Suprema Corte di Cassazione, Sezione Terza Civile, sentenza n. 3949/2007 LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Sezione terza civile Composta dagli Ill.mi Sigg.ri
Magistrati: Dott. Paolo Vittoria -Presidente- Dott. Antonio Segreto
-Consigliere- Dott. Alfonso Amatucci
-consigliere- Dott. Angelo Spirito -Rel.
Consigliere- Dott. Roberta Vivaldi
-Consigliere- Ha pronunciato la seguente S E N T E N Z A Sul ricorso proposto da: N.E., elettivamente domiciliata in
Roma via Sardegna 29, presso lo studio dell’avvocato Vasi Giorgio, che la
rappresenta e difende unitamente all’avvocato Farina Grazietta, giusta procura
speciale a margine del ricorso; -ricorrente- Contro Toro Assicurazioni SpA; B.F.; -intimati- Avverso la sentenza n. 202/03
della Corte d’appello di Cagliari – sezione Distaccata di Sassari del 23/05/03,
depositata il 03/06/03; Udita la relazione della causa
svolta nella pubblica udienza del 22/11/06 dal Consigliere Dott. Angelo
Spirito; Udito il P.M. in persona del
Sostituto Procuratore Generale Dott. Vincenzo Maccarone che ha concluso per
l’accoglimento del ricorso. Svolgimento del processo Il tribunale di Nuovo condannò il
B. e la Toro S.p.A. al risarcimento del danno da sinistro stradale in favore
della N. . La corte di Sassari (per quanto ancora interessa) ha parzialmente
accolto l’appello della N. Quest’ultima propone ora il
ricorso per cassazione, svolgendo due motivi. Non si difendono gli intimati. La
N. ha anche depositato memoria per l’udienza. Motivi della decisione Nei due motivi di ricorso la N.
lamenta i vizi della motivazione e la violazione degli artt. 2043 e 2059 c.c.
[1]. 1) – In particolare, il primo
motivo censura il punto della sentenza in cui è stata respinta la domanda di
risarcimento del danno subito per il mancato conseguimento del risultato scolastico
nell’anno in cui s’è verificato il sinistro, nonché quella del risarcimento
conseguente alla diminuita capacità lavorativa, accertata dal CTU nella misura
del 20% ed incontestata tra le parti. Il motivo è fondato. La sentenza impugnata ha respinto
le domande in questione nella considerazione che "non sussistono
elementi per calcolare una diminuzione reale della specifica capacità di
guadagno, che all’epoca l’infortunata non possedeva". Siffatta
affermazione non solo è viziata da difetto di motivazione ma, soprattutto,
contrasta con il principio ormai consolidato nella giurisprudenza di
legittimità secondo cui il danno patrimoniale da lucro cessante, per un
soggetto privo di reddito e a cui siano residuati postumi permanenti in
conseguenza di un fatto illecito altrui, configura un danno futuro, da valutare
con criteri probabilistici, in via presuntiva e con equo apprezzamento del caso
concreto. Pertanto, se occorre valutare il
lucro cessante di un minore menomato permanentemente, la liquidazione del risarcimento
del danno va svolta sulla previsione della sua futura attività lavorativa, in
base agli studi compiuti o alle sue inclinazioni, rapportati alla posizione
economico-sociale della famiglia, oppure (nel caso in cui quella previsione non
possa essere formulata) adottando come parametro di riferimento quello di uno
dei genitori,presumendo che il figlio eserciterà la medesima professione del
genitore (in tal senso tra le varie, cfr. Cass. 2 ottobre 2003, n. 14678). La sentenza va dunque , cassata
sul punto ed il giudice, adeguandosi al principio di diritto sopra enunciato,
dovrà procedere all’accertamento ed alla eventuale liquidazione del
risarcimento del danno da mancato guadagno subito dalla vittima, tenendo conto
che, benché non sia configurabile un danno da lucro cessante specificamente
rapportabile al ritardo (in via eziologia riferibile all’atto illecito
produttivo del danno alla persona) nel conseguimento del titolo di studio, di
questa circostanza può essere eventualmente tenuto conto nella misura in cui
quel ritardo stesso allunga i tempi per svolgere la probabile attività
lavorativa (produttiva di reddito) per il cui esercizio il titolo di studio è
necessario. 2) – Nel secondo motivo la
ricorrente – dolendosi del vizio della motivazione e della violazione dell’art.
2059 c.c. – censura la sentenza per avere respinto il suo motivo d’appello in
ordine al danno morale (liquidato dal primo giudice in L. 36.740), sulla base
della mera affermazione che esso "è stato liquidato in maniera
congrua", senza poi di fatto procedere alla relativa liquidazione.
Aggiunge che il giudice non ha tenuto conto dei propri rilievi circa il fatto
che la liquidazione del danno morale deve tenere conto della diminuita capacità
lavorativa e della gravità delle lesioni subite. Il motivo è infondato, in quanto
la sentenza contiene una congrua motivazione in ordine allo specifico punto
oggetto di denunzia. 3) – Pertanto, accolto il primo
motivo e respinto il secondo, la sentenza deve essere cassata, con rinvio al
giudice designato nel dispositivo, il quale provvederà anche sulle spese del
giudizio di cassazione. P.Q.M. La Corte accoglie il primo motivo
di ricorso, rigetta il secondo, cassa per quanto di ragione la sentenza
impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Cagliari, in diversa composizione,
la quale provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione. Roma, 22 novembre 2006. L’Estensore Il Presidente DEPOSITATO IN CANCELLERIA IL 20 FEBBRAIO 2007 |
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