Gli
interrogativi che la Corte è chiamata a porsi, essenzialmente, riguardano la
configurabilità di danni risarcibili iure proprio e iure successionis [1]. La
problematica giuridica nasceva a seguito di un incidente stradale, che
comportava la morte di un padre di famiglia; quest’ultimo, più in particolare,
subiva delle lesioni gravi che, dopo poche ore, ne cagionavano il decesso. Nel
caso di specie, allora, quali voci risarcitorie possono configurarsi? Vi è
stato un apprezzabile lasso di tempo tra lesione e morte idoneo a far maturare
il diritto al risarcimento del danno in capo al de cius, da trasmettere
poi agli eredi? Esiste il danno catastrofico? La
tesi classica sposata dalla Cassazione La
pronuncia della Cassazione si allinea, almeno in parte, con l’interpretazione
prevalente sulla complessa problematica dei danni da morte [2],
che, in generale, possono essere suscettibili di risarcimento iure proprio e
iure successionis (questi ultimi, solo nella misura in cui vi sia
stato un apprezzabile lasso di tempo tra lesione e morte). In
particolare, nel caso di specie, la Cassazione afferma che: -non
è risarcibile il danno biologico (fisico), iure successionis, laddove
non vi sia un apprezzabile lasso di tempo tra lesione e morte (poco più di due
ore è un arco di tempo insufficiente) che, per ciò solo, impedisce la
formazione del danno risarcibile in capo al de cuius, trasmissibile agli
eredi (secondo lo schema di cui all’art. 565 c.c.); -è
risarcibile il danno psichico subito iure proprio dai congiunti, purchè
ne siano forniti idonei elementi di prova, anche in via presuntiva; -è
risarcibile il danno morale subito dal defunto, da intendersi come danno
terminale avvertito da chi, in condizioni di lucidità mentale, attende soccorsi
che ritardano e sente venir meno la propria vita (da collocare nell’ambito del
danno psichico catastrofale), con la conseguente trasmissibilità agli eredi, iure
successionis. Profili
critici La
pronuncia della Suprema Corte presa in esame presenta ombre non facilmente
comprensibili. Preliminarmente,
il discorso sul necessario spatium vivendi tra lesione e morte della
vittima primaria dell’illecito pone significative contraddizioni rispetto
all’istituto del danno tanatologico. Infatti,
ritenere che è possibile risarcire il danno biologico da morte solo se vi è un
apprezzabile lasso di tempo tra lesione e morte, significa negare, a priori,
la possibile risarcibilità del danno tanatologico, ovvero quel danno che
comporta una morte immediata, con la conseguenza applicativa che si ritiene
risarcibile solo la salute e non anche la vita; più chiaramente, lo spatium
vivendi dovrebbe giustificare un risarcimento del danno biologico, ma senza
negare il danno da morte immediata (danno tanatologico) ovvero danno mortale
privo di un sufficiente spatium vivendi
[3]: se
c’è apprezzabile lasso di tempo tra lesione e morte (spatium vivendi, appunto)
dovrebbe trovare tutela risarcitoria il danno biologico (iure successionis) che
tutela la salute (ex art. 32 Cost.), ma nell’ipotesi in cui tale lasso
di tempo manchi non dovrebbe escludersi una tutela risarcitoria collegata al
bene vita (desumibile da tutte le norme costituzionali e giuridiche che
presuppongono la vita stessa dell’individuo). D’altronde,
accogliere la tesi del necessario spatium vivendi perché, diversamente,
non vi è lo spazio per una tutela risarcitoria non patrimoniale, vorrebbe dire,
in concreto, che al danneggiante converrebbe uccidere piuttosto che ferire
mortalmente, perché nel secondo caso si aprirebbe la tutela risarcitoria iure
successionis idonea ad aumentare, in modo significativo, il quantum
debeatur, in contrasto con principi elementari di proporzionalità tra danno
cagionato e conseguenze risarcitorie. Altresì,
il discorso sull’apprezzabile lasso di tempo, notoriamente sfuggente e non ben
delineato, si basa su una comodità di esposizione e non su un dato giuridico,
che, invero, dovrebbe far riferimento all’apprezzabilità del danno piuttosto
che, appunto, all’apprezzabile lasso di tempo; in particolare, è stato detto
che per quanto <<per comodità di
esposizione si parli di apprezzabilità del tempo, in effetti si tratta di
apprezzabilità del danno alla salute, prima dell’esito finale infausto
[4]>>. Se,
pertanto, bisogna far riferimento all’apprezzabilità del danno e non
all’apprezzabile lasso di tempo, una lesione mortale che mantenga in vita una
persona per poco più di due ore, a rigore, dovrebbe ritenersi danno
risarcibile, perché, con ogni evidenza, il danno è così tanto apprezzabile che
determina addirittura la morte; id est, se si pone l’accento sul danno
apprezzabile e non sull’apprezzabile lasso di tempo si può trovare una tutela
giuridica non patrimoniale del de cuius, trasmissibile agli eredi,
evitando la contraddizione, di cui si è detto, per cui applicando la tesi del
necessario spatium vivendi, diventa più conveniente uccidere che ferire. Inoltre,
appare anche contraddittorio ammettere il danno morale conseguente ad una
lesione mortale, ma non il danno biologico (fisico) da cui tra la sua fonte;
specificatamente, il danno morale terminale si basa sulla coscienza della
futura morte (o probabile morte) che avvolge il soggetto ferito mortalmente,
per cui è danno terminale nel senso che il soggetto passivo attende lucidamente
[5] la fine della propria vita; ora, tale danno si basa
proprio sulla percezione psicologica di un danno fisico mortale, per cui
ritenere che vi è un apprezzabile lasso di tempo idoneo a far maturare la
consapevolezza di dover morire in capo alla vittima (danno morale terminale,
trasmissibile agli eredi), ma che quello stesso tempo non è idoneo a far
maturare il danno biologico fisico su cui si fonda quel danno morale terminale
(ritenuto risarcibile) appare davvero una contraddizione difficilmente
giustificabile. Non
del tutto condivisibile, altresì, è l’affermazione in base alla quale il danno
psichico subito iure proprio dalle vittime secondarie dell’illecito può
essere provato anche in via presuntiva, in quanto, a rigore, si tratta di un
danno di natura biologica (danno biologico psichico), consistente in una vera e
propria malattia nella mente [6], con la conseguenza
logico applicativa che deve essere accertata con perizia medico legale, come
confermato, di recente, dal Codice delle assicurazioni private [7], ex art. 139; id est, se a monte si individua un
danno psichico che ha natura giuridica di danno biologico, non si dovrebbe, a
valle, non tener presente la natura giuridica del danno, ancorando la prova ad
indici presuntivi che, a rigore, la stessa natura giuridica e la lettera della
legge sembrano escludere. Da
questa angolazione prospettica, quindi, sembra emergere un’altra contraddizione
logico-giuridica, difficilmente giustificabile. Nulla
viene detto, poi, circa il problema del danno esistenziale nonché a proposito
della sua eventuale risarcibilità anche iure successionis (oltre che iure
proprio), ovvero del danno futuro (che, comunque, avrebbe riguardato il
profilo patrimoniale del de cuius). (Altalex, 5 aprile 2007.
Nota di Luigi Viola) [1] Sulla distinzione tra danni iure proprio e danni iure
successionis, si veda VIOLA, I danni da morte (biologico, morale,
esistenziale), in CASSANO (a cura di), Il danno alla persona, Trattato
teorico-pratico, Cedam, Padova, 2006, 328. CORTE DI CASSAZIONE SEZ. III CIVILE (Pres. Fiduccia – est. Petti) Svolgimento del processo Con
citazione del 4 ottobre 2000, R. V., in proprio e quale legale rappresentante
dei figli minori G. e G. P., conveniva, dinanzi al tribunale di Torre
Annunziata, C.M.G., quale conducente (proprietaria assicurata dell’autoveicolo)
e l’assicuratrice Sara e ne chiedeva la condanna in solido al risarcimento di
tutti i danni conseguenti alla morte del marito P. F. Si
costituiva l’assicurazione, resistendo alla domanda; restava contumace la
conducente convenuta. La
Corte di appello di Napoli, con sentenza depositata il 30 ottobre 2002 così
decideva: in parziale riforma ripartisce le colpe, nella misura dell’80% a
carico della C. e per il restante 20% a carico del defunto P. La
Corte procedeva quindi (v:amplius in dispositivo) alla rideterminazione delle
varie voci di danno, condannando in solido la Sara e la C. alla rifusione dei
2/3 delle spese di primo grado, compensando tra le parti le spese dello
appello. Contro
la decisione ricorre R. V., in proprio e nella qualità, deducendo cinque motivi
di ricorso. Resiste la Sara con controricorso. Motivi della decisione Il
ricorso merita accoglimento in relazione al primo ed al quarto motivo,
assorbito il secondo ed il quinto, rigettandosi nel resto, per le seguenti
considerazioni. Preliminare
è la considerazione del primo motivo che attiene alla ricostruzione della
dinamica dell’incidente e delle condotte dei conducenti antagonisti, alla luce
delle regole di cui al primo e secondo comma dell’articolo 2054 Cc. Deduce
il ricorrente: l’error in iudicando in relazione alla applicazione della regola
di cui al primo comma, in relazione alla ricostruzione del fatto storico non
controversa per la dinamica dello scontro degli automezzi ed in ordine alle
prove di aver fatto, il defunto coniuge, tutto il possibile per evitare il danno.
Il motivo è dotato di ampia autosufficienza, indicando le fonti di prova ed in
particolare il rapporto dei carabinieri con descrizione del sinistro e dello
stato dei luoghi e le foto che illustrano la posizione terminale dei mezzi.
Deduce la difesa della ricorrente che l’incidente avvenne per la invasione
della corsia, imprevedibile ed improvvisa, e che il P. teneva rigorosamente la
destra, procedendo a velocità moderata e che non aveva avuto il tempo tecnico
materiale per porre manovre dirette ad evitare il terribile impatto. Censura
poi il passo della sentenza (ff 7 ed 8) dove la Corte dichiara di applicare
alla fattispecie un principio di diritto affermato da questa Corte in un caso
simile (invasione di semicarreggiata) (cfr Cassazione 3726/94), per
sostenere che nella specie il conducente che ha subito l’invasione non aveva
dato la prova di aver fatto di tutto il possibile per evitare l’evento, e
stabilire, in concreto un nuovo riparto delle colpe, addossando una
compartecipazione minima al F.P. Il
ragionamento del giudice del riesame non appare plausibile e neppure
giuridicamente fondato, posto che emerge, dalla ricostruzìone del fatto
storico, la condotta imprudente ed imperita della C. che con il proprio mezzo
ha invaso la corsia, ponendo in essere una gravissima situazione di pericolo,
con ciò applicandosi il criterio della causalità esclusiva nella produzione
dello evento lesivo (incidente stradale con lesioni mortali), e per contro è
dato rilevare una semplice congettura in ordine ad una corresponsabilità minima
del P., non suffragata da alcun elemento fattuale di riscontro. come
evidenziato dalla obbiettiva ricostruzione fatta dal personale specializzato
dell’Arma e dal suo rapporto: mentre a tal fine restava incombente l’indagine
circa la esigibilità, da parte del conducente antagonista, per la
imprevedibilità e la improvvisa situazione di pericolo, di una manovra di
emergenza adeguata, e comunque il riscontro di un suo profilo di colpa La
attribuzione della responsabilità esclusiva, già esattamente considerata del
primo giudice, e la illogica applicazione dì una presunzione di colpa a carico
del conducente che ha subito l’evento, senza il rilievo di eventuali possibili
manovre di emergenza, rendono dunque evidente il fondamento della indicata
prima censura sotto i due rilievi dell’error in iudicando per la applicazione
di un principio di presunzione semplice,superabile dalla prova contraria
(articolo 2054 primo comma Cc) e del difetto di motivazione in ordine alla
valutazione comparativa delle condotte dei conducenti antagonisti, secondo una
dinamica non controversa in atti. Il
motivo resta assorbito, per il quantum, dalla esclusione della ascrivibilità
del concorso di colpa e dunque il danno sarà liquidato per l’intero, tenendosi
conto della durata prevedibile della attività lavorativa e delle chances di
tale attività, e delle condizioni peculiari del nucleo familiare composto dalla
moglie e dai due piccoli figli minori, in ordine al dovere di solidarietà per
il mantenimento di tale nucleo (cfr:Cassazione 22593/04 per utile
riferimento). Nel
terzo motivo si denuncia l’error in iudicando per la negazione della
trasmissibilità iure hereditatis del danno biologico da morte, e per la
negazione del danno psichico subito e subendo dai figli minori per la perdita
della presenza paterna. Il
motivo contiene due diverse censure, che tuttavia risultano infondate per
difetto di specificità la prima, e per difetto di prove, anche in via
presuntiva le seconde. Quanto
alla prima censura, si osserva che il P. era rimasto in vita, lucido di mente,
nelle due ore necessarie per l’arrivo dell’ambulanza, decedendo solo durante il
trasporto. Il danno biologico consequenziale alla lesione mortale, come lesione
della integrità fisica, riguarda un lasso di tempo troppo breve quantificabile,
ancorché si debba ammettere che il relativo credito sia stato potenzialmente
conseguito dalla parte lesa mentre era in vita. La giurisprudenza di questa
Corte è consolidata sul punto, nel senso di escluderne la risarcibilità, come
danno reale, trasmissibile íure hereditatis (cfr:come incipit,Corte
Costituzionale, sentenza 372/94, 2450/95, 4991/96, 1704/97, sino a Cassazione
2775/03, 8828/03, 14476/03, 517/06, tra le tante). Quanto
alla seconda censura invece, la giurisprudenza, anche di legittimità, è
orientata nel riconoscimento del danno psichico, subito iure proprio dai
congiunti, come effetto della perdita dello stretto congiunto (nella specie, il
padre), sempre che siano stati forniti, anche in via presuntiva, idonei
elementi di prova, in ordine all’influenza della perdita degli affetti e della
figura paterna. Ma sul punto la censura non è né specifica né autosufficiente.
La censura pertanto, per quanto articolata in due mezzi distinti, è per
entrambi infondata. Merita
invece accoglimento il quarto motivo, che concerne la denegata pronuncia in
merito al chiesto risarcimento del danno morale subito dal defunto, come danno
terminale, avvertito da chi, in condizioni di lucidità mentale, attende
soccorsi che ritardano e sente venir meno la propria vita. Questa
Corte in numerose sentenze ha considerato la particolare valenza del danno
morale terminale o dello stesso danno biologico terminale sotto il profilo del
danno psichico catastrofale. In
questa sede viene in esame solo l’aspetto del danno morale, che è presente nel
danno da reato per omicidio colposo, come danno evento, il cui credito matura
nel tempo stesso in cui è inferta la lesione mortale. Conseguentemente
ritiene questa Corte di dover aderire ai recenti arresti, costituiti dalle
sentenze (Cassazione 11003/03, 3414/03, 11601/05;15760/06), che considerano la
autonomia ontologica di tale danno, come lesione della integrità morale della
persona, con la stessa valenza costituzionale di inviolabilità, onde la
doverosítà dì una adeguata considerazione ai fini del riconoscimento della
posta risarcitoria non patrimoniale e della sua trasmissibilità jure
hereditatis. L’accoglimento
del motivo determina cassazione con rinvio ed il giudice si atterrà alle
indicazioni enunciate negli arresti citati, nella valutazione equitativa, in
concreto dell’entità del danno in relazione alla gravità delle lesioni, alle
circostanze relative alla lucida attesa della morte, per valutarne in via
equitativa la consistenza, onde trasmettere il credito agli eredi. Resta
assorbito il quinto motivo sulla compensazione delle spese in primo grado,
dovendo il giudice del rinvio provvedere in ordine a tutte le spese dei vari gradi
del giudizio sulla base del principio della soccombenza sostanziale. L’accoglimento
del ricorso, nei limiti e secondo i principi sopraenunciati, determina la
cassazione con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Napoli. P.Q.M. Accoglie il primo ed il quarto motivo del ricorso, assorbito il
secondo ed il quinto, rigetta il terzo,cassa in relazione e rinvia anche per le
spese del giudizio di cassazione ad altra sezione della Corte di appello di
Napoli. |
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