocità permessa). Ma non è
tutto: sulla strada ci sono poi anche gli altri. Supponiamo, per semplicità, di
incontrare un conducente proveniente dalla direzione opposta, cui capiti esattamente
quello che è successo a noi (stessa velocità, stessa distrazione, stesso tempo
di reazione, ecc.): il problema non sarà dato ora solo dai nostri metri in più,
ma anche dai suoi! E ridendo e scherzando (si fa per dire…) ci troveremo ad
avere ambedue a che fare con tanti metri di troppo, che potrebbero portarci a
fare una reciproca conoscenza non particolarmente felice. Nella guida dovremmo
sempre tener conto che i nostri errori possono spesso sommarsi a quelli degli
altri. Parlando senza troppi eufemismi, la strada è piena di incoscienti al
volante: l’attenzione costante, una velocità moderata e una corretta distanza
di sicurezza sono tre potenti armi per neutralizzare l’imprudenza altrui. E,
usando ancora una spietata franchezza, se non possiamo evitare che degli
incoscienti guidino le altre macchine, cerchiamo almeno di far sì che la nostra
auto non sia guidata da un incosciente. *Reparto “Ambiente e Traumi”
Dipartimento Ambiente e connessa Prevenzione Primaria Istituto Superiore di
Sanità
Legenda |
|
|
© asaps.it |