La
terza puntata della nostra inchiesta sugli ospedali italiani (e non solo) che
si occupano di attività riabilitativa ed in particolare di lesioni midollari e
di gravi cerebrolesioni, ci porta questa volta a Vicenza. E’ la prima struttura
medico-sanitaria che visitiamo che si inserisce all’interno di un ospedale
cittadino, ma ci dimostra ugualmente lo sforzo che medici e personale sanitario
svolgono quotidianamente per cercare di assicurare un futuro migliore a tante
persone - fra le quali molti giovani - la cui vita appare compromessa dopo un
grave trauma avvenuto quasi sempre in occasione di un incidente stradale. Nel
contempo, cominciamo a conoscere meglio un settore forse poco noto, ma che in
questi ultimi anni ha assunto sempre più rilevanza, anche nel campo della
ricerca e dell’innovazione, compiendo passi da gigante ed accomunando le
esperienze di casa nostra con quelle internazionali. In quest’ottica, le
strutture medico-ospedaliere italiane che si occupano di riabilitazione sono
apprezzate anche al di fuori dei confini nazionali, nonostante facciano
registrare una lieve carenza di attrezzature e strumenti (ben presenti in altri
ospedali europei) e una scarsa diffusione di centri specializzati nelle regioni
de Sud. Aspetti, questi, che intendiamo segnalare per stimolare gli enti di
governo della sanità pubblica, affinché possano compiere maggiori investimenti
e dare sempre più soddisfazione alle esigenze di queste strutture, così
importanti non solo per il futuro dei propri pazienti, ma anche per quello
delle rispettive e numerose famiglie. (Asaps)
L’ospedale
"San Bortolo" di Vicenza è l’unico presidio medico-ospedaliero
della città e al suo interno funzionano 32 reparti fra i quali l’unità
operativa di "Medicina fisica e riabilitazione" diretto dalla
dottoressa Feliciana Cortese. E’ il reparto che si occupa del recupero e
della riabilitazione di pazienti affetti da lesioni midollari e cerebrolesioni,
a cui fanno necessariamente da riferimento anche altre strutture ospedaliere
della regione. All’interno dell’unità sono presenti 36 posti letto (quasi tutti
perennemente occupati) oltre ad altri dieci posti letto in regime di
day-hospital. La struttura, praticamente inserita nella città, si presenta molto bene ed è immersa in
un’area verde che certamente giova a quanti sono costretti soggiornarvi. Il
"reparto" è disposto su due livelli, dove nel primo trovano alloggio
alcuni ambulatori, una palestra di grandi dimensioni ed altre strutture di
riabilitazione. Nel piano superiore, invece, vi sono le camere di degenza,
accompagnate anch’esse da altre strutture di base e di uso permanente. Per i
lesionati midollari il tempo medio di degenza è compreso tra i 4 ed i 6 mesi,
mentre per i cerebrolesi la media varia da 2 a 4 mesi. Naturalmente, come già
avvenuto per le altre strutture visitate, la maggior parte dei pazienti (di età
molto giovane) proviene dai reparti di rianimazione di altri ospedali e nella
maggior parte dei casi i ricoveri sono causati da traumi della strada, sul
lavoro e, vista la zona a ridosso della catena alpina, anche da incidenti
legati alle pratiche sportive alpine (alpinismo, parapendio, ecc...). Alquanto
importante, nell’attività quotidiana dell’unità operativa, è la fase di
reinserimento del paziente nel proprio territorio: grazie ad una recente
sperimentazione oggi diventata pressoché operativa, è stato dato seguito alla
cosiddetta "teleriabilitazione" che riguarda in maniera particolare i
cerebrolesi. Personale medico e altamente specializzato, segue dall’ospedale il
paziente che si trova in un’altra struttura ospedaliera o persino al suo
domicilio ed indica in maniera telematica quali sono le pratiche riabilitative
del momento; così facendo il lesionato si trova inserito in un ambiente a lui
più congeniale, senza perdere l’apporto professionale dei medici che l’hanno
preso in cura e continuano così a seguire l’evoluzione del suo stato fisico. La
sperimentazione si è resa possibile grazie anche alla "Fondazione
Cariverona", che ha sostenuto gran parte dei costi che ne hanno permesso
la completa attivazione. Altra importante caratteristica dell’unità operativa
vicentina è rappresentata dalla valutazione degli aspetti comunicativi del paziente,
che in gergo medico viene definita "comunicazione
aumentativa/alternativa". I pazienti con lesioni gravi e che
impediscono loro di comunicare, infatti, vengono comunque messi in grado di
colloquiare con l’ambiente circostante, con medici, familiari ed amici e questo
grazie a strumentazioni informatiche di particolare innovazione. Fra le varie
possibilità, un sofisticato sistema video ad utilizzo "ciliare",
permette anche a coloro che non possono fare uso delle mani o della voce di
comunicare con gli altri semplicemente sbattendo le ciglia (da qui il nome del
sistema). Altrettanto importante - segnala la dottoressa Cortese - anche la
preparazione del personale medico e sanitario che non può e non è lasciata alla
libera iniziativa: un attento e costante aggiornamento professionale permette
di comprendere al meglio le necessità dei ricoverati che non sempre possono
esprimersi come vorrebbero o rappresentare talune esigenze. Chiudiamo la visita
dell’unità operativa di "Medicina fisica e riabilitazione",
analizzando i numeri e le statistiche che riguardano la funzionalità di questo
importante reparto ospedaliero. Nel corso del 2006 l’unità spinale (20 posti
letto) ha ospitato 62 pazienti di cui 21 tetraplegici; l’unità gravi
cerebrolesi (16 posti letto) ha visto il ricovero di 95 pazienti, mentre il day
hospital ha sempre lavorato a pieno regime con i 10 posti letto. L’organico
dell’unità operativa è infine composto da 10 dirigenti medici, 1 caposala, 31
infermieri, 32 operatori socio sanitari, 2 coordinatori fisioterapisti, 42
fisioterapisti, 5 logopediste e 1 psicologo.
Unità operativa "Medicina
fisica e riabilitativa"
Unità Spinale/Unità Gravi Cerebrolesioni
Dipartimento funzionale di riabilitazione
Direttore: Dott.ssa Feliciana Cortese
Report
anno 2006 •
Unità Spinale: 20 posti letto • 62 ricoveri di cui 21 riguardanti tetraplegici • Unità Gravi Cerebrolesi: 16 posti letto • 95 ricoveri • Day Hospital: 10 posti letto (a regime)
Organico: • 10 dirigenti medici; • 1 caposala; • 31 infermieri; • 32 operatori socio-sanitari; • 2 coordinatori fisioterapisti; • 42 fisioterapisti; • 5 logopediste; • 1 psicologo.
Parla la responsabile dell’unità operativa di Medicina fisica e
riabilitazione dell’ospedale San Bartolo di Vicenza
{foto3c}
La
dottoressa Feliciana Cortese, 56 anni, sposata e un figlio di 27, è da oltre
sei anni la responsabile dell’unità operativa di "Medicina fisica e
riabilitazione" dell’ospedale “San Bortolo” di Vicenza. Quasi a
rasentarne il nome, si dimostra ben disponibile e capace di regalare sorrisi
pur vivendo, ogni giorno, in un ambiente dove le persone sanno bene di soffrire
e di dover continuare a farlo anche una volta uscite dall’ospedale. Amante di
fotografia, teatro, e ballo, non disdegna di assaporare di tanto in tanto
qualche buon calice di vino (ma nel rispetto dei limiti precisa scherzosamente)
e guida una piccola Fiat Panda che gli permette di muoversi liberamente in
città. Per i lunghi viaggi, invece, preferisce il treno, ma non nasconde di
essere in compagnia del marito una appassionata “camperista”. Si è laureata nel
1975 a Milano dove si è specializzata in medicina riabilitativa ed ha seguito
stage e corsi di aggiornamento nel campo della neurologia. La sua formazione
più importante, tuttavia, è avvenuta in Inghilterra, allora all’avanguardia
nelle pratiche riabilitative che nel nostro Paese non conoscevano grandi
possibilità. Ritornata in Italia ha messo a frutto la sua esperienza
all’ospedale "Borgo Roma" di Verona, per essere poi chiamata a
dirigere l’unità operativa specializzata di Vicenza al posto del dottor Mauro
Menarini, che già abbiamo conosciuto visitando l’ospedale imolese di
Montecatone.
Dottoressa Cortese, dal punto di vista medico chi si occupa di
riabilitazione raramente riesce a “guarire” il paziente; molto più spesso,
invece, limita le conseguenze psicofisiche di una grave lesione ed aiuta la
persona ad affrontare più serenamente ciò che lo aspetta una volta fuori
dall’ospedale. Non le crea difficoltà questo stato di cose? "Certamente
non è facile spiegare ad una persona, e ad un ragazzo in particolare, cosa gli
riserva il futuro nella maggior parte dei casi e come dovrà abituarsi a
cambiare radicalmente le proprie abitudini. Però le soddisfazioni avvengono
anche nel
nostro caso e molto spesso abbiamo pazienti che a distanza di anni ci vengono a
trovare, magari presentandoci la moglie o i figli e facendo così intendere di
essere riusciti ugualmente a crearsi una famiglia."
Però
i problemi di carattere pratico rimangono ugualmente...
"Direi
proprio di sì. Oggi per una persona che ha riportato gravi lesioni midollari e
costretto su di una sedia a rotelle non è facile muoversi. Nonostante la
sensibilità su questi aspetti sia aumentata, è ancora notevole la differenza
che esiste tra le strutture di aiuto e di sostegno presenti ad esempio in città
e quelle situate in provincia. Senza poi considerare una cosa molto
importante."
Quale?
"Che
il tessuto sociale è radicalmente cambiato: oggi abbiamo persone di 30/35 anni
che vivono da single o che non godono più di un nucleo familiare e per costoro
diventa davvero difficile poter sopportare le difficoltà quotidiane. Basti
pensare che alcune di loro vengono talvolta ospitate nelle case di riposo, le
uniche strutture a garantire un’assistenza ventiquattrore al giorno."
Davvero
mortificante, possibile non vi sia altro rimedio?
"Guardi
che neanche chi ha la fortuna di avere una famiglia alle spalle se la passa
tanto tranquillamente. Prenda ad esempio un giovane sui vent’anni, con un padre
ed una madre che lavorano e che dunque non possono assistere adeguatamente il
proprio figlio se vogliono far quadrare il bilancio familiare. E’ un aspetto,
questo, che prima o poi qualcuno dovrà affrontare" Quali
le conseguenze?
"A
parte le grandi difficoltà ed il rilevante impegno economico per quanti si
trovano in certe situazioni, si è registrato anche qualche caso di suicidio ed
ecco perché nella nostra equipe di lavoro è inserito anche uno psicologo che
cerca di aiutare non solo il paziente, ma le stesse famiglie e persino noi medici
che ci occupiamo della riabilitazione."
Cosa servirebbe in Italia per
migliorare la riabilitazione medica?
"Innanzitutto
più personale, sia medico che infermieristico, adeguatamente preparato e in
grado di far fronte alle tante necessità con attrezzature di non sempre facile
reperibilità. Poi una maggiore interazione con il tessuto sociale e non a caso
noi stessi ci facciamo promotori di alcune iniziative che avvengono nelle
scuole o presso gli enti locali che talvolta non conoscono le difficoltà cui va
incontro un soggetto affetto da una lesione midollare o un cerebroleso."
Da "Il Centauro" n 110
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