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Rassegna stampa Alcol e guida del 13 aprile 2007

A cura di Alesandro Sbarbada e Roberto Argenta

Gentile onorevole dipendente Poretti,

ho letto su "La Stampa" di oggi la sua critica alla proposta del Ministro Ferrero di regolamentazione della pubblicità delle bevande alcoliche (http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/cronache/200704articoli/20421girata.asp, ): "secondo Donatella Poretti della Rosa nel Pugno, l’idea di Ferrero non è che un «nuovo e assurdo divieto che nulla farà per una concreta soluzione del problema".

Mi occupo di alcol e problemi alcolcorrelati da circa 18 anni, e so bene come la proposta del Ministro Ferrero, tanto ricca di buon senso, farà la fine delle tante altre affossate in questi anni: affossate dagli imponenti interessi economici di qualcuno, e anche dall’ignoranza ed insensibilità su questo problema di qualcun altro.

Ricordo alcune delle notizie passate sulla stampa in questi ultimi anni:

«Verrà revocata a vita la patente a chi uccide guidando ubriaco»,

«Verrà sospesa la somministrazione di bevande alcoliche nei locali notturni a partire dalle ore 2»,

«Verranno vietate la vendita e la somministrazione di bevande alcoliche nelle aree di servizio autostradali»,

«Verrà vietata la pubblicità delle bevande alcoliche», «Verranno vietate la vendita e la somministrazione di bevande alcoliche ai minori di 18 anni»,

«Verranno inserite sulle etichette delle bottiglie di vino, birra e alcolici avvertenze sui rischi legati al consumo».

Ogni volta che è uscita una di queste proposte di legge, si sono attivate le lobby dell’alcol. E i nostri parlamentari hanno prontamente fatto marcia indietro: nessuna di queste norme, che pure godrebbero ampiamente del consenso dell’opinione pubblica, è stata approvata.

Tanta propaganda, tanti proclami sui giornali, e poi nulla.

In Francia, con la "Loi Evin" del 1991 (http://www.legifrance.gouv.fr/WAspad/UnTexteDeJorf?numjo=SPSX9000097L), i divieti sono chiari: nessuna pubblicità rivolta ai giovani, divieto totale nelle tv e nei cinema, nessuna sponsorizzazione di eventi sportivi o culturali, come partite e concerti.

La pubblicità è ammessa soltanto nelle pubblicazioni per adulti e in radio, e deve riferirsi soltanto alle qualità del prodotto, non può essere seduttiva nè avere testimonial.

Proibizionismo? Niente affatto. I francesi continuano a bere e ad amare il loro vino. Lo stato, preoccupato di tutelare la salute dei cittadini, a fronte della vastità delle sofferenze alcolcorrelate regolamenta la promozione pubblicitaria delle bevande alcoliche. Il che non ha niente a che fare con la sacrosanta libertà di ciascuno di bere quello che gli va.

In Italia no, appena qualcuno ci prova, subito si muovono le lobbies (http://guide.dada.net/educazione_alimentare_/interventi/2007/04/292079.shtml,) e le onorevoli Poretti. Intanto che l’alcol ammazza un italiano ogni 15 minuti, noi seguitiamo a promuovere l’alcol come simbolo di festa e di successo.

Alessandro Sbarbada


COMUNICATO STAMPA del 12 aprile 2007

Città del Vino scrive a Ferrero e chiede consultazione preventiva con il settore prima della riforma.

Città del Vino chiede un incontro urgente con il ministro della Solidarietà Sociale, Paolo Ferrero, per sollecitare una consultazione con i rappresentanti pubblici e privati del settore vitivinicolo prima dell’annunciata riforma sulle limitazioni pubblicitarie degli alcolici. (*)

Va bene proibire la pubblicità per limitare gli eccessi di consumo tra i giovani, sottolinea l’Associazione Nazionale, ma il vino va tenuto fuori da questa campagna proibizionista, che rischia di trasformarsi in un’azione che danneggia le imprese e il territorio.

Com’è possibile mettere sullo stesso piano il vino, un prodotto che se consumato moderatamente può far bene alla salute, e che è espressione di un territorio d’origine, con le altre bevande alcoliche e superalcoliche? Com’è possibile metterlo sullo stesso piano delle droghe, con un paragone improponibile e inaccettabile con la cannabis?

Limitare la pubblicità sul vino non risolve il problema della prevenzione, fa notare Città del Vino, perché parliamo di un prodotto che non viene bevuto in discoteca e che non è associato dai giovani all’idea di sballo.

Fa parte invece del bere mediterraneo, della cultura alimentare e della dieta quotidiana di milioni di italiani, anche perché, come dicono da anni molti studi scientifici, un consumo moderato e consapevole può solo far bene - e non male - alla salute.

“Siamo d’accordo con il Ministro quando intende limitare la pubblicità di alcolici, superalcolici e bevande senz’anima e territorio, ma il vino deve assolutamente rimanere fuori da questa campagna proibizionista e dannosa per centinaia di territori e di imprese che fanno qualità e prodotti sani, sicuri e certificati”, incalza Valentino Valentini, presidente delle Città del Vino, firmatario della lettera con cui l’Associazione invita Ferrero a una consultazione immediata con i rappresentanti di settore prima della riforma.

“Il problema dell’abuso - insiste Valentini - non si sconfigge con il proibizionismo ma con l’ educazione alimentare e l’informazione. Motivo per cui lanciamo al Ministro la disponibilità dei Comuni Città del Vino a mettere in pratica il progetto del guidatore designato, su cui la nostra Associazione già due anni fa ha realizzato una sperimentazione all’uscita di dieci discoteche italiane”.

(*) Nota: la potente lobby dei produttori di vino è sempre molto tempestiva (ed efficace) nei suoi interventi. Staremo a vedere se anche questa volta riuscirà a bloccare la proposta di legge, o, come forse più probabile a snaturarla nei suoi contenuti.

Anche in questo caso sarebbe utile che al ministro Ferrero non giungessero solamente voci, sia pure interessate, di dissenso.


LA STAMPA

No pubblicità no party, addio agli spot sugli alcolici

Alcol, 25mila decessi l’anno: giovani a rischio Sulle bottiglie comparirà la scritta "Danneggia la salute"

FLAVIA AMABILE

ROMA

«Danneggia la salute», «provoca 25 mila morti l’anno». Dietro l’elegante etichetta di un pregiato Barolo d’annata potrete trovare anche questo avvertimento dal tono minaccioso. La proposta è del ministro per la Solidarietà Sociale Paolo Ferrero che, a dispetto del suo curriculum di «rifondarolo» doc, dopo l’annuncio si è visto anche etichettare come proibizionista.

Il ministro sta preparando un disegno di legge per porre limiti precisi alla pubblicità sugli alcolici. Il provvedimento verrà presentato nelle prossime settimane in Consiglio dei ministri. Se approvato, riguarderà vino, birra, whisky, e qualsiasi altra bevanda con contenuto alcolico superiore a 1,2 gradi percentuali. E prevederà regole ben precise per la pubblicità in televisione, sui giornali destinati ai giovani, nei locali per teenager e anche sulle etichette come avviene per i pacchetti di sigarette.

La pubblicità - ha spiegato il ministro - deve diventare «meramente informativa, spiegando al consumatore le caratteristiche del prodotto e nulla più». La nuova battaglia di Ferrero è contro «le pubblicità che rappresentano il consumo di alcol come un mezzo per ottenere successo. Occorre rompere questo legame presente nell’immaginario giovanile ed estremamente dannoso per la salute dei ragazzi». La strada da seguire - prosegue il ministro è «la prevenzione», non è il proibizionismo «che non è servito per altri prodotti o sostanze illegali». Ferrero non si nasconde le difficoltà di una simile proposta lanciata nel Paese del vino. Il ddl «farà sicuramente discutere, ma speriamo che alla discussione faccia seguito un ampio dibattito in tutto il Paese». Infine, Ferrero lancia una stoccata al centrodestra che «ha accomunato tutte le sostanze stupefacenti», ma «non è mai stato accertato che qualcuno sia morto per cannabis, mentre l’alcol provoca 25 mila morti l’anno». Il ministro incassa il via libera dall’Istituto Superiore di Sanità. «L’autoregolamentazione non funziona, ha fallito il suo obiettivo. Ben venga, dunque, il ddl del ministro Ferrero», commenta Emanuele Scafato, direttore del centro Oms per la ricerca sull’alcol e dell’Osservatorio nazionale alcol dell’Istituto superiore di sanità.

Ma piovono soprattutto critiche. Si ribellano produttori ed enti locali. «Va bene proibire la pubblicità per limitare gli eccessi di consumo di alcolici tra i giovani, ma il vino va tenuto fuori da questa campagna proibizionista, che rischia di trasformarsi in un’azione che danneggia le imprese e il territorio», afferma l’associazione delle Città del Vino. La Coldiretti invita a non generalizzare: «Occorre distinguere l’abuso di alcol dal consumo ragionato di vino che in quantità moderate va sostenuto».

Le perplessità non mancano anche nel centrosinistra. Per Silvana Mura, dell’Italia dei Valori «per i minorenni si deve fare molto di più», ovvero il divieto di vendita e somministrazione di alcolici. E, secondo Donatella Poretti della Rosa nel Pugno, l’idea di Ferrero non è che un «nuovo e assurdo divieto che nulla farà per una concreta soluzione del problema». Il centrodestra non ci sta. Per Isabella Bertolini di Fi si tratta di «semplici palliativi». Riccardo Pedrizzi di An: «Ferrero non ha capito che a dover essere contrastato, non è l’uso di alcool ma l’abuso. E invece, per quanto riguarda la droga, a fare male è il semplice uso». Bocciatura piena anche dall’associazione consumatori Aduc. «Inutile e dannosa» è il giudizio sulla proposta. Persino gli Alcolisti Anonimi reagiscono con «realistico pessimismo». Maurizio M., presidente dell’associazione, sarebbe anche d’accordo con la proposta, ma ricorda che «provvedimenti così non sono mai passati» e «non passeranno mai».


CORRIERE DELLA SERA – SPORTELLO CANCRO

13 aprile 2007
Pubblicate sulla rivista Lancet le valutazioni di 26 ricercatori di 15 Paesi

Alcol, rischio-tumore anche per seno e colon

Dopo fegato, cavo orale, laringe ed esofago, la lista delle neoplasie legate a un consumo eccessivo di bevande alcoliche si allunga. 

MILANO – Si fa sempre più indigesto il «bicchierino di troppo» che, pur allegramente sottovalutato dai più, rappresenta un rischio invece piuttosto serio per la salute e aumenta l’esposizione a malanni di diversa natura, cancro compreso. Le conferme scientifiche giungono da più parti, in questo mese d’aprile dedicato alla prevenzione delle patologie legate all’alcol, e si è ampliata la rosa dei tipi di tumore che gli esperti definiscono correlati al consumo di alcol: oltre alle neoplasie già note, infatti, come i carcinomi di fegato, cavo orale, faringe, laringe ed esofago, si aggiungono due tra i tumori più diffusi, il carcinoma della mammella e quello del colon-retto.

Finora, sulle responsabilità dell’alcol per queste neoplasie c’erano forti sospetti, ma 26 scienziati europei provenienti da 15 nazioni diverse hanno rivisto decine di studi epidemiologici e hanno concluso che il rischio c’è, ed è maggiore del previsto, dato che un consumo regolare giornaliero di 50 grammi di etanolo, paragonabile a 4-5 bicchieri di vino, si associa ad un rischio aumentato di 1,5 volte per il seno (ma si rilevano differenze anche con consumi molto più modesti, pari a 18 grammi) e di 1,4 volte per il colon e il retto. Più pesante l’impatto sui tumori di bocca, faringe e laringe, per i quali l’esposizione aumenta di 2-3 volte e per i carcinomi epatici, che secondo i ricercatori hanno un legame con il consumo di alcolici «evidente ma difficile da quantificare», a causa della presenza di patologie come la cirrosi, che spesso precedono la diagnosi di tumore e che inducono comunque a bere in maniera più moderata.

I dati sono contenuti in un ampio lavoro di rivalutazione degli effetti cancerogeni delle bevande alcoliche condotto dalla IARC, l’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro di Lione, in Francia, e sono stati pubblicati sulla rivista Lancet. Gli esperti incaricati della revisione hanno esaminato i possibili legami tra il consumo di alcol e l’insorgenza di tumori in 27 diverse sedi anatomiche. Per altre forme di cancro, diverse da quelle sopra citate, non ci sono certezze, mentre i risultati dell’indagine suggeriscono una «assenza di effetti cancerogeni» delle bevande alcoliche sugli adenocarcinomi del rene e sui linfomi non Hodgkin. Un caso a sé, poi, è quello dei tumori dell’esofago, che risultano connessi ad una particolare alterazione genetica, diffusa soprattutto in Estremo Oriente, che inibisce l’attività delle alcol deidrogenasi, enzimi necessari al metabolismo e allo «smaltimento» dell’etanolo.

Dal momento che tutti i collegamenti alcol-tumori sono stati calcolati senza fare distinzioni sul tipo di bevanda, ma considerando soltanto la quantità di etanolo ingerita, non si può stilare una classifica dei drink buoni o cattivi, e il messaggio-chiave è dunque la moderazione. «Le prove scientifiche che legano le bevande alcoliche a un incremento del rischio di tumore continuano ad aumentare, così come il contributo dell’alcol al peso globale del cancro - ha commentato Peter Boyle, direttore della IARC. - L’evidente associazione tra un rischio più alto di tumore della mammella e un consumo anche modesto di alcol è preoccupante, soprattutto se si pensa che in molti Paesi le donne stanno cambiando abitudini e bevono di più». (*)

L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha stimato che nel 2002 circa un miliardo e 900 mila persone nel mondo abbiano bevuto almeno 13 grammi di etanolo al giorno. Negli ultimi decenni si è registrato un boom dei consumi in Cina e nelle regioni limitrofe, mentre i maggiori bevitori restano gli europei dell’est e i russi. Secondo l’ultimo rapporto della Commissione europea, il costo sociale e sanitario provocato dall’alcol è stimabile in 650 euro l’anno per ogni famiglia, per un totale di 125 miliardi di euro; in vite umane il prezzo per i Paesi europei è altissimo, con 115.000 decessi, di cui 50.000 per tumori correlabili all’alcol.

Donatella Barus

(*) Nota: il rapporto tra consumo di alcolici e cancro al seno è particolarmente importante soprattutto perché il rischio di tumore al seno è uno dei più alti per la salute delle donne, quindi anche un lieve incremento è preoccupante. In fondo alla rassegna riportiamo un articolo di 50 anni fa che parla del rapporto tra fumo e cancro. La conoscenza del rapporto cancro-alcol sta seguendo esattamente lo stesso percorso della conoscenza della relazione tra tabacco e cancro, con qualche decennio di ritardo. In futuro gli alcolici avranno nel pensiero comune la stessa considerazione delle sigarette. Qualcuno berrà ugualmente, ma almeno non lo farà perché qualcun altro gli ha detto che bere poco fa bene.


IL GAZZETTINO (Udine)

ASS 4 - ALCOLOGIA 

«Nell’ultimo triennio 10 minori in cura da noi»

Quando Alberto Peressini ha iniziato a lavorare come medico al servizio di alcologia del Dipartimento dipendenze dell’Azienda sanitaria 4, «vedere arrivare da noi una persona sotto i trent’anni era una cosa rarissima. Adesso, non solo si rivolgono al servizio di alcologia molti under-30, ma arriva anche qualche minorenne. Fortunatamente sono pochi: negli ultimi tre anni, si sono rivolti a noi una decina di ragazzi dai 14 ai 18 anni, che di solito hanno avuto un coma etilico anche più di una volta e che, spesso, associano all’alcol anche qualche stupefacente. Una volta non accadeva mai che venissero dei minori». Un segnale che dà da pensare parecchio al medico.

Secondo Peressini nell’abuso di vino, birre e cocktail fra gli adolescenti, «l’alcolismo non c’entra nulla: siamo di fronte a una situazione di disagio giovanile che si esprime con l’uso di alcolici. Utilizzano l’alcol perché è la cosa più facile che trovano in circolazione per sballare. Il dato più preoccupante è culturale: com’è possibile che i minorenni, che non potrebbero per legge acquistare alcolici, riescano con tanta facilità a consumarne? E come mai hanno tanto bisogno di sballare con vodka, gin e cocktail? Questo dovremmo chiederci. Perché è vero che le sbronze fra ragazzi forse sono sempre esistite, ma è anche vero che oggi il fenomeno è molto più diffuso e che la fascia d’età del primo bicchiere di alcolico si è molto abbassata». I dati parlano chiaro: in una regione come la nostra, che conta 272 ospedalizzazioni ogni 100mila abitanti (contro le 167 della media italiana) quasi il 30% degli adolescenti non ritiene sbagliato ubriacarsi almeno una volta. A bere cominciano presto, «già negli anni delle medie» e, ricorda Peressini, «sul fisico di un adolescente in crescita l’alcol è ancora più tossico che su un adulto». Il coma etilico è l’ultimo stadio dell’ubriacatura: «un’intossicazione acuta da alcol, che provoca la perdita di coscienza: è molto rischiosa».Dietro l’abbassamento dell’età della "prima volta" con il tajut in mano anche la politica di alcune aziende produttrici, «che hanno lanciato i cosiddetti "alcolpops": bevande alcoliche, ma molto gradevoli, dal gusto dolce e fruttato, rivolte specificatamente ad un target giovanile. Non dico che tutto il fenomeno dell’abuso di alcolici fra minori dipenda da questo, ma, certo, ha avuto il suo peso».

Cdm


IL MATTINO

L’ALLARME DEL GRUPPO LOGOS 

Bambini iniziati all’alcol già a dieci anni

PAOLO ROMANO A Salerno e in provincia l’iniziazione dei bambini all’alcol avviene intorno ai 10-11 anni, con un’età prematura molto al di sotto della media europea che è di 14 anni e mezzo. È quanto emerge dalla elaborazione di dati tratti da questionari anonimi somministrati nelle scuole del salernitano del gruppo Logos che oggi presenterà un dossier completo su "Bambini e alcol: conoscere e prevenire" durante l’omonimo seminario in programma presso la sede del gruppo in via Pironti, alle ore 16.00. «Il dato è quanto mai allarmante - spiega Nello Baselice responsabile della onlus che da anni si batte contro le maggiori dipendenze, in primis quelle da alcol - Quando parliamo di iniziazione non diciamo, attenzione, che ci troviamo automaticamente dinanzi a dei baby-alcolisti, ma avvicinarsi al consumo di alcol e farne un uso sporadico in un’età così precoce aumenta le probabilità di abuso». I dati a campione nazionale confermano l’abbassamento dell’età pericolosa, per un target di popolazione estremamente legato al consumo di bevande alcoliche. In base al decimo rapporto dell’Osservatorio Adolescenti della Società Italiana di Pediatria che ha effettuato uno studio su un campione di 1251 ragazzi tra i 12 e i 14 anni risulta che: «Nel 2005 i ragazzi che bevevano vino erano il 46%, percentuale che nel 2006 sale al 47%. L’uso di birra nel 2005 è del 48,3%, nel 2006 si passa al 53%. In aumento anche l’uso di liquori: dal 22,5% al 23,3%». Baselice parte proprio dai superalcolici per fare una considerazione che punta il dito su una cultura troppo rassicurante: «Vino e birra non sono ritenute bevande pericolose. Si pensa che possano esserlo solo i superalcolici: nulla di più sbagliato. Le ubriacature da vino e birra sono frequenti e nei giovani si associano ad altri comportamenti a rischio, come guida di autovetture, spinelli, droghe, etc». Anche i dati diffusi dall’Istituto Superiore di Sanità evidenziano come già in età pediatrica si sviluppino ricoveri in ospedale di bambini intossicati da bevande alcoliche. L’incontro odierno, rivolto a docenti, educatori, insegnanti e genitori, si inserisce nell’ambito di un più ampio programma promosso dal gruppo Logos per il mese della prevenzione alcologica: «L’iniziazione al bere promossa nella famiglia, dalle pressioni sociali e mediatiche sono fattori che legittimano la promozione della salute già a partire dalla scuola primaria». 


IL MATTINO

Alcol e ragazzi, la strage in un bicchiere

VALENTINA ARCOVIO Ogni anno in Italia muoiono circa 25mila persone per motivi correlati all’alcol, di cui 17mila uomini e 7mila donne. Ma il dato più allarmante è l’aumento del binge drinking, ovvero del bere per ubriacarsi, una moda sempre più diffusa tra gli adolescenti. Questo è il quadro drammatico presentato ieri a Roma durante il workshop organizzato dall’Istituto superiore della sanità (Iss), che ha aperto il mese della prevenzione alcologica. Nonostante l’Italia sia tra gli ultimi paesi europei per il consumo di alcol, il numero degli adolescenti che spesso alza il gomito è in forte crescita. «Dalle ultime ricerche - spiega Emanuele Scafato, direttore dell’Osservatorio nazionale alcol dell’Istituto - emerge che il 74 per cento dei giovani, e nello specifico il 67% dei giovani dai 13 ai 15 anni, beve il sabato sera. Di questi, il 20% si ubriaca». L’alcol è la terza causa di morte prematura e di malattia nell’Unione Europea. Ed è la prima causa di morte per i giovani maschi di età compresa tra i 15 e i 29 anni. Il numero complessivo dei decessi registrati nei paesi dell’Unione Europea è pari a 115mila e i costi sanitari complessivi ammontano a 125 miliardi di euro, pari all’1,3% del Pil europeo. Le principali cause di morte alcol-correlate sono la cirrosi epatica e gli incidenti. Si stima, infatti, che il 47,7% dei decessi per cirrosi epatica tra gli uomini e il 40,7% tra le donne è attribuibile all’alcol. Stessa cosa per quasi il 27% e l’11,4% delle morti causate da incidenti. Gli italiani sono da sempre grandi estimatori del buon vino, ma quello che sembra essere cambiato è proprio lo stile del bere. Secondo le statistiche, infatti, gli italiani sembrano aver abbandonato lo «stile mediterraneo», cioè un consumo moderato di vino durante i pasti (1-2 bicchieri per la donna, 2-3 bicchieri per l’uomo), a favore di un consumo più frequente e lontano dai pasti. «Non bisogna - ha detto il ministro per la solidarietà sociale Paolo Ferrero - demonizzare la sostanza, ma la pericolosità dell’abuso. La politica non ha il potere di eliminare il problema, piuttosto può limitarlo. Due sono gli elementi su cui lavorare: l’informazione e la pubblicità. È inutile pensare al divieto assoluto perché il proibizionismo non ha mai dato risultati soddisfacenti». Il ministro ha annunciato l’intenzione di presentare al Consiglio dei ministri, nelle prossime settimane, una nuova proposta di legge per limitare la pubblicità degli alcolici in televisione e nelle riviste rivolte ai ragazzi. «La pubblicità è il veicolo principale della costruzione, sbagliata e pericolosa, di un modello di consumo che associa il successo della persona all’uso di sostanze alcoliche. Bisogna rompere il legame che esiste nell’immaginario giovanile tra uso di sostanze e capacità di costruire relazioni significative e di successo nel gruppo sociale. L’idea è di riportare la pubblicità degli alcolici al puro elemento informativo: un’etichetta più moderata rispetto a quella sui pacchetti di sigarette», ha concluso Ferrero.


IL MATTINO

Un opuscolo contro i luoghi comuni

Nella campagna per la prevenzione alcologica c’è anche un opuscolo per smentire i luoghi comuni. Come quello che bere fa buon sangue: l’alcol, invece, può causare anemie e un aumento di grassi nel sangue. E non favorisce la digestione ma la rallenta e la altera. Ancora, bere alcolici come il vino e la birra, o superalcolici non fa una grande differenza. In un bicchiere di vino da 150 ml o in un boccale di birra da 330 ml, infatti, c’è la stessa concentrazione di alcol di un bicchierino di whisky da 40 ml. Per risultare positivi alla prova del palloncino basta un drink, un solo bicchiere e il tasso di alcolemia sale a 0,5 gradi per litro, il limite massimo consentito.


IL MATTINO

Il direttore del Centro di prevenzione: pericolosi anche i consumi degli anziani

Per Donato Greco, direttore del Centro per la prevenzione e il controllo delle malattie (CCM), l’alcol è un problema grave e non va sottovalutato anche se le statistiche dicono che l’Italia è uno dei paesi dell’Ue con il più basso consumo». Quali i rischi collegati al consumo di alcolici? «L’alcol contribuisce all’insorgenza di un notevole numero di patologie oltre la cirrosi epatica. Il 30% per cento dei tumori del seno, per esempio, sono causati dall’alcol. Per non parlare di tutte quelle patologie croniche che costano davvero tanto al nostro sistema sanitario». Quali sono i soggetti a rischio? «Generalmente si pensa ai giovani e al rischio che corrono con i troppi drink superalcolici. Ma non è il whisky il vero problema. Lo è invece il vino, bevanda sacra e intoccabile, e i bicchierini di troppo consumati dagli anziani v. a.


IL GIORNALE DI VICENZA

ABUSO. Il ministro Ferrero annuncia un disegno di legge per limitare la pubblicità degli alcolici

Sempre più baby-bevitori

A 11 anni si comincia già ad alzare il gomito

Roma. Sono sempre di più i ragazzi tra gli 11 e i 15 anni che bevono abitualmente, e il 20 % dei giovani si ubriaca il sabato sera. Questi alcuni dei dati diffusi da Istat e Istituto Superiore di Sanità in occasione dell’ «Alcol prevention day 2007». Dallo studio emerge la fine del «modello mediterraneo», in cui si beve ai pasti, a favore di comportamenti disordinati. Per contrastarli, il ministro della Solidarietà Sociale Paolo Ferrero sta per presentare un disegno di legge che limita la pubblicità degli alcolici.

Secondo i dati Istat, quasi un ragazzo su cinque (il 18,6%) tra gli 11 e i 15 anni consuma già abitualmente alcolici. Il 19% dei giovani in generale si ubriaca (cioè beve più di 6 bicchieri in un’unica occasione) nel fine settimana, mentre il 28% beve da 3 a 5 bicchieri e il 36% uno o due bicchieri, Tra i minori di 17 anni la birra è l’alcolico più diffuso (19,1%), ma crescono i superalcolici (15,7%), con in testa gli aperitivi. Aperitivi che sono di gran lunga la bevanda più diffusa tra i 18 e i 24 anni (48,8%). Il fenomeno del binge drinking (cioè del bere finalizzato all’ubriacarsi) è più diffuso nel nord-est (il 9,8% della popolazione lo fa più di 12 volte l’anno) che al sud (il 7%).

«Il dato più preoccupante riguarda i giovanissimi - commenta Emanuele Scafato, direttore dell’Osservatorio nazionale Alcol dell’Iss - anche perchè sotto i 15 anni l’organismo non è in grado di metabolizzare l’alcol, per cui i suoi effetti tossici sull’organismo sono amplificati. Inoltre si stanno diffondendo dei modi di bere completamente diversi da quello mediterraneo e molto pericolosi. È necessaria una contro-pubblicità per evitare che l’alcol venga associato ad un’immagine positiva».

Per quanto riguarda la mortalità, secondo l’Oms sono 25mila (17mila uomini e 7mila donne) i decessi causati dall’alcol. Circa il 10% di tutti i decessi del nostro Paese in un anno sono attribuibili al bere. Cirrosi epatica e incidenti stradali sono le due principali cause di morte.

«C’è una sottovalutazione dei problemi legati all’alcol - ha detto, commentando i dati, il ministro della Solidarietà Sociale Paolo Ferrero - è necessario rompere il luogo comune che lega il consumo e la capacità di costruire relazioni. Per questo abbiamo pensato a un disegno di legge che limiti la pubblicità degli alcolici». Obiettivo del ddl, ha spiegato Ferrero «è vietare la pubblicità degli alcolici che fa riferimento al legame tra uso di sostanze alcoliche e successo della persona». È invece consentito dare in tivù informazioni sull’esistenza di un prodotto alcolico e sulle sue caratteristiche. «L’idea - ha aggiunto il ministro - è riportare la pubblicità degli alcolici al puro elemento informativo». I limiti alla pubblicità riguardano le bevande con contenuto di alcol superiore a 1,2 gradi, e il provvedimento prevederà anche la presenza di scritte sulle etichette che informino sui rischi dell’abuso di alcol.


IL GAZZETTINO (Padova)

DONNE E ALCOL

Oggi la conferenza veneta

Si apre oggi al Centro Papa Luciani, con l’intervento dell’assessore regionale alle Politiche sociali Stefano Valdegamberi, la quarta conferenza regionale sull’alcol "Meno alcol più vita" sul tema "Donna e alcol". L’iniziativa è realizzata in collaborazione con l’Arcat Veneto, gli Alcolisti Anonimi e i gruppi familiari, il Covest e i Dipartimenti per le Dipendenze delle Aziende ULSS. «I lavori di questa quarta conferenza regionale che fa il punto sulla situazione delle alcoldipendenze nel Veneto - spiega l’assessore veneto - riguarda quest’anno il rapporto tra alcol e popolazione femminile, aspetto che per alcuni versi ci preoccupa. Esso fa seguito al tema dei giovani, affrontato nella seconda conferenza tenutasi nel 2005, e a quello degli anziani svoltosi l’anno scorso durante la terza conferenza regionale. Nei prossimi anni, al centro della riflessione degli operatori saranno i temi della comunità, dei nuovi cittadini immigrati, e altro» .


SESTOPOTERE

IL 20% DEI GIOVANI SI UBRIACA NEL WEEKEND CODACONS CHIEDE GIRO DI VITE

Roma - 13 aprile 2007- I dati illustrati dall’ Istituto Superiore di Sanità e relativi al consumo di alcol tra i giovani sono per il Codacons allarmanti e impongono provvedimenti immediati da parte delle istituzioni, anche per limitare il numero di decessi legati direttamente o indirettamente all’alcol.

“La prima misura da attuare è l’innalzamento da 16 a 18 anni dell’età minima per la vendita di alcolici – afferma Carlo Rienzi, Presidente Codacons – associata a controlli serrati su tutto il territorio e sanzioni severe contro i trasgressori. Per tutelare i giovani dai rischi dell’alcol è indispensabile poi un giro di vite contro le cosiddette bevande “alcopop”, ossia bevande con gradazione alcolica compresa tra 5 e 6 gradi travestite da innocui succhi di frutta, dirette a colpire proprio i più giovani e a creare assuefazione. Infine – conclude Rienzi – chiediamo di vietare anche in Italia la pubblicità dei prodotti alcolici, così come avviene in altri paesi; pubblicità immorale che spesso enfatizza improbabili effetti positivi dell’alcol”.


REDATTORE SOCIALE

ALCOLISMO

Boom dei consumi tra adolescenti e giovani donne. Il motivo? Socializzare

13/04/2007

In Veneto tra il 1998 e il 2006 i maggiori incrementi nel consumo di bevande alcoliche sono stati registrati tra le adolescenti (+33%) e tra le giovani di 18-24 anni (+19,5%)

 PADOVA - Dimentichiamoci lo stereotipo della casalinga che beve da sola a casa. Adesso le donne bevono, come gli uomini, per socializzare. In una regione come il Veneto, dove lo spritz più che un’abitudine è un rito, anche la popolazione femminile ha iniziato a bere, troppo, per stare in compagnia. Basta poi fare un salto nelle grandi piazze delle principali città per vedere come siano soprattutto i/le giovani, adolescenti, a perpetrare questa tradizione (senza fare caso a una specifica legge che vieta la vendita di alcolici ai minori di 16 anni).

Questo quadro emerge dal nuovo report – con dati relativi al 2005 – che analizza le alcoldipendenze in Veneto (a cura degli esperti del Cnr in dotazione alla Regione Veneto), con particolare attenzione al rapporto tra donne e abuso di alcolici. Un problema, questo, che emerge sempre con maggiore forza e che si pone in controtendenza con la statistica generale, secondo la quale l’abuso di alcol è in diminuzione. La ricerca è stata presentata questa mattina a Padova durante la prima giornata di lavori della Quarta Conferenza regionale sull’alcol.

Le conclusioni cui arriva il report nascono dall’analisi dei numeri, molti numeri, che aiutano a focalizzare e inquadrare il fenomeno. Eccoli, questi dati: tre milioni sono i veneti di oltre 14 anni (il 79% della popolazione) che consumano alcol, contro un dato nazionale che parla di un 72%. Le donne più o meno assidue bevitrici sono oltre il 68% (contro il 61% delle italiane). Particolarmente sensibile è la fascia dai 18 ai 24 anni (77,1%) e quella delle giovani adulte di 25-44 anni (70,3%). Poco meno della metà delle adolescenti che vivono nella regione (il 47,2%) ha già consumato tra i 14 e i 17 anni bevande alcoliche e di queste il 40,3% (stimato in 28.400 ragazze) è rappresentato da minori di età inferiore all’età legale per la somministrazione degli alcolici. Vengono iniziate dal vino, ma poi prediligono altro e il primo bicchiere viene bevuto a 11-12 anni per poi passare a gradazioni alcoliche maggiori da sperimentare tra i 14 e i 15 anni, mentre le prime ubriacature avvengono tra i 15 e i 16 anni.

Come detto, il Veneto è la patria dell’aperitivo: ecco come si spiega il maggior incremento nel consumo di alcolici tra le adolescenti (+33%) e tra le giovani di 18-24 anni (+19,5%), in larga parte dovuto all’incremento di consumi di aperitivi alcolici (circa +20%) e di alcolici fuori dei pasti (circa +22%). Diffusa è, infine, la tendenza a ber fuori dai pasti non solo tra i meno giovani ma anche tra le nuove generazioni: cresce di 13 punti la percentuale di chi beve lontano dalla tavola e con maggior forza aumenta questa abitudine tra gli adolescenti (dal 12,7% del 1998 al 28,3% del 2003), condivisa da circa 38.300 giovani.

Insieme agli aperitivi è la birra l’alcolico più gettonato, mentre le donne invecchiando le affiancano il vino, salvo poi dedicarsi nell’età adulta solo a quest’ultimo. Terra del buon vino, in Veneto circa 209.000 soggetti ne consumano oltre ½ litro al giorno, ma è una tendenza perlopiù degli uomini, anziani e pensionati.

Nell’opera di sostegno agli alcoldipendenti i Ser.T. (servizi per le dipendenze) delle Ulss svolgono un ruolo di primissimo piano. Gli utenti nel 2005 sono stati 11.721, con un’età media di circa 46 anni. Le donne sono state circa il 22% (2.593 donne) con un’età media di poco inferiore ai 48 anni (contro i 45,3 anni degli uomini). (gig)


FORUM DROGHE - www.fuoriluogo.it,

Droghe, ciò che la ricerca non dice

13 aprile 2007

La Direzione Centrale Antidroga del Viminale e l’Istituto Superiore di Sanità sull’alcool hanno pubblicato i loro dati sui rispettivi fenomeni. Studi che però non dicono niente di nuovo perchè non illuminano sugli stili di consumo, che al contrario resta importante conoscere per prevenire e agire

Giungono in contemporanea i dati della Direzione Centrale Antidroga del Viminale su sequestri di sostanze illegali e denunce per reati di droga, e quelli dell’Istituto Superiore di Sanità sull’alcool.

E riparte il grido di allarme attorno ai consumi giovanili. Una non notizia, in realtà. Che il consumo di sostanze tra i giovani sia un fenomeno di massa lo sappiamo da tempo immemorabile, che la cocaina (o meglio le cocaine, dato che il mercato è illegale e dunque fuori controllo e circola di tutto, inclusa "cocaina" che di cocaina non ha mai visto nemmeno l’ombra), sia in fase di grande diffusione, anche.

E’ vero: molti giovani usano o sperimentano sostanze. Nella non notizia ciò che si può osservare è, intanto, che questi dati non sono molto utili. O almeno, che non sono ciò che ci serve davvero. Chi di noi lavora con i consumatori più giovani sa che dire "il 74% consuma alcool" oppure "il 35% consuma marijuana" può essere utile a chi si limita a fare campagne mediatiche - magari per invocare più repressione e "dissuasione morale" dentro la mai morta abitudine all’allarmismo sociale -, ma non lo è per nulla per chi con i giovani dialoga e lavora con lo scopo che diventino più consapevoli del proprio stile di vita e sappiano tenerlo sotto controllo. Cioè: ci serve sapere da quando, come, con chi, quanto e con che frequenza e dentro quale cultura e con quale scopo e aspettandosi cosa e sapendo cos’altro... insomma: quello che si chiama "lo stile del consumo".

In Italia si strilla sui dati statistici che dicono che la stragrande maggioranza dei giovani consuma qualcosa, legale o illegale, e potenzialmente rischioso, ma siamo in pochi a chiederci che tipo di consumo è. Perché non tutti gli stili sono uguali, mentre su tutti si può lavorare perché non producano danno e malattia e disagio. Ma bisogna saper distinguere. Tra coloro che usano cocaina ci sono quelli che la provano e poi basta, quelli che la usano insieme a altre tre droghe, quelli che la usano nel weekend, quelli che la usano compulsivamente, quelli che vanno in paranoia, quelli che si indebitano, quelli che... E anche per l’alcool: quel 74% che usa ogni sabato sera, guida sempre in stato di ebbrezza ed è pericoloso per sé e gli altri? Si ubriaca? Si controlla? È un consumatore abituale ma moderato? Oppure ama stordirsi?

I pochi dati che abbiamo a portata di mano ci dicono con chiarezza che molti giovani abbandonano spontaneamente il consumo di sostanze psicotrope dopo un tempo breve di sperimentazione o di uso saltuario, altri mantengono uno stile compatibile con la loro vita e i compiti sociali che spettano loro, altri no, ne consumano in modo crescente e si fanno del male.

A fare solo allarme indistinto si dà un messaggio duplice: a) i consumatori sono tutti uguali e le droghe sono tutte uguali, con ciò falsificando in modo insopportabile la realtà e b) il rischio è in realtà un pericolo, laddove la differenza sta nel fatto che il rischio si può contenere e controllare e il pericolo è, al contrario, una minaccia anonima su cui nulla possiamo. Conoscere i diversi stili di consumo vuol dire da un lato dare nome e cognome al fenomeno, sapendo che una parte del consumo è e rimane non problematico, e non è davvero necessario patologizzarlo per non dire criminalizzarlo; dall’altro lato imparare a lavorarci concretamente, al di fuori dell’allarme morale, attraverso interventi di informazione, consapevolezza, autoregolazione. (*) Questo è ciò che importa: una ricerca che serva a dirci come possiamo dialogare e rendere le persone abili a comprendere i propri comportamenti e i loro esiti. "Guardare dentro le cifre" e scoprire le differenze, e vedere che non c’è una minaccia incombente ma una serie di rischi reali e a volte anche importanti ma che sono tutti comportamenti umani con i quali lavorare è possibile, se viviamo in un contesto capace di assumersene la responsabilità e non solo di strillare. Tra l’altro, proprio di questo parleremo, come Forum Droghe, a Parma il 20 aprile, in un seminario intitolato proprio «Giovani, Sostanze, Tendenze. QUELLO CHE LA RICERCA NON CI DICE», organizzato per sapere e per capire, "dietro i numeri".

Susanna Ronconi

(*) Nota: è evidente che non tutti i consumi di alcolici sono riconducibili all’alcolismo e non tutti i consumi di droghe illegali rientrano nella tossicodipendenza. Ma proprio perché è utile parlare in termini di rischio, non si può non sottolineare la correlazione tra uso non problematico ed uso maggiormente rischioso. Questo vale indistintamente per tutte le droghe. Contenere i rischi è utile per quella fascia di popolazione che in ogni caso non rinuncia all’uso di sostanze. Occorre però anche lavorare per sostenere le persone che trovano piacevole la sobrietà.


LA STAMPA

L’ULTIMA PROPOSTA DEL TITOLARE DELLA SOLIDARIETA’ SOCIALE

Il ministro e la lotta all’alcol Limiti alle pubblicità e etichette da cambiare

Se avete smesso di fumare o evitato di accendere una sigaretta dopo aver dato un’occhiata al pacchetto e alla minacciosa scritta sui danni alla salute, probabilmente sarete d’accordo con l’ultima idea di Paolo Ferrero, ministro per la Solidarietà Sociale, di inondare di scritte analoghe le etichette di vini, birre e superalcolici. Gli altri, e erano la maggioranza dopo l’annuncio, sembravano piuttosto scettici. (*)

La proposta di Ferrero prevede anche limiti alle pubblicità in tv e sui giornali per ragazzi per evitare che l’alcol venga associato a modelli vincenti o di successo. Anche in questo caso le perplessità non mancano: i ragazzi leggono solo alcuni giornali? Non sfogliano settimanali o altre pubblicazioni con pubblicità di alcolici? E come la mettiamo con i messaggi che passano attraverso i film?

Lo stesso ministro ha ammesso che quando il disegno di legge verrà presentato ci saranno discussioni. Altri hanno ricordato che proposte simili sono già state presentate senza alcun successo. 

(*) Nota: sarebbe velleitario pensare che la limitazione della pubblicità risolva il problema dell’alcolismo. Ma questo non giustifica lo scetticismo di fronte alle (poche) iniziative per fronteggiarlo. È meglio essere ottimisti e avere torto piuttosto che pessimisti ed avere ragione (Albert Einstein).


BRESCIA OGGI

L’ESPERTO. Per resistere alla fatica i muratori consumano alcol e cocaina

«L’emergenza cocaetilene dilaga in disco e sui cantieri»

L’ultima frontiera dello sballo? Si chiama «cocaetilene», ed è in pratica il consumo di alcolici per prolungare l’effetto della cocaina. La pratica si sta diffondendo in discoteca ma soprattutto sui cantieri. I muratori utilizzano il cocktail per aumentare la resistenza alla fatica. Il doping «fai da te» sta diventando un’emergenza nel triangolo d’oro del mattone Bergamo-Brescia-Verona.

A confermarlo è l’Osservatorio lombardo sulle tossicodipendenze che ha recentemente presentato al ministero della Salute e a quello degli Interni una dettagliata relazione sul nuovo fenomeno. «Nuovo dal punto di vista del target di consumatori - osserva Andrea Migliorati, consulente dell’organismo ministeriale in virtù di un’esperienza ventennale maturata nei Sert bresciani e milanesi -. Le popolazioni andine hanno sempre usato le foglie di coca per affrontare la fatica e non sentire la fame. Che i manovali che nell’Ovest bresciano sono ormai per la maggior parte composti da squadre di albanesi, sniffino cocaina per lavorare di più non sorprende, anzi».

I segnali dell’evoluzione dell’uso «performante» della cocaina, come detto, sono contenuti nell’indagine biennale condotta a livello regionale - seguendo l’esperienza del Veneto -su un campione di oltre 10 mila persone segnalate alla prefettura come consumatori di droga. Un quinto del campione è bresciano. «Per usare un’immagine magari poco scientifica ma molto efficace - spiega Migliorati -, la cocaina in passato faceva capolino nei cassetti di manager e uomini di alta responsabilità, ora gira disinvoltamente fra i cottimisti che fanno della resistenza fisica la loro fonte di guadagno».

Se poi si consideriamo i dati delle forze dell’ordine, che ci dicono che lo spaccio di cocaina nel Nordest è in mano agli albanesi, il teorema è scontato.

«Dobbiamo considerare che i muratori non sono più pagati a ore, ma a cottimo, cioè a lavoro eseguito - continua Migliorati -. Per cui più lavori, più contratti fai sottoscrivere e più guadagni. Insomma, possiamo dire che i muratori hanno imparato dai manager».

La ricerca che naturalmente ha coinvolto anche la provincia di Brescia ha evidenziato come l’uso della cocaina sia sviluppato soprattutto in due tipologie di consumatori: i giovani dai 14 ai 20 anni che la usano per «divertirsi», soprattutto nel fine settimane e persone fra 35 ai 45 anni, soprattutto della classe medio-alta e intellettuali, come medici, giornalisti, avvocati, manager, che invece si «fanno» per aumentare la loro capacità produttiva.

A questo la ricerca aggiunge un aspetto preoccupante: l’aumento del numero di soggetti che passano dalla cocaina all’eroina. Si tratta del cosiddetto «speedball», cioè all’utilizzo di una piccola dose di eroina come calmante dopo un’assunzione prolungata e pesante di cocaina. Accade soprattutto nella fascia dei giovani, che si «strafanno» durante il weekend e quindi alla domenica notte per calmarsi e riuscire a tornare «normali» il giorno dopo, assumono questa piccola dose di eroina. Una dose che - confermano i verbali delle inchieste sullo spaccio - viene «regalata» dal pusher con l’acquisto della cocaina per il fine settimana. Ma questo spesso porta alla dipendenza dall’eroina.

Tornando ai muratori, c’è un altro aspetto grave e preoccupante su cui ministero della Salute e degli Interni progettano già di indagare: quello dell’aumento degli incidenti, soprattutto mortali, in edilizia. L’analisi dei referti degli istituto di medicina legale confermano che esiste una pesante correlazione tra incidenti stradali mortali e uso di sostanze stupefacenti, con l’alcol in questo caso al primo posto.

«Sarebbe utile in chiave preventiva - conclude Migliorati - che anche sui morti in edilizia venissero fatte dai medici legali le stesse analisi per capire se questi erano sotto l’effetto della droga o magari dell’alcol e dello stupefacente assieme». Cioè del nuovo mix esaltante, il «cocaetilene».

n.s.


IL TRENTINO

Incidenti, costi spaventosi: 350 milioni

E’ Trentino il triste primato della mortalità sulle strade Nel 2005 i morti furono 105, l’abuso dell’alcol e la velocità tra le cause principali di queste tragedie

ANDREA SELVA

TRENTO. Venti vittim

Sabato, 14 Aprile 2007
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