A chi non è capitato, almeno una
volta nella vita, di incontrare sulla propria strada, e non in senso
metaforico, la classica auto che viaggia ad una velocità particolarmente bassa?
Nel raro caso in cui non ci si trovi in un circuito automobilistico e non ci si
trovi di fronte ad una safety-car, non essendoci le condizioni idonee
per una sorpasso, ed incuriositi da una simile flemma, spostiamo la nostra auto
leggermente sulla sinistra e ci “affacciamo” per vedere cosa impedisca al
veicolo che ci precede di viaggiare ad una velocità almeno decente, come per
concedergli un’ultima possibilità di appello. Con non poca sorpresa, e per
qualcuno con un pizzico di indignazione, notiamo che la strada davanti al
nostro apripista è completamente deserta e che quella a cui sta viaggiando è
una velocità scelta deliberatamente da quel guidatore. Così, teniamo il
motore in caldo e su di giri, ed appena possibile sorpassiamo l’auto con gran
fragore di pistoni, alzando la mano al cielo, gesto che l’anziano guidatore
(sì, adesso lo abbiamo visto, perché sorpassandolo siamo stati come costretti a
voltarci, a guardare che faccia potesse avere uno che guida così piano…)
difficilmente avrà scambiato per un saluto. A questo punto, il finale della
storia può prendere due direzioni differenti: alcuni avvertiranno l’eco di un
senso di colpa per aver pensato male dell’anziano guidatore,
riconoscendo la sua bassa velocità come una delle conseguenze dell’età
avanzata, e proiettandosi empaticamente nella sua condizione, col pensiero che
“tanto ci arriviamo tutti”, se non addirittura “speriamo di arrivarci”; altri
invece, ben più concentrati sul rispetto dei tempi della propria tabella di
marcia e sulle brillanti prestazioni automobilistiche sino ad oggi dimostrate,
danno per sottinteso che alla propria vecchiaia ci penseranno quando arriverà,
se mai arriverà, al grido di “a una certa età la patente la dovrebbero
ritirare!” Guidare un’autovettura è un’attività psicomotoria complessa, che
richiede l’elaborazione simultanea di diversi tipi di informazione (acustica,
visiva, tattile) ed una certa quantità di azioni fisiche, e con l’aumentare
degli anni, guidare un veicolo diviene un compito sempre più costoso per
l’intero organismo. Per questo motivo, i guidatori più anziani tendono a
compensare il disagio e la tensione che sperimentano al volante evitando
condizioni difficili di guida, come durante le ore di punta o con l’oscurità.
Il tentativo è dunque quello di far fronte a difficoltà di tipo operativo scegliendo
soluzioni strategiche adeguate. È stato suggerito (Hakamies-Blomqvist,
1994) che questo comportamento compensatorio sia adottato a seguito di una
sensazione di sovraccarico mentale durante la guida, più che dalla
percezione di un possibile rischio. E per quei guidatori che scelgono di
smettere del tutto di guidare questa decisione è spesso il punto di arrivo di
un processo graduale, durante il quale la guida è limitata sia qualitativamente
che quantitativamente. Quello che può innescarsi in questo caso specifico è una
sorta di reazione a catena, per la quale i primi disagi al volante fanno sì che
la pratica di guida sia vissuta come una condizione spiacevole, cosa che
renderà poco desiderabile l’idea di guidare nuovamente. Si comincerà quindi a prendere l’autobus, ad
andare a piedi, o a farsi accompagnare, ed a guidare l’auto soltanto quando non
è possibile fare altrimenti. Fino a che non ci si renderà conto che
l’autobus non è poi così male e che “quattro passi fanno bene alla
circolazione”. A rendere la pratica di guida una condizione spiacevole possono
partecipare svariati fattori, avvertiti dal guidatore come segni di un degrado
psicomotorio. Tra questi, la sensazione di sovraccarico o di confusione mentale
e la percezione del rallentamento dei riflessi possono contribuire ad aumentare
il senso di incapacità al volante, dipingendo l’autovettura, agli occhi
dell’anziano guidatore, come uno strumento sempre più difficile da
padroneggiare. A questo punto si confrontano le due immagini di se stessi alla
guida, quelle del “come ero” e del “come sono adesso”, con l’inevitabile
conclusione di non essere più lo stesso di una volta. La guida dell’auto, in
condizioni di prevedibile e non trascurabile impedimento dato dall’età,
equivale dunque ad una costante conferma di invecchiamento, boccone che per
taluni può risultare difficile da ingoiare. Per questo, meglio stare alla larga
dal volante. Ma se per alcuni guidatori il vissuto è quello appena descritto,
per altri la sensazione di poter ancora guidare “come un tempo” sembra essere
forte. In uno studio di qualche anno fa, Holland e Rabbitt (1992) hanno
mostrato che alcuni guidatori settantenni interrogati sulle proprie abilità
sensoriali le autovalutavano tanto efficienti quanto venivano autovalutate dai
guidatori cinquantenni, benché tendenzialmente non lo fossero. E l’immagine di integrità
che avevano di se stessi partecipava sicuramente in maniera considerevole
ad una propria valutazione positiva al volante, incentivo questo per non
abbandonare la pratica di guida. E sempre nello stesso studio, a conferma di
quanto finora detto, i settantenni che avevano notato un deterioramento
psicomotorio dichiaravano di aver dovuto apportare sensibili cambiamenti alle
proprie strategie di guida, ad esempio evitando situazioni potenzialmente
difficili. In conclusione, sembra che tendenzialmente esista una sorta di allarme
naturale che, in là con gli anni, fa sì che la guida venga ridotta, o
comunque che ne vengano modificate le strategie. Ma questo non deve spaventare
nessuno. La terza età è l’età della riflessione, in cui ci si volta indietro e
si osserva il proprio percorso di vita con occhi nuovi, con gli occhi della
saggezza, una saggezza che tra le altre cose dovrebbe suggerire ai più nostalgici
che anche se non si è più quelli di una volta siamo sempre noi stessi,
anche se dobbiamo inevitabilmente adattare la nostra guida alle sopraggiunte,
inevitabili esigenze dell’organismo.
*Dottore in Psicologia, operatore di Polizia Stradale
Riferimenti
bibliografici Hakamies-Blomqvist, L. (1994). Mental workload and compensation in older drivers. In K. Johansson &
C. Lundberg (Eds.), Aging and Driving (pp. 59–65). Stockholm: Karolinska Institute. Holland, C. A., & Rabbitt, P. M. A.
(1992). People’s awareness of their
age-related sensory and cognitive deficits and the implications for road
safety. Applied
Cognitive Psychology, 6, 217–231.
da il Centauro n.110
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