Gentile onorevole dipendente Poretti, ho letto su "La Stampa" di oggi la sua critica
alla proposta del Ministro Ferrero di regolamentazione della pubblicità delle
bevande alcoliche (http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/cronache/200704articoli/20421girata.asp, ): "secondo Donatella
Poretti della Rosa nel Pugno, l’idea di Ferrero non è che un «nuovo e assurdo
divieto che nulla farà per una concreta soluzione del problema". Mi occupo di alcol e problemi alcolcorrelati da circa 18
anni, e so bene come la proposta del Ministro Ferrero, tanto ricca di buon
senso, farà la fine delle tante altre affossate in questi anni: affossate dagli
imponenti interessi economici di qualcuno, e anche dall’ignoranza ed
insensibilità su questo problema di qualcun altro. Ricordo alcune delle notizie passate sulla stampa in questi
ultimi anni: «Verrà revocata a vita la patente a chi uccide guidando
ubriaco», «Verrà sospesa la somministrazione di bevande alcoliche nei
locali notturni a partire dalle ore 2», «Verranno vietate la vendita e la somministrazione di
bevande alcoliche nelle aree di servizio autostradali», «Verrà vietata la pubblicità delle bevande alcoliche», «Verranno
vietate la vendita e la somministrazione di bevande alcoliche ai minori di 18
anni», «Verranno inserite sulle etichette delle bottiglie di vino,
birra e alcolici avvertenze sui rischi legati al consumo». Ogni volta che è uscita una di queste proposte di legge, si
sono attivate le lobby dell’alcol. E i nostri parlamentari hanno prontamente
fatto marcia indietro: nessuna di queste norme, che pure godrebbero ampiamente
del consenso dell’opinione pubblica, è stata approvata. Tanta propaganda, tanti proclami sui giornali, e poi nulla. In Francia, con la "Loi Evin" del 1991 (http://www.legifrance.gouv.fr/WAspad/UnTexteDeJorf?numjo=SPSX9000097L), i divieti sono chiari: nessuna pubblicità rivolta ai giovani,
divieto totale nelle tv e nei cinema, nessuna sponsorizzazione di eventi
sportivi o culturali, come partite e concerti. La pubblicità è ammessa soltanto nelle pubblicazioni per
adulti e in radio, e deve riferirsi soltanto alle qualità del prodotto, non può
essere seduttiva nè avere testimonial. Proibizionismo? Niente affatto. I francesi continuano a bere
e ad amare il loro vino. Lo stato, preoccupato di tutelare la salute dei
cittadini, a fronte della vastità delle sofferenze alcolcorrelate regolamenta
la promozione pubblicitaria delle bevande alcoliche. Il che non ha niente a che
fare con la sacrosanta libertà di ciascuno di bere quello che gli va. In Italia no, appena qualcuno ci prova, subito si muovono le
lobbies (http://guide.dada.net/educazione_alimentare_/interventi/2007/04/292079.shtml,) e le onorevoli Poretti.
Intanto che l’alcol ammazza un italiano ogni 15 minuti, noi seguitiamo a
promuovere l’alcol come simbolo di festa e di successo. Alessandro Sbarbada
COMUNICATO STAMPA del 12 aprile 2007 Città del Vino scrive a Ferrero e chiede consultazione
preventiva con il settore prima della riforma. Città del Vino chiede un incontro urgente con il ministro
della Solidarietà Sociale, Paolo Ferrero, per sollecitare una consultazione con
i rappresentanti pubblici e privati del settore vitivinicolo prima
dell’annunciata riforma sulle limitazioni pubblicitarie degli alcolici. (*) Va bene proibire la pubblicità per limitare gli eccessi di
consumo tra i giovani, sottolinea l’Associazione Nazionale, ma il vino va
tenuto fuori da questa campagna proibizionista, che rischia di trasformarsi in
un’azione che danneggia le imprese e il territorio. Com’è possibile mettere sullo stesso piano il vino, un
prodotto che se consumato moderatamente può far bene alla salute, e che è
espressione di un territorio d’origine, con le altre bevande alcoliche e
superalcoliche? Com’è possibile
metterlo sullo stesso piano delle droghe, con un paragone improponibile e
inaccettabile con la cannabis? Limitare la pubblicità sul vino non risolve il problema
della prevenzione, fa notare Città del Vino, perché parliamo di un prodotto che
non viene bevuto in discoteca e che non è associato dai giovani all’idea di
sballo. Fa parte invece del bere mediterraneo, della cultura
alimentare e della dieta quotidiana di milioni di italiani, anche perché, come
dicono da anni molti studi scientifici, un consumo moderato e consapevole può
solo far bene - e non male - alla salute. “Siamo d’accordo con il Ministro quando intende limitare la
pubblicità di alcolici, superalcolici e bevande senz’anima e territorio, ma il
vino deve assolutamente rimanere fuori da questa campagna proibizionista e
dannosa per centinaia di territori e di imprese che fanno qualità e prodotti
sani, sicuri e certificati”, incalza Valentino Valentini, presidente delle
Città del Vino, firmatario della lettera con cui l’Associazione invita Ferrero
a una consultazione immediata con i rappresentanti di settore prima della
riforma. “Il problema dell’abuso - insiste Valentini - non si
sconfigge con il proibizionismo ma con l’ educazione alimentare e
l’informazione. Motivo per cui lanciamo al Ministro la disponibilità dei Comuni
Città del Vino a mettere in pratica il progetto del guidatore designato, su cui
la nostra Associazione già due anni fa ha realizzato una sperimentazione
all’uscita di dieci discoteche italiane”. (*) Nota: la potente lobby dei produttori di vino è sempre
molto tempestiva (ed efficace) nei suoi interventi. Staremo a vedere se anche
questa volta riuscirà a bloccare la proposta di legge, o, come forse più
probabile a snaturarla nei suoi contenuti. Anche in questo caso sarebbe utile che al ministro Ferrero
non giungessero solamente voci, sia pure interessate, di dissenso. LA STAMPA No pubblicità no party, addio agli spot
sugli alcolici
Alcol, 25mila decessi l’anno: giovani a rischio Sulle
bottiglie comparirà la scritta "Danneggia la salute" FLAVIA AMABILE ROMA «Danneggia la salute», «provoca 25 mila morti l’anno».
Dietro l’elegante etichetta di un pregiato Barolo d’annata potrete trovare
anche questo avvertimento dal tono minaccioso. La proposta è del ministro per
la Solidarietà Sociale Paolo Ferrero che, a dispetto del suo curriculum di
«rifondarolo» doc, dopo l’annuncio si è visto anche etichettare come
proibizionista. Il ministro sta preparando un disegno di legge per porre
limiti precisi alla pubblicità sugli alcolici. Il provvedimento verrà
presentato nelle prossime settimane in Consiglio dei ministri. Se approvato,
riguarderà vino, birra, whisky, e qualsiasi altra bevanda con contenuto
alcolico superiore a 1,2 gradi percentuali. E prevederà regole ben precise per
la pubblicità in televisione, sui giornali destinati ai giovani, nei locali per
teenager e anche sulle etichette come avviene per i pacchetti di sigarette. La pubblicità - ha spiegato il ministro - deve diventare
«meramente informativa, spiegando al consumatore le caratteristiche del
prodotto e nulla più». La nuova battaglia di Ferrero è contro «le pubblicità
che rappresentano il consumo di alcol come un mezzo per ottenere successo.
Occorre rompere questo legame presente nell’immaginario giovanile ed estremamente
dannoso per la salute dei ragazzi». La strada da seguire - prosegue il ministro
è «la prevenzione», non è il proibizionismo «che non è servito per altri
prodotti o sostanze illegali». Ferrero non si nasconde le difficoltà di una
simile proposta lanciata nel Paese del vino. Il ddl «farà sicuramente
discutere, ma speriamo che alla discussione faccia seguito un ampio dibattito
in tutto il Paese». Infine, Ferrero lancia una stoccata al centrodestra che «ha
accomunato tutte le sostanze stupefacenti», ma «non è mai stato accertato che
qualcuno sia morto per cannabis, mentre l’alcol provoca 25 mila morti l’anno».
Il ministro incassa il via libera dall’Istituto Superiore di Sanità.
«L’autoregolamentazione non funziona, ha fallito il suo obiettivo. Ben venga,
dunque, il ddl del ministro Ferrero», commenta Emanuele Scafato, direttore del
centro Oms per la ricerca sull’alcol e dell’Osservatorio nazionale alcol
dell’Istituto superiore di sanità. Ma piovono soprattutto critiche. Si ribellano produttori ed
enti locali. «Va bene proibire la pubblicità per limitare gli eccessi di
consumo di alcolici tra i giovani, ma il vino va tenuto fuori da questa
campagna proibizionista, che rischia di trasformarsi in un’azione che danneggia
le imprese e il territorio», afferma l’associazione delle Città del Vino. La
Coldiretti invita a non generalizzare: «Occorre distinguere l’abuso di alcol
dal consumo ragionato di vino che in quantità moderate va sostenuto». Le perplessità non mancano anche nel centrosinistra. Per
Silvana Mura, dell’Italia dei Valori «per i minorenni si deve fare molto di
più», ovvero il divieto di vendita e somministrazione di alcolici. E, secondo
Donatella Poretti della Rosa nel Pugno, l’idea di Ferrero non è che un «nuovo e
assurdo divieto che nulla farà per una concreta soluzione del problema». Il
centrodestra non ci sta. Per Isabella Bertolini di Fi si tratta di «semplici
palliativi». Riccardo Pedrizzi di An: «Ferrero non ha capito che a dover essere
contrastato, non è l’uso di alcool ma l’abuso. E invece, per quanto riguarda la
droga, a fare male è il semplice uso». Bocciatura piena anche dall’associazione
consumatori Aduc. «Inutile e dannosa» è il giudizio sulla proposta. Persino gli
Alcolisti Anonimi reagiscono con «realistico pessimismo». Maurizio M., presidente
dell’associazione, sarebbe anche d’accordo con la proposta, ma ricorda che
«provvedimenti così non sono mai passati» e «non passeranno mai». CORRIERE DELLA SERA – SPORTELLO CANCRO 13 aprile
2007
Pubblicate
sulla rivista Lancet le valutazioni di 26 ricercatori di 15 Paesi
Alcol, rischio-tumore anche per seno e
colon
Dopo fegato, cavo orale, laringe ed esofago, la lista delle
neoplasie legate a un consumo eccessivo di bevande alcoliche si allunga. MILANO – Si fa sempre più indigesto il «bicchierino di
troppo» che, pur allegramente sottovalutato dai più, rappresenta un rischio
invece piuttosto serio per la salute e aumenta l’esposizione a malanni di
diversa natura, cancro compreso. Le conferme scientifiche giungono da più
parti, in questo mese d’aprile dedicato alla prevenzione delle patologie legate
all’alcol, e si è ampliata la rosa dei tipi di tumore che gli esperti
definiscono correlati al consumo di alcol: oltre alle neoplasie già note,
infatti, come i carcinomi di fegato, cavo orale, faringe, laringe ed esofago,
si aggiungono due tra i tumori più diffusi, il carcinoma della mammella e
quello del colon-retto. Finora, sulle responsabilità dell’alcol per queste neoplasie
c’erano forti sospetti, ma 26 scienziati europei provenienti da 15 nazioni
diverse hanno rivisto decine di studi epidemiologici e hanno concluso che il
rischio c’è, ed è maggiore del previsto, dato che un consumo regolare
giornaliero di 50 grammi di etanolo, paragonabile a 4-5 bicchieri di vino, si
associa ad un rischio aumentato di 1,5 volte per il seno (ma si rilevano
differenze anche con consumi molto più modesti, pari a 18 grammi) e di 1,4
volte per il colon e il retto. Più pesante l’impatto sui tumori di bocca,
faringe e laringe, per i quali l’esposizione aumenta di 2-3 volte e per i
carcinomi epatici, che secondo i ricercatori hanno un legame con il consumo di
alcolici «evidente ma difficile da quantificare», a causa della presenza di
patologie come la cirrosi, che spesso precedono la diagnosi di tumore e che
inducono comunque a bere in maniera più moderata. I dati sono contenuti in un ampio lavoro di rivalutazione
degli effetti cancerogeni delle bevande alcoliche condotto dalla IARC,
l’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro di Lione, in Francia, e sono
stati pubblicati sulla rivista Lancet. Gli esperti incaricati della revisione
hanno esaminato i possibili legami tra il consumo di alcol e l’insorgenza di
tumori in 27 diverse sedi anatomiche. Per altre forme di cancro, diverse da
quelle sopra citate, non ci sono certezze, mentre i risultati dell’indagine
suggeriscono una «assenza di effetti cancerogeni» delle bevande alcoliche sugli
adenocarcinomi del rene e sui linfomi non Hodgkin. Un caso a sé, poi, è quello
dei tumori dell’esofago, che risultano connessi ad una particolare alterazione
genetica, diffusa soprattutto in Estremo Oriente, che inibisce l’attività delle
alcol deidrogenasi, enzimi necessari al metabolismo e allo «smaltimento» dell’etanolo.
Dal momento che tutti i collegamenti alcol-tumori sono stati
calcolati senza fare distinzioni sul tipo di bevanda, ma considerando soltanto
la quantità di etanolo ingerita, non si può stilare una classifica dei drink
buoni o cattivi, e il messaggio-chiave è dunque la moderazione. «Le prove
scientifiche che legano le bevande alcoliche a un incremento del rischio di
tumore continuano ad aumentare, così come il contributo dell’alcol al peso
globale del cancro - ha commentato Peter Boyle, direttore della IARC. -
L’evidente associazione tra un rischio più alto di tumore della mammella e un
consumo anche modesto di alcol è preoccupante, soprattutto se si pensa che in
molti Paesi le donne stanno cambiando abitudini e bevono di più». (*) L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha stimato che nel
2002 circa un miliardo e 900 mila persone nel mondo abbiano bevuto almeno 13
grammi di etanolo al giorno. Negli ultimi decenni si è registrato un boom dei
consumi in Cina e nelle regioni limitrofe, mentre i maggiori bevitori restano
gli europei dell’est e i russi. Secondo l’ultimo rapporto della Commissione
europea, il costo sociale e sanitario provocato dall’alcol è stimabile in 650
euro l’anno per ogni famiglia, per un totale di 125 miliardi di euro; in vite
umane il prezzo per i Paesi europei è altissimo, con 115.000 decessi, di cui
50.000 per tumori correlabili all’alcol. Donatella Barus (*) Nota: il rapporto tra consumo di alcolici e cancro al
seno è particolarmente importante soprattutto perché il rischio di tumore al
seno è uno dei più alti per la salute delle donne, quindi anche un lieve
incremento è preoccupante. In fondo alla rassegna riportiamo un articolo di
50 anni fa che parla del rapporto tra fumo e cancro. La conoscenza del
rapporto cancro-alcol sta seguendo esattamente lo stesso percorso della
conoscenza della relazione tra tabacco e cancro, con qualche decennio di
ritardo. In futuro gli alcolici avranno nel pensiero comune la stessa
considerazione delle sigarette. Qualcuno berrà ugualmente, ma almeno non lo
farà perché qualcun altro gli ha detto che bere poco fa bene. IL GAZZETTINO (Udine) ASS 4 - ALCOLOGIA «Nell’ultimo triennio 10 minori in cura da noi» Quando Alberto Peressini ha iniziato a lavorare come medico
al servizio di alcologia del Dipartimento dipendenze dell’Azienda sanitaria 4, «vedere
arrivare da noi una persona sotto i trent’anni era una cosa rarissima. Adesso,
non solo si rivolgono al servizio di alcologia molti under-30, ma arriva anche
qualche minorenne. Fortunatamente sono pochi: negli ultimi tre anni, si sono
rivolti a noi una decina di ragazzi dai 14 ai 18 anni, che di solito hanno
avuto un coma etilico anche più di una volta e che, spesso, associano all’alcol
anche qualche stupefacente. Una volta non accadeva mai che venissero dei
minori». Un segnale che dà da pensare parecchio al medico. Secondo Peressini nell’abuso di vino, birre e cocktail fra
gli adolescenti, «l’alcolismo non c’entra nulla: siamo di fronte a una
situazione di disagio giovanile che si esprime con l’uso di alcolici.
Utilizzano l’alcol perché è la cosa più facile che trovano in circolazione per
sballare. Il dato più preoccupante è culturale: com’è possibile che i
minorenni, che non potrebbero per legge acquistare alcolici, riescano con tanta
facilità a consumarne? E come mai hanno tanto bisogno di sballare con vodka,
gin e cocktail? Questo dovremmo chiederci. Perché è vero che le sbronze fra
ragazzi forse sono sempre esistite, ma è anche vero che oggi il fenomeno è
molto più diffuso e che la fascia d’età del primo bicchiere di alcolico si è
molto abbassata». I dati parlano chiaro: in una regione come la nostra, che
conta 272 ospedalizzazioni ogni 100mila abitanti (contro le 167 della media
italiana) quasi il 30% degli adolescenti non ritiene sbagliato ubriacarsi
almeno una volta. A bere cominciano presto, «già negli anni delle medie» e,
ricorda Peressini, «sul fisico di un adolescente in crescita l’alcol è ancora
più tossico che su un adulto». Il coma etilico è l’ultimo stadio
dell’ubriacatura: «un’intossicazione acuta da alcol, che provoca la perdita di
coscienza: è molto rischiosa».Dietro l’abbassamento dell’età della "prima
volta" con il tajut in mano anche la politica di alcune aziende
produttrici, «che hanno lanciato i cosiddetti "alcolpops": bevande
alcoliche, ma molto gradevoli, dal gusto dolce e fruttato, rivolte
specificatamente ad un target giovanile. Non dico che tutto il fenomeno
dell’abuso di alcolici fra minori dipenda da questo, ma, certo, ha avuto il suo
peso». Cdm IL MATTINO L’ALLARME DEL GRUPPO LOGOS Bambini iniziati all’alcol già a dieci
anni
PAOLO ROMANO A Salerno e in provincia l’iniziazione dei
bambini all’alcol avviene intorno ai 10-11 anni, con un’età prematura molto al
di sotto della media europea che è di 14 anni e mezzo. È quanto emerge dalla
elaborazione di dati tratti da questionari anonimi somministrati nelle scuole
del salernitano del gruppo Logos che oggi presenterà un dossier completo su
"Bambini e alcol: conoscere e prevenire" durante l’omonimo seminario
in programma presso la sede del gruppo in via Pironti, alle ore 16.00. «Il dato
è quanto mai allarmante - spiega Nello Baselice responsabile della onlus che da
anni si batte contro le maggiori dipendenze, in primis quelle da alcol - Quando
parliamo di iniziazione non diciamo, attenzione, che ci troviamo
automaticamente dinanzi a dei baby-alcolisti, ma avvicinarsi al consumo di
alcol e farne un uso sporadico in un’età così precoce aumenta le probabilità di
abuso». I dati a campione nazionale confermano l’abbassamento dell’età pericolosa,
per un target di popolazione estremamente legato al consumo di bevande
alcoliche. In base al decimo rapporto dell’Osservatorio Adolescenti della
Società Italiana di Pediatria che ha effettuato uno studio su un campione di
1251 ragazzi tra i 12 e i 14 anni risulta che: «Nel 2005 i ragazzi che bevevano
vino erano il 46%, percentuale che nel 2006 sale al 47%. L’uso di birra nel
2005 è del 48,3%, nel 2006 si passa al 53%. In aumento anche l’uso di liquori:
dal 22,5% al 23,3%». Baselice parte proprio dai superalcolici per fare una
considerazione che punta il dito su una cultura troppo rassicurante: «Vino e
birra non sono ritenute bevande pericolose. Si pensa che possano esserlo solo i
superalcolici: nulla di più sbagliato. Le ubriacature da vino e birra sono
frequenti e nei giovani si associano ad altri comportamenti a rischio, come
guida di autovetture, spinelli, droghe, etc». Anche i dati diffusi
dall’Istituto Superiore di Sanità evidenziano come già in età pediatrica si
sviluppino ricoveri in ospedale di bambini intossicati da bevande alcoliche.
L’incontro odierno, rivolto a docenti, educatori, insegnanti e genitori, si
inserisce nell’ambito di un più ampio programma promosso dal gruppo Logos per
il mese della prevenzione alcologica: «L’iniziazione al bere promossa nella
famiglia, dalle pressioni sociali e mediatiche sono fattori che legittimano la
promozione della salute già a partire dalla scuola primaria». IL MATTINO Alcol e ragazzi, la strage in un
bicchiere
VALENTINA ARCOVIO Ogni anno in Italia muoiono circa 25mila
persone per motivi correlati all’alcol, di cui 17mila uomini e 7mila donne. Ma
il dato più allarmante è l’aumento del binge drinking, ovvero del bere per
ubriacarsi, una moda sempre più diffusa tra gli adolescenti. Questo è il quadro
drammatico presentato ieri a Roma durante il workshop organizzato dall’Istituto
superiore della sanità (Iss), che ha aperto il mese della prevenzione
alcologica. Nonostante l’Italia sia tra gli ultimi paesi europei per il consumo
di alcol, il numero degli adolescenti che spesso alza il gomito è in forte
crescita. «Dalle ultime ricerche - spiega Emanuele Scafato, direttore
dell’Osservatorio nazionale alcol dell’Istituto - emerge che il 74 per cento
dei giovani, e nello specifico il 67% dei giovani dai 13 ai 15 anni, beve il
sabato sera. Di questi, il 20% si ubriaca». L’alcol è la terza causa di morte
prematura e di malattia nell’Unione Europea. Ed è la prima causa di morte per i
giovani maschi di età compresa tra i 15 e i 29 anni. Il numero complessivo dei decessi
registrati nei paesi dell’Unione Europea è pari a 115mila e i costi sanitari
complessivi ammontano a 125 miliardi di euro, pari all’1,3% del Pil europeo. Le
principali cause di morte alcol-correlate sono la cirrosi epatica e gli
incidenti. Si stima, infatti, che il 47,7% dei decessi per cirrosi epatica tra
gli uomini e il 40,7% tra le donne è attribuibile all’alcol. Stessa cosa per
quasi il 27% e l’11,4% delle morti causate da incidenti. Gli italiani sono da
sempre grandi estimatori del buon vino, ma quello che sembra essere cambiato è
proprio lo stile del bere. Secondo le statistiche, infatti, gli italiani
sembrano aver abbandonato lo «stile mediterraneo», cioè un consumo moderato di
vino durante i pasti (1-2 bicchieri per la donna, 2-3 bicchieri per l’uomo), a
favore di un consumo più frequente e lontano dai pasti. «Non bisogna - ha detto
il ministro per la solidarietà sociale Paolo Ferrero - demonizzare la sostanza,
ma la pericolosità dell’abuso. La politica non ha il potere di eliminare il
problema, piuttosto può limitarlo. Due sono gli elementi su cui lavorare:
l’informazione e la pubblicità. È inutile pensare al divieto assoluto perché il
proibizionismo non ha mai dato risultati soddisfacenti». Il ministro ha
annunciato l’intenzione di presentare al Consiglio dei ministri, nelle prossime
settimane, una nuova proposta di legge per limitare la pubblicità degli
alcolici in televisione e nelle riviste rivolte ai ragazzi. «La pubblicità è il
veicolo principale della costruzione, sbagliata e pericolosa, di un modello di
consumo che associa il successo della persona all’uso di sostanze alcoliche.
Bisogna rompere il legame che esiste nell’immaginario giovanile tra uso di
sostanze e capacità di costruire relazioni significative e di successo nel
gruppo sociale. L’idea è di riportare la pubblicità degli alcolici al puro
elemento informativo: un’etichetta più moderata rispetto a quella sui pacchetti
di sigarette», ha concluso Ferrero. IL MATTINO Un opuscolo contro i luoghi comuni
Nella campagna per la prevenzione alcologica c’è anche un
opuscolo per smentire i luoghi comuni. Come quello che bere fa buon sangue:
l’alcol, invece, può causare anemie e un aumento di grassi nel sangue. E non
favorisce la digestione ma la rallenta e la altera. Ancora, bere alcolici come
il vino e la birra, o superalcolici non fa una grande differenza. In un
bicchiere di vino da 150 ml o in un boccale di birra da 330 ml, infatti, c’è la
stessa concentrazione di alcol di un bicchierino di whisky da 40 ml. Per
risultare positivi alla prova del palloncino basta un drink, un solo bicchiere
e il tasso di alcolemia sale a 0,5 gradi per litro, il limite massimo
consentito. IL MATTINO Il direttore del Centro di prevenzione: pericolosi anche i
consumi degli anziani Per Donato Greco, direttore del Centro per la prevenzione e
il controllo delle malattie (CCM), l’alcol è un problema grave e non va
sottovalutato anche se le statistiche dicono che l’Italia è uno dei paesi
dell’Ue con il più basso consumo». Quali i rischi collegati al consumo di
alcolici? «L’alcol contribuisce all’insorgenza di un notevole numero di
patologie oltre la cirrosi epatica. Il 30% per cento dei tumori del seno, per
esempio, sono causati dall’alcol. Per non parlare di tutte quelle patologie
croniche che costano davvero tanto al nostro sistema sanitario». Quali sono i
soggetti a rischio? «Generalmente si pensa ai giovani e al rischio che corrono
con i troppi drink superalcolici. Ma non è il whisky il vero problema. Lo è
invece il vino, bevanda sacra e intoccabile, e i bicchierini di troppo
consumati dagli anziani v. a. IL GIORNALE DI VICENZA ABUSO.
Il ministro Ferrero annuncia un disegno di legge per limitare la pubblicità
degli alcolici
Sempre più baby-bevitori
A 11 anni si comincia già ad alzare il
gomito
Roma. Sono sempre di più i ragazzi tra gli 11 e i 15 anni
che bevono abitualmente, e il 20 % dei giovani si ubriaca il sabato sera.
Questi alcuni dei dati diffusi da Istat e Istituto Superiore di Sanità in
occasione dell’ «Alcol prevention day 2007». Dallo studio emerge la fine del
«modello mediterraneo», in cui si beve ai pasti, a favore di comportamenti
disordinati. Per contrastarli, il ministro della Solidarietà Sociale Paolo
Ferrero sta per presentare un disegno di legge che limita la pubblicità degli
alcolici. Secondo i dati Istat, quasi un ragazzo su cinque (il 18,6%)
tra gli 11 e i 15 anni consuma già abitualmente alcolici. Il 19% dei giovani in
generale si ubriaca (cioè beve più di 6 bicchieri in un’unica occasione) nel
fine settimana, mentre il 28% beve da 3 a 5 bicchieri e il 36% uno o due
bicchieri, Tra i minori di 17 anni la birra è l’alcolico più diffuso (19,1%),
ma crescono i superalcolici (15,7%), con in testa gli aperitivi. Aperitivi che
sono di gran lunga la bevanda più diffusa tra i 18 e i 24 anni (48,8%). Il
fenomeno del binge drinking (cioè del bere finalizzato all’ubriacarsi) è più
diffuso nel nord-est (il 9,8% della popolazione lo fa più di 12 volte l’anno)
che al sud (il 7%). «Il dato più preoccupante riguarda i giovanissimi - commenta
Emanuele Scafato, direttore dell’Osservatorio nazionale Alcol dell’Iss - anche
perchè sotto i 15 anni l’organismo non è in grado di metabolizzare l’alcol, per
cui i suoi effetti tossici sull’organismo sono amplificati. Inoltre si stanno
diffondendo dei modi di bere completamente diversi da quello mediterraneo e
molto pericolosi. È necessaria una contro-pubblicità per evitare che l’alcol
venga associato ad un’immagine positiva». Per quanto riguarda la mortalità, secondo l’Oms sono 25mila
(17mila uomini e 7mila donne) i decessi causati dall’alcol. Circa il 10% di
tutti i decessi del nostro Paese in un anno sono attribuibili al bere. Cirrosi
epatica e incidenti stradali sono le due principali cause di morte. «C’è una sottovalutazione dei problemi legati all’alcol - ha
detto, commentando i dati, il ministro della Solidarietà Sociale Paolo Ferrero
- è necessario rompere il luogo comune che lega il consumo e la capacità di
costruire relazioni. Per questo abbiamo pensato a un disegno di legge che
limiti la pubblicità degli alcolici». Obiettivo del ddl, ha spiegato Ferrero «è
vietare la pubblicità degli alcolici che fa riferimento al legame tra uso di
sostanze alcoliche e successo della persona». È invece consentito dare in tivù
informazioni sull’esistenza di un prodotto alcolico e sulle sue
caratteristiche. «L’idea - ha aggiunto il ministro - è riportare la pubblicità
degli alcolici al puro elemento informativo». I limiti alla pubblicità
riguardano le bevande con contenuto di alcol superiore a 1,2 gradi, e il
provvedimento prevederà anche la presenza di scritte sulle etichette che
informino sui rischi dell’abuso di alcol. IL GAZZETTINO (Padova) DONNE E ALCOL Oggi la conferenza veneta
Si apre oggi al Centro Papa Luciani, con l’intervento
dell’assessore regionale alle Politiche sociali Stefano Valdegamberi, la quarta
conferenza regionale sull’alcol "Meno alcol più vita" sul tema
"Donna e alcol". L’iniziativa è realizzata in collaborazione con
l’Arcat Veneto, gli Alcolisti Anonimi e i gruppi familiari, il Covest e i
Dipartimenti per le Dipendenze delle Aziende ULSS. «I lavori di questa quarta
conferenza regionale che fa il punto sulla situazione delle alcoldipendenze nel
Veneto - spiega l’assessore veneto - riguarda quest’anno il rapporto tra alcol
e popolazione femminile, aspetto che per alcuni versi ci preoccupa. Esso fa
seguito al tema dei giovani, affrontato nella seconda conferenza tenutasi nel
2005, e a quello degli anziani svoltosi l’anno scorso durante la terza conferenza
regionale. Nei prossimi anni, al centro della riflessione degli operatori
saranno i temi della comunità, dei nuovi cittadini immigrati, e altro» . SESTOPOTERE IL 20% DEI GIOVANI SI UBRIACA NEL WEEKEND CODACONS CHIEDE
GIRO DI VITE Roma - 13 aprile 2007- I dati illustrati dall’ Istituto
Superiore di Sanità e relativi al consumo di alcol tra i giovani sono per il
Codacons allarmanti e impongono provvedimenti immediati da parte delle
istituzioni, anche per limitare il numero di decessi legati direttamente o
indirettamente all’alcol. “La prima misura da attuare è l’innalzamento da 16 a 18 anni
dell’età minima per la vendita di alcolici – afferma Carlo Rienzi, Presidente
Codacons – associata a controlli serrati su tutto il territorio e sanzioni
severe contro i trasgressori. Per tutelare i giovani dai rischi dell’alcol è
indispensabile poi un giro di vite contro le cosiddette bevande “alcopop”,
ossia bevande con gradazione alcolica compresa tra 5 e 6 gradi travestite da
innocui succhi di frutta, dirette a colpire proprio i più giovani e a creare
assuefazione. Infine – conclude Rienzi – chiediamo di vietare anche in Italia
la pubblicità dei prodotti alcolici, così come avviene in altri paesi;
pubblicità immorale che spesso enfatizza improbabili effetti positivi dell’alcol”. REDATTORE SOCIALE ALCOLISMO Boom dei consumi tra adolescenti e giovani donne. Il motivo?
Socializzare 13/04/2007 In Veneto tra il 1998 e il 2006 i maggiori incrementi nel
consumo di bevande alcoliche sono stati registrati tra le adolescenti (+33%) e
tra le giovani di 18-24 anni (+19,5%) PADOVA -
Dimentichiamoci lo stereotipo della casalinga che beve da sola a casa. Adesso
le donne bevono, come gli uomini, per socializzare. In una regione come il
Veneto, dove lo spritz più che un’abitudine è un rito, anche la popolazione
femminile ha iniziato a bere, troppo, per stare in compagnia. Basta poi fare un
salto nelle grandi piazze delle principali città per vedere come siano
soprattutto i/le giovani, adolescenti, a perpetrare questa tradizione (senza
fare caso a una specifica legge che vieta la vendita di alcolici ai minori di
16 anni). Questo quadro emerge dal nuovo report – con dati relativi al
2005 – che analizza le alcoldipendenze in Veneto (a cura degli esperti del Cnr
in dotazione alla Regione Veneto), con particolare attenzione al rapporto tra
donne e abuso di alcolici. Un problema,
questo, che emerge sempre con maggiore forza e che si pone in controtendenza
con la statistica generale, secondo la quale l’abuso di alcol è in diminuzione.
La ricerca è stata presentata questa mattina a Padova durante la prima giornata di lavori della Quarta
Conferenza regionale sull’alcol. Le conclusioni cui arriva il report nascono dall’analisi dei
numeri, molti numeri, che aiutano a focalizzare e inquadrare il fenomeno.
Eccoli, questi dati: tre milioni sono i veneti di oltre 14 anni (il 79% della
popolazione) che consumano alcol, contro un dato nazionale che parla di un 72%.
Le donne più o meno assidue bevitrici sono oltre il 68% (contro il 61% delle
italiane). Particolarmente sensibile è la fascia dai 18 ai 24 anni (77,1%) e
quella delle giovani adulte di 25-44 anni (70,3%). Poco meno della metà delle
adolescenti che vivono nella regione (il 47,2%) ha già consumato tra i 14 e i
17 anni bevande alcoliche e di queste il 40,3% (stimato in 28.400 ragazze) è
rappresentato da minori di età inferiore all’età legale per la somministrazione
degli alcolici. Vengono iniziate dal vino, ma poi prediligono altro e il primo
bicchiere viene bevuto a 11-12 anni per poi passare a gradazioni alcoliche
maggiori da sperimentare tra i 14 e i 15 anni, mentre le prime ubriacature
avvengono tra i 15 e i 16 anni. Come detto, il Veneto è la patria dell’aperitivo: ecco come
si spiega il maggior incremento nel consumo di alcolici tra le adolescenti
(+33%) e tra le giovani di 18-24 anni (+19,5%), in larga parte dovuto
all’incremento di consumi di aperitivi alcolici (circa +20%) e di alcolici
fuori dei pasti (circa +22%). Diffusa è, infine, la tendenza a ber fuori dai
pasti non solo tra i meno giovani ma anche tra le nuove generazioni: cresce di
13 punti la percentuale di chi beve lontano dalla tavola e con maggior forza
aumenta questa abitudine tra gli adolescenti (dal 12,7% del 1998 al 28,3% del
2003), condivisa da circa 38.300 giovani. Insieme agli aperitivi è la birra l’alcolico più gettonato,
mentre le donne invecchiando le affiancano il vino, salvo poi dedicarsi
nell’età adulta solo a quest’ultimo. Terra del buon vino, in Veneto circa
209.000 soggetti ne consumano oltre ½ litro al giorno, ma è una tendenza
perlopiù degli uomini, anziani e pensionati. Nell’opera di sostegno agli alcoldipendenti i Ser.T.
(servizi per le dipendenze) delle Ulss svolgono un ruolo di primissimo piano.
Gli utenti nel 2005 sono stati 11.721, con un’età media di circa 46 anni. Le
donne sono state circa il 22% (2.593 donne) con un’età media di poco inferiore
ai 48 anni (contro i 45,3 anni degli uomini). (gig) FORUM DROGHE - www.fuoriluogo.it, Droghe, ciò che la ricerca non dice
13 aprile 2007 La Direzione Centrale Antidroga del Viminale e l’Istituto
Superiore di Sanità sull’alcool hanno pubblicato i loro dati sui rispettivi
fenomeni. Studi che però non dicono niente di nuovo perchè non illuminano sugli
stili di consumo, che al contrario resta importante conoscere per prevenire e
agire Giungono in contemporanea i dati della Direzione Centrale
Antidroga del Viminale su sequestri di sostanze illegali e denunce per reati di
droga, e quelli dell’Istituto Superiore di Sanità sull’alcool. E riparte il grido di allarme attorno ai consumi giovanili.
Una non notizia, in realtà. Che il consumo di sostanze tra i giovani sia un
fenomeno di massa lo sappiamo da tempo immemorabile, che la cocaina (o meglio
le cocaine, dato che il mercato è illegale e dunque fuori controllo e circola
di tutto, inclusa "cocaina" che di cocaina non ha mai visto nemmeno
l’ombra), sia in fase di grande diffusione, anche. E’ vero: molti giovani usano o sperimentano sostanze. Nella
non notizia ciò che si può osservare è, intanto, che questi dati non sono molto
utili. O almeno, che non sono ciò che ci serve davvero. Chi di noi lavora con i
consumatori più giovani sa che dire "il 74% consuma alcool" oppure
"il 35% consuma marijuana" può essere utile a chi si limita a fare
campagne mediatiche - magari per invocare più repressione e "dissuasione
morale" dentro la mai morta abitudine all’allarmismo sociale -, ma non lo
è per nulla per chi con i giovani dialoga e lavora con lo scopo che diventino più
consapevoli del proprio stile di vita e sappiano tenerlo sotto controllo. Cioè:
ci serve sapere da quando, come, con chi, quanto e con che frequenza e dentro
quale cultura e con quale scopo e aspettandosi cosa e sapendo cos’altro...
insomma: quello che si chiama "lo stile del consumo". In Italia si strilla sui dati statistici che dicono che la
stragrande maggioranza dei giovani consuma qualcosa, legale o illegale, e
potenzialmente rischioso, ma siamo in pochi a chiederci che tipo di consumo è. Perché
non tutti gli stili sono uguali, mentre su tutti si può lavorare perché non
producano danno e malattia e disagio. Ma bisogna saper distinguere. Tra coloro
che usano cocaina ci sono quelli che la provano e poi basta, quelli che la
usano insieme a altre tre droghe, quelli che la usano nel weekend, quelli che
la usano compulsivamente, quelli che vanno in paranoia, quelli che si
indebitano, quelli che... E anche per l’alcool: quel 74% che usa ogni sabato
sera, guida sempre in stato di ebbrezza ed è pericoloso per sé e gli altri? Si
ubriaca? Si controlla? È un consumatore abituale ma moderato? Oppure ama
stordirsi? I pochi dati che abbiamo a portata di mano ci dicono con
chiarezza che molti giovani abbandonano spontaneamente il consumo di sostanze
psicotrope dopo un tempo breve di sperimentazione o di uso saltuario, altri
mantengono uno stile compatibile con la loro vita e i compiti sociali che
spettano loro, altri no, ne consumano in modo crescente e si fanno del male. A fare solo allarme indistinto si dà un messaggio duplice:
a) i consumatori sono tutti uguali e le droghe sono tutte uguali, con ciò
falsificando in modo insopportabile la realtà e b) il rischio è in realtà un
pericolo, laddove la differenza sta nel fatto che il rischio si può contenere e
controllare e il pericolo è, al contrario, una minaccia anonima su cui nulla
possiamo. Conoscere i diversi stili di consumo vuol dire da un lato dare nome e
cognome al fenomeno, sapendo che una parte del consumo è e rimane non
problematico, e non è davvero necessario patologizzarlo per non dire
criminalizzarlo; dall’altro lato imparare a lavorarci concretamente, al di
fuori dell’allarme morale, attraverso interventi di informazione,
consapevolezza, autoregolazione. (*) Questo è ciò che importa: una ricerca che
serva a dirci come possiamo dialogare e rendere le persone abili a comprendere
i propri comportamenti e i loro esiti. "Guardare dentro le cifre" e
scoprire le differenze, e vedere che non c’è una minaccia incombente ma una
serie di rischi reali e a volte anche importanti ma che sono tutti
comportamenti umani con i quali lavorare è possibile, se viviamo in un contesto
capace di assumersene la responsabilità e non solo di strillare. Tra l’altro,
proprio di questo parleremo, come Forum Droghe, a Parma il 20 aprile, in un
seminario intitolato proprio «Giovani, Sostanze, Tendenze. QUELLO CHE LA
RICERCA NON CI DICE», organizzato per sapere e per capire, "dietro i
numeri". Susanna Ronconi
(*) Nota: è evidente che non tutti i consumi di alcolici
sono riconducibili all’alcolismo e non tutti i consumi di droghe illegali
rientrano nella tossicodipendenza. Ma proprio perché è utile parlare in termini
di rischio, non si può non sottolineare la correlazione tra uso non
problematico ed uso maggiormente rischioso. Questo vale indistintamente per
tutte le droghe. Contenere i rischi è utile per quella fascia di popolazione
che in ogni caso non rinuncia all’uso di sostanze. Occorre però anche lavorare
per sostenere le persone che trovano piacevole la sobrietà. LA STAMPA L’ULTIMA PROPOSTA DEL TITOLARE DELLA
SOLIDARIETA’ SOCIALE Il ministro e la lotta all’alcol Limiti
alle pubblicità e etichette da cambiare
Se avete smesso di fumare o evitato di accendere una
sigaretta dopo aver dato un’occhiata al pacchetto e alla minacciosa scritta sui
danni alla salute, probabilmente sarete d’accordo con l’ultima idea di Paolo
Ferrero, ministro per la Solidarietà Sociale, di inondare di scritte analoghe
le etichette di vini, birre e superalcolici. Gli altri, e erano la maggioranza
dopo l’annuncio, sembravano piuttosto scettici. (*) La proposta di Ferrero prevede anche limiti alle pubblicità in tv e sui giornali
per ragazzi per evitare che l’alcol venga associato a modelli vincenti o di
successo. Anche in questo caso le perplessità non mancano: i ragazzi leggono
solo alcuni giornali? Non sfogliano settimanali o altre pubblicazioni con
pubblicità di alcolici? E come la mettiamo con i messaggi che passano
attraverso i film? Lo stesso ministro ha ammesso che quando il disegno di legge
verrà presentato ci saranno discussioni. Altri hanno ricordato che proposte
simili sono già state presentate senza alcun successo. (*) Nota: sarebbe velleitario pensare che la limitazione
della pubblicità risolva il problema dell’alcolismo. Ma questo non giustifica
lo scetticismo di fronte alle (poche) iniziative per fronteggiarlo. È meglio
essere ottimisti e avere torto piuttosto che pessimisti ed avere ragione
(Albert Einstein). BRESCIA OGGI L’ESPERTO. Per resistere alla fatica i
muratori consumano alcol e cocaina
«L’emergenza cocaetilene dilaga in disco e sui cantieri» L’ultima frontiera dello sballo? Si chiama «cocaetilene», ed
è in pratica il consumo di alcolici per prolungare l’effetto della cocaina. La
pratica si sta diffondendo in discoteca ma soprattutto sui cantieri. I muratori
utilizzano il cocktail per aumentare la resistenza alla fatica. Il doping «fai
da te» sta diventando un’emergenza nel triangolo d’oro del mattone
Bergamo-Brescia-Verona. A confermarlo è l’Osservatorio lombardo sulle
tossicodipendenze che ha recentemente presentato al ministero della Salute e a
quello degli Interni una dettagliata relazione sul nuovo fenomeno. «Nuovo dal
punto di vista del target di consumatori - osserva Andrea Migliorati, consulente
dell’organismo ministeriale in virtù di un’esperienza ventennale maturata nei
Sert bresciani e milanesi -. Le popolazioni andine hanno sempre usato le foglie
di coca per affrontare la fatica e non sentire la fame. Che i manovali che
nell’Ovest bresciano sono ormai per la maggior parte composti da squadre di
albanesi, sniffino cocaina per lavorare di più non sorprende, anzi». I segnali dell’evoluzione dell’uso «performante» della
cocaina, come detto, sono contenuti nell’indagine biennale condotta a livello
regionale - seguendo l’esperienza del Veneto -su un campione di oltre 10 mila
persone segnalate alla prefettura come consumatori di droga. Un quinto del
campione è bresciano. «Per usare un’immagine magari poco scientifica ma molto
efficace - spiega Migliorati -, la cocaina in passato faceva capolino nei
cassetti di manager e uomini di alta responsabilità, ora gira disinvoltamente
fra i cottimisti che fanno della resistenza fisica la loro fonte di guadagno». Se poi si consideriamo i dati delle forze dell’ordine, che
ci dicono che lo spaccio di cocaina nel Nordest è in mano agli albanesi, il
teorema è scontato. «Dobbiamo considerare che i muratori non sono più pagati a
ore, ma a cottimo, cioè a lavoro eseguito - continua Migliorati -. Per cui più
lavori, più contratti fai sottoscrivere e più guadagni. Insomma, possiamo dire
che i muratori hanno imparato dai manager». La ricerca che naturalmente ha coinvolto anche la provincia
di Brescia ha evidenziato come l’uso della cocaina sia sviluppato soprattutto
in due tipologie di consumatori: i giovani dai 14 ai 20 anni che la usano per
«divertirsi», soprattutto nel fine settimane e persone fra 35 ai 45 anni,
soprattutto della classe medio-alta e intellettuali, come medici, giornalisti,
avvocati, manager, che invece si «fanno» per aumentare la loro capacità
produttiva. A questo la ricerca aggiunge un aspetto preoccupante:
l’aumento del numero di soggetti che passano dalla cocaina all’eroina. Si
tratta del cosiddetto «speedball», cioè all’utilizzo di una piccola dose di
eroina come calmante dopo un’assunzione prolungata e pesante di cocaina. Accade
soprattutto nella fascia dei giovani, che si «strafanno» durante il weekend e
quindi alla domenica notte per calmarsi e riuscire a tornare «normali» il
giorno dopo, assumono questa piccola dose di eroina. Una dose che - confermano
i verbali delle inchieste sullo spaccio - viene «regalata» dal pusher con
l’acquisto della cocaina per il fine settimana. Ma questo spesso porta alla
dipendenza dall’eroina. Tornando ai muratori, c’è un altro aspetto grave e
preoccupante su cui ministero della Salute e degli Interni progettano già di
indagare: quello dell’aumento degli incidenti, soprattutto mortali, in
edilizia. L’analisi dei referti degli istituto di medicina legale confermano
che esiste una pesante correlazione tra incidenti stradali mortali e uso di
sostanze stupefacenti, con l’alcol in questo caso al primo posto. «Sarebbe utile in chiave preventiva - conclude Migliorati -
che anche sui morti in edilizia venissero fatte dai medici legali le stesse
analisi per capire se questi erano sotto l’effetto della droga o magari
dell’alcol e dello stupefacente assieme». Cioè del nuovo mix esaltante, il
«cocaetilene». n.s. IL TRENTINO Incidenti, costi spaventosi: 350
milioni
E’ Trentino il triste primato della mortalità sulle strade
Nel 2005 i morti furono 105, l’abuso dell’alcol e la velocità tra le cause
principali di queste tragedie ANDREA SELVA TRENTO. Venti vittim
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