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Corte di Cassazione 06/04/2007

Da Altalex - Danni da morte: incidente stradale, danno biologico, danno psichico catastrofale

Cassazione , sez. III civile, sentenza 22.03.2007 (Luigi Viola)

 

La Suprema Corte torna ad occuparsi dei danni da morte, laddove vi sia stata una lesione che abbia determinato la morte di un determinato soggetto.

Gli interrogativi che la Corte è chiamata a porsi, essenzialmente, riguardano la configurabilità di danni risarcibili iure proprio e iure successionis [1].

La problematica giuridica nasceva a seguito di un incidente stradale, che comportava la morte di un padre di famiglia; quest’ultimo, più in particolare, subiva delle lesioni gravi che, dopo poche ore, ne cagionavano il decesso.

Nel caso di specie, allora, quali voci risarcitorie possono configurarsi? Vi è stato un apprezzabile lasso di tempo tra lesione e morte idoneo a far maturare il diritto al risarcimento del danno in capo al de cius, da trasmettere poi agli eredi? Esiste il danno catastrofico?

La tesi classica sposata dalla Cassazione

La pronuncia della Cassazione si allinea, almeno in parte, con l’interpretazione prevalente sulla complessa problematica dei danni da morte [2], che, in generale, possono essere suscettibili di risarcimento iure proprio e iure successionis (questi ultimi, solo nella misura in cui vi sia stato un apprezzabile lasso di tempo tra lesione e morte).

In particolare, nel caso di specie, la Cassazione afferma che:

-non è risarcibile il danno biologico (fisico), iure successionis, laddove non vi sia un apprezzabile lasso di tempo tra lesione e morte (poco più di due ore è un arco di tempo insufficiente) che, per ciò solo, impedisce la formazione del danno risarcibile in capo al de cuius, trasmissibile agli eredi (secondo lo schema di cui all’art. 565 c.c.);

-è risarcibile il danno psichico subito iure proprio dai congiunti, purchè ne siano forniti idonei elementi di prova, anche in via presuntiva;

-è risarcibile il danno morale subito dal defunto, da intendersi come danno terminale avvertito da chi, in condizioni di lucidità mentale, attende soccorsi che ritardano e sente venir meno la propria vita (da collocare nell’ambito del danno psichico catastrofale), con la conseguente trasmissibilità agli eredi, iure successionis.

Profili critici

La pronuncia della Suprema Corte presa in esame presenta ombre non facilmente comprensibili.

Preliminarmente, il discorso sul necessario spatium vivendi tra lesione e morte della vittima primaria dell’illecito pone significative contraddizioni rispetto all’istituto del danno tanatologico.

Infatti, ritenere che è possibile risarcire il danno biologico da morte solo se vi è un apprezzabile lasso di tempo tra lesione e morte, significa negare, a priori, la possibile risarcibilità del danno tanatologico, ovvero quel danno che comporta una morte immediata, con la conseguenza applicativa che si ritiene risarcibile solo la salute e non anche la vita; più chiaramente, lo spatium vivendi dovrebbe giustificare un risarcimento del danno biologico, ma senza negare il danno da morte immediata (danno tanatologico) ovvero danno mortale privo di un sufficiente spatium vivendi [3]: se c’è apprezzabile lasso di tempo tra lesione e morte (spatium vivendi, appunto) dovrebbe trovare tutela risarcitoria il danno biologico (iure successionis) che tutela la salute (ex art. 32 Cost.), ma nell’ipotesi in cui tale lasso di tempo manchi non dovrebbe escludersi una tutela risarcitoria collegata al bene vita (desumibile da tutte le norme costituzionali e giuridiche che presuppongono la vita stessa dell’individuo).

D’altronde, accogliere la tesi del necessario spatium vivendi perché, diversamente, non vi è lo spazio per una tutela risarcitoria non patrimoniale, vorrebbe dire, in concreto, che al danneggiante converrebbe uccidere piuttosto che ferire mortalmente, perché nel secondo caso si aprirebbe la tutela risarcitoria iure successionis idonea ad aumentare, in modo significativo, il quantum debeatur, in contrasto con principi elementari di proporzionalità tra danno cagionato e conseguenze risarcitorie.

Altresì, il discorso sull’apprezzabile lasso di tempo, notoriamente sfuggente e non ben delineato, si basa su una comodità di esposizione e non su un dato giuridico, che, invero, dovrebbe far riferimento all’apprezzabilità del danno piuttosto che, appunto, all’apprezzabile lasso di tempo; in particolare, è stato detto che per quanto <<per comodità di esposizione si parli di apprezzabilità del tempo, in effetti si tratta di apprezzabilità del danno alla salute, prima dell’esito finale infausto [4]>>.

Se, pertanto, bisogna far riferimento all’apprezzabilità del danno e non all’apprezzabile lasso di tempo, una lesione mortale che mantenga in vita una persona per poco più di due ore, a rigore, dovrebbe ritenersi danno risarcibile, perché, con ogni evidenza, il danno è così tanto apprezzabile che determina addirittura la morte; id est, se si pone l’accento sul danno apprezzabile e non sull’apprezzabile lasso di tempo si può trovare una tutela giuridica non patrimoniale del de cuius, trasmissibile agli eredi, evitando la contraddizione, di cui si è detto, per cui applicando la tesi del necessario spatium vivendi, diventa più conveniente uccidere che ferire.

Inoltre, appare anche contraddittorio ammettere il danno morale conseguente ad una lesione mortale, ma non il danno biologico (fisico) da cui tra la sua fonte; specificatamente, il danno morale terminale si basa sulla coscienza della futura morte (o probabile morte) che avvolge il soggetto ferito mortalmente, per cui è danno terminale nel senso che il soggetto passivo attende lucidamente [5] la fine della propria vita; ora, tale danno si basa proprio sulla percezione psicologica di un danno fisico mortale, per cui ritenere che vi è un apprezzabile lasso di tempo idoneo a far maturare la consapevolezza di dover morire in capo alla vittima (danno morale terminale, trasmissibile agli eredi), ma che quello stesso tempo non è idoneo a far maturare il danno biologico fisico su cui si fonda quel danno morale terminale (ritenuto risarcibile) appare davvero una contraddizione difficilmente giustificabile.

Non del tutto condivisibile, altresì, è l’affermazione in base alla quale il danno psichico subito iure proprio dalle vittime secondarie dell’illecito può essere provato anche in via presuntiva, in quanto, a rigore, si tratta di un danno di natura biologica (danno biologico psichico), consistente in una vera e propria malattia nella mente [6], con la conseguenza logico applicativa che deve essere accertata con perizia medico legale, come confermato, di recente, dal Codice delle assicurazioni private [7], ex art. 139; id est, se a monte si individua un danno psichico che ha natura giuridica di danno biologico, non si dovrebbe, a valle, non tener presente la natura giuridica del danno, ancorando la prova ad indici presuntivi che, a rigore, la stessa natura giuridica e la lettera della legge sembrano escludere.

Da questa angolazione prospettica, quindi, sembra emergere un’altra contraddizione logico-giuridica, difficilmente giustificabile.

Nulla viene detto, poi, circa il problema del danno esistenziale nonché a proposito della sua eventuale risarcibilità anche iure successionis (oltre che iure proprio), ovvero del danno futuro (che, comunque, avrebbe riguardato il profilo patrimoniale del de cuius).

(Altalex, 5 aprile 2007. Nota di Luigi Viola)


[1] Sulla distinzione tra danni iure proprio e danni iure successionis, si veda VIOLA, I danni da morte (biologico, morale, esistenziale), in CASSANO (a cura di), Il danno alla persona, Trattato teorico-pratico, Cedam, Padova, 2006, 328.
[2] Per un approfondimento sul tema, sia consentito il rinvio a VIOLA, I danni derivanti da morte, Halley, Matelica (MC), 2005. Si veda anche BARZAZI-BOSIO-DEMORI-RONCALLI, Il danno da morte, Cedam, Padova, 2000; Cass. 1704/1997, GI, 1998, 1589, con nota di BONA; Cass. 8743/2001, in Danno e Responsabilità, 2001, 820, con nota di BONA.
[3] A favore della ricostruzione della tutela piena del danno tanatologico ovvero danno da morte laddove non vi sia un apprezzabile lasso di tempo tra lesione e morte, si segnalano le osservazioni brillanti del Tribunale di Foggia, 28 giugno 2002, Giud. Armone; nello stesso senso, si segnala l’apprezzabile sentenza del Tribunale di Messina, 15 luglio 2002, Giud. Iannello, nonché la lucida e condivisibile sentenza del Tribunale di Brindisi, 5 agosto 2002, Giud. Mastrorilli.
[4] Cass. n. 3549 del 23 febbraio 2004.
[5] In questo senso dovrebbe negarsi il danno terminale del soggetto che versi in stato di coma.
[6] Si veda sul punto, GAZZONI, Manuale di diritto privato, ESI, Napoli, 2001; ROSSETTI, La vittima di un omicidio può ottenere il risarcimento del danno psichico, Diritto e Giustizia, 2001, 15, 36; BUZZI-VANNI, Il danno biologico di natura psichica - definizione e valutazione medico legale, Cedam, Padova, 2001; BRONTOLO-MARIGLIANO, Il danno psichico, Giuffrè, Milano, 1996.
[7] Per un approfondimento si rinvia a CROCITTO (collana diretta da Luigi Viola), Commentario al codice delle assicurazioni private, Halley, Matelica (MC), 2006.

 

CORTE DI CASSAZIONE

SEZ. III CIVILE

SENTENZA 22 marzo 2007, n.6946

(Pres. Fiduccia – est. Petti)

Svolgimento del processo

Con citazione del 4 ottobre 2000, R. V., in proprio e quale legale rappresentante dei figli minori G. e G. P., conveniva, dinanzi al tribunale di Torre Annunziata, C.M.G., quale conducente (proprietaria assicurata dell’autoveicolo) e l’assicuratrice Sara e ne chiedeva la condanna in solido al risarcimento di tutti i danni conseguenti alla morte del marito P. F.
L’attrice sosteneva che l’incidente stradale, avvenuto in Poggiomarino il 12 gennaio 2000, era avvenuto per la responsabilità esclusiva della C., la quale, a bordo di una Lancia Y aveva invaso l’opposta corsia, venendo a collisione con la Ford Fiesta ivi condotta da F.P., che riportava lesioni mortali, decedendo nella stessa giornata.

Si costituiva l’assicurazione, resistendo alla domanda; restava contumace la conducente convenuta.
Il Tribunale di Torre Annunziata, con sentenza del 13 febbraio 2002, ritenuta la colpa esclusiva della C., la condannava in solido con la Sara, al pagamento in favore della vedova e dei figli minori, della somma complessiva di lire 1.220.000.000, oltre interessi e spese di lite.
Contro la decisione proponeva appello la Sara, in punto di concorso di colpa e di eccessiva liquidazione dei danni morali e patrimoniali; restava contumace la C. Si costituiva la R., in proprio e nella qualità, proponendo appello incidentale sempre in punto di ridotta od omessa liquidazione dei danni.

La Corte di appello di Napoli, con sentenza depositata il 30 ottobre 2002 così decideva: in parziale riforma ripartisce le colpe, nella misura dell’80% a carico della C. e per il restante 20% a carico del defunto P.

La Corte procedeva quindi (v:amplius in dispositivo) alla rideterminazione delle varie voci di danno, condannando in solido la Sara e la C. alla rifusione dei 2/3 delle spese di primo grado, compensando tra le parti le spese dello appello.

Contro la decisione ricorre R. V., in proprio e nella qualità, deducendo cinque motivi di ricorso. Resiste la Sara con controricorso.

Motivi della decisione

Il ricorso merita accoglimento in relazione al primo ed al quarto motivo, assorbito il secondo ed il quinto, rigettandosi nel resto, per le seguenti considerazioni.

Preliminare è la considerazione del primo motivo che attiene alla ricostruzione della dinamica dell’incidente e delle condotte dei conducenti antagonisti, alla luce delle regole di cui al primo e secondo comma dell’articolo 2054 Cc.

Deduce il ricorrente: l’error in iudicando in relazione alla applicazione della regola di cui al primo comma, in relazione alla ricostruzione del fatto storico non controversa per la dinamica dello scontro degli automezzi ed in ordine alle prove di aver fatto, il defunto coniuge, tutto il possibile per evitare il danno. Il motivo è dotato di ampia autosufficienza, indicando le fonti di prova ed in particolare il rapporto dei carabinieri con descrizione del sinistro e dello stato dei luoghi e le foto che illustrano la posizione terminale dei mezzi. Deduce la difesa della ricorrente che l’incidente avvenne per la invasione della corsia, imprevedibile ed improvvisa, e che il P. teneva rigorosamente la destra, procedendo a velocità moderata e che non aveva avuto il tempo tecnico materiale per porre manovre dirette ad evitare il terribile impatto.

Censura poi il passo della sentenza (ff 7 ed 8) dove la Corte dichiara di applicare alla fattispecie un principio di diritto affermato da questa Corte in un caso simile (invasione di semicarreggiata) (cfr Cassazione 3726/94), per sostenere che nella specie il conducente che ha subito l’invasione non aveva dato la prova di aver fatto di tutto il possibile per evitare l’evento, e stabilire, in concreto un nuovo riparto delle colpe, addossando una compartecipazione minima al F.P.

Il ragionamento del giudice del riesame non appare plausibile e neppure giuridicamente fondato, posto che emerge, dalla ricostruzìone del fatto storico, la condotta imprudente ed imperita della C. che con il proprio mezzo ha invaso la corsia, ponendo in essere una gravissima situazione di pericolo, con ciò applicandosi il criterio della causalità esclusiva nella produzione dello evento lesivo (incidente stradale con lesioni mortali), e per contro è dato rilevare una semplice congettura in ordine ad una corresponsabilità minima del P., non suffragata da alcun elemento fattuale di riscontro. come evidenziato dalla obbiettiva ricostruzione fatta dal personale specializzato dell’Arma e dal suo rapporto: mentre a tal fine restava incombente l’indagine circa la esigibilità, da parte del conducente antagonista, per la imprevedibilità e la improvvisa situazione di pericolo, di una manovra di emergenza adeguata, e comunque il riscontro di un suo profilo di colpa

La attribuzione della responsabilità esclusiva, già esattamente considerata del primo giudice, e la illogica applicazione dì una presunzione di colpa a carico del conducente che ha subito l’evento, senza il rilievo di eventuali possibili manovre di emergenza, rendono dunque evidente il fondamento della indicata prima censura sotto i due rilievi dell’error in iudicando per la applicazione di un principio di presunzione semplice,superabile dalla prova contraria (articolo 2054 primo comma Cc) e del difetto di motivazione in ordine alla valutazione comparativa delle condotte dei conducenti antagonisti, secondo una dinamica non controversa in atti.
L’accoglimento del primo motivo determina la necessaria riliquidazione dei danni consequenziali all’evento lesivo, che è plurioffensivo e dunque riverbera i suoi effetti sugli stretti congiunti della vittima.
Venendo pertanto all’esame dei restanti motivi, per chiarezza sarà seguito l’ordine di deduzione:
nel secondo motivo si deduce l’error in iudicando ed il vizio della motivazione sul quantum liquidato ai congiunti come danno patrimoniale emergente e futuro, lamentandosi la irragionevole riduzione compiuta dal giudice di appello anche in relazione alla asserita ascrivibilità del concorso di colpa.

Il motivo resta assorbito, per il quantum, dalla esclusione della ascrivibilità del concorso di colpa e dunque il danno sarà liquidato per l’intero, tenendosi conto della durata prevedibile della attività lavorativa e delle chances di tale attività, e delle condizioni peculiari del nucleo familiare composto dalla moglie e dai due piccoli figli minori, in ordine al dovere di solidarietà per il mantenimento di tale nucleo (cfr:Cassazione 22593/04 per utile riferimento).

Nel terzo motivo si denuncia l’error in iudicando per la negazione della trasmissibilità iure hereditatis del danno biologico da morte, e per la negazione del danno psichico subito e subendo dai figli minori per la perdita della presenza paterna.

Il motivo contiene due diverse censure, che tuttavia risultano infondate per difetto di specificità la prima, e per difetto di prove, anche in via presuntiva le seconde.

Quanto alla prima censura, si osserva che il P. era rimasto in vita, lucido di mente, nelle due ore necessarie per l’arrivo dell’ambulanza, decedendo solo durante il trasporto. Il danno biologico consequenziale alla lesione mortale, come lesione della integrità fisica, riguarda un lasso di tempo troppo breve quantificabile, ancorché si debba ammettere che il relativo credito sia stato potenzialmente conseguito dalla parte lesa mentre era in vita. La giurisprudenza di questa Corte è consolidata sul punto, nel senso di escluderne la risarcibilità, come danno reale, trasmissibile íure hereditatis (cfr:come incipit,Corte Costituzionale, sentenza 372/94, 2450/95, 4991/96, 1704/97, sino a Cassazione 2775/03, 8828/03, 14476/03, 517/06, tra le tante).

Quanto alla seconda censura invece, la giurisprudenza, anche di legittimità, è orientata nel riconoscimento del danno psichico, subito iure proprio dai congiunti, come effetto della perdita dello stretto congiunto (nella specie, il padre), sempre che siano stati forniti, anche in via presuntiva, idonei elementi di prova, in ordine all’influenza della perdita degli affetti e della figura paterna. Ma sul punto la censura non è né specifica né autosufficiente. La censura pertanto, per quanto articolata in due mezzi distinti, è per entrambi infondata.

Merita invece accoglimento il quarto motivo, che concerne la denegata pronuncia in merito al chiesto risarcimento del danno morale subito dal defunto, come danno terminale, avvertito da chi, in condizioni di lucidità mentale, attende soccorsi che ritardano e sente venir meno la propria vita.

Questa Corte in numerose sentenze ha considerato la particolare valenza del danno morale terminale o dello stesso danno biologico terminale sotto il profilo del danno psichico catastrofale.

In questa sede viene in esame solo l’aspetto del danno morale, che è presente nel danno da reato per omicidio colposo, come danno evento, il cui credito matura nel tempo stesso in cui è inferta la lesione mortale.

Conseguentemente ritiene questa Corte di dover aderire ai recenti arresti, costituiti dalle sentenze (Cassazione 11003/03, 3414/03, 11601/05;15760/06), che considerano la autonomia ontologica di tale danno, come lesione della integrità morale della persona, con la stessa valenza costituzionale di inviolabilità, onde la doverosítà dì una adeguata considerazione ai fini del riconoscimento della posta risarcitoria non patrimoniale e della sua trasmissibilità jure hereditatis.

L’accoglimento del motivo determina cassazione con rinvio ed il giudice si atterrà alle indicazioni enunciate negli arresti citati, nella valutazione equitativa, in concreto dell’entità del danno in relazione alla gravità delle lesioni, alle circostanze relative alla lucida attesa della morte, per valutarne in via equitativa la consistenza, onde trasmettere il credito agli eredi.

Resta assorbito il quinto motivo sulla compensazione delle spese in primo grado, dovendo il giudice del rinvio provvedere in ordine a tutte le spese dei vari gradi del giudizio sulla base del principio della soccombenza sostanziale.

L’accoglimento del ricorso, nei limiti e secondo i principi sopraenunciati, determina la cassazione con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Napoli.

P.Q.M.

Accoglie il primo ed il quarto motivo del ricorso, assorbito il secondo ed il quinto, rigetta il terzo,cassa in relazione e rinvia anche per le spese del giudizio di cassazione ad altra sezione della Corte di appello di Napoli.


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Venerdì, 06 Aprile 2007
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