Come tradizione il 2006 si è chiuso con il saluto del
Presidente agli italiani. Diciotto minuti di fronte alle telecamere per il Capo
dello Stato, al suo esordio nel messaggio di fine anno, che ha dedicato ampio
spazio al problema delle condizioni di chi lavora. “Bisogna guardare - ha detto
Giorgio Napolitano - con particolare sensibilità a chi lavora in condizioni
pesanti e per salari inadeguati, a cominciare dagli operai dell’industria.
Soprattutto non si può tollerare la minaccia e la frequenza degli infortuni cui
è esposta la sicurezza, e addirittura la vita, di troppi occupati, specie di
chi, italiano o immigrato, lavora in nero. Bisogna anche accorgersi che esiste
la realtà ancora così poco valorizzata, dei talenti e delle energie femminili”.
La politica si occupi anche delle istituzioni che governano il lavoro, la cui
tenuta va consolidata con necessari quanto non più dilazionabili ritocchi. «Si
trovi dunque l’intesa per riformarle», chiede il Quirinale. Sia chiaro, però:
«senza toccare il patrimonio dei grandi valori e indirizzi costituzionali»
indicati dalla Carta vigente. Infatti, come recita l’art. 1 della Carta,
l’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro. Non sull’infortunio. La tutela
della salute e della integrità psicofisica dei lavoratori, quali soggetti
fondamentali dello Stato, è uno dei princìpi che la Costituzione italiana ha
posto quindi come fondamento fin dalla sua origine. L’art.41 della
Costituzione, pur affermando che ogni soggetto può esercitare liberamente
l’iniziativa economica, stabilisce, quale condizione irrevocabile per svolgere
tale attività, il rispetto della sicurezza, della dignità e della libertà
umana. Tale concezione impegna non solo il legislatore ad emanare norme di effettiva
tutela del lavoratore, ma anche i datori di lavoro ad attenersi a tale obbligo
nell’organizzazione delle loro attività economiche. Inoltre il principio
espresso nell’art. 35 della Costituzione secondo cui “La Repubblica tutela il
lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni” ribadisce la garanzia al lavoro
di una tutela completa, sia in estensione, che in profondità. Ed ancora, l’art.
32 riconosce e tutela la salute “come fondamentale diritto dell’individuo e
interesse della collettività”, mentre l’art. 38 garantisce ai lavoratori
ammalati ed infortunati adeguata assistenza e mantenimento. L’imprenditore ha
pertanto libertà di scegliere il campo ed i tempi dell’attività, ma con il
preciso vincolo di tutelare l’integrità fisica, la salute e la dignità dei
lavoratori nell’esercizio dell’impresa. Le cifre le conosciamo bene, numeri
drammatici: 4 morti al giorno. Si muore di lavoro, sul lavoro, andando a
lavoro, tornando dal lavoro. Non è la prima volta che Giorgio Napolitano esorta
le istituzioni a dedicare risorse e forze per contrastare il fenomeno, lo aveva fatto in
precedenza lanciando un appello in occasione del tragico incidente
all’oleificio di Campello sul Clitunno, pronunciando parole dure: "Non
bisogna mai considerare questi terribili episodi come ordinaria
amministrazione. Ogni volta bisogna avere la capacità di indignarsi, di
allarmarsi e di reagire" Ancor prima, in estate, il Presidente della
Repubblica, aveva già lanciato un forte allarme contro il dilagare degli
incidenti mortali sul lavoro (l’anno scorso sono stati 1200 in Italia),
"questa è una catena che deve essere spezzata attraverso un intervento
congiunto delle forze sindacali, di governo e dell’opinione pubblica".
"Io ho cercato – aggiungeva - di lanciare un grido di allarme e
successivamente sono state adottate importanti iniziative: il cosiddetto
decreto Bersani, l’istituzione della commissione parlamentare ad hoc".
Vero. A partire dalla seconda metà del 2006, infatti, abbiamo assistito, ad una
decisa inversione di rotta da parte delle istituzioni nell’ azione di contrasto
al fenomeno degli infortuni e a favore dell’emersione dal lavoro nero. E’ un
buon inizio, ma molto c’è ancora da fare. Buon 2007. Da "Il Centauro" n.110 |
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