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Articoli 31/03/2007

Circolazione e sicurezza stradale: “un po’ di storia”


Sono nate prima le strade o prima i veicoli? Per rispondere a questa semplice domanda occorre stabilire prima di che veicoli stiamo parlando e cosa di intende per strada. Infatti, se per veicolo intendiamo un “autoveicolo” come una Panda o una Porsche, certamente sono nate prima le strade, ma se per veicolo ci riferiamo a qualsiasi macchina guidata dall’uomo idonea a muoversi e a trasportare uomini o cose, con o senza motore, allora le cose cambiano e la risposta alla domanda non è più così immediata. Stesso discorso per le strade. Selciato, lastricato o semplice spianata polverosa e sconnessa o idonea porzione nastriforme del piano campagna, realizzata con precise tecniche costruttive e dotata di adeguate caratteristiche geometriche e di resistenza? Senza sconfinare nella paleontologia, nell’antropologia o nella filosofia, facciamo solo qualche breve considerazione. Pensiamo ad esempio ad un primitivo carro magari trainato da un bove o da un somaro, questo potrebbe aver circolato liberamente per le campagne dell’agro pontino o del tavoliere delle Puglie nel neolitico senza che nessun altro uomo – habilis o sapiens – abbia ancora pensato a rendergli un servigio: costruirgli una comoda via, ovvero una strada, per effettuare il suo tragitto in modo più veloce e più confortevole. La strada quindi potrebbe essere nata in modo del tutto naturale dal ripetuto passaggio dello stesso carro sullo stesso percorso per una primordiale esigenza di movimento o di trasporto. D’altro canto, se diamo per buona l’ipotesi appena formulata, la strada potrebbe essere nata anche per l’effetto meccanico dovuto al passaggio, anche senza veicoli, di soli uomini o animali, ma va da sé che la strada, come usualmente immaginata, sia stata molto probabilmente una conseguenza diretta dell’invenzione della ruota. Già nel 3500 a.C., in Mesopotamia, sono state trovate evidenti tracce che dimostrano l’esistenza dei primi carri dotati di ruote. Certo è che sin dai tempi più antichi la strada rappresenta un chiaro segno di evoluzione della civiltà e una forte spinta al processo di sviluppo, socializzazione e comunicazione. Le prime tracce di tecniche costruttive stradali risalgono invece al 700 a.C. ad opera degli Etruschi, tecniche che successivamente furono riprese e migliorate dagli stessi ingegneri romani. Sappiamo anche che i Greci erano soliti costruire le strade lastricandole con solchi longitudinali idonei per il passaggio delle ruote dei carri (una sorta di antichi binari stradali in materiale lapideo). I Romani invece, quali abili ingegneri svilupparono sistemi costruttivi sui quali ancora oggi si basa l’attuale tecnica delle costruzioni stradali insegnata nelle nostre Università. Il termine “strada”, infatti, deriva da “strata” cioè strati, in quanto la posa in opera di successivi strati di diversi materiali forniva alle strade romane le caratteristiche di solidità e di resistenza al passaggio dei carri, dei cavalli e degli eserciti. Pur essendo all’inizio solo dei sentieri polverosi e irregolari, le strade ben presto diventarono destinatarie di maggiori cure, divenendo sempre più, opere necessarie e strategiche al servizio delle crescenti esigenze militari, commerciali e di comunicazione fra le varie province dell’Impero. Ai margini sorsero di conseguenza fontane, locande e stazioni per il cambio dei cavalli, scandite dalla presenza delle pietre miliari, ancora presenti su alcune strade che a tutt’oggi percorriamo. Lo sviluppo delle strade, della società e degli interessi portò inevitabilmente, già dai tempi dell’antica Roma, all’incremento dei flussi di traffico, cosicché la circolazione stradale fu oggetto, fin da allora, di norme e regolamentazione. E’ noto infatti che Giulio Cesare nel 45 a.C., un anno prima della sua morte, promulgò la “Lex Iulia Municipalis” una legge di carattere generale sull’organizzazione amministrativa e sociale delle città ma che comprendeva anche un insieme di regole riguardanti l’accesso e la conduzione dei carri all’interno dei centri abitati. Ai mezzi pesanti, per esempio, era vietato il transito dall’alba fino al pomeriggio inoltrato. I divieti non riguardavano però i veicoli adibiti all’igiene dell’urbe, quelli adibiti al trasporto dei materiali da Nicolascostruzione per edifici pubblici o templi per il culto e i carri per il trasporto di sacerdoti e sacerdotesse durante le cerimonie, insomma, un vero e proprio Codice della strada ante litteram nato anche per cercare di decongestionare Roma, già allora, eccessivamente trafficata. Successivamente altri simili regolamenti sono stati emanati, in varie località del mondo, per arrivare infine al marzo del 1865 sempre in Italia, quando fu varata una legge che stabiliva alcune regole sulla velocità e il corretto comportamento per i conducenti dei veicoli a trazione animale.

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Figura 1 – L’automobile di Leonardo Da Vinci, Italia, 1452

Nel 1923 con un Regio decreto vennero scritte le norme per disciplinare il traffico di quel tempo e cinque anni dopo, nel 1928, fu istituita la “Milizia della Strada”, l’antesignana dell’attuale Polizia stradale, con il compito istituzionale di consentire il rispetto delle regole fissate con il Regio decreto di qualche anno prima. La Milizia della strada diventò, nel 1947 (anno della nascita della Lambretta e della Vespa), il Corpo di specialità al servizio del Ministero dell’Interno che tutti noi oggi conosciamo. Alla fine della seconda guerra mondiale, con l’avvento dell’automobile, nasce il Ministero dei trasporti (in origine c’era solo quello dei lavori pubblici) e nel 1955 parte la costruzione della rete autostradale italiana. Il 15 giugno 1959 entrò in vigore il decreto del Presidente della Repubblica numero 393, meglio noto come il primo testo unico della circolazione stradale che, composto da 147 articoli oltre i 607 del Regolamento di attuazione, rimase in vigore per oltre trent’anni fino al cosiddetto "Nuovo Codice della Strada" che, pubblicato il 18 maggio 1992 è quello ancora vigente dal 1° gennaio 1993, sebbene più volte modificato. L’invenzione dell’autoveicolo invece, come macchina capace di muoversi per mezzo di un motore proprio, possiamo farla risalire, con orgoglio sciovinistico del genio italico, ai tempi di Leonardo Da Vinci (1452) (3). Il progetto vinciano del “carro semovente” prevedeva un motore a molle spiralate contrapposte, un telaio su tre ruote in legno cerchiate, organi di trasmissione, ingranaggi a cremagliera, sterzo, balestre, scappamento e freno filoguidato (4). La prima “macchina a vapore”, invece, fu effettivamente realizzata ed utilizzata nel 1712 in Inghilterra, per i lavori in miniera. Mentre, per veder circolare sulle strade il primo autoveicolo con motore alimentato benzina, di costruzione interamente italiana, dobbiamo aspettare il 1894 con la “vettura automobile a tre ruote” costruita dall’inventore veronese Enrico Bernardi. La costruzione a livello industriale degli autoveicoli risale alla fine del 1800, quando cioè i primi motori endotermici cominciarono ad essere realizzati con successo. In quel periodo nacquero importanti industrie automobilistiche, che, pur attraversando momenti di altalenante splendore, non hanno mai smesso di produrre veicoli stradali, come la FIAT (1899), la Mercedes- Benz (1900), la Lancia e l’Alfa Romeo (1906), la Ford nel 1908 (5). La produzione industriale della prima vera utilitaria della storia la possiamo associare al nome dell’americano Henry Ford, famoso per il suo detto “quello che non c’è non si può rompere”, principio base per la realizzazione delle sue autovetture, ispirate ad una grande semplicità costruttiva. In quegli anni inizia la produzione della ormai mitica Ford “T” al considerevole ritmo di una automobile ogni 90 minuti grazie alla catena di montaggio con relativa organizzazione aziendale (6). E’ interessante notare a questo punto che non appena si cominciarono a produrre autoveicoli motorizzati, al tempo stesso nacque anche l’esigenza di governarne l’uso da parte della potenziale utenza e quindi l’accesso sulle strade. Nel 1903, infatti, sempre in Inghilterra, viene introdotta la prima “patente di guida” come titolo abilitante per la conduzione di queste nuove macchine. Esigenza che via via è diventata sempre più pressante in proporzione al sempre maggiore numero di veicoli in circolazione. La nascita degli autoveicoli e delle strade però, come in tutte le cose di questo mondo, oltre a portare grossi benefici per i singoli e per la collettività, ha portato con sé anche subdoli risvolti, per quei tempi forse imprevedibili ma di certo impietosi quanto importanti: gli Incidente stradale Questi ultimi infatti, nascono con l’avvento degli stessi Automobile. Si narra che l’inventore della prima automobile, il francese Nicolascostruzione Joseph Cugnot, nel 1769, durante il primo giro di prova a bordo della sua invenzione - il triciclo a vapore - si schiantò contro un muro riportando vari traumi e gravi danni al veicolo.

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Figura 2 – Un disegno del triciclo a vapore di Joseph Cugnot, Francia, 1769 (7)


Il veicolo realizzato da Cugnot fu, quasi certamente, la prima macchina semovente mai realizzata prima, ma al contempo segna anche inesorabilmente l’inizio dell’era degli incidenti stradali. La prima vittima per incidente stradale, registrata nelle cronache, risale invece all’agosto del 1896 a Londra, mentre in Italia dobbiamo aspettare il 1953 per avere le prime statistiche nazionali ufficiali, sistematiche ed attendibili (8). Per concludere questi brevi cenni storici e per anticipare una specifica problematica che sarà dettagliatamente sviscerata in un prossimo paragrafo del libro (cfr. “La percezione del rischio e il rischio della percezione), mi sembra di assoluta importanza ricordare una affermazione di un importante fisico, Giuliano Toraldo di Francia, il quale afferma – e noi siamo assolutamente d’accordo - che il genere umano non ha ancora interiorizzato il senso del pericolo connesso con la velocità perché i suoi spostamenti sui mezzi di trasporto veloci come i veicoli stradali (ma anche treni ed aerei) avvengono da troppo poco tempo. Dalla costruzione del primo veicolo stradale di serie ad oggi, sono passati infatti poco più di cento anni. Ebbene, se nella scala dei tempi, dalla preistoria ad oggi, l’uomo ben conosce da più centoventimila anni cosa significa cadere (in verticale) da un albero, da una rupe o da una duna, è solo da poco più di un secolo che ha cominciato a sperimentare sul campo – o meglio sulla strada - le conseguenze degli urti in velocità orizzontale contro un ostacolo (fisso o mobile). Solo per fare un esempio, chi di voi si lancerebbe dal terzo piano di un palazzo senza un paracadute? Risposta: nessuno (o quasi). E ancora, chi si metterebbe al volante della propria automobile alla velocità di 50 kilometri orari, senza allacciare le cinture? Risposta: quasi tutti. Eppure, la velocità di impatto (al suolo – nel primo caso – e contro un muro o un altro veicolo, nel secondo) sarebbe esattamente la stessa! Splendido esempio di scadente o errata percezione del rischio.


(1) Articolo tratto dal libro “Salute e sicurezza stradale: l’onda lunga del trauma” a cura di Franco Taggi & Pietro Marturano, CAFI Editore.
(2) Ministero dei trasporti, Direzione Generale per la motorizzazione, Divisione prevenzione e sicurezza stradale.

(3) Foglio 812r del “Codice Atlantico”.
(4) Un modello in legno dell’automobile di Leonardo è esposto presso la Fondazione Museo Nazionale della Scienza e della Tecnica “Leonardo da Vinci” di
Milano e presso il Museo leonardiano di Vinci (Italia).
(5) Per la realizzazione del motore a combustione interna furono fondamentali le esperienze degli italiani Felice Matteucci e Nicolò Barsanti e dell’ingegnere
tedesco Nikolaus August Otto. La produzione dei veicoli stradali, invece, ricevette un impulso determinante grazie ai lavori di Gottlieb W. Daimler e Carl F. Benz,
entrambi ingegneri e costruttori tedeschi, che realizzarono e brevettarono il motore a scoppio i cui principi fondamentali si ritrovano ancora oggi nei motori delle
moderne utilitarie.
(6) In virtù dell’implementazione della catena di montaggio e del sistema di organizzazione del lavoro in fabbrica come ideato da Henry Ford, nell’azienda
automobilistica da lui fondata, la Ford Motor Company, per produrre un’automobile si impiegava solo un’ora e mezza, che paragonata alle 12 ore necessarie fino
ad allora, rappresentò una vera e propria svolta nel settore automobilistico ed industriale. Grazie a questi metodi produttivi i costi di produzione divennero così
bassi che le autovetture prodotte da Ford entrarono sul mercato ad un prezzo assolutamente accessibile a molti, trasformando di fatto l’automobile un bene di
consumo massificato. L’innovazione apportata nel settore consentì, anche alle altre aziende di allora che si conformarono al modello, di lavorare sul mercato
ricercando quelle economie di scala, ovvero grandi volumi produttivi con spese decrescenti, che rappresentavano, e rappresentano ancora oggi, il successo di
un’azienda (anche se, in realtà, tale metodologia produttiva comportava una inevitabile spersonalizzazione e standardizzazione del prodotto oltre ad una evidente
monotonia del lavoro degli operai. Lo stesso Ford, infatti, diceva che “ognuno potrà scegliere il colore della propria auto, purché sia nero”).
In pratica, il sistema di produzione ideato da Ford consisteva in un nastro di produzione semovente ed automatizzato che fa scorrere il prodotto da assemblare
sotto le mani degli operai. Questi ultimi sono addetti ad un lavoro molto semplificato, ripetitivo ed invariabile (al limite dell’alienazione) e, rimanendo fermi
durante il processo produttivo mentre i semilavorati o i prodotti scorrono sotto le loro mani, effettuano la singola operazione loro assegnata (es. serrare un bullone),
in tal modo la fabbrica è molto più produttiva a fronte di un prezzo di vendita molto inferiore.
(7) Disegno tratto da Wikipedia, l’enciclopedia libera sul web, 9 dicembre 2006 (http: //it. wikipedia.org).
(8) Terza Relazione al Parlamento sullo stato della sicurezza stradale in Italia, 2005

Da il Centauro n.110

© asaps.it

di Pietro Marturano (2)

da il Centauro
Sabato, 31 Marzo 2007
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