Sono nate prima le strade o prima i veicoli? Per rispondere a
questa semplice domanda occorre stabilire prima di che veicoli stiamo parlando
e cosa di intende per strada. Infatti, se per veicolo intendiamo un
“autoveicolo” come una Panda o una Porsche, certamente sono nate prima le
strade, ma se per veicolo ci riferiamo a qualsiasi macchina guidata dall’uomo
idonea a muoversi e a trasportare uomini o cose, con o senza motore, allora le
cose cambiano e la risposta alla domanda non è più così immediata. Stesso
discorso per le strade. Selciato, lastricato o semplice spianata polverosa e
sconnessa o idonea porzione nastriforme del piano campagna, realizzata con
precise tecniche costruttive e dotata di adeguate caratteristiche geometriche e
di resistenza? Senza sconfinare nella paleontologia, nell’antropologia o nella
filosofia, facciamo solo qualche breve considerazione. Pensiamo ad esempio ad
un primitivo carro magari trainato da un bove o da un somaro, questo potrebbe
aver circolato liberamente per le campagne dell’agro pontino o del tavoliere
delle Puglie nel neolitico senza che nessun altro uomo – habilis o sapiens
– abbia ancora pensato a rendergli un servigio: costruirgli una comoda via,
ovvero una strada, per effettuare il suo tragitto in modo più veloce e più
confortevole. La strada quindi potrebbe essere nata in modo del tutto naturale
dal ripetuto passaggio dello stesso carro sullo stesso percorso per una
primordiale esigenza di movimento o di trasporto. D’altro canto, se diamo per
buona l’ipotesi appena formulata, la strada potrebbe essere nata anche per
l’effetto meccanico dovuto al passaggio, anche senza veicoli, di soli uomini o
animali, ma va da sé che la strada,
come usualmente immaginata, sia stata molto probabilmente una conseguenza
diretta dell’invenzione della ruota. Già nel 3500 a.C., in Mesopotamia, sono
state trovate evidenti tracce che dimostrano l’esistenza dei primi carri dotati
di ruote. Certo è che sin dai tempi più antichi la strada rappresenta un chiaro
segno di evoluzione della civiltà e una forte spinta al processo di sviluppo,
socializzazione e comunicazione. Le prime tracce di tecniche costruttive
stradali risalgono invece al 700 a.C. ad opera degli Etruschi, tecniche che
successivamente furono riprese e migliorate dagli stessi ingegneri romani.
Sappiamo anche che i Greci erano soliti costruire le strade lastricandole con
solchi longitudinali idonei per il passaggio delle ruote dei carri (una sorta
di antichi binari stradali in materiale lapideo). I Romani invece, quali abili
ingegneri svilupparono sistemi costruttivi sui quali ancora oggi si basa
l’attuale tecnica delle costruzioni stradali insegnata nelle nostre Università.
Il termine “strada”, infatti, deriva da “strata” cioè strati, in quanto la posa
in opera di successivi strati di diversi materiali forniva alle strade romane
le caratteristiche di solidità e di resistenza al passaggio dei carri, dei
cavalli e degli eserciti. Pur essendo all’inizio solo dei sentieri polverosi e
irregolari, le strade ben presto diventarono destinatarie di maggiori cure,
divenendo sempre più, opere necessarie e strategiche al servizio delle
crescenti esigenze militari, commerciali e di comunicazione fra le varie
province dell’Impero. Ai margini sorsero di conseguenza fontane, locande e
stazioni per il cambio dei cavalli, scandite dalla presenza delle pietre
miliari, ancora presenti su alcune strade che a tutt’oggi percorriamo. Lo
sviluppo delle strade, della società e degli interessi portò inevitabilmente,
già dai tempi dell’antica Roma, all’incremento dei flussi di traffico, cosicché
la circolazione stradale fu oggetto, fin da allora, di norme e
regolamentazione. E’ noto infatti che Giulio Cesare nel 45 a.C., un anno prima della
sua morte, promulgò la “Lex Iulia Municipalis” una legge di carattere generale
sull’organizzazione amministrativa e sociale delle città ma che comprendeva
anche un insieme di regole riguardanti l’accesso e la conduzione dei carri
all’interno dei centri abitati. Ai mezzi pesanti, per esempio, era vietato il
transito dall’alba fino al pomeriggio inoltrato. I divieti non riguardavano
però i veicoli adibiti all’igiene dell’urbe, quelli adibiti al trasporto dei
materiali da Nicolascostruzione
per edifici pubblici o templi per il culto e i carri per il trasporto di
sacerdoti e sacerdotesse durante le cerimonie, insomma, un vero e proprio
Codice della strada ante litteram nato anche per cercare di
decongestionare Roma, già allora, eccessivamente trafficata. Successivamente
altri simili regolamenti sono stati emanati, in varie località del mondo, per
arrivare infine al marzo del 1865 sempre in Italia, quando fu varata una legge
che stabiliva alcune regole sulla velocità e il corretto comportamento per i
conducenti dei veicoli a trazione animale.
Figura 1 – L’automobile di Leonardo Da Vinci, Italia, 1452
Nel 1923 con un Regio decreto
vennero scritte le norme per disciplinare il traffico di quel tempo e cinque
anni dopo, nel 1928, fu istituita la “Milizia della Strada”, l’antesignana
dell’attuale Polizia stradale, con il compito istituzionale di consentire il
rispetto delle regole fissate con il Regio decreto di qualche anno prima. La
Milizia della strada diventò, nel 1947 (anno della nascita della Lambretta e
della Vespa), il Corpo di specialità al servizio del Ministero dell’Interno
che tutti noi oggi conosciamo. Alla fine della seconda guerra mondiale, con
l’avvento dell’automobile, nasce il Ministero dei trasporti (in origine c’era
solo quello dei lavori pubblici) e nel 1955 parte la costruzione della rete
autostradale italiana. Il 15 giugno 1959 entrò in vigore il decreto del
Presidente della Repubblica numero 393, meglio noto come il primo testo unico
della circolazione stradale che, composto da 147 articoli oltre i 607 del
Regolamento di attuazione, rimase in vigore per oltre trent’anni fino al
cosiddetto "Nuovo Codice della Strada" che, pubblicato il 18 maggio
1992 è quello ancora vigente dal 1° gennaio 1993, sebbene più volte modificato.
L’invenzione dell’autoveicolo invece, come macchina capace di muoversi per
mezzo di un motore proprio, possiamo farla risalire, con orgoglio sciovinistico
del genio italico, ai tempi di Leonardo Da Vinci (1452) (3). Il progetto
vinciano del “carro semovente” prevedeva un motore a molle spiralate
contrapposte, un telaio su tre ruote in legno cerchiate, organi di
trasmissione, ingranaggi a cremagliera, sterzo, balestre, scappamento e freno
filoguidato (4). La prima “macchina a vapore”, invece, fu effettivamente
realizzata ed utilizzata nel 1712 in Inghilterra, per i lavori in miniera. Mentre,
per veder circolare sulle strade il primo autoveicolo con motore alimentato
benzina, di costruzione interamente italiana, dobbiamo aspettare il 1894 con la
“vettura automobile a tre ruote” costruita dall’inventore veronese Enrico
Bernardi. La costruzione a livello industriale degli autoveicoli risale alla
fine del 1800, quando cioè i primi motori endotermici cominciarono ad essere
realizzati con successo. In quel periodo nacquero importanti industrie
automobilistiche, che, pur attraversando momenti di altalenante splendore, non
hanno mai smesso di produrre veicoli stradali, come la FIAT (1899), la
Mercedes- Benz (1900), la Lancia e l’Alfa Romeo (1906), la Ford nel 1908 (5).
La produzione industriale della prima vera utilitaria della storia la possiamo associare al nome dell’americano Henry
Ford, famoso per il suo detto “quello che non c’è non si può rompere”,
principio base per la realizzazione delle sue autovetture, ispirate ad una
grande semplicità costruttiva. In quegli anni inizia la produzione della ormai
mitica Ford “T” al considerevole ritmo di una automobile ogni 90 minuti grazie
alla catena di montaggio con relativa organizzazione aziendale (6). E’
interessante notare a questo punto che non appena si cominciarono a produrre
autoveicoli motorizzati, al tempo stesso nacque anche l’esigenza di governarne
l’uso da parte della potenziale utenza e quindi l’accesso sulle strade. Nel
1903, infatti, sempre in Inghilterra, viene introdotta la prima “patente di
guida” come titolo abilitante per la conduzione di queste nuove macchine.
Esigenza che via via è diventata sempre più pressante in proporzione al sempre
maggiore numero di veicoli in circolazione. La nascita degli autoveicoli e
delle strade però, come in tutte le cose di questo mondo, oltre a portare grossi
benefici per i singoli e per la collettività, ha portato con sé anche subdoli
risvolti, per quei tempi forse imprevedibili ma di certo impietosi quanto
importanti: gli Incidente stradale Questi ultimi infatti, nascono con l’avvento
degli stessi Automobile. Si narra che l’inventore della prima automobile, il
francese Nicolascostruzione Joseph
Cugnot, nel 1769, durante il primo giro di prova a bordo della sua invenzione -
il triciclo a vapore - si schiantò contro un muro riportando vari traumi e
gravi danni al veicolo.
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Figura
2 –
Un disegno del triciclo a vapore di Joseph Cugnot, Francia, 1769 (7)
Il veicolo realizzato da Cugnot fu, quasi certamente,
la prima macchina semovente mai realizzata prima, ma al contempo segna anche
inesorabilmente l’inizio dell’era degli incidenti stradali. La prima vittima
per incidente stradale, registrata nelle cronache, risale invece all’agosto del
1896 a Londra, mentre in Italia dobbiamo aspettare il 1953 per avere le prime
statistiche nazionali ufficiali, sistematiche ed attendibili (8). Per
concludere questi brevi cenni storici e per anticipare una specifica
problematica che sarà dettagliatamente sviscerata in un prossimo paragrafo del
libro (cfr. “La percezione del rischio e il rischio della percezione), mi
sembra di assoluta importanza ricordare una affermazione di un importante
fisico, Giuliano Toraldo di Francia, il quale afferma – e noi siamo
assolutamente d’accordo - che il genere umano non ha ancora interiorizzato il
senso del pericolo connesso con la velocità perché i suoi spostamenti sui mezzi di trasporto veloci come
i veicoli stradali (ma anche treni ed aerei) avvengono da troppo poco tempo.
Dalla costruzione del primo veicolo stradale di serie ad oggi, sono passati
infatti poco più di cento anni. Ebbene, se nella scala dei tempi, dalla
preistoria ad oggi, l’uomo ben conosce da più centoventimila anni cosa
significa cadere (in verticale) da un albero, da una rupe o da una duna, è solo
da poco più di un secolo che ha cominciato a sperimentare sul campo – o meglio
sulla strada - le conseguenze degli urti in velocità orizzontale contro un ostacolo
(fisso o mobile). Solo per fare un esempio, chi di voi si lancerebbe dal terzo
piano di un palazzo senza un paracadute? Risposta: nessuno (o quasi). E ancora,
chi si metterebbe al volante della propria automobile alla velocità di 50
kilometri orari, senza allacciare le cinture? Risposta: quasi tutti. Eppure, la
velocità di impatto (al suolo – nel primo caso – e contro un muro o un altro
veicolo, nel secondo) sarebbe esattamente la stessa! Splendido esempio di
scadente o errata percezione del rischio.
(1)
Articolo tratto dal libro “Salute e sicurezza stradale: l’onda lunga del
trauma” a cura di Franco Taggi & Pietro Marturano, CAFI Editore. (2) Ministero
dei trasporti, Direzione Generale per la motorizzazione, Divisione prevenzione
e sicurezza stradale. (3) Foglio 812r
del “Codice Atlantico”. (4) Un modello
in legno dell’automobile di Leonardo è esposto presso la Fondazione Museo
Nazionale della Scienza e della Tecnica “Leonardo da Vinci” di Milano e presso
il Museo leonardiano di Vinci (Italia). (5) Per la
realizzazione del motore a combustione interna furono fondamentali le
esperienze degli italiani Felice Matteucci e Nicolò Barsanti e dell’ingegnere tedesco Nikolaus
August Otto. La produzione dei veicoli stradali, invece, ricevette un impulso
determinante grazie ai lavori di Gottlieb W. Daimler e Carl F. Benz, entrambi
ingegneri e costruttori tedeschi, che realizzarono e brevettarono il motore a
scoppio i cui principi fondamentali si ritrovano ancora oggi nei motori delle moderne
utilitarie. (6) In virtù
dell’implementazione della catena di montaggio e del sistema di organizzazione
del lavoro in fabbrica come ideato da Henry Ford, nell’azienda automobilistica
da lui fondata, la Ford Motor Company, per produrre un’automobile si impiegava
solo un’ora e mezza, che paragonata alle 12 ore necessarie fino ad allora,
rappresentò una vera e propria svolta nel settore automobilistico ed
industriale. Grazie a questi metodi produttivi i costi di produzione divennero
così bassi che le
autovetture prodotte da Ford entrarono sul mercato ad un prezzo assolutamente
accessibile a molti, trasformando di fatto l’automobile un bene di consumo
massificato. L’innovazione apportata nel settore consentì, anche alle altre
aziende di allora che si conformarono al modello, di lavorare sul mercato ricercando
quelle economie di scala, ovvero grandi volumi produttivi con spese
decrescenti, che rappresentavano, e rappresentano ancora oggi, il successo di un’azienda
(anche se, in realtà, tale metodologia produttiva comportava una inevitabile
spersonalizzazione e standardizzazione del prodotto oltre ad una evidente monotonia del
lavoro degli operai. Lo stesso Ford, infatti, diceva che “ognuno potrà
scegliere il colore della propria auto, purché sia nero”). In pratica, il
sistema di produzione ideato da Ford consisteva in un nastro di produzione
semovente ed automatizzato che fa scorrere il prodotto da assemblare sotto le mani
degli operai. Questi ultimi sono addetti ad un lavoro molto semplificato,
ripetitivo ed invariabile (al limite dell’alienazione) e, rimanendo fermi durante il
processo produttivo mentre i semilavorati o i prodotti scorrono sotto le loro
mani, effettuano la singola operazione loro assegnata (es. serrare un bullone), in tal modo la
fabbrica è molto più produttiva a fronte di un prezzo di vendita molto
inferiore. (7) Disegno
tratto da Wikipedia, l’enciclopedia libera sul web, 9 dicembre 2006 (http:
//it. wikipedia.org).
(8) Terza Relazione al Parlamento sullo stato della
sicurezza stradale in Italia, 2005
Da il Centauro n.110
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